Funzioni cognitive: percezione, localizzazione, separazione degli oggetti

Le funzioni cognitive sono l’insieme di caratteristiche e processi consci ed inconsci che permettono all’essere umano di identificare, elaborare, memorizzare, richiamare, usare e comunicare informazioni. Esempi di funzioni cognitive sono la percezione, la memoria, il riconoscimento, l’attenzione, le funzioni prassiche, la comprensione e l’elaborazione del linguaggio, le funzioni esecutive. In questo articolo ci occuperemo in particolare della percezione.

La percezione

La percezione è la funzione psichica che elabora, integra, organizza e interpreta i dati
sensoriali grezzi giunti alla coscienza dagli organi di senso. Tale funzione, elaborando l’esperienza sensoriale (visiva, uditiva, olfattiva, gustativa e tattile) permette all’uomo di formare una propria rappresentazione coerente della realtà, consentendo di acquisirne consapevolezza, rendendo possibile l’adattamento, l’orientamento spaziale, la pianificazione e la risoluzione di problemi. La percezione non è una risposta passiva, statica e frammentata, ma un’organizzazione immediata, continua e dinamica della realtà che coinvolge numerose strutture extra-nervose e varie aree primarie e secondarie della corteccia cerebrale. Nel complesso sistema percettivo sono state individuate tre funzioni fondamentali per l’adattamento funzionale del soggetto all’ambiente:

  • la localizzazione;
  • il riconoscimento degli oggetti;
  • la costanza percettiva.

Tali funzioni coinvolgono principalmente, ma non esclusivamente, la vista e la corteccia visiva primaria e secondaria.

La localizzazione

Per potersi orientare e muovere correttamente nello spazio è necessario sapere quali
oggetti ci sono intorno a noi e a quale distanza essi si trovano. Le abilità percettive che
intervengono nel processo della localizzazione sono:

  • la costituzione degli oggetti,
  • la separazione degli oggetti,
  • la percezione della distanza,
  • la percezione del movimento.

Il sistema percettivo innanzitutto mette in atto un processo che separa le figure dallo sfondo (organizzazione figura-sfondo) e successivamente separa le une dalle altre. In seguito si potrà determinare la posizione di esse in un mondo tridimensionale, sulla base della loro distanza da noi, così come dal loro pattern di movimento e da eventuali suoni che emettono (la cui frequenza aumenta se l’oggetto si avvicina e diminuisce se si allontana, vedi effetto Doppler) integrando le informazioni che arrivano dall’udito. Il primo passo della localizzazione è quindi la separazione che come tutte le operazioni d’individuazione delle figure è automatica e inconsapevole.
Noi esseri umani percepiamo le figure attorno a noi (persone, oggetti, animali…) come entità che possiedono generalmente tratti distintivi specifici e molto individuabili e che per tali caratteristiche si differenziano sia dal resto delle altre figure sia dallo sfondo, tuttavia ci rendiamo conto di attivare tali meccanismi dei quali normalmente non siamo coscienti, solo in situazioni particolari (per esempio al buio).
Si può affermare che in generale per staccare la figura dallo sfondo e separarla dalle
altre è indispensabile il contorno che la racchiude. Non è necessario vedere tutto il contorno, né che quest’ultimo sia completo, basta semplicemente che tale contorno dia l’impressione della chiusura e che sia abbastanza netto. Se i margini sono sfumati e/o non chiusi, la figura non è individuata o è individuata con più difficoltà rispetto alla stessa figura ben delimitata e chiusa. Se sono solo un po’ sfumati, l’occhio riesce a individuare la figura, anche se dopo un po’ svanisce. La nostra retina contiene un meccanismo capace di catturare il confine tra luce e ombra e trascurare il resto permettendo ci di individuare in questo modo i contorni.
La percezione visiva quindi permette di individuare l’oggetto, staccarlo dallo sfondo e separarlo da eventuali altri oggetti vicini, ma non solo: quando si osservano per esempio un libro, una penna, un bicchiere, si individua l’oggetto rispetto al resto e contemporaneamente lo si vede completo e non come un insieme di parti.
Come avviene questo ulteriore passaggio? Werthmeir (1923) fondatore della Scuola della Gestalt, fu il primo a spiegare il costituirsi dell’oggetto fenomenico. Secondo le sue teorie la possibilità di percepire le informazioni che ci arrivano dal mondo esterno non come elementi isolati, ma uniti in contesti significativi è data dal principio del raggruppamento. Tale principio è una funzione della percezione visiva che ci permette la costruzione dell’immagine. Gli oggetti percepiti si presentano primariamente come tali, costituendosi in entità chiamate forme. Secondo Wertheimer esistono delle regole che il cervello segue per raggruppare gli elementi e considerarli come forme, tra cui:

  • regola della prossimità: gli elementi più vicini vengono percepiti come parte di un insieme;
  • regola della somiglianza: tendenza a mettere insieme elementi che sono simili o ripetuti;
  • regola della continuità: tendenza a seguire l’apparenza dell’allineamento generale degli elementi di una figura. Questa è la base di ogni tipo di mimetismo;
  • regola della chiusura: tendenza a vedere le forme come delineate da un margine continuo e ignorare eventuali interruzioni di tale continuità;
  • regola dell’esperienza passata: elementi che per la nostra esperienza passata sono abitualmente associati tra di loro tendono a essere uniti in forme.

Per localizzare un oggetto dobbiamo avere la consapevolezza di altri elementi: la distanza che lo separa da noi e la sua profondità. Anche la percezione di tali elementi sembra scontata e priva di sforzo, ma in realtà è un processo alquanto complicato che avviene nel nostro sistema nervoso in modo rapido ed automatico. La retina è una superficie bidimensionale, che riflette altezza e larghezza, ma l’informazione circa le profondità (cioè la tridimensionalità dell’ambiente che ci circonda) deve essere ricostruita: questo processo è organizzato dalla corteccia occipitale dell’encefalo, deputata alla visione, utilizzando:

  • gli indici monoculari (informazioni sensoriali provenienti da un solo occhio);
  • gli indici binoculari (informazioni provenienti da entrambi gli occhi).

Nella visione binoculare le informazioni sensoriali variano da un occhio all’altro: l’immagine retinica dell’occhio destro è infatti diversa dall’immagine retinica dell’occhio sinistro (disparità binoculare): tali informazioni “discordanti” vengono elaborate e integrate automaticamente dalla corteccia visiva, che crea una visione singola (visione ciclopica). Tanto più l’oggetto è vicino tanto più la variazione dell’immagine tra le due retine è importante: questo lo possiamo verificare mettendo per esempio la punta di una matita davanti alla punta del naso e osservando come cambia di molto se la guardiamo solo con l’occhio sinistro o con il destro. Al contrario se guardiamo una montagna in lontananza solo con un occhio o con l’altro, la montagna ci apparirà praticamente identica. Il cervello utilizza proprio questa differenza tra immagini per poter definire quanto è lontano un oggetto da noi poiché tanto più la disparità binoculare è elevata, tanto più il nostro cervello ci avverte che l’oggetto è vicino e viceversa.
Gli indici binoculari sono efficaci per oggetti vicini (entro tre o quattro metri), per la visione di scene distanti sono importanti invece gli indicatori monoculari, ovvero caratteristiche delle immagini in relazione fra loro che ci suggeriscono la profondità anche se guardiamo con un occhio solo. Tra gli indici monoculari troviamo, per esempio, i seguenti:

  • altezza relativa: se la scena contiene immagini simili di dimensioni diverse, verranno ritenuti più lontani gli oggetti più piccoli;
  • ombreggiatura: la configurazione delle ombre fornisce informazioni sulla profondità dell’oggetto;
  • prospettiva lineare: due linee disegnate che convergono vengono interpretate come linee che continuano;
    sovrapposizione: se un oggetto è posizionato in modo da impedire la vista di un altro, la figura posta davanti viene percepita come più vicina;
  • accomodazione: il soggetto accomoda la curvatura del cristallino a seconda della distanza degli oggetti focalizzati. L’azione di accomodazione o le modificazioni indotte da questa sull’immagine retinica possono fornire informazioni sulla distanza dell’oggetto messo a fuoco.

Infine, per la localizzazione dell’oggetto è necessaria anche la percezione del movimento reciproco. Per guidare è fondamentale individuare la presenza e la distanza delle altre automobili, ma è altrettanto importante essere consapevoli del loro e del nostro movimento.
Viene definito “movimento reale” lo spostamento dell’oggetto da un punto all’altro nello spazio. L’immagine dell’oggetto si muove da un punto all’altro anche sulla retina ed a livello di specifiche cellule della corteccia visiva questo scivolamento dell’immagine viene elaborato e interpretato come movimento. Tale processo si verifica sia quando gli occhi rimangono fermi, sia quando l’immagine in movimento rimane stazionaria sulla retina mentre gli occhi la seguono: proprio lo spostarsi dell’immagine sulla retina è lo stimolo per iniziare un movimento oculare di inseguimento.

L’uomo riesce a rilevare meglio il movimento quando vede un oggetto posto contro uno sfondo strutturato (movimento relativo) rispetto a quando lo sfondo è scuro o neutro e si può vedere solo l’oggetto che si muove (movimento assoluto).
È importante tener conto del fatto che non tutti i movimenti reali si trasformano in movimenti percepiti e solo una ristretta banda di velocità è percepibile. Esiste una soglia inferiore oltre la quale le velocità minime non sono percepite (gli oggetti appaiono fermi) e una soglia superiore oltre la quale gli oggetti non sono veduti in movimento, ma si trasformano in una striscia continua immobile, o non sono veduti affatto. Molte ricerche sul movimento reale si sono limitate alla determinazione dei fattori che influenzano la soglia per la percezione del movimento e la percezione della velocità con gli occhi fissi. È possibile vedere un movimento se un puntino si muove su di uno sfondo stazionario alla velocità di 0.2°/s, con un punto di riferimento stazionario piccoli cambiamenti di
0.03°/s producono un percetto di movimento. La soglia è molto influenzata dalla acuità
visiva del soggetto e dalla luce presente.
Per quanto riguarda l’accelerazione è stato determinato che il sistema visivo è molto sensibile a improvvisi cambiamenti di velocità: è sufficiente un brusco cambiamento intorno al 2.5% della velocità iniziale, perché si riesca a percepire tale cambiamento.
Talora l’uomo ha la percezione del movimento sebbene non vi sia uno spostamento reale dell’oggetto da un punto all’altro dello spazio: in questo caso si parla di movimento apparente o movimento stroboscopico. Immaginiamo di vedere una luce proiettata nel buio per qualche millisecondo e subito dopo apparirne un’altra accanto alla posizione della prima che nel frattempo si è spenta: la luce è sembrata essersi mossa. Il movimento percepito non è dovuto a uno spostamento, ma a una rapida successione di immagini simili.
La percezione ci consente di individuare le figure, non di riconoscerle: per il processo di riconoscimento sono necessarie altre funzioni cognitive quali il pensiero e l’esperienza, le conoscenze e le informazioni acquisite depositate nella memoria.

Per approfondire:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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