Vicino ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, esiste una piccola città con 23 case, alcuni ristoranti, vari caffè, negozi, un salone di bellezza, un teatro e un cinema. Questa città si chiama Hogewey ed al suo interno ci vivono attualmente 152 persone, tutte anziane, e tutte affette da una grave demenza o da uno stadio avanzato di Alzheimer. Hogewey è letteralmente una casa di cura organizzata come un piccolo paese, così da permettere ai pazienti di condurre una vita quasi normale e di sentirsi a casa, e di ricevere nello stesso tempo le cure necessarie. Hogewey è stata fondata nel 2009 e da allora è diventata, specie per la sua particolare natura, un punto di riferimento importante a livello mondiale anche tra gli studiosi della demenza.
Anziani controllati da personale specializzato
In tutte le strade di Hogewey sono dislocate telecamere per monitorare i cittadini/pazienti, mentre i giardinieri, i cassieri, gli impiegati alla posta sono in realtà infermieri, assistenti e medici che controllano la loro salute senza che se ne rendano conto. Hogewey è collegato al mondo esterno da un’unica entrata, ma è facilmente accessibile a parenti e amici degli ospiti che possono visitarli liberamente anche ogni giorno. Per la sua particolare natura, questa piccolo centro città è stato subito associato alla città di The Truman Show, il film il cui protagonista, interpretato da Jim Carey, scopre che la sua vita è un reality show e che tutto quello che credeva reale è una finzione messa in piedi per divertire il pubblico. Ovviamente nel caso di Hogewey, lo scopo non è “usare” gli ignari pazienti, bensì farli vivere in un ambiente famigliare e non isolato come nelle “normali” strutture sanitarie. Gli anziani “vivono” le strade del paese senza essere costretti nei piccoli corridoi e stanze di una casa di riposo standard ed in questa situazione è la loro salute ad avere grandi vantaggi: i cittadini/pazienti hanno bisogno di meno medicine, mangiano meglio, vivono più a lungo e sembrano più felici di quelli ospitati nelle case di cura tradizionali.
Sentirsi a casa propria
Il centro è stato finanziato dal governo olandese, che ha speso per la sua costruzione 20 milioni di euro. Il costo delle cure ricevute da ogni paziente è di quasi 10.000 euro al mese, ma il governo fornisce dei sussidi alle famiglie: pagano la retta in base al reddito e comunque mai più di 4.500 euro al mese. A Hogewey tutti i posti sono occupati sin dall’apertura ed è raro che se ne liberi uno (di fatto solo con la morte di un ospite). I pazienti vivono in gruppi di sei o sette per casa, ognuna arredata con i mobili e lo stile dell’epoca in cui la memoria a breve termine dei pazienti ha smesso di funzionare: ci sono così abitazioni ambientate negli anni Cinquanta, Settanta o negli anni Duemila. Il centro – privo di reparti, lunghi e tristi corridoi e il tipico odore di disinfettante delle case di cura tradizionali – è suddiviso in sei aree, ognuna dedicata a una specifica funzione: c’è quella artistica dove si può dipingere o ascoltare musica, quella religiosa per pregare, quella dove si possono lavorare oggetti d’artigianato. Si può comprare al mercato e nei negozi ma all’interno del centro non avviene alcuno scambio di denaro – che confonderebbe facilmente i pazienti – ma tutto è compreso nella retta. Infine i pazienti passano molto tempo all’aperto, contrariamente a quelli ospitati nelle strutture tradizionali olandesi che escono una media di 96 secondi al giorno.
Altri progetti simili ad Hogewey
Altre strutture sanitarie stanno cercando di prendere esempio da Hogewey: a Farton, in Inghilterra, è stata costruita una città ambientata negli anni Cinquanta per permettere ai pazienti di sentirsi a casa, e un progetto simile è in costruzione a Wiedlisbach, in Svizzera. I costi di simili operazioni però sono molto elevati e purtroppo attualmente solo le famiglie economicamente benestanti possono permettersi di affidare il loro caro ad una struttura così straordinaria. La mia speranza è che, col tempo, i costi possano abbassarsi così da permettere a tutti di affrontare questa malattia nella maniera più naturale possibile. Malattia che, complice l’invecchiamento della popolazione, è in aumento: entro il 2030 le persone colpite dalla malattia saranno quasi 80 milioni in tutto il mondo.
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Voleva gustarsi un caffè al bar dell’ospedale e così, con l’ausilio del deambulatore e sotto stretto controllo dell’equipe del reparto di ortopedia dell’ospedale di Città di Castello, ha realizzato il suo desiderio. Niente di eccezionale se non fosse che il paziente in questione è Dante Parlani, classe 1905. Centonove primavere vissute in salute (spegnerà 110 candeline il prossimo 23 novembre) noto ai più come il “cavalier Dante” o “il fattore”. Qualche giorno fa il “cavaliere”, a seguito di una brutta caduta, è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico per la riduzione della frattura del femore. Operato dall’equipe di ortopedia dell’ospedale cittadino guidata dal primario Piero Petrini, il paziente ha superato brillantemente sia l’intervento che la fase post operatoria. Ultimato il ciclo di riabilitazione, il cavalier Parlani è stato accompagnato dai sanitari del reparto al bar dell’ospedale per gustarsi un caffè.
Analizzando 23 specie di vertebrati, tra cui 11 mammiferi, compreso l’uomo, 10 specie di invertebrati, 12 piante e un’alga, un team internazionale di ricercatori ha fatto una scoperta insolita: non è detto che con l’avanzare dell’età la mortalità aumenti e la fertilità cali superata l’età matura. Tra le tante specie che compongono l’albero della vita c’è una grande diversità, sia tra quelle che hanno una vita lunga sia tra le specie con vita più breve. Tra tutte le specie analizzate è l’homo sapiens nell’era post-industriale a presentare il più rapido cambiamento nella curva della mortalità. Nello studio si prende l’esempio delle donne giapponesi per dimostrare che in pochi decenni è aumentato vertiginosamente il numero di quelle che muoiono in età molto avanzata, ma lo stesso non è avvenuto per una popolazione di cacciatori e raccoglitori contemporanei, gli Aché del Paraguay, la cui curva di mortalità ricalca quella che è stata tipica dell’uomo per gran parte della sua esistenza. Le donne giapponesi che muoiono oggi vicino alla propria età terminale, stabilita per ogni specie scegliendo l’età alla quale sopravvive solo il 5% degli individui (per l’uomo è 102 anni), sono 20 volte più della media degli individui adulti delle altre specie considerate (in tutto 46), il che testimonia una notevole variabilità tra le diverse specie viventi. Sono stati i cambiamenti del comportamento e dell’ambiente, compreso per esempio l’accesso alle cure mediche, e non le mutazioni genetiche, a rendere possibile un simile allungamento della vita, che non si sarebbe altrimenti potuto ottenere in tempi tanto rapidi, ovvero nel corso di un solo secolo.
Una ricerca ci farà vivere tutti 500 anni? Per ora gli scienziati del Buck Institute for Research on Aging (un centro di ricerca sull’invecchiamento cellulare) di Novato, in California, si sono accontentati di allungare la vita – e di parecchio – ad un microscopico invertebrato, il Caenorhabditis elegans, il primo essere vivente del quale sia stato mappato l’intero genoma. Lo studio è apparso sulla rivista Cell Reports, a firma del biologo Pankaj Kapahi.
Chiudono le fabbriche, gli operai chiedono la cassa integrazione, la tensione sociale è alle stelle. Ma il gioco d’azzardo non conosce crisi. Anzi. Il 2012 ha segnato un nuovo record: 87 miliardi giocati dagli italiani. Sette in più rispetto all’anno precedente. Dei quasi 90 miliardi spesi in slot, bingo, gratta e vinci, scommesse e giochi online, solo 16 sono stati distribuiti in vincite. Ogni italiano, inclusi i neonati, ha speso 1.300 euro in un anno nell’azzardo di Stato. Chi ci guadagna sono i signori del gioco. Imprenditori e società che gestiscono per conto dei Monopoli la rete telematica attraverso la quale affluiscono i denari degli italiani.
Sempre meno bimbi in Italia. Ogni anno ci sono più morti che nascite. La popolazione italiana continua a crescere unicamente grazie all’immigrazione, col risultato che – se non si invertirà la tendenza – tra poche decine di anni in Italia sarà difficile trovare un “italiano di settima generazione”! Gli italiani over 65 anni sono in aumento e rappresentano ben un quinto della popolazione italiana, anche i cittadini stranieri sono in costante aumento e costituiscono circa l’8% del totale, sono i giovanissimi che invece diminuiscono drammaticamente di numero.
Sono stati identificati per la prima volta i geni “della giovinezza” che garantiscono una pelle sempre liscia, anche dopo i 100 anni di età. Sono 3 variazioni genetiche congenite, identificate con le sigle Kcnd2, Diaph1 e Edem1 e sono state trovate in un’area del DNA umano di un gruppo di ultracentenari con una pelle eccezionalmente giovane. La scoperta è dei ricercatori del dipartimento di dermatologia della Stanford university school of medicine e dell’Albert Einstein College of medicine di New York. Lo