Ogni quanto tempo si può donare il sangue

MEDICINA ONLINE BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MEDITERRANEA EMOGLOBINAIl numero massimo di donazioni di sangue intero, previsto dal D.M. 25/1/01 All. 1, è di:

  • 4 all’anno per l’uomo, con intervallo minimo di 90 giorni (3 mesi) fra una donazione e l’altra;
  • 2 all’anno per la donna in età fertile, con intervallo minimo di 180 giorni (6 mesi) fra una donazione e l’altra;
  • 4 all’anno per la donna in età non fertile, con intervallo minimo di 90 giorni (3 mesi) fra una donazione e l’altra.

E’ prevista una periodicità diversa, regolamentata dalla vigente legge, per la donazione di emocomponenti (plasma, piastrine).

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Differenza tra pressione del braccio destro e sinistro

MEDICINA ONLINE PRESSIONE ARTERIOSA VENOSA SANGUIGNA CENTRALE PERIFERICA CUORE SANGUE BRACCIO VENE ARTERIE VASI PETTO DESTRO SINISTRO COME QUANDO SFIGMOMANOMETROSolitamente i valori della pressione arteriosa sono simili nei due arti superiori., altre volte si possono notare differenze minime (5-10 mmHg) tra le due braccia.
Spesso la pressione più elevata si riscontra al braccio destro senza che questo abbia un chiaro significato patologico.

Diverso però è il caso in cui si riscontri una differenza di almeno 15 mmHg. In questa evenienza si dovrebbe sospettare una patologia ostruttiva a livello dell’arco aortico o di una delle due arterie succlavie. Vi sono, infatti, studi che suggeriscono che la stenosi della succlavia > 50% è associata ad una differenza importante di pressione arteriosa tra le due braccia oltre che ad un aumento dell’incidenza di arteriopatia periferica e di eventi cardiovascolari.
Una metanalisi di 20 studi ha confermato che la presenza di una differenza dei valori pressori tra le due braccia di almeno 15 mmHg è un buon indicatore di aumentato rischio di patologia ostruttiva arteriosa sia periferica che cerebrale oltre che di morte da cause cardiovascolari e della mortalità totale.

E’ per questo che molte linee guida consigliano di misurare la pressione arteriosa in entrambe la braccia. Tuttavia spesso nella pratica clinica questa raccomandazione viene disattesa perchè richiede tempo che ormai è, anche per il medico, un bene raro.
Invece la misurazione bilaterale dovrebbe diventare una prassi di routine in ogni visita.
C’è comunque il problema che se la misurazione nelle due braccia avviene in maniera sequenziale una eventuale differenza potrebbe essere dovuta semplicemente al timing diverso della misurazione stessa. Si può in parte ovviare a questo inconveniente ricorrendo a più misurazioni alle due braccia, ma questo richiede ancora più tempo ed è poco realistico. L’alternativa è ricorrere a misuratori automatici applicati contemporaneamente al braccio destro e al sinistro.

Una volta constatato che la pressione arteriosa presenta differenze importanti tra le due braccia, rimane da stabilire l’iter diagnostico e terapeutico successivo.
Se è vero che gli studi epidemiologici suggeriscono un aumento del rischio di patologia ostruttiva arteriosa e di outcomes negativi, cosa fare nel singolo paziente?
E’ importante, ovviamente, valutare con scrupolo la presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare e il loro trattamento aggressivo, se è il caso, con le terapie più consolidate (antiaggreganti, ipocolesterolemizzanti, abolizione del fumo, etc.). Inoltre si può prevedere, soprattutto se la differenza tra le due braccia è importante, un esame ecodoppler arterioso dei vasi epiaortici e degli arti inferiori.

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Differenza tra globuli rossi, bianchi e piastrine

MEDICINA ONLINE GLICEMIA INSULINA SANGUE DIFFERENZA CONCENTRAZIONE ORMONE PIASTRINE GLOBULI ROSSI BIANCHI GLUCAGONE TESTOSTERONE ESTROGENI PROGESTERONE CUOREglobuli rossi (anche chiamati eritrociti) sono la popolazione di cellule costituenti il sangue più numerosa. Hanno una forma biconcava, colore rosso e nei mammiferi non presentano il nucleo.
I globuli rossi vengono prodotti dal midollo osseo sotto stimolo dell’eritropoietina (EPO, anche conosciuta come agente dopante nello sport) e distrutti dalla milza dopo un ciclo di vita di circa 120 giorni.
I globuli rossi al loro interno contengono l’emoglobina che permette loro di svolgere un’importante funzione: portare l’ossigeno a tutti i tessuti e l’anidride carbonica ai polmoni, che provvederanno in seguito ad eliminarla.
L’anemia, una condizione in cui si ha una riduzione del numero di globuli rossi nel sangue (o di alcuni loro componenti), ha infatti come diretta conseguenza una riduzione dell’apporto di ossigeno agli organi.
A seconda di alcuni elementi specifici presenti sulla loro superficie, i globuli rossi sono raggruppati in gruppi sanguigni. Ogni persona è caratterizzata da uno specifico gruppo sanguigno ed è molto importante conoscerne la natura in caso di trasfusioni.

globuli bianchi (anche chiamati leucociti) sono un’altra popolazione cellulare della porzione cellulare sangue. Sono cellule più grandi rispetto ai globuli rossi, hanno un nucleo ed in generale svolgono una serie di funzioni specifiche correlate alla difesa dell’organismo.
I globuli bianchi sono prodotti nel midollo osseo e nel timo e a seconda della presenza o meno di granuli nel citoplasma, sono divisi in due grosse sottopopolazioni: granulociti (globuli bianchi che presentano granuli nel citoplasma) e agranulociti (globuli bianchi che non presentano granuli nel citoplasma).
Della popolazione dei granulociti fanno parte i neutrofili, eosinofili e basofili. Gli agranulociti sono invece costituiti dai monociti e dai linfociti.
A seconda degli agenti che attaccano il nostro organismo (batteri, virus, parassiti, etc..) interverranno globuli bianchi facenti parte di una delle due sottopopolazioni che contrasteranno la minaccia. Le analisi del sangue permettono di capire quale popolazione di globuli bianchi sta intervenendo: questo permette al medico di capire se si tratta di infezione batterica, virale o infestazione parassitaria.

Le piastrine sono cellule del sangue, senza nucleo che vengono prodotte dal midollo osseo. La principale funzione delle piastrine, o trombociti, è di fermare la perdita di sangue nelle ferite (emostasi). A tale scopo, esse si aggregano tra loro promuovendo la coagulazione del sangue.

Per conoscere i valori ematici normali di globuli rossi, bianchi e piastrine, leggi questo articolo: Emocromo completo con formula leucocitaria: valori, interpretazione e significato

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Anemia falciforme: cosa significa, cause, sintomi e cure

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medicina Chirurgia Estetica Benessere Dietologia Sessuologia Ecografie Anemia da carenza di ferro cause, sintomi e cureL’anemia falciforme (anche chiamata anemia drepanocitica) è una malattia genetica ed ereditaria del sangue. Il nome si deve alla caratteristica forma a falce o mezzaluna che viene assunta dai globuli rossi che diventano anche rigidi, viscosi e facilmente aggregabili. La forma irregolare ne ostacola il movimento attraverso i vasi sanguigni, rallentando o bloccando il flusso del sangue. Normalmente i globuli rossi hanno una forma simile a due piatti sovrapposti, sono elastici, deformabili e scivolano nei vasi sanguigni facilmente. Nell’anemia falciforme un gene mutato ne determina la forma irregolare: i globuli rossi assomigliano quindi a una falce, sono viscosi e si aggregano formando degli ostacoli al normale flusso sanguigno, con il rischio che i tessuti non vengano irrorati a sufficienza e le cellule muoiano (ischemia). Le cellule falciformi sono più fragili di quelle normali e ciò determina questa grave forma di anemia.

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Quali sono le cause dell’anemia falciforme?

L’anemia falciforme è provocata dalla mutazione di un gene che controlla la produzione di emoglobina, la proteina globulare dei globuli rossi che si lega all’ossigeno e lo trasporta nell’organismo. La patologia è a eredità autosomica recessiva, vale a dire che per la trasmissione al figlio è necessario che entrambi i genitori siano portatori della malattia.

Quali sono i sintomi dell’anemia falciforme?

I sintomi dell’anemia falciforme si manifestano in genere dopo i quattro mesi di vita e includono:

  • Anemia, dovuta alla più facile emolisi dei globuli rossi malati, che muoiono in 10-20 giorni rispetto ai 120 giorni della norma. Il risultato è una carenza cronica di globuli rossi nota come anemia. Il paziente sperimenta affaticamento, debolezza, mancanza di fiato, pallore, mal di testa, difficoltà visive.
  • Crisi dolorose, a insorgenza improvvisa e durata variabile. Sono dovute alle occlusioni causate dall’aggregazione di globuli malati che ostacolano il passaggio del sangue. Il dolore può essere avvertito a livello del torace, dell’addome, delle articolazioni. Le crisi sono abbastanza frequenti.
  • Sindrome mani-piede, caratterizzata dal gonfiore nelle estremità degli arti. Rappresenta uno dei primi segni di anemia falciforme nei bambini.
  • Infezioni, si tratta di eventi frequenti perché la milza, organo coinvolto nelle difese immunitarie, viene danneggiata dai globuli malati.
  • Ritardo della crescita
  • Problemi della vista
  • Pelle fredda e gonfiore (edemi) di mani e piedi
  • Ittero

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Trattamento

Fino agli anni Settanta le uniche soluzioni terapeutiche per l’anemia drepanocitica erano la splenectomia (rimozione della milza) e delle continue trasfusioni per sostituire, anche se momentaneamente, i globuli rossi malati con altri sani. Parimenti, tutte le condizioni che portano a ipossia tissutale, con conseguente variazione del pH verso l’acido, vengono evitate attraverso il mantenimento di un corretto equilibrio acido-base. Occasionalmente, vasodilatatori vengono somministrati per evitare fenomeni di vasocostrizione che produrrebbero ipossia. Nell’ultimo decennio, sono stati sperimentati composti induttori dell’emoglobina fetale (HbF). Il più usato è ancora la N-idrossiurea, che agisce attraverso la sua azione sulle istone-deacetilasi. Altri farmaci induttori usati sono:

  • L’acido folico e la penicillina. Ai soggetti con anemia drepanocitica si raccomanda di assumere acido folico giornalmente per tutta la vita. Viene consigliato di somministrare, dalla nascita ai cinque anni di età, della penicillina al giorno a causa del sistema immunitario immaturo che rende i pazienti pediatrici più inclini a malattie della prima infanzia.
  • Prevenzione della malaria. L’effetto protettivo della condizione nota come “tratto falciforme” non si applica alle persone con anemia falciforme conclamata; in realtà, essi sono più vulnerabili alla malattia, dal momento che è la causa più comune delle crisi dolorose nei Paesi malarici. È stato quindi suggerito che le persone con anemia falciforme che vivono nei paesi ad alta incidenza di malaria ricevano una chemioprofilassi antimalarica per tutta la vita.
  • Crisi vaso-occlusiva. La maggior parte delle persone con anemia falciforme va incontro ad episodi intensamente dolorosi chiamati crisi vaso-occlusive. Tuttavia, la frequenza, la gravità e la durata di queste crisi variano enormemente. Le crisi dolorose vengono trattate in modo sintomatico con farmaci per il dolore; la gestione del dolore richiede la somministrazione di oppioidi a intervalli regolari fino a quando la crisi non è risolta. Per le crisi più lievi, un sottogruppo di pazienti riesce a gestirsi assumendo FANS (come il diclofenac o il naprossene). Per le crisi più gravi, la maggior parte dei pazienti richiede il ricovero ospedaliero per la somministrazione di oppioidi per via endovenosa; i dispositivi di analgesia controllata dal paziente sono comunemente utilizzati.
  • Sindrome Toracica Acuta. La gestione è simile alla crisi vaso-occlusiva, con l’aggiunta di antibiotici (di solito un chinolone o macrolide), la supplementazione di ossigeno per ovviare all’ipossia e la stretta osservazione. Qualora vi fosse un peggioramento dell’infiltrato polmonare o aumenti la richiesta di ossigeno, sarebbe indicata una semplice trasfusione di sangue. Il paziente con sindrome toracica acuta sospetta deve essere ricoverato in ospedale.
  • Idrossiurea. In uno studio del 1995, il primo farmaco approvato per il trattamento causale dell’anemia falciforme, l’idrossiurea, ha dimostrato di ridurre il numero e la gravità degli attacchi e ha dimostrato, in una ricerca del 2003, di essere in grado di allungare il tempo di sopravvivenza. Ciò viene ottenuto, in parte, riattivando la produzione dell’emoglobina fetale al posto della emoglobina S che causa l’anemia falciforme. L’idrossiurea era stato precedentemente utilizzato come agente chemioterapico e si teme che l’uso a lungo termine possa essere dannoso, ma questo rischio ha dimostrato di essere assente o molto piccolo ed è probabile che i benefici superino i rischi.
  • Trasfusione di sangue. Le trasfusioni di sangue sono spesso utilizzate nella gestione dei casi acuti di anemia falciforme e per prevenire le complicanze grazie all’aggiunta di globuli rossi normali. Nei bambini, la terapia trasfusionale preventiva di globuli rossi ha dimostrato di ridurre il rischio del primo ictus o di un ictus silente, quando l’ecografia doppler transcranica mostra anomalie del flusso ematico cerebrale. In coloro che hanno subito un ictus si riduce anche il rischio di recidiva.
  • Trapianto di midollo osseo. Il trapianto di midollo osseo si è dimostrato efficace nei bambini ed è l’unica cura conosciuta per la morte cardiaca improvvisa. Tuttavia, i trapianti sono difficili da ottenere a causa della specifica tipizzazione HLA necessaria. Idealmente, un parente stretto (allogenico) potrebbe donare il midollo osseo necessario per il trapianto.

Come prevenire l’anemia falciforme?

L’anemia falciforme non si può prevenire. Se ci sono altri casi in famiglia, una coppia che ha intenzione di concepire può eseguire il test del DNA e chiedere una consulenza genetica per avere informazioni circa la probabilità che la malattia si presenti nel bambino.

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Plasmaferesi e donazione di sangue

MEDICINA ONLINE SANGUE BLOOD LABORATORY VES FORMULA LEUCOCITARIA PLASMA FERESI SIERO FIBRINA FIBRINOGENO COAGULAZIONE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIASTRINE WALLPAPER HI RES PIC PICTURE PHOTOLa maggior parte delle persone conosce la donazione di sangue intero, una procedura indolore che dura solo una decina di minuti (oltre al tempo necessario alla preparazione e al recupero). Ma è anche possibile donare solo il plasma tramite una procedura chiamata plasmaferesi. Durante la plasmaferesi, il sangue viene prelevato, il plasma viene separato, mentre i globuli rossi e le e le piastrine vengono re-infusi al donatore. Solitamente il processo richiede circa 45 minuti e il plasma si rigenera rapidamente. La frequenza delle donazioni e il loro volume, in genere tra i 650 ml e gli 880 ml, sono regolate normativamente da ciascun Paese.

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Ecocolordoppler dei tronchi sovraortici: come si effettua e quali patologie studia

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-poligono-di-willis-anatomia-varianti-ana-riabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenza-ecoCosa studia l’ecocolordoppler?

L’ecocolordoppler permette lo studio sia della morfologia (anatomia) che dei flussi (emodinamica) delle arterie. E’ perciò possibile studiare alcune caratteristiche morfologiche quali il diametro e lo spessore della parete oltre alle caratteristiche del flusso , quali la velocità e la direzione. Il “color” permette di ricostruire in tempo reale, sull’immagine anatomica ottenuta con il bidimensionale, le mappe dei flussi guidando poi i rilievi del Doppler spettrale.

Quali arterie si studiano?

Possono essere studiate le principali arterie che nutrono le strutture del capo. Le arterie carotidi comuni (destra e sinistra) che risalgono il collo ed in prossimità della mandibola si suddividono nell’arteria carotide interna che irrora gli organi contenuti nella cavità cranica e l’arteria carotide esterna che si distribuisce alla superficie esterna del cranio e della faccia. Le arterie vertebrali nascono alla base del collo e decorrono nel collo dentro un canale osseo formato dalle vertebre cervicali; da cui, attraverso il foro occipitale, entrano nel cranio e si uniscono per formare il tronco basilare che a sua volta si divide nelle due arterie cerebrali posteriori. I due sistemi, il vertebro-basilare ed il carotideo, si congiungono alla base del cervello attraverso altre due arterie denominate arterie comunicanti formando così un poligono arterioso detto del Willis.

Come si effettua l’esame?

Il paziente è in decubito supino con il capo iperesteso e rivolto dalla parte controlaterale rispetto all’arteria esplorata. La sonda viene orientata in modo da seguire il decorso anatomico delle arterie. Quando si ottiene una buona immagine bidimensionale si procede alla valutazione del flusso con il Color Doppler e sulla guida di questo si ottiene il Doppler spettrale per stimare con esattezza la velocità del flusso.

Quali malattie studia l’ecocolordoppler?

La malattia aterosclerotica è la patologia più frequentemente studiata nel distretto dei tronchi sovraortici. La placca carotidea è la lesione aterosclerotica più frequente. Può essere eseguito uno studio morfologico della placca che consente di definirne la composizione (cosiddette placche soft o hard), l’esetnsione in lunghezza, l’eccentricità, le caratteristiche della superficie e le eventuali complicanze quali l’ulcerazione, l’emorragia intraplacca e la trombosi). L’analisi morfologica permette una prima stima di quanto la placca ostruisca il flusso (stenosi); stenosi importanti possono spiegare i disturbi del circolo cerebrale. Ma è importante lo studio delle caratteristiche della superficie perché da esse dipendono le potenzialità emboligene; per cui una placca che di base non ostruisce il flusso di sangue, può diventare pericolosa perché dalla sua ulcerazione possono partire degli emboli che chiudono i vasi periferici più piccoli con grave danno sul nutrimento dell’encefalo. Una volta studiata l’anatomia, si studia con il Color Doppler ed il Doppler spettrale il flusso; l’associazione tra i dati anatomici e quelli flussimetrici permette la stima esatta dell’entità della stenosi ed indirizza verso una corretta terapia medica o chirurgica.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Differenza tra insufficienza renale acuta, cronica e dialisi

MEDICINA ONLINE RENI RENE URINA APPARATO URINARIO URETRA URETERE AZOTEMIA ALBUMINA SINDROME NEFRITICA NEFROSICA PROTEINURIA POLLACHIURIA UREMIA DISURIA CISTITE INFEZIONE POLICISTICO LABORATORIO INSUFFICIENZA RENALEI reni sono due organi a forma di fagiolo localizzati nel mezzo della parte bassa della schiena, su entrambi i lati della colonna vertebrale. L’urina che si forma nei reni scorre attraverso dei tubi, chiamati ureteri, per essere depositata nella vescica, da quest’ultima l’urina raggiunge l’esterno tramite l’uretra. Hanno funzione di filtrazione del sangue e collaborano nel determinare la pressione arteriosa grazie alla loro capacità di eliminare liquidi tramite l’urina. Varie condizioni e patologie possono determinare la perdita parziale o totale della funzionalità renale, fino anche alla dialisi.

  1. Si definisce insufficienza renale acuta (IRA) la patologia caratterizzata da un rapido decremento della funzione renale; è potenzialmente fatale.
  2. Si definisce invece insufficienza renale cronica (IRC) la sindrome caratterizzata dal lento e progressivo decadimento della funzione renale, indipendentemente dalla causa; nei casi di insufficienza renale più gravi, può rendersi necessaria la dialisi o il trapianto renale.

Leggi anche: Apparato urinario: anatomia e fisiologia [SCHEMA]

Insufficienza renale acuta

L’insufficienza renale acuta è caratterizzata da una compromissione molto rapida della funzione renale; tale compromissione può avere molte cause fra cui patologie e/o altre problematiche quali per esempio disidratazione da perdite di fluidi corporei (per esempio in seguito a diarrea, febbre, sudorazione e vomito), scarsa assunzione di liquidi, assunzione di sostanze tossiche per il rene (molti farmaci, fra cui vari FANS e alcuni antibiotici), assunzione di diuretici (questi farmaci possono provocare sia un’eccessiva perdita di acqua sia un aumento eccessivo del flusso sanguigno verso il rene con conseguente ostruzione dell’arteria renale) e ipovolemia da perdite ematiche. L’insufficienza renale acuta viene solitamente suddivisa in tre categorie:

  • IRA da cause pre-renali: si ha un’alterazione del processo di filtraggio legata all’afflusso di sangue verso le arterie renali (è la più diffusa tra le insufficienze renali acute);
  • IRA da cause renali: nel secondo caso si ha un coinvolgimento dei tubuli che consentono il passaggio del filtrato glomerulare;
  • IRA da cause post-renali: nel terzo caso si ha un problema nel processo di espulsione delle urine

I sintomi e segni dell’insufficienza renale acuta sono diversi; peraltro in alcuni casi la patologia è asintomatica e il problema viene rilevato casualmente in seguito ad analisi di laboratorio effettuate per altri motivi. Fra i sintomi e i segni più frequenti in caso di insufficienza renale acuta vanno ricordati i seguenti:

  • riduzione della produzione di urina (oliguria), anche se, occasionalmente, la diuresi risulta normale;
  • ritenzione di liquidi con conseguente gonfiore agli arti inferiori;
  • sonnolenza;
  • fame d’aria;
  • affaticamento;
  • stato confusionale;
  • nausea;
  • convulsioni e/o coma (nei casi più gravi);
  • dolore o senso di oppressione al petto.

La diagnosi si basa su una serie di esami di laboratorio (BUN -azoto ureico ematico-, Creatinina, Sodio, Potassio, Cloro, Calcio, Fosforo, Emocromo, Acido urico, esame delle urine) e strumentali (radiografia addominale, ecografia, TAC, RMN, scintigrafia renale, urografia, biopsia renale).

Il trattamento dell’insufficienza renale acuta richiede solitamente la degenza in una struttura sanitaria; la terapia è rappresentata dall’eliminazione della causa che l’ha provocata, dal ripristino della diuresi e degli equilibri idroelettrolitici, dal trattamento delle infezioni. Ovviamente è necessario anche il trattamento delle eventuali complicanze.

Il rischio di danno renale permanente in seguito a insufficienza renale acuta è concreto; peraltro l’IRA può avere esito fatale; questo rischio è più elevato nei soggetti che avevano problemi renali prima di manifestare il problema acuto.

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Insufficienza renale cronica

L’insufficienza renale cronica è una condizione patologica piuttosto seria legata a un lento, ma progressivo declino delle funzioni renali. Diversamente da quanto accade nel caso dell’insufficienza renale acuta che ha un decorso rapido e improvviso, l’insufficienza renale cronica è una condizione che si sviluppa nel corso di settimane e mesi o addirittura di anni.

Le principali cause di insufficienza renale cronica sono il diabete mellito (sia di tipo 1 che di tipo 2) e l’ipertensione arteriosa; queste patologie, infatti, sono in grado di danneggiare i piccoli vasi sanguigni presenti nell’organismo, ivi compresi quelli che si trovano nei reni. Altre cause di insufficienza renale cronica sono rappresentate da patologie autoimmuni, rene policistico, pielonefrite ricorrente, ostruzione delle vie urinarie e reflusso, utilizzo cronico di farmaci metabolizzati a livello renale ecc.

Relativamente ai segni e ai sintomi, va premesso che il declino della funzione renale può essere talmente lento che non è infrequente che la patologia rimanga asintomatica per lunghi periodi di tempo; questo rappresenta un problema di non poco conto perché la patologia, di fatto, passa inosservata fino a quando i reni non hanno subito danni irreparabili. Quando si manifesta, fra i segni i sintomi più comuni vi sono un aumento della frequenza delle minzioni, ematuria, urine torbide e dal colore scuro; altri segni e sintomi sono rappresentati da ipertensione arteriosa, senso di fatica persistente, edemi, calo ponderale, fiato corto, sete eccessiva, crampi, prurito, rash cutanei, alitosi, nausea e vomito. Man mano nell’organismo si accumulano tossine e si possono avere anche convulsioni e confusione mentale. Si possono poi verificare varie complicanze fra cui alterazioni elettrolitiche, in particolare iperkaliemia, ipercalcemia e iperfosfatemia, anemia, ipertensione arteriosa, frequenti sanguinamenti, disidratazione, osteoporosi ecc.

Per la diagnosi ci si avvale degli stessi mezzi citati a proposito dell’insufficienza renale acuta. Per quanto concerne il trattamento, nel caso della forma cronica, si devono adottare severi cambiamenti nella dieta, passando a un’alimentazione priva di sodio, con poche proteine e fosfati, per evitare ulteriori danni ai reni, e una terapia farmacologica che consenta di correggere gli squilibri presenti nell’organismo. Nel caso dei pazienti ormai giunti all’uremia, le uniche possibilità sono rappresentate dalla dialisi e dal trapianto renale (quest’ultimo indicato soprattutto per i pazienti molto giovani). La forma più completa di terapia è rappresentata dal trapianto; in più della metà dei casi, il rene trapiantato funziona in modo ottimale anche dopo quindici anni dall’intervento. In caso di fallimento del trapianto, il paziente torna alla dialisi, ma potrà in seguito effettuare un nuovo tentativo.

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Dialisi

La dialisi è un processo che consente di purificare il sangue mediante un macchinario specifico, il rene artificiale, la cui introduzione ha permesso di garantire la sopravvivenza ai malati di insufficienza renale cronica. Infatti, fino agli anni Sessanta, chi non poteva sottoporsi a trapianto di rene, arrivava alla sindrome uremica terminale e inevitabilmente moriva nel giro di pochi giorni o alcune settimane. Nell’emodialisi è necessario attivare la circolazione extracorporea del sangue, con appositi macchinari; il paziente dovrà recarsi più volte alla settimana in ospedale (o presso un centro specializzato) per sottoporsi al trattamento. Nel caso della dialisi peritoneale si utilizza come membrana il peritoneo (invece di un filtro artificiale come nell’emodialisi). Qui viene introdotto il liquido di dialisi per effettuare lo scambio delle sostanze. Questo secondo tipo di trattamento può essere effettuato anche durante la notte, a domicilio, riducendo così notevolmente il disagio per il malato.

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Il plasma contiene fibrinogeno? Ed il siero?

technician placing blood tubes in the laboratory centrifuge

technician placing blood tubes in the laboratory centrifuge

Il plasma contiene fibrinogeno? La risposta è SI. Il plasma è composto per il 90% da acqua, in cui sono disciolti sali e proteine plasmatiche: albumina, fattori della coagulazione prodotti dal fegato, le immunoglobuline (o anticorpi per la difesa) prodotte dai linfociti e appunto fibrinogeno.

Il siero sanguigno – o più semplicemente “siero” – invece NON contiene fibrinogeno. Il siero è infatti plasma privo di fibrinogeno, fattore VIII, fattore V e protrombina.

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