Le funzioni cognitive sono l’insieme di caratteristiche e processi consci ed inconsci che permettono all’essere umano di identificare, elaborare, memorizzare, richiamare, usare e comunicare informazioni. Esempi di funzioni cognitive sono la percezione, la memoria, il riconoscimento, l’attenzione, le funzioni prassiche, la comprensione e l’elaborazione del linguaggio, le funzioni esecutive. In questo articolo ci occuperemo in particolare dello sviluppo del linguaggio. Ricordiamo al lettore che il “linguaggio” è la funzione cognitiva che permette di comunicare ed esprimere informazioni ad altre persone per mezzo di segni di varia natura, in particolare di suoni articolati, organizzati in parole.
Lo sviluppo
Lo sviluppo del linguaggio attraversa tre stadi fondamentali:
- lo sviluppo fonetico (vocalizzazione);
- lo sviluppo grammaticale;
- lo sviluppo semantico.
È sorprendente come le tappe dello sviluppo linguistico siano uguali per tutti i bambini nei primi quattro-cinque anni di vita, di tutte le culture e di diverse lingue.
Sviluppo fonetico (vocalizzazione)
Il primo stadio (lo sviluppo fonetico) è rappresentato dal percorso che porta il bambino nel primo anno di vita all’acquisizione della capacità di articolare i suoni del linguaggio (i fonemi):
- Nei primi quattro mesi gli unici suoni emessi sono il pianto e qualche vocale o consonante (L, G+H, K).
- Dai quattro ai sei mesi nel lattante compare la lallazione, ovvero l’emissione di suoni articolati a caso che derivano dall’attività muscolare dell’apparato fonatorio e articolatorio. Il bambino è in grado di riprodurre le vocali consonanti come P, B, M, N, GN. Tali suoni ripetuti a caso, danno origine a bisillabi (per esempio ma-ma, pa-pa) che non sono però vere parole e non esprimono alcun concetto. La lallazione è un’attività ludica e rappresenta una tappa universale precedente all’espressione del linguaggio.
- Da 8 mesi a 12 mesi, il lattante raggiunge uno stadio decisivo per lo sviluppo: pronuncia le prime parole o parti di esse, imitando e ripetendo le parole pronunciate dagli adulti (ecolalia). In questo periodo si differenzia la verbalizzazione tra bambini di comunità linguistiche diverse.
Sul piano anatomo-patologico l’espressione delle prime parole corrisponde all’inizio
del processo di mielinizzazione della via corticale che unisce la zona di Heschl all’area
di Broca.
Sviluppo grammaticale
Il secondo stadio è costituito dallo sviluppo grammaticale che si manifesta dai 12 ai
18 mesi. Il bambino possiede ora i concetti di molte cose (membri della famiglia, cibi,
animali, giocattoli…) e cerca di metterli in relazione con le parole usate dagli adulti. A
questa età il vocabolario è simile per tutti i bambini e comprende l’utilizzo di 4-5 parole
che hanno funzione di frasi intere (un parola significa una intera frase). Dopo i 18 mesi, il numero di parole pronunciate cresce a dismisura:
- a 2 anni: il vocabolario è di 200-300 parole (sostantivi e verbi);
- a 3 anni: il vocabolario è di 600-1000 parole;
- a 4 anni: il vocabolario è di 1500 parole;
- a 5 anni: il vocabolario è di 2000 parole.
Sviluppo semantico
Nel secondo anno di vita si avvia il terzo e ultimo stadio di sviluppo linguistico: l’acquisizione dei sintagmi e della sintassi (sviluppo semantico). In questa fase esiste una connessione stabile tra parole e cose (significati) e il bambino utilizza un linguaggio telegrafico pronunciando frasi di due-tre parole che trasmettono il contenuto più importante.
A tre anni compare la sequenza di quattro parole con il verbo e il bambino riesce a esprimere precisamente il pensiero, in seguito compaiono pronomi personali, avverbi, aggettivi e preposizioni e a cinque anni generalmente vengono usate tutte le categorie grammaticali. A questa età teoricamente lo sviluppo è completato e si assisterà a un progressivo arricchimento del linguaggio con la scolarizzazione.
Alcuni ritengono che la capacità di apprendere il linguaggio sia innata nell’uomo e che rappresenti una peculiarità che lo differenzia dagli animali (Chomsky, 1972). Solo i bambini imparano a parlare, al contrario degli animali, poiché il corpo umano è geneticamente predisposto alla comunicazione verbale: la capacità di apprendere nuovi fonemi e soprattutto la capacità di combinare i morfemi e organizzare la sintassi sono caratteristiche innate.
Il fatto che i bambini provenienti da contesti culturali e linguistici diversi, attraversino la stessa sequenza di sviluppo linguistico indica che la conoscenza innata del linguaggio è molto ricca. Le teorie innatiste (per esempio quella di Chomsky) sostengono infatti che la causa principale dello sviluppo risiede nella programmazione genetica e che le condizioni ambientali possono semplicemente modulare, ma non controllare né determinare il processo evolutivo.
Secondo le teorie organismiche o interazioniste, invece, la presenza di una naturale predisposizione al linguaggio è una premessa necessaria ma assolutamente non sufficiente a farlo maturare. La predisposizione deve essere attivata all’interno di un contesto di comunicazione umana e verbale, altrimenti non si manifesta.
Accanto alle capacità innate specifiche nella specie umana, anche l’apprendimento svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo del linguaggio. La capacità di riprodurre su imitazione rappresenta un momento decisivo: il bambino sperimenta, effettua tentativi e verifica ipotesi tramite il rimprovero o i complimenti dei genitori, imparando quindi a pronunciare le parole correttamente e in seguito ad assemblarle in frasi senza commettere errori.
È stata descritta inoltre, l’esistenza di un periodo critico, ovvero un periodo (dai primi mesi a quattro anni) in cui il bambino ha le facoltà per poter sviluppare la capacità linguistica e in cui è fondamentale che possa ascoltare il linguaggio degli adulti per poterlo imitare. Si è osservato un periodo critico per l’acquisizione dei fonemi della propria lingua natia (durante i primi mesi) e un periodo critico per l’acquìsìzìone della sintassi (primi tre-quattro anni).
I casi di sordità rappresentano un primo esempio di come l’impossibilità di percepire il parlato nei primi anni determini gravi lacune funzionali nello sviluppo linguistico e gli stessi bambini non udenti impareranno meglio e utilizzeranno in modo più efficace il linguaggio dei segni se verrà insegnato loro entro i quattro anni.
Altre prove dirette dell’esistenza di tale periodo si trovano in casi estremi di bambini cresciuti in gravissimi stati di abbandono. La vicenda del selvaggio dell’Aveyron, de- scritto da Itard rappresenta un esempio emblematico. All’inizio dell’Ottocento venne trovato nei boschi francesi un bambino dall’età apparente di undici-dodici anni, cresciuto nella foresta solo e apparentemente senza mai essere venuto a contatto con la civiltà. Nonostante anni di tentativi, il ragazzo non riuscì mai a imparare a parlare: era in grado di comprendere le parole, ma ne pronunciava un numero molto limitato e non apprese mai alcuna regola grammaticale.
Stessa sorte toccò alla piccola Genie (Curtiss, 1977) tenuta segregata in uno sgabuzzino fino all’età di tredici anni dalla madre cieca e dal padre psicotico. La ragazza non era mai stata a contatto con il mondo esterno e quando fu trovata era completamente priva di linguaggio. Nonostante la lunga riabilitazione e le sue provate capacità intellettive, Genie non fu mai in grado di pronunciare una frase sintatticamente accettabile.
Il superamento del periodo critico senza aver avuto la possibilità di apprendimento del linguaggio, comporta l’impossibilità da parte del bambino di riuscire a dominare gli
aspetti funzionali della lingua e annulla le potenzialità di imparare a parlare in modo fluente e perfettamente comprensibile.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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