Cosa sono i linfociti ed a che servono?

MEDICINA ONLINE CELLULA RIPRODUZIONE GAMETI CELL WALLPAPER PICS IMAGE PICTURE PIC HI RESOLITION HI RES TESSUTO LINFOCITI T B MACROFAGI IMMUNITA AUTOIMMUNITARIEI linfociti sono le cellule che costituiscono la porzione effettrice del sistema immunitario acquisito (specifico), in grado di generare anticorpi e mettere in atto una serie di potenti meccanismi a cascata che permettono al nostro organismo di difendersi da virus, batteri ed altri patogeni. I linfociti sono presenti negli organi linfoidi primari, negli organi linfoidi secondari, nel sangue periferico e nella linfa. A seconda del distretto anatomico, sono presenti diverse tipologie di leucociti con cloni in diversi stadi di maturazione e specificità per gli antigeni. Possono essere di due tipi: linfociti T e B. Per capire la differenza tra i due è necessario ricordare che la risposta immunitaria specifica può Continua a leggere

Differenza tra organi linfatici primari e secondari: tessuti e funzioni

MEDICINA ONLINE LABORATORIO LYMPH NODE SYSTEM HUMAN CORPO UMANO SISTEMA LINFATICO LINFONODO LINFA CIRCOLAZIONE BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCROIl sistema linfatico è costituito da organi linfatici, la rete conduzione dei vasi linfatici, e la linfa.

  • organi linfatici primari: timo e midollo osseo;
  • organi linfatici secondari: milza e linfonodi.

Organi linfatici primari

Gli organi linfatici primari o centrali generano linfociti da cellule progenitrici immature. Il timo (in inglese “thymus“) ed il midollo osseo (“bone marrow“) costituiscono i principali organi linfoidi coinvolti nella produzione e l’inizio della selezione clonale di tessuti linfocitiari. Il midollo osseo è responsabile sia della creazione di cellule T che della produzione e la maturazione delle cellule B . Dal midollo osseo, le cellule B raggiungono il sistema circolatorio e viaggiano attraverso gli organi linfoidi secondari alla ricerca di agenti patogeni. Le cellule T, d’altra parte, passano dal midollo osseo al timo, dove si sviluppano ulteriormente, per poi unirsi alle cellule B in cerca di agenti patogeni. Il restante 95% di cellule T inizia un processo di apoptosi, una forma di morte cellulare programmata .

Organi linfatici secondari

Gli organi linfatici secondari o periferici includono i linfonodi e la milza (in inglese “lymph node” e “spleen”), mantengono i linfociti naive maturi e avviano la risposta immunitaria adattativa. Gli organi linfoidi periferici sono i siti dove i linfociti vengono attivati dagli antigeni. L’attivazione porta all’espansione clonale e alla maturazione dei linfociti, che entrano in circolo tra il sangue e gli organi linfoidi periferici fino a che non incontrano il loro antigene specifico. Il tessuto linfoide secondario fornisce l’ambiente adatto per interagire con i linfociti sia alle molecole endogene alterate che a quelle esogene. Si trova nei linfonodi, tonsille, placche di Peyer, milza, adenoidi, pelle, e MALT. Nella parete gastrointestinale l’appendice pur avendo la mucosa simile a quella del colon, presenta una massiccia presenza di linfociti.

Esiste anche il “tessuto linfatico terziario”, che corrisponde al tessuto che si occupa del trasferimento dei linfociti dal sangue alla linfa.

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Funzioni del sistema linfatico

Il sistema linfatico ha molteplici funzioni interdipendenti:

  • rimozione del liquido interstiziale dai tessuti;
  • assorbimento e trasporto degli acidi grassi dal sistema digestivo;
  • trasporto dei globuli bianchi da e verso i linfonodi;
  • trasporto di cellule presentanti l’antigene, come le cellule dendritiche, fino ai linfonodi dove è stimolata la risposta immunitaria.

Timo

Il timo è un organo linfatico primario e il sito di maturazione delle cellule T, i linfociti del sistema immunitario adattativo. Il timo aumenta di dimensioni, dalla nascita in risposta alla stimolazione antigenica postnatale, per poi regredire dopo la pubertà, quando viene in gran parte sostituito da tessuto adiposo. Tuttavia, residuo linfopoiesi T continua per tutta la vita adulta. La perdita o la mancanza di timo provoca una grave immunodeficienza con conseguente aumento della suscettibilità alle infezioni. Nella maggior parte delle specie, il timo è costituito da lobuli divisi da setti di epitelio ed è pertanto un organo epiteliale. Cellule T mature, proliferano e subiscono un processo di selezione nella corteccia timica prima di entrare nel midollo per interagire con le cellule epiteliali. Il timo fornisce un ambiente ideale per lo sviluppo di cellule T da cellule progenitrici ematopoietiche. Inoltre, le cellule stromali del timo permettono la selezione di un repertorio di cellule T auto-funzionale e tollerante, grazie a questi processi l’organo è in grado di garantire la tolleranza centrale.

Milza

La milza ha la funzione di produrre cellule del sistema immunitario al fine di eliminare gli antigeni; rimuovere le particelle e le cellule del sangue vecchie, soprattutto eritrociti; produrre globuli bianchi durante la vita fetale. La milza sintetizza anticorpi nella polpa bianca e rimuove batteri e cellule del sangue che arrivano da linfonodi e circolazione linfatica. Uno studio pubblicato nel 2009, effettuato con l’ausilio di topi, ha rilevato che la milza contiene la metà dei monociti del corpo all’interno della polpa rossa. Questi monociti, passano nei tessuti danneggiati (come il cuore), si trasformano in cellule dendritiche e macrofagi, e promuovono la guarigione del tessuto. La milza è il centro delle attività dei fagociti mononucleati e può essere considerata analoga ad un grande linfonodo, visto che la sua assenza provoca una predisposizione a certe infezioni. Come il timo, la milza ha solo vasi linfatici efferenti: le arterie gastriche brevi e l’arteria splenica forniscono con il sangue all’organo. I centri germinali sono irrorati da arteriole chiamate radichette. Fino al quinto mese di sviluppo prenatale, la milza produce globuli rossi, mentre dopo la nascita il midollo osseo diviene l’unico responsabile dell’emopoiesi, mentre la milza mantiene la capacità di produrre linfociti. La milza può immagazzinare fino al 25% di globuli rossi e linfociti, per renderli disponibili in caso di emergenza.

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I linfonodi

Un linfonodo è una raccolta organizzata di tessuto linfoide, attraverso cui passa la linfa nel suo cammino verso il sangue. I linfonodi sono situati ad intervalli lungo il sistema linfatico. Diversi vasi linfatici afferenti trasportano la linfa al linfonodo che la filtra e la rilascia in un vaso efferente. Ci sono tra i cinque e i seicento linfonodi nel corpo umano, molti dei quali sono raggruppati in diverse regioni, come nelle ascelle e nelle zone addominali. Gruppi linfonodali si trovano comunemente alla base degli arti (inguine, ascelle) e nel collo, perché la linfa viene raccolta dalle regioni del corpo propense alla contaminazione da agenti patogeni. Il linfonodo è costituito da follicoli, che si trovano in una porzione esterna chiamata corteccia. La porzione interna è chiamata midollo e circonda la corteccia su tutti i lati tranne che in una porzione nota come ilo. L’ilo forma una depressione sulla superficie del linfonodo, che gli conferisce la caratteristica forma di fagiolo o ovoidale. Il vaso linfatico efferente emerge direttamente dall’ilo, e anche le arterie e le vene che alimentano il linfonodo entrano ed escono attraverso di esso. La paracorteccia circonda il midollo, ed è provvista di cellule T immature e mature, diversamente dalla corteccia, che possiede cellule T immature o timociti. I linfociti entrano nei linfonodi attraverso venule endoteliali specializzate situate nella paracorteccia. Un follicolo linfatico è un denso insieme di linfociti, il cui numero, dimensione e configurazione cambiano a seconda dello stato funzionale del linfonodo. Ad esempio, i follicoli si espandono in modo significativo quando incontrano un antigene esogeno. La selezione di cellule B o linfociti B, si verifica nel centro germinale dei linfonodi.

Altro tessuto linfoide

Il tessuto linfoide associato al sistema linfatico svolge funzioni immunitarie per la difesa dell’organismo contro le infezioni e la diffusione dei tumori. È costituito da tessuto connettivo attraverso cui passa la linfa, formato da fibre reticolari, contenente vari tipi di leucociti, soprattutto linfociti. Regioni del tessuto linfoide densamente occupate da linfociti sono conosciute come follicoli linfoidi. Il tessuto linfoide può essere sia strutturalmente ben organizzato come nel caso dei linfonodi o può essere costituito da follicoli linfoidi poco organizzati come nel MALT. Anche il sistema nervoso centrale ha vasi linfatici, come scoperto dai ricercatori dell’Università della Virginia. La ricerca di cellule T dentro e fuori delle meningi ha portato alla scoperta di vasi linfatici funzionali lungo i seni durali, anatomicamente integrati nella membrana che circonda il cervello.

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Vasi linfatici

I vasi linfatici conducono la linfa nelle diverse parti del corpo. Comprendono i vasi tubolari dei capillari linfatici, il dotto linfatico destro e il dotto toracico (il dotto linfatico sinistro). I capillari linfatici sono responsabili dell’assorbimento del liquido interstiziale dai tessuti, mentre i vasi linfatici spingono il fluido assorbito nei collettori più grandi, dove infine ritorna al flusso sanguigno attraverso la vena succlavia. Questi vasi sono chiamati anche i canali linfatici. I vasi linfatici sono responsabili del mantenimento dell’equilibrio dei fluidi corporei. La rete di capillari e vasi linfatici lavora per drenare e trasportare in modo efficiente il fluido, insieme a proteine e antigeni, fino al sistema circolatorio. Le valvole intraluminali assicurano un flusso unidirezionale di linfa senza riflusso. Il flusso unidirezionale è ottenuto tramite due sistemi di valvole, primario e secondario. I capillari sono a fondo cieco, e le valvole alle estremità dei capillari utilizzano giunzioni specializzate per l’ancoraggio dei filamenti al fine di consentire un flusso unidirezionale ai vasi primari. I vasi linfatici di raccolta, invece, spingono la linfa grazie all’azione combinata delle valvole intraluminali e cellule muscolari linfatiche.

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Differenze tra allergia alimentare ed intolleranza alimentare

MEDICINA ONLINE NAUSEA MAL DI PANCIA REFLUSSO GE ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO APPARATO DIGERENTE CIBO TUMORE CANCRO POLIPO ULCERA DIVERTICOLO CRASSO FECI VOMITO SANGUE OCCULTO MILZA VARICI CIRROSI FEGATOMoltissime persone fanno confusione tra allergia alimentare ed intolleranza alimentare, anche perché alcuni sintomi sono effettivamente comuni ad entrambe queste condizioni. Cerchiamo quindi di spiegare la differenza in maniera semplice, magari troppo semplicistica per gli addetti ai lavori, ma estremamente chiara per la maggior parte delle persone che poi è l’obbiettivo che mi sono prefissato con questo sito!

L’allergia alimentare è una forma specifica di intolleranza a componenti alimentari che attiva il sistema immunitario, in che modo? Una proteina (detta allergene) contenuta nell’alimento a rischio, innesca una catena di reazioni del sistema immunitario tra cui la produzione di anticorpi. Tale allergene nella maggior parte delle persone è del tutto innocuo e non determina sintomi mentre nella persona ad esso allergica determina i fastidiosi sintomi. Gli anticorpi, stimolati dall’allergene, scatenano il rilascio di potenti sostanze organiche, come l’istamina, che provocano vari sintomi: naso che cola, tosse, affanno, l’orticaria (prurito e ponfi come punture di zanzara), talora con gonfiore delle palpebre, delle labbra o della lingua, l’asma, il raffreddore allergico, la diarrea e in casi gravi importanti e improvvisi cali della pressione arteriosa. Le allergie agli alimenti o ai componenti alimentari sono spesso ereditarie e vengono in genere diagnosticate nei primi anni di vita.

Nell’intolleranza alimentare l’attore principale non è il sistema immunitario, ma il metabolismo. Un tipico esempio è l’intolleranza al lattosio: le persone che ne sono affette hanno una carenza di lattasi, l’enzima digestivo che scompone lo zucchero del latte. L’intolleranza può provocare sintomi simili all’allergia (tra cui nausea, diarrea e crampi allo stomaco), ma la reazione non coinvolge nello stesso modo il sistema immunitario. L’intolleranza alimentare si manifesta quando il corpo non riesce a digerire correttamente un alimento o un componente alimentare.

LA DOSE E’ IMPORTANTE

Mentre i soggetti allergici devono in genere eliminare del tutto il cibo incriminato (perché basta l’introduzione dell’allergene a far sviluppare i sintomi, a prescindere dalla quantità dell’alimento ingurgitato), le persone che hanno un’intolleranza possono invece quasi sempre sopportare piccole quantità dell’alimento o del componente in questione senza sviluppare sintomi. Per questo motivo si dice che l’intolleranza è dose dipendente mentre l’allergia non lo è. Fanno eccezione gli individui sensibili al glutine e al solfito.

DIFFERENTI TERAPIE

In caso di allergia una volta identificati gli alimenti, l’unico modo per prevenire la reazione allergica nei soggetti sensibili è eliminare tali alimenti dalla dieta o dall’ambiente. In caso di intolleranza alimentare, invece, il solo fatto di ridurre le porzioni può essere sufficiente ad evitare i sintomi. Di solito è il paziente stesso che, grazie alla propria esperienza, capisce da se quale sia la “dose soglia” che non deve superare per non incorrere nei sintomi.  Tuttavia spesso questo non è sufficiente, pertanto si provvede all’esclusione dell’alimento intollerato e delle sue forme nascoste (es. siero di latte nel prosciutto cotto) per un certo periodo di tempo (2-3 mesi) avendo comunque cura di seguire un’alimentazione bilanciata. In questo modo si consente all’organismo di “disintossicarsi” dai cibi intollerati concedendogli un periodo di “riposo” oltre il quale è possibile poi reintrodurre gradualmente gli alimenti senza che si manifestino disturbi. In realtà il metodo che prediligo per trattare le intolleranze non è la dieta di eliminazione, che è comunque una possibilità da tenere in considerazione, bensì l’applicazione di uno schema di rotazione dei cibi appositamente studiato sul paziente.

LEGGERE LE ETICHETTE

In qualsiasi caso il concetto importante che cerco di far entrare nella testa del paziente è che è sempre necessario leggere attentamente le etichette dei prodotti che si mangiano, anche quelli insospettabili e all’apparenza innocui, per valutare l’eventuale presenza di sostanze a cui si è allergici o intolleranti. Tante volte il paziente viene da me con i classici sintomi, mi dice che non ha assunto l’alimento incriminato e poi andiamo invece a scoprire che parte di tale alimento era presente, magari in quantità minima, nel contorno che ha mangiato a pranzo!

Che poi leggere le etichette dei cibi è una buona abitudine che anche chi non ha problemi di allergia o intolleranza dovrebbe osservare: la vera dieta comincia dalle etichette dei cibi, impara a decifrarle per mangiare bene.

TEST PER RICONOSCERE LE ALLERGIE

1) Test cutanei (prick test): sulla base dell’anamnesi dietetica, gli alimenti sospettati di provocare reazioni allergiche sono inseriti nella serie utilizzata per i test cutanei.
I test consistono nell’inserimento sottocutaneo di estratti di un determinato alimento, mediante iniezione o sfregamento, per verificare l’eventuale comparsa di una reazione di prurito o di gonfiore.
2) Diete ad esclusione: il principio della dieta ad esclusione si basa sull’eliminazione di un alimento o di una combinazione di alimenti sospetti per un periodo di circa 2 settimane prima di effettuare una prova di verifica. Se in questo periodo i sintomi scompaiono, i cibi sospetti vengono reintrodotti nella dieta, uno per volta, in quantità ridotte e aumentate gradualmente fino a raggiungere la dose normale. Una volta verificati tutti i cibi sospetti, è possibile evitare quelli che causano problemi.
3) Test RAST (radioallergoassorbimento): in questo tipo di test si mescolano in una provetta piccoli campioni di sangue del paziente con estratti di alimenti. In una vera allergia, il sangue produce anticorpi per combattere la proteina estranea che può così essere rilevata. Il test può essere usato soltanto come indicatore di un’allergia ma non determina l’entità della sensibilità all’alimento nocivo.
4) Test in doppio cieco con controllo di placebo (DBPCF): in questo test allergologico, l’allergene sospetto (per es. latte, pesce, soia) viene inserito in una capsula o nascosto in un alimento somministrato al paziente sotto stretto controllo medico. Questi test permettono agli allergologi di individuare i più comuni alimenti e componenti alimentari che provocano effetti negativi.

TEST PER RICONOSCERE LE INTOLLERANZE

1) Test sul sangue: vengono effettuati su un campione di sangue. I tipi di test utilizzati sono il Citotest e la metodica Elisa.
Il primo si effettua ponendo il plasma sanguigno a contatto con estratti di Alimenti (cereali, verdure, frutta, ecc.) e, dopo un certo tempo di incubazione, venga valutato al microscopio da un tecnico se i Neutrofili (una categoria di Globuli Bianchi) hanno subito delle modificazioni in seguito al contatto con gli Alimenti esaminati. Il limite del test, oltre all’esperienza del tecnico, risiede nella parzialità della risposta. Infatti, per quanto appartenenti all’organismo preso in esame, le cellule Neutrofile non sono l’organismo e non sono più al suo interno, inoltre necessita di tempi lunghi se si vogliono valutare molti alimenti.
I test basati sulla metodica Elisa sono di tipo immunoenzimatico, cioè valutano la presenza di anticorpi IgG che si producono contro gli antigeni alimentari: più è elevata la quantità di anticorpi più è probabile l’intolleranza nei confronti dell’alimento
2) Test Kinesiologico: si avvale della misurazione della tensione muscolare prendendo in esame la muscolatura della mano (O Ring) oppure delle braccia e/o delle gambe. Quando assumiamo, ma anche solo quando teniamo in mano, un Alimento od una sostanza che ci disturba, la nostra forza muscolare diminuisce, talvolta in modo così importante che le persone provano un senso di spossatezza dopo averne assunto. Lo svantaggio di questo test sta nel possibile affaticamento del soggetto da testare se si vogliono valutare un numero elevato di alimenti che può portare a falsi positivi
3) Test DRIA: utilizza lo stesso principio del al metodo Kinesiologico ma le rilevazioni sono fatte tramite un sistema computerizzato. Questi 2 test sono validi perché prendono in considerazione tutto l’organismo. Il loro limite risiede nella manualità dell’operatore per quanto riguarda il Test Kinesiologico, e nell’estrema lunghezza del test DRIA (devono essere messe in bocca fialette con diversi Alimenti e sostanze chimiche per un totale di circa due ore di test).
4) TEAV (Elettro Agopuntura di Voll) e VEGA TEST: con appositi apparecchi può essere misurata, lungo i meridiani classici dell’agopuntura cinese od altri canali studiati successivamente, una microcorrente elettrica che attraversa la persona, ed all’uscita permette di derivare informazione su incidenti trovati lungo il percorso oppure sull’impatto che producono piccole quantità di Alimenti interposti tra la persona e l’apparecchio. Non possono essere effettuati dai portatori di Pace Maker.
5) Test sul Capello: si basa sul principio della Biorisonanza che deriva dalla fisica quantistica. Questa scienza afferma che tutto ciò che esiste nell’universo è sì materia, ma anche energia. Gli oggetti, gli animali, l’uomo e tutti gli esseri viventi sono costituiti da cellule, molecole, atomi e come tali sono un insieme di materia ma anche di energia. Tutti gli atomi hanno la capacità di emettere particolari frequenze, tipiche dell’atomo stesso; allo stesso modo anche le molecole (che sono insiemi di atomi), le cellule (che sono formate da molecole) e di conseguenza gli esseri viventi (costituiti da cellule) emettono frequenze tipiche che dipendono dall’insieme di elementi di cui sono costituiti. Quindi ogni essere emette frequenze uniche e tipiche di quell’organismo. Il capello, essendo una parte dell’organismo, emette anch’esso la frequenza specifica dell’individuo a cui appartiene. Ponendo il capello a contatto con le frequenze tipiche di alimenti, farmaci, minerali ecc. è possibile valutare se queste due frequenze sono tra loro compatibili oppure no.

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Morire di dolore dopo la perdita del coniuge: ecco perché accade

Depressed elderly womanDopo molti anni di matrimonio vissuti uno al fianco dell’altra, è estremamente duro andare avanti da soli. La casa così grande e silenziosa, il letto vuoto e freddo e nessuno che ti sorride al mattino. Così, molto spesso quando un’anziano muore, poco tempo si verifica il decesso anche dell’altro coniuge. Una storia tanto triste che ora però, grazie a un nuovo studio dell’Università di Birmingham, acquista anche delle ragioni scientifiche. La ricerca, pubblicata sulla rivista Immunity and Ageing sostiene che con la vecchiaia si altera il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce al dolore e al lutto. Sembra infatti che il dolore possa influenzare il nostro sistema immunitario tramite gli ormoni dello stress.

I ricercatori sono partiti dalla constatazione che i giovani sono più resistenti al dolore, mentre le persone anziane si ammalano più facilmente. Così hanno studiato le reazioni di 41 persone di circa 30 anni e di 52 settantacinquenni. Alcuni di loro avevano provato un grande dolore altri invece no. Gli scienziati hanno misurato l’effetto del lutto sulla funzione dei neutrofili (un tipo di globuli bianchi fondamentali per combattere le infezioni ) sul cortisolo, il cosiddetto ‘ormone dello stress’ e sul deidroepiandrosterone solfato (DHEAS), un ormone maschile chiamato ‘ormone della giovinezza’.

Le analisi hanno mostrato che i partecipanti anziani che avevano vissuto un lutto, avevano una bassissima funzione immunitaria, alti livelli di ormone dello stress e la funzione dei neutrofili più debole rispetto al gruppo dei giovani. Questo si traduce nel fatto che gli anziani che hanno vissuto un grande dolore hanno maggiori probabilità di avere un sistema immunitario compromesso. “La ragione è che gli anziani hanno già un sistema immunitario invecchiato e quindi meno in grado di rispondere a nuovi patogeni” spiega l’autore dello studio Anna Phillips, ricercatore in medicina comportamentale presso l’Università di Birmingham. “Abbiamo bisogno di ormoni bilanciati per mantenere il nostro sistema immunitario sotto controllo, ma dopo i 30 anni la quantità di DHEAS che produciamo inizia a diminuire. Gli anziani che hanno partecipato allo studio avevano infatti il 20% di DHEAS in meno rispetto alla quantità che avevano in gioventù” afferma Phillips.

Lo studio rivela infine che l’interazione tra dolore e ormoni dello stress sul sistema immunitario potrebbe spiegare la morte a breve distanza del partner che rimane da solo. “Tutti conosciamo storie di qualche anziano che muore e l’altro coniuge, perfettamente sano, se ne va poco dopo. Con lo stress da lutto i neutrofili smettono di funzionare bene, e può succedere che se l’anziano vive un trauma (come una caduta o una broncopolmonite) diventi più sensibile a nuove infezioni”.

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Abuso di antibiotici: a volte è meglio solo il riposo

MEDICINA ONLINE VIRUS BATTERI INFLUENZA RAFFREDDORE TEMPERATURA STARNUTO EBOLA TRASMISSIONE MORTE SINTOMI STARNUTO CONTATTOCirca un quinto delle prescrizioni di antibiotici non sono necessarie, dal momento che vengono prescritti per patologie che in realtà migliorano da sole. Sono le conclusioni a cui sono giunti i tecnici della Public Health England (Phe), agenzia del ministero della Salute inglese. L’abuso di antibiotici è anzi controproducente, dal momento che rende le infezioni più difficili da trattare, creando dei batteri resistenti a molti farmaci. Si stima infatti che 4 casi su 10 di infezione nel sangue da Escherichia Coli non si possa trattare con gli antibiotici di prima scelta, e che entro il 2050 le infezioni resistenti nel mondo mieteranno più vittime di quante ne faccia il cancro ora.

Gli antibiotici non servono?

Questo non è ovviamente vero, è vero invece che servono solo quando sono davvero essenziali, cioè nei casi di sepsi, polmonite, meningiti batteriche e altre gravi infezioni, mentre non lo sono per altre malattie. Tosse o bronchite per esempio passano da sole in tre settimane, e l’antibiotico nella maggioranza dei casi non ne accorcia la durata se non di uno o due giorni. La maggior parte dei soggetti, se sono immunocompetenti (cioè se il loro sistema immunitario funziona bene), guarisce dalle infezioni di volta in volta grazie alle proprie naturali difese immunitarie. L’indicazione che dovrebbero ricevere, per infezioni che il nostro organismo può gestire da solo, è di “riposare, bere molti liquidi e usare farmaci per far passare dolore e fastidi, come il paracetamolo.

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Antigene: cos’è e perché è importante per il sistema immunitario

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORI.jpgUn antigene è una sostanza in grado di essere riconosciuta dal sistema immunitario. Si definisce invece immunogena una sostanza in grado di stimolare il sistema immunitario a tentare di produrre anticorpi contro di essa. La sostanza può essere di provenienza ambientale o formarsi all’interno del corpo. Il sistema immunitario uccide o neutralizza qualsiasi antigene che riconosca come estraneo e potenzialmente dannoso.

Il termine antigene è un sostantivo maschile e aggettivo, composizione di anti (contro) e gene (da genetica, ovvero geni del DNA); esso viene in genere falsamente definito, in medicina, come generatore di anticorpi (antibody generator) riferendosi ad una molecola che si lega specificamente ad un anticorpo. Al giorno d’oggi il termine si riferisce anche a qualsiasi molecola (o frammento di molecola) che può essere trasportata da un complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) e presentato ad un recettore delle cellule T. Gli antigeni “self” sono generalmente tollerati dal sistema immunitario. Al contrario gli antigeni “non-self” possono essere identificati come invasori e possono essere attaccati dal sistema immunitario.

Un immunogeno è un tipo specifico di antigene. Un immunogeno è una sostanza che è in grado di provocare una risposta immunitaria adattativa se iniettato da sola. Un immunogeno è capace di indurre una risposta immunitaria, mentre un antigene è in grado di combinarsi con i prodotti di una risposta immunitaria una volta che sono stati prodotti. I concetti, in parte sovrapposti, di immunogenicità e antigenicità, sono quindi leggermente diversi. Ricapitolando l’immunogenicità è la capacità di indurre una risposta umorale e/o cellulo-mediata di tipo immune. L’antigenicità è invece la capacità di combinarsi specificamente con i prodotti finali della risposta immunitaria (cioè gli anticorpi secreti e/o i recettori di superficie presenti sulle cellule T). Anche se tutte le molecole che hanno proprietà di immunogenicità hanno anche la proprietà di antigenicità, il contrario non è vero.

A livello molecolare, un antigene è caratterizzato dalla sua capacità di essere “legato” al sito di legame dell’antigene di un anticorpo. Si noti inoltre che gli anticorpi tendono a discriminare tra le strutture molecolari specifiche presentate sulla superficie dell’antigene (come illustrato nella figura). Gli antigeni sono generalmente proteine o polisaccaridi. Questo include parti (rivestimenti, capsule, pareti cellulari, flagelli, fimbrie e tossine) di batteri, virus e altri microrganismi.

I lipidi e gli acidi nucleici sono antigeni solo quando si combinano con proteine e polisaccaridi. Antigeni non-microbici esogeni (non-self) possono includere pollini, albume d’uovo e proteine di tessuti e organi trapiantati o presenti sulla superficie di globuli rossi trasfusi. I vaccini sono esempi di antigeni immunogenici somministrati intenzionalmente per indurre immunità acquisita nel ricevente.

Epitopo

L’epitopo è la caratteristica distintiva della superficie molecolare di un antigene che è in grado di essere legata da un anticorpo (determinante antigenico). La singola molecola di antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti. Le molecole antigeniche, di solito “grandi” polimeri biologici, di norma presentano diverse caratteristiche di superficie che possono agire come punti di interazione per anticorpi specifici. Qualsiasi caratteristica distintiva molecolare costituisce un epitopo. Pertanto, la maggior parte antigeni può essere legata da anticorpi distinti, ciascuno dei quali è specifico per un particolare epitopo. Utilizzando la metafora della “chiave” e della serratura, l’antigene stesso può essere visto come un mazzo di chiavi – ogni epitopo è una sorta di “chiave” – ognuna delle quali può corrispondere ad una serratura anticorpale diversa.

Allergene

L’allergene è una sostanza in grado di provocare una reazione allergica. La reazione dannosa può prendere il via dopo l’esposizione, l’ingestione, l’inalazione, l’iniezione od il contatto con la pelle.

Superantigene

Una classe di antigeni che causano un’attivazione non specifica delle cellule T, con conseguente attivazione delle cellule T policlonali e rilascio massiccio di citochine.

Tollerogeno

Un antigene che è in grado di indurre tolleranza immunologica, in pratica una sostanza che induce inattivazione funzionale specifica dei linfociti (una sorta di non risposta immunitaria specifica) a causa della sua forma molecolare. Se la sua forma molecolare viene cambiata, un tollerogeno può diventare un immunogeno.

Immunoglobulina legante le proteine

Queste proteine sono in grado di legarsi ad anticorpi in posizioni diverse rispetto al sito di legame antigenico. Cioè, mentre gli antigeni sono il “bersaglio” degli anticorpi, le immunoglobuline leganti le proteine attaccano gli anticorpi.
La proteina A, la proteina G e la proteina L sono esempi di proteine che si legano fortemente ai vari isotipi di anticorpi.

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Immunità specifica (acquisita): memoria passiva, attiva ed immunizzazione

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Prima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento trattato, vi consigliamo di leggere questo articolo: Sistema immunitario, immunità innata e specifica: riassunto, schema e spiegazione

Memoria immunologica

Quando i linfociti B e T vengono attivati e cominciano a replicarsi, alcuni dei loro discendenti diventano cellule di memoria a lunga durata. Durante tutto il corso della vita di un animale, esse sono in grado ricordare ogni agente patogeno specifico incontrato e, se l’agente viene rilevato nuovamente, può stimolare una forte, risposta. Questo è un sistema “adattativo” in quanto consiste in un adattamento alle infezioni causate da quel dato patogeno e prepara il sistema immunitario ad incontrarlo in futuro. La memoria immunologica può essere sotto forma di una memoria passiva a breve termine o di una memoria attiva a lungo termine.

Memoria passiva

I neonati non hanno alcuna precedente esposizione ai microbi e sono pertanto particolarmente vulnerabili alle infezioni. Diversi livelli di protezione passiva sono fornite dalla madre. Durante la gravidanza, un particolare tipo di anticorpi, chiamati IgG, si trasferisce dalla madre al bambino direttamente attraverso la placenta, in modo che i neonati umani abbiano alti livelli di anticorpi, anche alla nascita, con la stessa gamma di specificità dell’antigene della propria madre. Anche il latte maternocontiene anticorpi che vengono trasferiti all’intestino del neonato e fonendogli protezione contro le infezioni batteriche fino a quando il neonato non sia in grado di sintetizzare i propri anticorpi.  Questo è l’immunità passiva poiché il feto in realtà non produce alcuna cellula di memoria o anticorpi, prendendoli solamente in prestito. Questa immunità passiva è di solito a breve termine, della durata che va da pochi giorni fino a diversi mesi. In medicina, la protezione da immunità passiva può anche essere trasferita artificialmente da un individuo ad un altro, tramite siero ricco di anticorpi.

Memoria attiva ed immunizzazione

La memoria attiva a lungo termine viene acquisita a seguito di un’infezione e da una attivazione dei linofciti B e T. L’immunità attiva può anche essere generata artificialmente, attraverso la vaccinazione. Il principio alla base della vaccinazione (chiamato anche immunizzazione) è quello di introdurre un antigene di un agente patogeno al fine di stimolare il sistema immunitario e sviluppare l’immunità specifica contro quel particolare patogeno, senza però causare la malattia correlata a tale organismo. Questa induzione deliberata di una risposta immunitaria ha successo poiché sfrutta la specificità naturale del sistema immunitario, così come la sua inducibilità. Essendo che la malattia infettiva rimane una delle principali cause di morte nella popolazione umana, la vaccinazione rappresenta la manipolazione più efficace del sistema immunitario che l’uomo ha sviluppato. La maggior parte dei vaccini virali sono basate su virus vivi attenuati, mentre molti vaccini batterici sono basati su componenti acellulari di microrganismi, comprese tossine rese innocue. Poiché molti antigeni derivati da vaccini acellulari non inducono una forte risposta adattativa, i vaccini batterici sono forniti con coadiuvanti aggiuntivi che attivano le cellule che presentano l’antigene del sistema immunitario innato e massimizzano l’immunogenicità.

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Differenza tra antigeni esogeni, endogeni, tumorali, nativi ed autoantigeni

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIGli antigeni sono sostanze in grado di essere riconosciute dal nostro sistema immunitario e possono essere classificati a seconda della loro classe:

Antigeni esogeni

Gli antigeni esogeni sono antigeni che sono entrati nel corpo dall’esterno, per esempio tramite inalazione, ingestione, o iniezione.
La risposta del sistema immunitario agli antigeni esogeni è spesso subclinica. Attraverso processi di endocitosi o fagocitosi, gli antigeni esogeni sono catturati dalle cellule presentanti l’antigene (APC) e trasformati in frammenti. Le cellule APC quindi presentano i frammenti alle cellule T helper (CD4 +) grazie a molecole di istocompatibilità di classe II presenti sulla loro superficie. Alcune cellule T sono specifici per il peptide: il complesso MHC. Esse si attivano e cominciano a secernere citochine. Le citochine sono sostanze che possono attivare i linfociti T citotossici (CTL), le cellule B secernenti anticorpi, ed i macrofagi. Alcuni antigeni iniziano come antigeni esogeni, e poi diventano endogeni. Ciò avviene per esempio per i virus intracellulari. Antigeni intracellulari possono essere reimessi in circolo a seguito della distruzione della cellula infettata.

Antigeni endogeni

Gli antigeni endogeni sono antigeni che sono stati generati all’interno delle cellule come conseguenza del metabolismo cellulare normale, oppure a causa di una infezione intracellulare virale o batterica. I frammenti vengono presentati sulla superficie cellulare nel complesso MHC con molecole di classe I. Se attivate le cellule citotossiche CD8 T le riconoscono. Le cellule T secernono varie tossine che causano la lisi o l’apoptosi della cellula infettata. Gli antigeni endogeni comprendono antigeni xenogenici (eterologhi), autologhi, idiotipici ed omologhi.

Autoantigeni

Un autoantigene è generalmente una normale proteina od un complesso di proteine (e talvolta DNA o RNA) che viene riconosciuto dal sistema immunitario di pazienti affetti da una specifica malattia autoimmune. Tali antigeni dovrebbero, in condizioni normali, non essere il bersaglio del sistema immunitario, ma, a causa di fattori genetici e principalmente ambientali, la normale tolleranza immunologica per tali antigeni viene persa in questi pazienti.

Antigeni tumorali

Gli antigeni tumorali o neoantigeni sono antigeni che vengono presentati dalle molecole del complesso di istocompatibilità maggiore MHC I e MHC II sulla superficie delle cellule tumorali. Tali antigeni possono talvolta essere presentati dalle cellule tumorali e non da quelle normali. In questo caso, essi sono chiamati antigeni tumore-specifici (TSA) e, in generale, sono il prodotto di una mutazione tumore-specifica. Più comune sono antigeni che sono presentati da cellule tumorali e cellule normali, e sono chiamati antigeni associati al tumore (TAA). I linfociti T citotossici che riconoscono gli antigeni possono essere in grado di distruggere le cellule tumorali prima che proliferino o metastatizzino. Antigeni tumorali possono anche essere sulla superficie del tumore in forma di, ad esempio, un recettore mutato, nel qual caso saranno riconosciuti da cellule B.

Antigeni nativi

Un antigene nativo è un antigene, che non è stato ancora processato da una cellula APC (cellula presentante l’antigene) in parti più piccole. Le cellule T non sono in grado di legarsi ad antigeni nativi, ma richiedono che gli stessi siano prima elaborati dalle cellule APC. Al contrario le cellule B possono essere attivate dagli antigeni nativi.

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