Differenza tra glicemia ed emoglobina glicata

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Roma Cavitazione Pressoterapia  Massaggio Linfodrenante Dietologo Cellulite Dieta Sessuologia Sex PSA Pene Dr Laser Filler Rughe Botulino Ialuronico Glicemia DIABETE IN AUMENTOLa glicemia indica il valore della concentrazione di glucosio nel sangue al momento del prelievo di sangue, l’emoglobina glicata indica invece, essendo  proporzionale alla concentrazione di glucosio registrata nel sangue in un certo arco di tempo, quelli che possono essere stati i livelli medi di glicemia negli ultimi 3 mesi. In un certo senso la glicemia “fa una foto della situazione, mentre l’emoglobina glicata “fa un video” degli ultimi mesi.

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Test cutaneo della tubercolina: Test di Mantoux per la tubercolosi

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MIl test di Mantoux o Tubercolin skin test è una prova di screening utile per saggiare la presenza in un individuo di una infezione anche latente da Mycobacterium tuberculosis, il micobatterio della tubercolosi. L’esecuzione del test consiste nell’iniezione intradermica, ovvero tra gli strati del derma della faccia volare dell’avambraccio, di 5 UI di PPD-S oppure 1-2 UI di PPD-RT23, che sono derivati proteici purificati della tubercolina (PPD, Purified Protein Derivative), per valutare la reazione locale dell’organismo a distanza di alcuni giorni.

Si tratta di un test economico e facile da effettuare, ma presenta vari svantaggi, tra cui il periodo ben definito per la lettura del risultato e una quota significativa sia di falsi positivi che negativi. È uno dei principali test per la tubercolina utilizzato in tutto il mondo, in larga misura sostituendo test multipli di punture, come il tine test . Il test Heaf, una forma di tine test, è stato utilizzato fino al 2005 nel Regno Unito, quando è stato sostituito dal test Mantoux. Il test Mantoux è approvato dalla American Thoracic Society e dai centri per il controllo e la prevenzione delle malattie. È stato utilizzato anche nell’URSS e ora è utilizzato nella maggior parte degli stati post-sovietici.

Procedura

Una dose standard di 5 unità tubercolina (UI – 0,1 ml), secondo il CDC o 2 UI di tubercolina RT23 dello Statens Serum Institute (SSI) in soluzione da 0,1 ml, secondo l’NHS viene iniettata intradermicamente (tra gli strati del derma) . Questa iniezione intradermica è definita la tecnica Mantoux. Una persona che è stata esposta ai batteri dovrebbe innescare una risposta immunitaria nella pelle contenente le proteine batteriche.

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Risultato

Il paziente viene rivalutato dopo 48-72 ore, e il test viene considerato positivo se il tessuto in cui è stata iniettata la tubercolina PPD sviluppa un rigonfiamento piuttosto duro con un diametro che superi il valore soglia, che può essere di 5, 10 o 15 mm a seconda della classe di rischio a cui appartiene il paziente: più a rischio è il paziente, minore sarà il diametro soglia della reazione. Si sviluppa in questo caso una reazione di ipersensibilità ritardata (o DTH). Il test viene solitamente considerato negativo nei casi in cui la risposta sia al di sotto dei 5 mm di diametro.

Questo tipo di reazione è dovuto al fisiologico accumulo di liquidi, molecole e cellule caratteristico della risposta immunitaria; il fatto che questa sia apprezzabile in tempi relativamente brevi (due o tre giorni) indica una reazione di tipo secondario e quindi più rapida ed intensa da parte del sistema immunitario: ciò è dovuto ad un pregresso, e nel caso della Tubercolosi ancora in atto, incontro del soggetto con l’antigene in questione che ha permesso lo sviluppo di cellule memoria (ad esempio i linfociti di memoria). In questo caso, quindi, è riconosciuta la presenza di una ITL, infezione tubercolare latente.

Una positività al test è indice di un contatto pregresso del paziente col batterio della tubercolosi o con la tossina iniettata, ma non prova lo stato della malattia. Per questo motivo, i soggetti positivi al test di Mantoux, soprattutto se a rischio come bambini, anziani, immunodepressi od operatori sanitari, vengono sottoposti ad ulteriori test diagnostici discriminanti la presenza o meno della malattia, tra cui test immunologici o anche radiologici.

La positività al test di Mantoux per un paziente con infezione in corso si verifica invece dopo 8 settimane dal contagio (cosiddetto periodo finestra). In casi di sospetto contagio, seppur in presenza di test negativo, è quindi necessario ripeterlo dopo 8-10 settimane.

Classificazione della reazione tubercolina

I risultati di questo test devono essere interpretati con attenzione. I fattori di rischio medico determinano in che misura il rigonfiamento (5 mm, 10 mm o 15 mm) è considerato positivo. Un risultato positivo indica l’esposizione al TB:

  • 5 mm o più è positivo :

-Una persona HIV-positiva

-Persone con contatti recenti con un paziente di TB

-Persone con cambiamenti nodulari o fibrotici ai raggi X del torace coerenti con una datata TB guarita

-Pazienti con trapianti di organi e altri pazienti immunosoppressi

  • 10 mm o più è positivo

-Arrivi recenti (meno di cinque anni) dai paesi ad alta prevalenza

-Utilizzatori di droga iniettabile

-residenti in ambienti ad alto rischio (quali prigioni, case di cura, ospedali, rifugi senza tetto, ecc.)

-Personale di laboratorio che lavorano con il Micobatterio

-Persone con condizioni cliniche che li predispone a rischio elevato (ad es. Diabete, terapia prolungata di corticosteroidi, leucemia, malattia renale dello stadio finale, sindromi di malassorbimento cronico, peso corporeo basso)

-Bambini minori di quattro anni, o bambini e adolescenti esposti ad adulti in categorie ad alto rischio

  • 15 mm o più è positivo

-Persone che non presentano fattori di rischio conosciuti per TB

È necessario tener conto che i programmi di test della pelle mirati devono essere condotti solo nei gruppi ad alto rischio.

Una conversione della prova tubercolina è definita come un aumento di 10 mm o più in un periodo di due giorni, indipendentemente dall’età. I criteri alternativi includono gli aumenti di 6, 12, 15 o 18 mm.

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Falsi positivi e falsi negativi

Falso positivo

Un soggetto Mantoux positivo potrebbe essere stato effettivamente infettato dal mycobacterium tuberculosis, oppure da uno degli altri micobatteri (quindi non tubercolari) che hanno reazione positiva al test di Mantoux, o ancora potrebbe essere stato vaccinato in passato contro la tubercolosi con BCG (mycobacterium bovis). TST (test della pelle tubercolina) positivo è determinato dalla dimensione del rigonfiamento. La dimensione è calcolata considerando soprattutto i fattori di rischio : un paziente a basso rischio deve avere una maggiore rigonfiamento per un risultato positivo di un paziente ad alto rischio. I gruppi ad alto rischio comprendono contatti recenti con soggetti con TBC, HIV+, soggetti con radiografie del torace con alterazioni fibrotiche, riceventi del trapianto di organi e quelli con immunosoppressione.

Secondo il Dipartimento di Salute dell’Ohio e il Dipartimento di Salute degli Stati Uniti, il vaccino Bacillus Calmette-Guérin (BCG) non protegge contro l’infezione da TB. Esso, tuttavia, dà nell’80% dei casi protezione ai bambini contro la meningite tubercolare e la tubercolosi miliare. Pertanto, un TST / PPD positivo in una persona che ha ricevuto il vaccino BCG è interpretato come infezione latente( LTBI). A causa della bassa specificità della prova, la maggior parte delle reazioni positive nei bambini e negli adolescenti a basso rischio sono falsi positivi. Positivi falsi possono anche verificarsi quando l’area iniettata viene toccata, causando gonfiore e prurito. Un’altra fonte di risultati falsi positivi può essere la reazione allergica o un’ipersensibilità. Sebbene rari, (circa 0,08 reazioni riportate per milione di dosi di tubercolina), queste reazioni possono essere pericolose e si devono prendere precauzioni avendo disponibile l’epinefrina.

Falso negativo

Al contrario, un paziente Mantoux negativo potrebbe anche essere abbastanza immunodeficiente o immunodepresso da non poter scatenare la reazione infiammatoria, oppure aver contratto il micobatterio più recentemente rispetto al periodo finestra della malattia. Da un rapporto del 2008 sui casi di tubercolosi in Italia, si è visto che il test può risultare negativo in un’alta percentuale dei contagiati per cui è utilizzato. Inoltre la reazione al test PPD viene alterato nelle seguenti condizioni:

  • Mononucleosi infettiva
  • Vaccino da virus vivo – Il test non deve essere effettuato entro 3 settimane dalla vaccinazione dal virus vivo (ad esempio vaccino MPR o vaccino Sabin).
  • sarcoidosi
  • Malattia di Hodgkin
  • Corticosteroide terapia / uso steroide
  • Malnutrizione

Questo perché il sistema immunitario deve essere funzionale per montare una risposta al derivato proteico iniettato sotto la pelle. Un falso risultato negativo può verificarsi in una persona che è stata recentemente infetta da TB, ma il cui sistema immunitario non ha ancora reagito ai batteri.

Test alternativi

Per superarne i limiti di specificità e sensibilità del test di Mantoux sono state studiate varie alternative in vitro per l’individuazione di infezioni tubercolari, tra cui il Test Interferon Gamma (TIG) o Interferon-Gamma Releasing Assay (IGRA) con Quantiferon GOLD TB o T-SPOT.TB. Tali test utilizzano le proteine ESAT-6 (early secretory antigen target-6) e CFP-10 (culture filtrate protein-10), specificamente codificate dalla regione RD1 del mycobacterium tuberculosis, per stimolare i linfociti T effettori circolanti a produrre interferone gamma (IFNγ). La positività del test è quindi legata ad una reazione immunitaria specifica agli antigeni del micobatterio della tubercolosi, escludendola quindi in quei pazienti che siano stati in realtà vaccinati contro la TB o che infettati da agenti patogeni diversi ma comunque reattivi al test di Mantoux.

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Differenza tra esame delle urine ed urinocoltura

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA DIFFERENZA LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI BL’esame delle urine è costituito da una serie di esami di laboratorio che permette di analizzare le proprietà chimiche e fisiche delle urine e del sedimento correlato. Consente, inoltre, di individuare eventuali patologie a carico dei reni e delle vie urinarie, la presenza di malattie sistemiche o sostanze tossiche. Viene eseguito, se necessario, attraverso l’osservazione al microscopio. Il prelievo è davvero molto semplice: va effettuato al mattino, raccogliendo il mitto intermedio in un contenitore sterile. Si scarta, quindi, la parte iniziale e finale della minzione. Quella iniziale serve per depurare l’uretra dal mitto precedente e da ipotetici batteri, quella finale potrebbe essere contaminata dal residuo sito in vescica.

L’urinocoltura è invece un esame diagnostico mediante coltura batteriologica che valuta la presenza di microrganismi nell’urina. Il procedimento di prelievo è esattamente identico a quello dell’esame delle urine, e solitamente sono essenziali i 5 ml di una provetta. I campioni devono essere messi in coltura all’istante, diversamente i microrganismi potrebbero moltiplicarsi. L’esame sarà ritenuto positivo se presenta un numero che supera i 10000 batteri/ml. L’analisi consta di una serie di diluizioni, della cosiddetta ‘metodologia del doppio’ e, infine, si portano i campioni sulla piastra per testare la presenza di Escherichia Coli, attraverso un terreno Mac Conkey (per Gram negativi), o di altri Enterobatteri, mediante l’uso del TSA (Trypticase Soy Agar).

Questa è la differenza che c’è tra esame delle urine e urinocoltura. Il primo analizza le varie proprietà delle urine, il secondo si occupa di diagnosticarle ed anche di saggiare la resistenza dei batteri agli antibiotici attraverso antibiogramma.

Per approfondire: Esame delle urine completo con urinocoltura: come fare e capire i risultati

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I batteri che fabbricano oro

MEDICINA ONLINE ORO GIOIELLO SOLDI VALORE STUDIO.jpgProprio come il famoso Re Mida, che aveva la capacità di trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse, anche dei piccoli microrganismi sembrerebbero avere questo straordinario potere. Sono alcuni ceppi di batteri che, secondo i ricercatori australiani dell’università di Adelaide, potrebbero in futuro trasformarsi in vere e proprie fabbriche di pepite: in uno studio, apparso su Chemical Geology, il team di esperti ha dimostrato, infatti, come questi speciali microrganismi potrebbero fornire la chiave per riutilizzare miniere esaurite, riciclare i rifiuti elettronici e cercare nuovi depositi minerari.

Come qualsiasi altro elemento della Terra, l’oro viene continuamente elaborato dai microrganismi in un continuo ciclo di reazioni che portano a disciogliere i granelli d’oro dai minerali in cui è legato o a concentrarlo in piccole pepite di oro puro (ciclo biogeochimico dell’oro).“In natura, l’oro entra nei terreni, sedimenti e vie fluviali attraverso gli agenti atmosferici biogeochemici per finire poi nell’oceano”, spiega Frank Reith, uno degli autori dello studio.

“Alcuni batteri, tuttavia, possono sciogliere e riconcentrare l’oro, in un processo che elimina gran parte dell’argento e forma pepite d’oro”.

Da più di dieci anni i ricercatori australiani hanno provato a far luce sul ruolo che questi microrganismi avessero nella trasformazione dell’oro. “Sapevamo già dell’esistenza di questi processi”, spiega Reith.“Ma per la prima volta sappiamo che queste trasformazioni avvengono in appena pochi anni o decenni, giusto un battito di ciglia se paragonato su scale geologiche”.

Analizzando i granuli d’oro raccolti a West Coast Creek, in Australia,  lo studio ha dimostrato che su ogni granello d’oro si erano verificati cinque “eventi” del ciclo biogeochemico dell’oro, processi biochimici che si svolgono con l’intervento dei batteri. La scoperta inaspettata è che questi processi sono molto veloci (considerando i tempi delle trasformazioni geochimiche): tra i 3,5 e gli 11,7 anni. Tempi che fanno pensare che sia possibile utilizzare questi batteri per migliorare i processi di estrazione dell’oro e ricerca di nuovi giacimenti.“Questi risultati ci hanno sorpreso e potrebbero aprire la strada per molte interessanti applicazioni, come rendere più rapidi ed efficienti i processi di estrazione dell’oro e semplificare i meccanismi necessari per estrarre l’oro da vecchie scorie o rifiuti elettronici”, conclude Jeremiah Shuster, che ha collaborato allo studio.

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Colesterolo: gli italiani non lo misurano e non fanno prevenzione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COLESTEROLO ITALIANI PREVENZIONE MISURA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgItaliani e colesterolo: un rapporto “inconsapevole”. Due su 3 non lo misurano e uno su 2 non fa prevenzione del rischio cardiovascolare. Ma poi la metà di questa quota che fugge scopre di avere livelli preoccupanti (sopra i 200 mg/dl). Per sensibilizzare il Belpaese sull’importanza di andare ‘al cuore del problema’, un team di specialisti investirà un mese intero: marzo, il ‘Mese del cuore’. L’iniziativa di prevenzione ha debuttato a Roma lo scorso anno e ora si sposta da metropoli a metropoli, sbarcando a Milano. A promuoverla Danacol in collaborazione con il Policlinico universitario Gemelli di Roma e l’università Cattolica del Sacro Cuore. In programma ci sono 5 fine settimana di visite gratuite offerte alla cittadinanza nei chiostri dell’ateneo. In occasione della tappa romana – al Policlinico Gemelli nel settembre 2016 – è stata scattata una fotografia significativa della situazione nel Belpaese, dove si risponde alle campagne di prevenzione gratuita, ma c’è ancora da imparare su stili di vita di qualità, collegati alla longevità.

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Italiani inconsapevoli
Lo screening del Mese del cuore ha riguardato circa 1.200 persone, dai 18 ai 90 anni, a cui si aggiungono i risultati di oltre 26 mila utenti registrati al portale ‘viaggioalcuoredelproblema.it’, dove è stato messo a disposizione un percorso formativo e test di autovalutazione dei 7 principali fattori di rischio cardiovascolare: pressione arteriosa, indice di massa corporea, colesterolo, dieta equilibrata, esercizio fisico, fumo e glicemia. Gli italiani risultano ancora sospesi fra la consapevolezza dell’importanza della prevenzione e la sottovalutazione del valore di controlli periodici, a tutte le età. Il 61% delle persone valutate sono risultate con valori alti di pressione arteriosa e il 56% in sovrappeso. Le osservazioni – spiegano gli esperti – hanno inoltre permesso di confermare come il colesterolo di chi fa attività fisica regolare sia nettamente più basso, così come quello di coloro che hanno un regime alimentare equilibrato. Nonostante ciò, più della metà delle persone coinvolte nei check-up ha dichiarato di non seguire una dieta equilibrata (52%) e di non fare regolarmente attività fisica (53%). Ancora tanti i fumatori: il 24% del campione. La tappa milanese vedrà impegnati gli specialisti nei 5 weekend dal 3 marzo al 2 aprile (venerdì dalle 16.30 alle 19, sabato dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 19, e domenica dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 16). Ci si potrà sottoporre a un check-up gratuito nella sede dell’università Cattolica a Milano, in Largo Gemelli 1, prenotando al numero verde 800.08.77.80 fino al 17 febbraio. I medici del Gemelli misureranno la pressione arteriosa, i valori di glicemia e colesterolo, l’indice di massa corporeo, e indagheranno su stile di vita, abitudini alimentari e alcuni parametri di performance funzionale (come ad esempio, la forza muscolare), per rilasciare al termine una scheda con i risultati delle valutazioni e una serie di raccomandazioni. Dopo Milano, il Mese del cuore tornerà ancora una volta a Roma a settembre.

Un corretto stile di vita è importante
In campo il team specialistico coordinato da Francesco Landi, docente della facoltà di Medicina e chirurgia della Cattolica e geriatra al Gemelli di Roma, da anni al lavoro sull’identificazione dei fattori associati a una longevità ‘di successo’. “Un corretto stile di vita può aiutare a controllare in modo sostanziale i fattori di rischio per lo sviluppo di importanti patologie – spiega l’esperto – e iniziative di sensibilizzazione come il Mese del cuore possono contribuire a una maggiore consapevolezza degli italiani sul tema prevenzione. E’ sufficiente un check-up per valutare la correttezza delle proprie abitudini di vita e ricevere consigli su come vivere in modo più sano e più a lungo”. Tutti i risultati dell’iniziativa, conclude Landi, “saranno presentati in occasione del secondo World Congress on Public Health and Nutrition che si terrà a Roma il 22-24 marzo”.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Anticorpi monoclonali contro il tumore del colon retto metastatico

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Cosa sono gli anticorpi monoclonali
La terapia delle forme avanzate del tumore del colon retto si avvale, oltre che degli strumenti tradizionali già descritti (chemioterapia, radioterapia, chirurgia), anche di anticorpi monoclonali che vengono associati alla chemioterapia per aumentarne l’efficacia.
Si tratta di anticorpi prodotti in laboratorio, in grado di interagire specificatamente con bersagli connessi al tumore. Citiamo in particolare gli anticorpi anti-EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor: recettore del fattore di crescita epidermica) e anti-VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor: fattore di crescita vascolare endoteliale), attualmente impiegati nella pratica clinica per la cura del tumore del colon retto, oltre che per altri tipi di tumore. Entrambe le tipologie di anticorpi agiscono contrastando l’effetto di particolari fattori di crescita. Vediamo ora cosa sono i fattori di crescita, e perché alcuni di essi rappresentano il bersaglio di farmaci impiegati per sconfiggere il tumore del colon retto.

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Fattori di crescita utilizzati come bersaglio dagli anticorpi monoclonali
I fattori di crescita, in generale, sono proteine utili, prodotte normalmente dal nostro corpo. I fattori di crescita si attaccano a specifici recettori presenti sulla superficie di determinate cellule e danno inizio ad un processo di crescita e moltiplicazione cellulare. Pensate a una sorta di meccanismo “chiave e serratura”: il fattore di crescita, è la “chiave” che entra in un recettore (serratura) e fa partire il processo. Il processo consiste in una catena di messaggi trasmessa all’interno della cellula, che produce, come effetto finale, la crescita e la moltiplicazione della cellula stessa. Il processo dura fin tanto che perdura il segnale di avvio, cioè l’interazione tra fattore di crescita e recettore.
Normalmente questo processo è attentamente controllato, cioè attivato ed interrotto opportunamente, in modo che le cellule si replichino solo quando serve. Se i perfetti meccanismi di controllo si alterano la cellula continua a moltiplicarsi in modo incontrollato e si può formare un tumore. Le terapie a bersaglio molecolare, e in particolare gli anticorpi monoclonali, agiscono nei casi in cui nella cellula tumorale determinati normali processi vanno fuori controllo e causano una eccessiva moltiplicazione cellulare o danno luogo a fenomeni che contribuiscono a mantenere vivo il tumore. Gli anticorpi monoclonali anti-EGFR ed anti-VEGF hanno come bersaglio molecolare differenti tipi di fattori di crescita che a loro volta stimolano la crescita di cellule diverse.

Anticorpi monoclonali anti-VEGF
La terapia anti-VEGF blocca il VEGF, un fattore di crescita che agisce principalmente stimolando la crescita delle cellule che costituiscono le pareti dei piccoli vasi sanguigni. I tumori necessitano di apporto sanguigno per continuare a crescere: alcune cellule tumorali producono direttamente VEGF o stimolano altre cellule a produrlo per promuovere la costruzione di nuovi vasi sanguigni che facciano arrivare il nutrimento al tumore. La terapia anti-VEGF pertanto, bloccando il VEGF, agisce limitando l’afflusso di sangue e sostanze nutrienti al tumore.

Anticorpi monoclonali anti-EGFR
La terapia anti-EGFR impedisce l’effetto incontrollato dell’EGF sulle cellule tumorali, attraverso il legame con il suo recettore. Il farmaco anti-EGFR compete con il mediatore “naturale” nel legarsi al recettore impedendo l’interazione fattore di crescita-recettore.
L’EGF è un importante fattore di crescita che, in condizioni normali, agisce stimolando la regolare moltiplicazione delle cellule epiteliali. Le cellule epiteliali rivestono le superfici esterne dell’organismo o le cavità  in contatto con sostanze provenienti dal mondo esterno (aria e cibo) come vie aeree e canale alimentare. Le cellule epiteliali hanno bisogno di dividersi molto rapidamente perché si consumano velocemente e necessitano di essere sostituite spesso.
Quando le cellule epiteliali intestinali del colon o del retto sono interessate da modificazioni patologiche delle loro funzioni che alterano il segnale di crescita e replicazione regolato da EGF, possono dare luogo a moltiplicazione incontrollata e quindi al tumore del colon retto. Gli anticorpi monoclonali anti-EGFR bloccano il segnale fuori controllo, danneggiano la cellula tumorale e contribuiscono così a fermare la crescita del tumore. Tale danno nei confronti della cellula tumorale si manifesta con il blocco della moltiplicazione cellulare e dei meccanismi di riparazione della cellula danneggiata. Inoltre vi è un effetto inibitorio della formazione di nuovi vasi sanguigni e della capacità  di migrazione cellulare con successiva formazione di metastasi.
Infine, alcuni farmaci anti-EGFR (i così detti IgG1) possono avere un meccanismo supplementare di attacco della cellula cancerosa che coinvolge il sistema immunitario.

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Prostata: ogni quanto tempo fare il controllo del PSA?

MEDICINA ONLINE PENE PROSTATA GHIANDOLA PROSTATE GLAND MALE PUNTO L L POINT SEX SESSO VAGINA PARETE ANTERIORE ANO MASSAGGIO PROSTATICOTANTRA VULVA CLITORIDE STIMOLAZIONE VIDEO TOCCARE PRC’è un’idea abbastanza diffusa (perché istintiva): più controllo la mia salute, più sarò al sicuro da malattie. Quest’idea, semplice e banale, si è diffusa dovunque, soprattutto negli strati della popolazione più attenti alla propria salute ed ovviamente, dove c’è una richiesta, si crea subito un’offerta. I servizi di controllo delle malattie sono aumentati, ambulatori e centri privati, esami del sangue e di altro tipo che controllano tutti gli organi, test che si possono fare anche a casa. Sembra così evidente che mettere in discussione una cosa del genere crea imbarazzo.
Finché qualcuno ha riflettuto. Se faccio molti controlli, ovviamente, ho la possibilità di trovare molti problemi di salute, o meglio, di trovare qualche valore anomalo (che non per forza è segno di un problema di salute). Questi valori anomali mi obbligheranno ad approfondire le cose.
Oltre all’inevitabile perdita di denaro e tempo, oltre allo stress di una “anomalia”, sarò costretto ad effettuare altre analisi e queste analisi, tutte di approfondimento quindi più precise, sono molte volte invasive, anche rischiose. Tutto questo non significa che per forza farò bene alla mia salute, anzi, potrei anche fare molto male. Troverò malattie, disturbi, problemi ma trattarli, curarli, sarà sempre un guadagno di salute?
Alcune volte no. Se per esempio il trattamento fosse molto pesante e ricco di effetti collaterali dovrei metterlo sulla bilancia con il beneficio.
Chi farebbe radioterapia per un nevo cutaneo benigno? Nessuno. Proprio perché il rischio del trattamento sarebbe superiore al beneficio, meglio lasciarlo dov’è.
Chi toglierebbe un angioma al fegato? Nessuno: sottoporsi ad un intervento chirurgico espone a rischi ed effetti collaterali maggiori di quelli che causerebbe un angioma epatico.

Un esempio pratico

Se facessi continuamente un test del PSA (antigene prostatico, un esame che si usa per controllare anomalie della prostata), rischierei di trovare più frequentemente un valore anomalo, questo mi porterebbe ad eseguire altri esami, da quelli solo fastidiosi (visita, ecografia) a quelli più invasivi e pericolosi (biopsia). Se trovassi una malattia (per esempio un tumore) rischierei di dovermi sottoporre ad intervento chirurgico (e quelli sulla prostata possono essere molto invasivi ed invalidanti) ed a terapie anch’esse importanti e con effetti collaterali. A prima vista si potrebbe pensare che, vista la presenza di una malattia, l’intervento e le terapie siano giustificate ma non è sempre così. Nel caso della prostata, ad esempio, sappiamo che alcuni tipi di tumore hanno un’evoluzione molto lenta, lentissima, nell’ordine dei decenni e che, se per esempio la diagnosi la ricevessi a 70 anni, discutere sull’opportunità di operare o meno non sarebbe una cattiva idea, perché di fronte ad un grande intervento chirurgico, c’è la possibilità che la malattia diventi mortale quando la mia età sarà di 85 anni e quindi forse, morirò prima per altri motivi, dipende da tante cose. Insomma, la “linea di condotta” non sarebbe così scontata e lineare ma avrebbe bisogno di informazioni, valutazioni, confronti. Sono oltretutto tanti i fattori che possono influenzarla.
Per questo motivo non ha senso fare ogni anno – come consigliano alcuni medici – il dosaggio del PSA una volta superati i 50 anni, ma converrebbe farlo ogni tanto, per esempio ogni due anni o anche di più a meno che non si appartenga a particolari classi di rischio (parenti con tumore alla prostata) o compaiano dei sintomi come la pollachiuria. L’idea che convenga fare le cose spesso e non quando è giusto è sempre più diffusa nella medicina moderna, in tutti i suoi campi, ma questo non è sempre il cammino più adatto.

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Tumore del colon retto: terapia personalizzata col test RAS

Work of scientists in the chemical laboratory.

La personalizzazione del trattamento per ciascun paziente con tumore del colon-retto con metastasi ha l’obiettivo di ottenere il massimo vantaggio, in termini di efficacia, dalla somministrazione dei farmaci a bersaglio. A tale scopo il medico che ha in cura il malato può richiedere un esame di laboratorio chiamato esame (test) del RAS. Questo esame definisce particolari caratteristiche genetiche delle cellule tumorali. Quando nelle cellule si verifica una variazione dei geni, si parla di mutazione. I geni indicati con l’acronimo RAS, includono il KRAS e il NRAS. I geni RAS funzionano come “interruttori” che attivano i meccanismi di crescita e replicazione delle cellule tumorali e possono essere nello stato normale (definito in inglese wild-type: “tipo selvaggio”) o mutato (alterato) . Il test RAS identifica i pazienti con tumore del colon-retto metastatico nei quali una particolare terapia biologica, con anticorpi monoclonali anti-EGFR, è più efficace in base alla presenza di geni RAS normali o mutati.

La terapia personalizzata: i biomarcatori RAS

La risposta dei singoli pazienti ai trattamenti antitumorali è variabile. Non tutti i pazienti hanno lo stesso beneficio dallo stesso farmaco. Questo avviene sia per la chemioterapia, che per le terapie biologiche a bersaglio molecolare. Tuttavia, la ricerca scientifica sta progressivamente evidenziando particolari caratteristiche, proprie del paziente o del tumore, che permettono di prevedere chi ha più probabilità di giovarsi di un determinato trattamento. Tali caratteristiche corrispondono a variabili di laboratorio definite “biomarcatori”. Grazie alle informazioni fornite dai biomarcatori, i medici sono in grado di personalizzare la terapia e di aumentare le probabilità  di successo, nei soggetti sensibili al trattamento. Per i pazienti con tumore del colon-retto metastatico i biomarcatori sono le mutazioni dei geni RAS (KRAS e NRAS).

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Il test RAS

Il test dei RAS solitamente non richiede procedure invasive aggiuntive, in quanto viene eseguito sui campioni di tessuto (biopsie) raccolti nel corso della valutazione della malattia. L’esame dei RAS, consistente in un’analisi di tipo genetico, viene eseguito su una piccola quantità di materiale bioptico prelevato dal tumore primario o dalle metastasi. Il risultato dell’esame dei RAS, normalmente disponibile in circa una decina di giorni, valuta i geni KRAS e NRAS, indicando se tali geni sono presenti allo stato normale (o wild-type) o mutato. Lo stato normale dei geni KRAS e NRAS indica che il paziente ha maggiori probabilità di rispondere a una terapia a base di anticorpi monoclonali anti-EGFR, mentre nei casi con geni KRAS e NRAS mutati la somministrazione del farmaco non è indicata perché non efficace.

I geni e le proteine RAS

KRAS e NRAS sono i nomi, sia dei geni RAS, che delle proteine che essi codificano. Le proteine RAS giocano un ruolo importante nel processo di crescita e moltiplicazione cellulare, infatti, agiscono come “interruttori” che servono ad “accendere”, a seguito della interazione fra EGF e recettore, la moltiplicazione cellulare. Nelle cellule normali e in quelle del tumore del colon-retto metastatico senza mutazioni dei geni RAS, tali interruttori si accendono e poi si spengono immediatamente, in un’alternanza che attiva o disattiva, appunto, la replicazione cellulare. Se uno dei geni RAS non è mutato, gli anticorpi che bloccano il recettore dell’EGF (anti-EGFR) si sono dimostrati un valido strumento terapeutico per contrastare il tumore del colon-retto metastatico. Se invece il gene RAS è mutato, cioè è modificato nella sua composizione, anche la proteina da esso prodotta sarà diversa, e si comporterà come un interruttore perennemente “acceso”, indipendentemente dagli stimoli esercitati dal fattore di crescita EGF. Le mutazioni dei geni RAS sono presenti circa nel 45% dei tumori del colon-retto metastatici.
I biomarcatori sono estremamente importanti nel trattamento dei tumori, in quanto aiutano i medici a scegliere i trattamenti che presumibilmente saranno più efficaci per ciascun paziente. In particolare l’esame di geni RAS si esegue nei laboratori di anatomia patologica e biologia molecolare dei principali ospedali italiani.

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