Stenosi e insufficienza tricuspidale: cause, sintomi, diagnosi e terapia

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Stenosi tricuspidale

La stenosi tricuspidale o stenosi della tricuspide (in inglese “tricuspid stenosis” da cui l’acronimo “TS”) è una valvulopatia, cioè una patologia che interessa una valvola cardiaca, caratterizzata da un restringimento che interessa la valvola tricuspidale, anche Continua a leggere

Differenza tra prolasso e insufficienza mitralica

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Ecografia Vascolare Articolare Medicina Estetica Mappatura Nei Posturale Dietologo Roma COME FUNZIONA IL CUORE ECG ONDE2 Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Pressoterapia Linfodrenante DermatologiaLa valvola mitrale (anche chiamata valvola bicuspide) è una delle quattro valvole cardiache che mettono in comunicazione, tra loro e con l’esterno, atri e ventricoli del cuore. La valvola mitrale ha un diametro di oltre 30 mm ed unisce l’atrio sinistro al ventricolo sinistro ed ha un orifizio di 4–6 cm2. Insufficienza mitralica e prolasso mitralico, indicano due patologie che interessano questa valvola.

Con insufficienza mitralica o rigurgito mitralico, si intende il reflusso di sangue dal ventricolo sinistro all’atrio sinistro, dovuto ad un’anomalia che determina un’imperfetta coaptazione dei lembi mitralici durante la sistole ventricolare; ciò è causato da danni reumatici a corde tendinee e muscoli papillari, oppure da endocardite, o da prolasso valvolare mitralico. Questa valvulopatia può rimanere asintomatica, fino alla sua evoluzione in scompenso cardiaco, con sintomi tipici che sono principalmente:

  • cardiopalmo, dovuto a fibrillazione atriale o a extrasistoli ventricolari;
  • dispnea;
  • astenia;
  • affaticamento.

Con “prolasso valvolare mitralico” si intende una valvulopatia caratterizzata dallo spostamento di una cuspide (cioè un lembo), anormalmente ispessita, della valvola mitrale nell’atrio sinistro durante la sistole. La sua eziologia può essere di natura degenerativa e abbraccia un ampio spettro di alterazioni infiltrative o displasiche del tessuto mitralico come la fibroelastosi endocardica e la sindrome di Marfan. Può essere asintomatica nei casi più lievi, mentre nei casi più gravi può condurre all’appena descritta insufficienza mitralica. Un prolasso valvolare può in alcuni casi complicarsi con una endocardite, o condurre sino all’arresto cardiaco se innesca una aritmia ventricolare.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Differenza tra insufficienza respiratoria di tipo 1 e 2

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA INSPIRAZIONE ESPIRAZIONE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PenePer capire appieno le differenze tra insufficienza respiratoria di tipo 1 e 2, dobbiamo prima partire da alcune semplici basi di fisiologia umana. L’apparato respiratorio è l’insieme degli organi e dei tessuti deputati a respirare, intendendo con il termine “respirare” l’azione incessante che bronchi e polmoni svolgono nel trasferire al sangue una sufficiente quantità di ossigeno (O2) presente nell’aria che respiriamo (l’aria è composta per circa il 20% da ossigeno e per circa l’80% da azoto, mentre insignificante è la quantità di anidride carbonica ), che viene portato a tutte le cellule dell’organismo dalla rete dei vasi sanguigni e dei capillari, eliminando al contempo dal sangue, con un percorso inverso rispetto all’ossigeno, l’eccesso di anidride carbonica (CO2) prodotta nel corso dei processi metabolici delle cellule. Si definisce pertanto insufficienza respiratoria l’incapacità dell’apparato respiratorio di mantenersi efficace nel compiere questo doppio scambio dei gas respiratori e precisamente dell’ossigeno in un senso e dell’anidride carbonica nell’altro. Ogni condizione ed ogni malattia che impediscano un adeguato apporto di ossigeno al sangue ed alle cellule (ipossia) con o senza una contemporanea adeguata eliminazione dell’anidride carbonica (ipercapnia), causano insufficienza respiratoria.

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Quanti tipi di insufficienza respiratoria ci sono?

Tenuto conto di ciò che si è detto prima, si riconoscono due tipi di insufficienza respiratoria:

  • Insufficienza respiratoria ipossiemica pura (tipo I): corrisponde al solo deficit di ossigeno nel sangue arterioso (pressione parziale di O 2 nel sangue arterioso inferiore a 60 mmHg) con anidride carbonica (CO2) normale
  • Insufficienza respiratoria ipossiemico–ipercapnica (tipo II): corrisponde alla contemporanea presenza di un deficit di O2 associato ad eccesso di CO2 nel sangue arterioso (pressione parziale della CO2 nel sangue arterioso superiore a 45 mmHg)

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In funzione, poi, del tempo necessario all’instaurarsi dell’insufficienza respiratoria, si distinguono:

  • Insufficienza respiratoria acuta: corrisponde alla comparsa di insufficienza respiratoria a comparsa improvvisa in un soggetto con funzione respiratoria fino a poco prima normale
  • Insufficienza respiratoria cronica: corrisponde alla presenza di insufficienza respiratoria costantemente presente da tempo in pazienti con malattie croniche dell’apparato respiratorio in grado di determinarla. Sono spesso presenti associate sia l’ipossiemia che l’ipercapnia.
  • Insufficienza respiratoria acuta su cronica: corrisponde ad un aggravamento di un’insufficienza respiratoria cronica che non riesce più ad essere compensata dalla terapia con l’ossigeno e dalla terapia farmacologica in atto a causa di un occasionale aggravamento della malattia respiratoria cronica già presente determinata da una condizione infettiva o infiammatoria acuta che si aggiunge.

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Quali sono le cause dell’insufficienza respiratoria?

Innumerevoli cause possono essere responsabili di insufficienza respiratoria. La semplice presenza di un deficit di ossigeno nell’aria respirata, come capita ad esempio respirando ad alta quota aria con contenuto di ossigeno anche molto inferiore a quello abitualmente presente alle quote più basse, è sufficiente a generare insufficienza respiratoria acuta ed è per questo motivo che gli scalatori sono soliti supplementare il contenuto di ossigeno destinato ai polmoni respirando in maschera quello proveniente da bombole d’ossigeno sotto pressione. Una qualsiasi crisi di soffocamento (inalazione accidentale di corpo estraneo nelle vie respiratorie, soffocamento provocato a scopo omicida, paralisi o insufficienza funzionale dei muscoli respiratori ad opera di veleni a base di curaro o di malattie neuro-muscolari, ecc.) determina l’interruzione del corretto approvvigionamento di ossigeno al sangue e dell’adeguata eliminazione della CO2, e di conseguenza diviene causa di insufficienza respiratoria acuta ipossiemica ed ipercapnica (tipo II). Molte malattie dei bronchi, dei polmoni e della pleura sono fonte di insufficienza respiratoria acuta e cronica e si può dire che la stessa rappresenti l’esito finale di quasi tutte le malattie dell’apparato respiratorio nelle fasi finali di gravità del loro percorso naturale.

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Quali sono le conseguenze e i sintomi dell’insufficienza respiratoria?

L’insufficienza respiratoria può determinare una grave alterazione funzionale di tutti gli organi, progredendo nel tempo fino a determinare la morte dell’individuo che ne è colpito. Tali danni sono secondari a:

  • insufficiente quantità di O2 nel sangue (ipossiemia), con difficoltà di concentrazione, attenzione e memoria e deterioramento ideativo e cognitivo, facile affaticabilità, dispnea, cianosi, aumento della frequenza respiratoria, nausea, inappetenza e anoressia, dimagrimento e perdita della massa muscolare, sviluppo di ipertensione polmonare con aumento del disagio respiratorio e scompenso cardiaco destro, iperglobulia (aumento della viscosità del sangue), fino ad arrivare al coma ipossico
  • eccesso di CO2 (ipercapnia) che tende ad accumularsi fino a divenire tossica per l’organismo, determinando dapprima cefalea al risveglio, occhi arrossati e rallentamento psichico e motorio, tremori e scosse muscolari, per aggravarsi fino al coma nelle fasi più avanzate (come ipercapnico)

Come si fa la diagnosi di insufficienza respiratoria?

Il sospetto di insufficienza respiratoria viene confermato con l’esecuzione di un semplice esame chiamato emogasanalisi arteriosa, che consiste in un prelievo di sangue arterioso da un’arteria del polso. In tal modo si è in grado di determinare la quantità dei due gas O2 e CO2 presenti nel sangue arterioso e di porre diagnosi di insufficienza in base ai criteri esposti prima (O2 < 60 mmHg – CO 2 > 45 mmHg). In alternativa, e solo per il deficit di ossigeno (non è possibile con questo metodo dosare la CO2), è possibile misurare la quantità di ossigeno presente nel sangue misurando la saturazione dell’emoglobina con uno strumento chiamato ossimetro o saturimetro, attraverso la semplice applicazione di una pinza dedicata al dito del paziente senza dover procedere al prelievo di sangue. Il vantaggio di tale misurazione sta nella sua praticità e nella possibilità di eseguire il controllo anche presso il domicilio del paziente in ossigenoterapia.

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Come si cura l’insufficienza respiratoria? Cos’è l’ossigenoterapia?

La terapia dell’insufficienza respiratoria consiste ovviamente nella terapia delle moltissime malattie che la causano o nella rimozione delle cause acute che la determinano. In relazione, tuttavia, alle sole alterazioni di O2 e CO2 nel sangue arterioso, essa comprende:

  • terapia dell’insufficienza respiratoria di tipo I (solo deficit di O2): consiste nella ossigenoterapia e cioè nella somministrazione di ossigeno puro medicale compresso (99,9%) attraverso cannule nasali (CN) al flusso stabilito dallo specialista pneumologo, oppure con mascherina faciale tipo Ventimask a percentuale di O2 variabile ed impostabile secondo necessità. Il vantaggio, rispetto alla somministrazione con cannule nasali, sta nel fatto che in questo modo è perfettamente nota la percentuale di ossigeno nella miscela di gas inalati dal paziente, cosa impossibile a determinarsi con la somministrazione attraverso cannule nasali. In alternativa all’ossigeno gassoso compresso è possibile l’impiego di ossigeno liquido, in grado di erogare ossigeno gassoso da volumi di ossigeno liquido molto più contenuti rispetto ai volumi dell’ossigeno compresso (maggior praticità di trasporto e di gestione domiciliare). La quantità, i tempi nella giornata e la durata complessiva dell’ossigenoterapia vengono stabiliti dallo pneumologo, specie per quanto attiene alla corretta gestione dell’ossigenoterapia domiciliare a lungo termine (O2-LTO) in pazienti con malattie respiratorie croniche (BPCO, enfisema polmonare, fibrosi polmonare, tumori polmonari trattati a domicilio, ecc.). Il paziente necessita di un attento monitoraggio delle quantità di ossigeno da somministrare e di controlli specialistici programmati finalizzati alla corretta gestione dei numerosi problemi pratici e clinici che l’ossigenoterapia comporta, tra i quali quelli derivanti da un’imperfetta umidificazione dell’ossigeno inalato, dalla maggior facilità alle infezioni respiratorie nei pazienti trattati (polmoniti) e dal rischio di un pericoloso incremento della CO2 negli stessi.
  • terapia dell’insufficienza respiratoria di tipo II (deficit di O2 associato ad eccesso di CO2): consiste nell’impiego di appositi ventilatori per la terapia ventilatoria non invasiva (NIV), in grado di evitare il ricorso all’intubazione oro-tracheale del paziente, associata a tutto ciò che si è già descritto a proposito dell’ossigenoterapia.

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Differenza tra insufficienza renale acuta, cronica e dialisi

MEDICINA ONLINE RENI RENE URINA APPARATO URINARIO URETRA URETERE AZOTEMIA ALBUMINA SINDROME NEFRITICA NEFROSICA PROTEINURIA POLLACHIURIA UREMIA DISURIA CISTITE INFEZIONE POLICISTICO LABORATORIO INSUFFICIENZA RENALEI reni sono due organi a forma di fagiolo localizzati nel mezzo della parte bassa della schiena, su entrambi i lati della colonna vertebrale. L’urina che si forma nei reni scorre attraverso dei tubi, chiamati ureteri, per essere depositata nella vescica, da quest’ultima l’urina raggiunge l’esterno tramite l’uretra. Hanno funzione di filtrazione del sangue e collaborano nel determinare la pressione arteriosa grazie alla loro capacità di eliminare liquidi tramite l’urina. Varie condizioni e patologie possono determinare la perdita parziale o totale della funzionalità renale, fino anche alla dialisi.

  1. Si definisce insufficienza renale acuta (IRA) la patologia caratterizzata da un rapido decremento della funzione renale; è potenzialmente fatale.
  2. Si definisce invece insufficienza renale cronica (IRC) la sindrome caratterizzata dal lento e progressivo decadimento della funzione renale, indipendentemente dalla causa; nei casi di insufficienza renale più gravi, può rendersi necessaria la dialisi o il trapianto renale.

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Insufficienza renale acuta

L’insufficienza renale acuta è caratterizzata da una compromissione molto rapida della funzione renale; tale compromissione può avere molte cause fra cui patologie e/o altre problematiche quali per esempio disidratazione da perdite di fluidi corporei (per esempio in seguito a diarrea, febbre, sudorazione e vomito), scarsa assunzione di liquidi, assunzione di sostanze tossiche per il rene (molti farmaci, fra cui vari FANS e alcuni antibiotici), assunzione di diuretici (questi farmaci possono provocare sia un’eccessiva perdita di acqua sia un aumento eccessivo del flusso sanguigno verso il rene con conseguente ostruzione dell’arteria renale) e ipovolemia da perdite ematiche. L’insufficienza renale acuta viene solitamente suddivisa in tre categorie:

  • IRA da cause pre-renali: si ha un’alterazione del processo di filtraggio legata all’afflusso di sangue verso le arterie renali (è la più diffusa tra le insufficienze renali acute);
  • IRA da cause renali: nel secondo caso si ha un coinvolgimento dei tubuli che consentono il passaggio del filtrato glomerulare;
  • IRA da cause post-renali: nel terzo caso si ha un problema nel processo di espulsione delle urine

I sintomi e segni dell’insufficienza renale acuta sono diversi; peraltro in alcuni casi la patologia è asintomatica e il problema viene rilevato casualmente in seguito ad analisi di laboratorio effettuate per altri motivi. Fra i sintomi e i segni più frequenti in caso di insufficienza renale acuta vanno ricordati i seguenti:

  • riduzione della produzione di urina (oliguria), anche se, occasionalmente, la diuresi risulta normale;
  • ritenzione di liquidi con conseguente gonfiore agli arti inferiori;
  • sonnolenza;
  • fame d’aria;
  • affaticamento;
  • stato confusionale;
  • nausea;
  • convulsioni e/o coma (nei casi più gravi);
  • dolore o senso di oppressione al petto.

La diagnosi si basa su una serie di esami di laboratorio (BUN -azoto ureico ematico-, Creatinina, Sodio, Potassio, Cloro, Calcio, Fosforo, Emocromo, Acido urico, esame delle urine) e strumentali (radiografia addominale, ecografia, TAC, RMN, scintigrafia renale, urografia, biopsia renale).

Il trattamento dell’insufficienza renale acuta richiede solitamente la degenza in una struttura sanitaria; la terapia è rappresentata dall’eliminazione della causa che l’ha provocata, dal ripristino della diuresi e degli equilibri idroelettrolitici, dal trattamento delle infezioni. Ovviamente è necessario anche il trattamento delle eventuali complicanze.

Il rischio di danno renale permanente in seguito a insufficienza renale acuta è concreto; peraltro l’IRA può avere esito fatale; questo rischio è più elevato nei soggetti che avevano problemi renali prima di manifestare il problema acuto.

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Insufficienza renale cronica

L’insufficienza renale cronica è una condizione patologica piuttosto seria legata a un lento, ma progressivo declino delle funzioni renali. Diversamente da quanto accade nel caso dell’insufficienza renale acuta che ha un decorso rapido e improvviso, l’insufficienza renale cronica è una condizione che si sviluppa nel corso di settimane e mesi o addirittura di anni.

Le principali cause di insufficienza renale cronica sono il diabete mellito (sia di tipo 1 che di tipo 2) e l’ipertensione arteriosa; queste patologie, infatti, sono in grado di danneggiare i piccoli vasi sanguigni presenti nell’organismo, ivi compresi quelli che si trovano nei reni. Altre cause di insufficienza renale cronica sono rappresentate da patologie autoimmuni, rene policistico, pielonefrite ricorrente, ostruzione delle vie urinarie e reflusso, utilizzo cronico di farmaci metabolizzati a livello renale ecc.

Relativamente ai segni e ai sintomi, va premesso che il declino della funzione renale può essere talmente lento che non è infrequente che la patologia rimanga asintomatica per lunghi periodi di tempo; questo rappresenta un problema di non poco conto perché la patologia, di fatto, passa inosservata fino a quando i reni non hanno subito danni irreparabili. Quando si manifesta, fra i segni i sintomi più comuni vi sono un aumento della frequenza delle minzioni, ematuria, urine torbide e dal colore scuro; altri segni e sintomi sono rappresentati da ipertensione arteriosa, senso di fatica persistente, edemi, calo ponderale, fiato corto, sete eccessiva, crampi, prurito, rash cutanei, alitosi, nausea e vomito. Man mano nell’organismo si accumulano tossine e si possono avere anche convulsioni e confusione mentale. Si possono poi verificare varie complicanze fra cui alterazioni elettrolitiche, in particolare iperkaliemia, ipercalcemia e iperfosfatemia, anemia, ipertensione arteriosa, frequenti sanguinamenti, disidratazione, osteoporosi ecc.

Per la diagnosi ci si avvale degli stessi mezzi citati a proposito dell’insufficienza renale acuta. Per quanto concerne il trattamento, nel caso della forma cronica, si devono adottare severi cambiamenti nella dieta, passando a un’alimentazione priva di sodio, con poche proteine e fosfati, per evitare ulteriori danni ai reni, e una terapia farmacologica che consenta di correggere gli squilibri presenti nell’organismo. Nel caso dei pazienti ormai giunti all’uremia, le uniche possibilità sono rappresentate dalla dialisi e dal trapianto renale (quest’ultimo indicato soprattutto per i pazienti molto giovani). La forma più completa di terapia è rappresentata dal trapianto; in più della metà dei casi, il rene trapiantato funziona in modo ottimale anche dopo quindici anni dall’intervento. In caso di fallimento del trapianto, il paziente torna alla dialisi, ma potrà in seguito effettuare un nuovo tentativo.

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Dialisi

La dialisi è un processo che consente di purificare il sangue mediante un macchinario specifico, il rene artificiale, la cui introduzione ha permesso di garantire la sopravvivenza ai malati di insufficienza renale cronica. Infatti, fino agli anni Sessanta, chi non poteva sottoporsi a trapianto di rene, arrivava alla sindrome uremica terminale e inevitabilmente moriva nel giro di pochi giorni o alcune settimane. Nell’emodialisi è necessario attivare la circolazione extracorporea del sangue, con appositi macchinari; il paziente dovrà recarsi più volte alla settimana in ospedale (o presso un centro specializzato) per sottoporsi al trattamento. Nel caso della dialisi peritoneale si utilizza come membrana il peritoneo (invece di un filtro artificiale come nell’emodialisi). Qui viene introdotto il liquido di dialisi per effettuare lo scambio delle sostanze. Questo secondo tipo di trattamento può essere effettuato anche durante la notte, a domicilio, riducendo così notevolmente il disagio per il malato.

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Differenza tra insufficienza e stenosi valvolare

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Ecografia Vascolare Articolare Medicina Estetica Mappatura Nei Posturale Dietologo Roma COME FUNZIONA IL CUORE ECG ONDE2 Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Pressoterapia Linfodrenante DermatologiaLe più diffuse patologie che riguardano la valvola mitralica (quella che collega atrio e ventricolo sinistri), sono la stenosi (restringimento) o l’insufficienza (perdita). Per capire quali siano le conseguenze delle due situazioni, occorre ricostruire il percorso effettuato dal sangue. Questo giunge al cuore attraverso il circolo polmonare dove il sangue si è arricchito di ossigeno, proprio attraverso la valvola mitrale che, quando è aperta, consente il flusso dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro. Richiudendosi, la valvola impedisce che il sangue torni indietro, dal ventricolo all’atrio.

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Semplificando, quando la valvola è troppo stretta (stenotica) non lascia entrare il sangue nel ventricolo, causando una congestione di sangue nell’atrio sinistro, e quindi a ritroso nel circolo polmonare. Per questo nei momenti in cui il soggetto compie azioni che richiedono sforzi di particolare intensità il cuore non riesce ad aumentare – come l’organismo richiederebbe – la quantità di sangue da pompare, sovraccaricando il circolo polmonare con il rischio di edema polmonare.

Se, al contrario, i lembi della valvola mitralica non si chiudono correttamente nel momento in cui il ventricolo pompa il sangue in periferia, si dice che la valvola perde (è insufficiente). In questo caso il sangue tende a tornare indietro, nell’atrio, ogni volta che c’è una contrazione del cuore, che per questo fatto è costretto a pompare più sangue per cercare di mantenere la giusta quantità da distribuire all’organismo. Il risultato è il cosiddetto “sovraccarico di volume” del cuore, che può essere portato avanti per mesi e anni senza avere sintomi, fino a quando l’insufficienza si sviluppa lentamente e progressivamente.

Entrambi i danni alle valvole (come anche la presenza di un prolasso mitralico), appaiono chiaramente ad un esame ecocardiografico effettuato con colordoppler.

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Differenza tra ecocardiografia ed elettrocardiogramma

MEDICINA ONLINE DOPPLER ECO COLOR ECOGRAFIA VASI CUORE ATRIO VENTRICOLO VALVOLE PROLASSO INSUFFICIENZA STENOSI SANGUE FLUSSO FLUSSOMETRIA DIREZIONE CALIBRO MISURA DIAGNOSI CARDIOLOGIA FLL’ecocardiografia è una metodica diagnostica che utilizza alcuni tipi di onde sonore, chiamate ultrasuoni, per la formazione di immagini delle strutture del cuore.
L’insieme di queste immagini che viene fuori utilizzando questa tecnica è appunto l’ecocardiogramma.
L’esame ecocardiografico permette al cardiologo di studiare l’anatomia ma anche la funzione di tutte le parti del cuore, cioè muscolo, camere cardiache, valvole, pareti,di cui consente di misurare anche gli spessori. Esso viene sempre abbinato ad uno studio doppler (ecocolordoppler cardiaco) che permette di studiare il flusso del sangue all’interno del cuore ed eventuali riflussi da insufficienza valvolare, stenosi o prolassi.

Come si svolge l’esame?
Il medico passa una sonda cosparsa di gel sul petto del paziente e visiona le immagini del cuore sullo schermo dell’apparecchio.

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L’elettrocardiogramma è un esame diagnostico che consente la riproduzione grafica, su monitor o su carta, dell’attività elettrica del cuore durante il suo funzionamento, registrata dalla superficie del corpo. Mediante il monitoraggio dell’attività di pompaggio del sangue che il cuore esegue mediante contrazioni e rilasciamenti è possibile individuare l’eventuale presenza di una malattia cardiaca o di un disturbo del ritmo (aritmia).
Questo esame può essere eseguito a riposo, mentre il paziente è supino sul lettino, o sotto sforzo, mentre il paziente cammina su un tapis roulant o pedala su una cyclette.
L’elettrocardiogramma a riposo permette di misurare il ritmo del cuore e l’eventuale aumento della dimensione delle camere cardiache, può essere utile per individuare eventuali aritmie.
L’elettrocardiogramma sotto sforzo invece può essere di aiuto per la diagnosi di patologie cardiache latenti.

Come si svolge l’esame?
Il paziente viene invitato a scoprire il petto togliendo gli indumenti. Al paziente vengono applicati sulla pelle alcuni elettrodi, collegati attraverso fili elettrici a un apparecchio chiamato elettrocardiografo. Gli elettrodi e i fili captano e trasmettono l’attività elettrica del cuore all’elettrocardiografo che la elabora e la stampa su carta sotto forma di un tracciato grafico (elettrocardiogramma). Per approfondire: Elettrocardiogramma (ECG) a riposo e sotto sforzo: cos’è ed a che serve?

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Edema polmonare acuto, cardiogeno, cause, sintomi e terapie

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ENFISEMA POLMONARE SINTOMI SI MUORE CURA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneL’edema polmonare è una condizione caratterizzata da un aumento dei liquidi nello spazio extravascolare (interstizio e alveoli) a livello del parenchima dei polmoni. L’edema polmonare acuto può essere secondario ad un aumento della pressione idrostatica nei capillari polmonari (insufficienza cardiaca o scompenso cardiaco acuto in lingua inglese acute heart failure, AHF), stenosi mitralica o ad un’alterazione delle membrane alveolocapillari (inalazione di sostanze irritanti, processi infettivi). Accumulandosi all’interno degli alveoli, le strutture in cui avvengono gli scambi di ossigeno tra l’aria e il sangue, i fluidi causano problemi respiratori.

I rischi dell’edema polmonare

L’accumulo di fluidi nei polmoni alla base dell’edema polmonare richiede un intervento immediato per evitare gravi complicazioni. Se non trattato può infatti portare all’aumento della pressione nell’arteria polmonare e, in alcuni casi, a una sofferenza del ventricolo destro del cuore. L’aumento di pressione si ripercuote sull’atrio destro e, di conseguenza, su diverse parti del corpo, portando a gonfiori addominali e a livello delle gambe, accumulo di liquidi intorno ai polmoni e congestione e gonfiori del fegato.

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Quali sono le cause dell’edema polmonare?

Nella maggior parte dei casi l’edema polmonare è causato da problemi cardiaci, ad esempio malattie coronariche, cardiomiopatie, problemi alle valvole cardiache e ipertensione. I liquidi possono però accumularsi anche a causa di infezioni ai polmoni, malattie renali, inalazione di fumi chimici, farmaci, uno scampato annegamento e sindrome da stress respiratorio acuto. Le cause esatte dell’edema polmonare da alta quota – una forma che In genere colpisce al di sopra dei 2.400 metri di altitudine o chi pratica sport in quota senza prima essersi acclimatato – non sono note, ma sembra che si tratti di un problema associato all’aumento della pressione causato dalla costrizione dei capillari polmonari.

Edema polmonare da squilibrio delle forze di Starling

L’edema polmonare può essere conseguente ad uno squilibrio delle forze di Starling che trattengono i liquidi plasmatici all’interno del letto capillare o ad un’alterazione delle membrane alveolocapillari:

  • Aumento della pressione capillare polmonare (insufficienza cardiaca, stenosi mitralica, edema da iperafflusso);
  • Diminuzione della pressione oncotica del plasma (iponchia);
  • Diminuzione della pressione interstiziale polmonare (rapida espansione di polmone collassato a causa di pneumotorace);
  • Eccessiva diminuzione della pressione endopleurica (aumento del volume di fine espirazione in corso di asma).

Edema polmonare acuto da insufficienza cardiaca

L’edema polmonare acuto cardiogeno (secondario ad una grave insufficienza cardiaca ad esempio da infarto del miocardio o da severe bradiaritmia) è dovuto alla disfunzione di pompa ventricolare conseguente a lesioni acute o croniche a livello delle strutture cardiache. Il deficit di pompa si traduce in un accumulo di liquidi a monte del ventricolo insufficiente, con aumento della pressione idrostatica nei distretti venosi che drenano i tessuti; in tal caso, l’aumento della pressione di deflusso venoso si ripercuote a livello dei capillari polmonari: in questa sede, l’incremento della pressione vascolare porta ad uno stravaso dei liquidi a livello dell’interstizio polmonare. Questa situazione viene definita “edema interstiziale”. A questo punto, un ulteriore innalzamento della pressione capillare può portare alla rottura della giunzioni occludenti degli alveoli polmonari con inondazione degli stessi. Questa situazione è definita “edema alveolare”.

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Quali sono i sintomi dell’edema polmonare?

L’edema polmonare improvviso si manifesta con respiro molto corto e difficoltà respiratorie che si aggravano sdraiandosi, un senso di soffocamento, rantoli o sibili, ansia e preoccupazione, sudorazione eccessiva, tosse (a volte con sangue), cute pallida, palpitazioni e, in alcuni casi, dolore al petto. L’edema polmonare cronico è invece caratterizzato da mancanza di respiro e difficoltà respiratorie mentre si pratica attività fisica, sibili, risvegli notturni per la mancanza di fiato, perdita dell’appetito, gambe e caviglie gonfie, stanchezza e, in caso di insufficienza cardiaca, un rapido aumento di peso. I sintomi dell’edema da alta quota sono mal di testa, insonnia, ritenzione idrica, tosse e fiato corto.

Come prevenire l’edema polmonare?

Spesso l’edema polmonare non è prevenibile, ma uno stile di vita mirato alla prevenzione delle malattie cardiovascolari aiuta anche a ridurne la probabilità. Per questo è importante tenere sotto controllo lo stress, la pressione sanguigna e i livelli di colesterolo, praticare un’attività fisica regolare, mantenere un peso salutare, seguire un’alimentazione ricca di frutta fresca, verdure e latticini a basso contenuto di grassi, limitare il consumo di sale e di alcol e non fumare.

Diagnosi

La diagnosi di edema polmonare richiede una visita medica e una radiografia al torace.
È possibile che vengano valutati i livelli di ossigeno e di anidride carbonica nel sangue e la concentrazione di peptide natriuretico di tipo B, che può indicare la presenza di problemi cardiaci.

Altri possibili esami sono:

  • ecografia cardiaca con colordoppler;
  • test per la funzionalità renale;
  • esami del sangue;
  • esami per escludere la possibilità di infarto;
  • elettrocardiogramma;
  • ecocardiogramma transesofageo;
  • cateterismo dell’arteria polmonare;
  • cateterismo cardiaco.

Trattamenti

Il trattamento immediato dell’edema polmonare prevede la somministrazione di ossigeno. In alcuni casi può essere necessaria la ventilazione assistita.
A seconda della situazione è possibile che vengano somministrati:

  • farmaci per la riduzione del precarico;
  • morfina per ridurre l’ansia e l’affanno respiratorio;
  • farmaci per la riduzione del postcarico;
  • antipertensivi.

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Lo Staff di Medicina OnLine

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