Una fobia specifica, chiamata anche fobia semplice, è un termine generico per qualsiasi tipo di disturbo caratterizzato da una irrazionale e fortissima risposta di paura in coincidenza con l’esposizione a specifici oggetti o situazioni, nonché una tendenza ad evitare ostinatamente e sistematicamente gli oggetti o le situazioni temute. Quindi, la fobia semplice o specifica comprende sia la reazione di paura in presenza (o nell’attesa) di particolari oggetti e situazioni, sia un comportamento di evitamento del contatto diretto con gli oggetti o le situazioni stesse.
La differenza con la paura “normale” è che questa è razionale, mentre la fobia è irrazionale. Ad esempio una persona può avere la fobia per i piccioni, animali innocui che nella persona sana non determinano paura, mentre la determinano in chi ha la fobia per essi. Avere la paura ad esempio di un leone è invece normale perché il leone è realmente pericoloso.
Il soggetto che soffre di fobia talvolta non è in grado di rappresentarsi e immaginare le situazioni o le cose temute se non per pochi attimi e può temere anche di nominarle. La paura può essere attivata sia dalla presenza che da tracce che anticipano la presenza dell’oggetto o della situazione che crea disagio. Tuttavia, gli adulti in generale sono in grado di riconoscere che tali reazioni non hanno una base ragionevole, pur non essendo in grado di controllarla.
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Quali sono le fobie più comuni?
Le fobie più comuni hanno come oggetto: animali, insetti, temporali, suoni forti, buio, sangue e ferite, visite mediche o dentistiche, altezza, luoghi chiusi a seconda della fase di sviluppo. Le fobie infatti si modificano con la crescita nell’intensità della reazione e nel contenuto. In realtà il tentativo di classificare le fobie in base al nome dell’oggetto o dell’evento si è rivelata nel tempo impresa molto ardua poiché la fonte dell’ansia non è l’oggetto in sé, ma le conseguenze dannose cui la persona potrebbe andare incontro in presenza dell’oggetto o quando si verifica l’evento.Praticamente le fobie sono tante quanti sono gli oggetti o gli eventi che possono determinare paura, è il vissuto esperenziale di ciascuno a determinare la paura delle conseguenze.
Terapie
Il trattamento di una fobia o più fobie prevede diversi approcci, tra cui:
- terapia espositiva;
- terapia dell’esposizione narrativa;
- psicoterapia;
- psicofarmaci.
Più tecniche possono essere usate in sinergia per aumentare l’effetto terapeutico.
Terapia espositiva
La terapia espositiva “costringe” il paziente ad affrontare la situazione (o le situazioni) che gli genera l’attacco di fobia: il soggetto è invitato a parlare e/o scrivere ripetutamente del peggior evento traumatico che ha affrontato (o dei peggiori eventi), rivivendo nel dettaglio tutte le emozioni associate alla situazione. Attraverso questo processo molti pazienti subiscono un “abituarsi” alla risposta emotiva scatenata dalla memoria traumatica, che di conseguenza, col tempo, porta a una remissione dei sintomi della fobia quando la situazione si ripresenta nella realtà. La terapia espositiva – praticata per un periodo di tempo adeguato – secondo la nostra esperienza aiuta circa 9 pazienti su 10. Per approfondire, leggi questo articolo: Terapia espositiva: essere esposti alla propria fobia per superarla
Terapia dell’esposizione narrativa
La terapia dell’esposizione narrativa (in inglese “Narrative Exposure Therapy” da cui l’acronimo “NET“) è una terapia a breve termine per individui che soffrono del disturbo post-traumatico da stress ed in alcuni casi delle fobie. Il trattamento prevede l’esposizione emotiva ai ricordi degli eventi traumatici e la riorganizzazione di questi ricordi in una coerente narrazione cronologica di vita. La terapia dell’esposizione narrativa può essere usata sia da sola che in associazione con la terapia espositiva, la psicoterapia, la medicina narrativa e/o la terapia farmacologica. Per approfondire: Terapia dell’esposizione narrativa: rievocare la propria esperienza traumatica per superarla
Psicoterapia
La psicoterapia che ha mostrato fornire buoni risultati con le fobie, è quella cognitivo comportamentale. La terapia cognitivo-comportamentale standard per il trattamento delle fobie, oltre agli interventi comportamentali basati sull’esposizione situazionale, prevede una psicoeducazione iniziale e interventi cognitivi. All’interno della psicoterapia cognitivo-comportamentale, le tecniche espositive si sono dimostrate utili nel ridurre i comportamenti che alimentano l’ansia (vedi paragrafi precedenti). Recentemente sono state implementate strategie volte a incrementare la capacità dei soggetti di stare in contatto con l’attivazione ansiosa senza temerne le conseguenze catastrofiche. Favorendo l’accettazione e diminuendo il bisogno di controllo dei sintomi d’ansia.
Farmaci
Vengono usati farmaci ansiolitici e antidepressivi. Tra gli ansiolitici, le benzodiazepine (come il Valium) possono essere utili poiché generano un sollievo sintomatologico ansiolitico istantaneo, tuttavia tra gli effetti collaterali (se usate per lunghi periodi) ritroviamo il rischio di dipendenza da farmaco. Tra gli antidepressivi, particolarmente utili sono gli SSRI (Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina). I farmaci generalmente funzionano bene per controllare la fobia, tuttavia, i sintomi tendono a ripresentarsi alla loro sospensione.
Se credi di avere una fobia, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere definitivamente il tuo problema.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Un team di psichiatri americani ha recentemente pubblicato uno studio su JAMA (Hirschtritt et al. 2017) che ha esaminato i lavori scientifici, pubblicati negli ultimi cinque anni, riguardanti il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo.
Dolore somatico
Chi di noi non conosce la paura? È un’emozione che abbiamo certamente sperimentato nelle sue varie sfaccettature e in relazione a diversi eventi o cose.
In termini generali, l’aiuto di uno psicologo va cercato quando si attraversa un periodo di sofferenza psicologica che col tempo non passa o forse peggiora tanto da creare delle limitazioni, dei veri blocchi, nella vita di ogni giorno, sul lavoro, con i familiari o gli amici. È opportuno andare dallo psicologo quando:
Con alcune semplici misure di sicurezza il bambino affetto da epilessia è in grado di vivere una vita assolutamente normale e compiere le stesse attività dei suoi coetanei, come giocare, fare sport ed in generale di dedicarsi a tutte quelle attività adatte alla sua fascia d’età.
La scienza del Sistema PNEI, o Psiconeuroendocrinoimmunologia, nasce nella seconda metà degli anni Ottanta in seguito ad una scoperta sensazionale: il linfociti, cellula tipicamente immunologica, produce TSH, ormone ipofisario che regola il rilascio degli ormoni tiroidei.
Il termine “autolesionismo” deriva dall’unione di due parole: “auto” che significa “sé stesso” e “ledere” che vuol dire “danneggiare”. Chi compie un “atto di autolesionismo” quindi compie un gesto che ha l’obiettivo di danneggiare il proprio corpo, come ad esempio procurandosi volontariamente una ferita o una lesione. L’autolesionista non ha in genere l’obiettivo reale di suicidarsi, bensì solo quello di creare un danno a sé stesso, tuttavia non è raro che un atto lesivo porti alla morte, ad esempio perché ha determinato una grave emorragia (come succede quando si lesiona una arteria). Le lesioni sono rappresentate non solo da “tagli”, ma anche con altri metodi, come morsi, bruciature, percosse, provocazione volontaria di fratture e vomito. Se gli atti di autolesionismo diventano frequenti e pericolosi, l’autolesionismo configura un vero e proprio disturbo di interesse psichiatrico.