Fibromialgia: sintomi, cause, cura e tender points

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma FIBROMIALGIA SINTOMI CAUSE CURA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa fibromialgia (detta anche sindrome fibromialgica, FM, o sindrome di Atlante; in inglese “fibromyalgia”) è una sindrome idiopatica Continua a leggere

Dolori alle articolazioni: cosa fare? Cause e rimedi

MEDICINA ONLINE DOLORE ARTICOLAZIONE SINGOLA VARIE OSTEOARTRITE ARTRITE ARTROSI SCHELETRO MUSCOLO TENDINE LEGAMENTO PAINIl dolore articolare è un sintomo molto frequente nella popolazione, che colpisce prevalentemente gli anziani, a causa del processo di usura delle articolazioni, ma che può manifestarsi in qualsiasi fascia d’età. Non è una vera e propria patologia ma riflette un problema a livello delle articolazioni, cioè le giunzioni tra un osso e un altro, che può essere sia di natura patologica che legato a condizioni non patologiche. L’incidenza è uguale sia negli uomini che nelle donne se consideriamo il periodo pre – menopausa in queste ultime, viceversa, prendendo in considerazione le donne in menopausa, si ha un’incidenza tre volte maggiore, con un rapporto donna:uomo di 3:1. Quali sono le articolazioni coinvolte?

Le articolazioni più colpite sono quelle più esposte ad usura o danneggiamento

I dolori articolari colpiscono prevalentemente le articolazioni mobili, quelle cioè che vengono utilizzate per compiere movimento e che pertanto risultano più esposte al rischio di usura o danneggiamento. Le articolazioni che possono essere colpite sono:

  • Arto superiore: a livello delle braccia le articolazioni che possono essere coinvolte sono quella scapolo – omerale, che si trova tra la scapola e l’omero, quella del gomito, formata dall’articolazione omero – ulnare (tra omero e ulna), omero – radiale (tra omero e radio) e radio – ulnare (tra radio e ulna), e l’articolazione del polso, che è formata dal radio e dal carpo.
  • Mano: le articolazioni colpite possono essere quelle tra carpo e metacarpo, tra metacarpo e falangi, oppure tra le varie parti delle falangi (articolazioni delle dita).
  • Arto inferiore: a livello dell’arto inferiore il dolore articolare può colpire l’articolazione coxo – femorale, costituita dal bacino e dal femore, quella del ginocchio, costituita dal femore, dalla rotula e dalla tibia, e l’articolazione della caviglia con il piede o tibio – tarsica, costituita dalla tibia e dal tarso.

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Cenni di anatomia

Per comprendere meglio la genesi di un dolore articolare vediamo come sono fatte anatomicamente le articolazioni, che rappresentano una giunzione tra un osso e un altro. Nello scheletro umano esistono un gran numero di differenti tipi di articolazioni che si distinguono essenzialmente in:

  • Articolazioni fisse, come quelle che si trovano tra le ossa del cranio, che non consentono nessun movimento e che hanno soltanto il compito di tenere insieme i due segmenti ossei contigui.
  • Articolazioni semimobili, come quelle che si trovano tra le vertebre, che consentono movimenti limitati.
  • Articolazioni mobili, le più comuni, come quelle del ginocchio, del braccio o della spalla, che consentono ampi movimenti.

Le articolazioni mobili sono quelle più frequentemente colpite da dolore articolare. Anatomicamente in esse, partendo dall’esterno verso l’interno, possiamo distinguere diverse strutture come:

  • La capsula articolare, cioè il rivestimento più esterno formato da tessuto connettivo, che racchiude tutte le strutture contenute nell’articolazione.
  • La membrana articolare, che ricopre le due ossa che costituiscono l’articolazione e che è costituita anch’essa da connettivo. Viene anche chiamata membrana sinoviale.
  • Lo spazio articolare o spazio sinoviale, che si trova tra la membrana sinoviale e la cartilagine articolare che riveste la superficie delle ossa.
  • Il liquido sinoviale, contenuto all’interno dello spazio sinoviale, che ha funzione lubrificante.
  • Le due ossa, rivestite all’estremità costituente l’articolazione, da cartilagine articolare.

Alcune patologie, tipiche o meno delle ossa, possono essere causa di forti dolori articolari.

Le cause patologiche che possono portare a forti dolori articolari

  • Artrite: è una patologia che causa infiammazione delle articolazioni e che provoca l’insorgenza di dolori acuti e talvolta invalidanti. L’artrite può essere dovuta a diversi fattori scatenanti come la riduzione delle cartilagini con conseguente sfregamento delle ossa, le patologie autoimmuni, responsabili di artrite reumatoide e psoriaca in cui gli autoanticorpi attaccano le articolazioni infiammandole, la gotta, responsabile di artrite gottosa, in cui l’eccesso di acido urico provoca la formazione di cristalli che si depositano a livello dell’articolazione causando infiammazione, o alcune infezioni batteriche.
  • Obesità: chi soffre di obesità patologica rischia di soffrire anche di dolori articolari. Questo accade poichè l’eccessivo peso causa una maggiore sollecitazione delle articolazioni durante il movimento e pertanto possono esserci artrosi e degenerazione della cartilagine o infiammazione dell’articolazione.
  • Osteoporosi: è la maggiore responsabile dei dolori articolari nell’età anziana e in menopausa ed è una patologia legata alla demineralizzazione delle ossa che si verifica con l’età e con la carenza di estrogeni. Le ossa sono più fragili e quindi è più facile incorrere in fenomeni infiammatori e/o di artrosi.
  • Iperparatiroidismo: è una condizione causata dalla presenza di un tumore benigno alle paratiroidi il quale determina un’ipersecrezione di ormone paratiroideo. Questo ormone, se secreto in eccesso, causa alterazione del metabolismo del calcio ed in particolare provoca un deficit di calcio che può portare all’insorgenza di osteoporosi e di dolori articolari.
  • Problemi tiroidei: alcune patologie che riguardano la tiroide come la tiroidite di Hashimoto e l’ipotiroidismo, possono essere causa di dolori articolari. Nel primo caso il dolore è legato alla presenza di autoanticorpi che attaccano le strutture dell’organismo stesso, comprese le articolazioni, nel secondo caso invece a causare l’insorgenza dei dolori articolari è lo squilibrio metabolico causato dalla riduzione della funzionalità tiroidea.
  • Influenza: le sindromi influenzali sono spesso accompagnate da dolori articolari, questo è causato dall’infiammazione che l’infezione virale determina nell’intero organismo e che colpisce anche le articolazioni.

Le cause di tipo non patologico

I dolori articolari possono essere anche causati da condizioni non patologiche. Tra quelle più comuni possiamo citare:

  • Artrosi: sebbene spesso venga inserita tra le patologie l’artrosi è un processo degenerativo a carico della cartilagine articolare, legato all’età, alla menopausa e all’eccessiva sollecitazione articolare. L’assottigliamento delle cartilagini determina il contatto tra le due ossa che compongono l’articolazione le quali, sfregando l’una sull’altra, provocano l’insorgenza di un’infiammazione e di dolore.
  • Gravidanza: spesso in gravidanza si soffre di dolori articolari. Questo è dovuto sia ai cambiamenti ormonali che si verificano in questo periodo, sia all’aumento di dimensioni dell’utero che provoca una maggiore sollecitazione delle articolazioni, in particolare di quelle del bacino (coxo – femorale) e di quella del ginocchio.
  • Sbalzi ormonali: talvolta i dolori articolari si manifestano in determinati periodi della vita di una donna, come per esempio prima del ciclo mestruale, nel post parto, durante l’allattamento o in menopausa. I responsabili sono gli ormoni e le variazioni nei loro livelli che si verificano in questi periodi e che determinano diverse alterazioni, tra cui un’alterazione del metabolismo del calcio, possibile responsabile, insieme ad altri fattori non del tutto noti, dell’insorgenza dei dolori articolari.
  • Sport: chi pratica sport a livello agonistico può soffrire di dolori articolari. La causa è in questo caso legata all’eccessivo uso delle articolazioni per compiere movimenti frequenti e ripetitivi e questo può portare a usura della cartilagine articolare e all’insorgenza di dolore.
  • Freddo: l’abbassamento della temperatura e l’esposizione ad un clima umido sono due fattori comunemente associati alla presenza di dolore articolare. Non è ancora ben chiara l’associazione tra dolori articolari e freddo ma sembra che possa essere qualcosa legato agli sbalzi pressori e di temperatura.

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I sintomi associati al dolore articolare

Ai dolori articolari possono essere associati alcuni sintomi che possono indirizzare il clinico ad individuare con maggiore facilità la causa scatenante e a formulare una diagnosi corretta. Tra i sintomi comunemente associati abbiamo:

  • Gonfiore: l’infiammazione alle articolazioni può determinare un edema, cioè un accumulo di liquidi a livello della parte infiammata, che causa gonfiore articolare. È una condizione tipica di tutti i processi infiammatori.
  • Arrossamento: il rossore a livello dell’articolazione dolorante è sintomo di infiammazione in corso. È particolarmente frequente in caso di artrite reumatoide o gottosa.
  • Febbre: la febbre può verificarsi in associazione ai dolori articolari in caso di influenza.
  • Rigidità: la rigidità delle articolazioni accompagnata a dolore è tipica di situazioni autoimmuni come l’artrite reumatoide o di reumatismi causati da freddo.
  • Dolori muscolari: in caso di influenza o di ipotiroidismo, di artrite o ancora di dolori articolari da sport è possibile che si verifichino contemporaneamente dolori a carico dei muscoli.
  • Prurito: talvolta insieme al dolore articolare può manifestarsi un intenso prurito. Un esempio può essere l’artrite psoriaca, in cui si ha la presenza di chiazze rossastre e pruriginose sulla pelle e la contemporanea presenza di dolore articolare.
  • Dolore alla schiena: si accompagna spesso ai dolori articolari in caso di influenza, in cui hanno dolori alle ossa diffusi, in caso di obesità, in cui la schiena viene sollecitata eccessivamente come avviene alle articolazioni, e in caso di gravidanza, in cui il peso dell’utero aumentato di volume causa un maggiore affaticamento di schiena e articolazioni.

Diagnosi: come scoprire la patologia di base

La diagnosi di dolore articolare è importante al fine di identificare la causa che ha portato all’insorgenza del dolore e per predisporre un trattamento terapeutico adeguato. La diagnosi di dolore articolare viene eseguita dal medico ortopedico prevalentemente sulla base dell’anamnesi, dei sintomi riferiti dal paziente e dell’esame obiettivo. Il medico potrà poi decidere di eseguire altri esami, volti ad identificare la causa che ha portato all’insorgenza di dolore.

Tra questi possiamo citare:

  • Esami del sangue: possono essere utili per comprendere se vi siano patologie che possono portare a dolori articolari. In particolare può essere utile valutare la presenza di autoanticorpi, che possono essere indice di patologie autoimmuni come l’artrite reumatoide, o l’eccesso di acido urico, responsabile della gotta.
  • Radiografia: tramite l’utilizzo dei raggi X è possibile vedere lo stato delle articolazioni, valutando se vi è assottigliamento della cartilagine, se è presente edema (cioè accumulo di liquido) e se c’è la presenza di deformità ossea dovuta ad artrosi o artrite.
  • Densitometria ossea: è un particolare tipo di esame che serve a valutare la composizione dell’osso in termini di contenuto di minerali. È utile per sapere se il soggetto soffre o meno di osteoporosi, che potrebbe essere la causa dei dolori articolari.

Rimedi naturali per i dolori articolari

Per trattare in maniera naturale il dolore alle articolazioni è possibile ricorrere a rimedi di natura fitoterapica oppure omeopatica o ancora all’assunzione di integratori alimentari. Tutte le le terapie mirano a ridurre il fenomeno infiammatorio a carico delle articolazioni che provoca il dolore, ed in particolare la fitoterapia si avvale di:

  • Artiglio del diavolo: contiene come principio attivo l’arpagoside, insieme a triterpeni e flavonoidi, che gli conferiscono proprietà antinfiammatorie. Si può applicare, sottoforma di pomata, a livello dell’articolazione dolente, massaggiando fino al completo assorbimento, oppure può essere assunto sottoforma di gocce di tintura madre o di infuso.
  • Curcuma: grazie al suo contenuto di curcumina, la curcuma è un ottimo antinfiammatorio e antidolorifico naturale. Si può utilizzare per realizzare un unguento casalingo, miscelandola all’olio di oliva e poi applicandola sulla parte da trattare, oppure assumendo il preparato per via orale, utilizzandolo come condimento.
  • Spirea: contiene tra i suoi principi attivi gli acidi salicilici, che hanno una ben nota azione antinfiammatoria (l’acido acetilsalicilico è infatti il componente principale dell’aspirina). Può essere utilizzata sottoforma di pomata, da applicare in base alle necessità, o può essere assunta per via orale, sottoforma di gocce o di capsule.
  • Bowsellia: è una pianta che tra i suoi principi attivi contiene acidi triterpenici pentaciclici come l’acido boswellico, che le conferiscono proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche. Può essere utilizzata come componente di pomate e unguenti che vanno spalmati direttamente sulla parte da trattare, oppure sottoforma di estratto secco.
  • Acido ialuronico: è un costituente naturale del tessuto connettivo che appartiene alla categoria dei glucosamminoglicani e che ha la capacità di trattenere l’acqua (cioè di idratarsi) e di svolgere un effetto antinfiammatorio,cicatrizzante e lubrificante. Si può assumere sottoforma di capsule.Tra gli integratori alimentari che possono aiutare a ridurre i fenomeni infiammatori abbiamo quelli a base di:
  • Glucosammina: appartiene alla categoria degli zuccheri amminici, ed è precursore dei glicosamminoglicani, che costituiscono gran parte della cartilagine. Per tale motivo può essere usata nel trattamento dei dolori articolari e si assume, solitamente, sottoforma di capsule.
  • Collagene: costituisce moltissimi tessuti nel nostro corpo tra cui anche tendini e cartilagine. Tende a ridursi con l’avanzare del’età e pertanto, assumendolo per via orale sottoforma di capsule, è possibile aumentarne la quantità e alleviare la sintomatologia dolorosa alle articolazioni.

Infine, tra i rimedi omeopatici, da assumere a concentrazioni e posologie diverse in base ai casi, che vanno decise dall’omeopata dopo aver esposto il nostro problema, possiamo citare:

  • Bryonia: da utilizzarsi nel caso in cui il dolore articolare peggiora con il movimento, questo rimedio è indicato nel caso in cui si presentino, insieme al dolore, gonfiore e rossore dell’articolazione.
  • Rhus toxicodendron: va utilizzato in caso di dolore articolare con coinvolgimento dei tendini e dei legamenti, ed in caso di dolore di tipo artrosico che si accompagna a rigidità dell’articolazione e che si manifesta principalmente la mattina al risveglio.
  • Kalicum carbonicum: molto utile nel trattamento di dolori articolari legati all’obesità o al periodo della menopausa. Utile anche per l’artrosi localizzata alle ginocchia.
  • Calcarea carbonica: è un rimedio che risulta particolarmente utile quando il dolore articolare è causato dall’osteoporosi legata all’avanzamento dell’età e quando il dolore si intensifica se ci si espone ad un clima umido.
  • Pulsatilla: questo rimedio è particolarmente utile per i dolori che si presentano a livello delle articolazioni del ginocchio, della caviglia e delle mani, e delle anche.

Rimedi farmacologici per alleviare i sintomi

Il trattamento farmacologico del dolore articolare è mirato a risolvere il sintomo ma spesso non la causa scatenante, per la quale i rimedi variano in base ai casi. Per il trattamento della sintomatologia dolorosa è possibile impiegare i seguenti farmaci:

  • FANS: gli antinfiammatori non steroidei (FANS) sono i farmaci più utilizzati per il trattamento dei dolori articolari. Tra quelli maggiormente usati abbiamo l’ibuprofene, il naprossene sodico, e l’indometacina. Si possono assumere per via orale, ed in questo caso non possono essere impiegati per molto tempo e ad alte dosi poichè hanno un effetto collaterale importante sulla mucosa gastrica e possono portare all’insorgenza di gastrite erosiva o ulcera, oppure sottoforma di pomata da applicare direttamente sulla parte da trattare.
  • Paracetamolo: conosciuto con il nome commerciale di tachipirina, questo farmaco ha effetto antidolorifico e antinfiammatorio ma, a differenza dei fans, non causa effetti collaterali al sistema gastrointestinale e pertanto può essere assunto per un periodo di tempo maggiore. Esiste in commercio sotto varie forme come capsule e soluzioni granulari.
  • Corticosteroidi: sono dei potenti antinfiammatori che vanno utilizzati in caso di processi infiammatori molto forti o che non rispondono ai fans e al paracetamolo. Il più utilizzato è il cortisone che può essere assunto per via orale, tramite pomata per applicazioni locali, o essere utilizzato per fare delle infiltrazioni direttamente sulla parte da trattare.
  • Altri farmaci possono poi essere impiegati in base alla causa scatenante, come per esempio gli immunosoppressori in caso di artrite reumatoide o psoriasica, oppure la colchicina in caso di artrite gottosa.

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Artrite reumatoide: sintomi iniziali, cause, cure e mortalità

una mano normale e una mano con artrite reumatoideL’artrite reumatoide (abbreviato “AR”; in inglese “rheumatoid arthritis”, da cui l’acronimo “RA”) è una poliartrite infiammatoria cronica, anchilosante e progressiva a patogenesi autoimmunitaria e di eziologia sconosciuta, principalmente a carico delle articolazioni sinoviali. Le articolazioni interessate diventano dolenti, tumefatte e vanno deformandosi con il tempo. Può coinvolgere anche altri organi e apparati come il polmone, le sierose, l’occhio, la cute e i vasi. Si differenzia dall’osteoartrosi perché interessa inizialmente la membrana sinoviale e non la cartilagine, colpisce con meno frequenza e in età più giovane rispetto all’osteoartrosi; sono più colpite le donne (rapporto 3:1). Interessa l’1-2% della popolazione e il numero dei casi aumenta con l’età, infatti è colpito il 5% delle donne oltre i 55 anni. L’esordio si osserva prevalentemente al termine della adolescenza o tra 4º e 5º decennio di vita; un secondo picco si osserva tra i 60 e 70 anni. Una variante precoce dell’AR è costituita dall’artrite reumatoide dell’infanzia.

Leggi anche: Malattie reumatiche: cosa sono, come si curano, sono pericolose?

Che cos’è l’artrite reumatoide?

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica sistemica che colpisce le articolazioni sia piccole che grandi, che diventano dolenti, tumefatte e con il tempo deformate, ma che può coinvolgere anche altri organi e apparati come il polmone, le sierose, l’occhio, la cute e i vasi.
Esistono due varianti particolari e rare di artrite reumatoide:

  • il morbo di Felty, caratterizzato da ingrandimento della milza, riduzione dei granulociti neutrofili all’emocromo e febbre;
  • la sindrome di Kaplan: una pneumoconiosi polmonare.

L’artrite reumatoide colpisce più frequentemente le donne, soprattutto fra i 40 e i 50 anni. La prevalenza è stimata intorno all’1% della popolazione generale adulta e possono verificarsi casi di familiarità, ma più spesso è una malattia sporadica.

Leggi anche: Differenze tra artrite ed artrosi: sintomi comuni e diversi

Quali sono le cause dell’artrite reumatoide?

L’Artrite Reumatoide non ha una causa unica e ben determinata: si ritiene che un fattore ambientale possa ingannare il sistema immunitario (mimetismo molecolare) o modificare alcuni antigeni che dovrebbero essere visti come propri dal sistema immunitario (self), ciò interrompe la tolleranza immunologica nei confronti di alcune proteine umane, come il collagene articolare, provocando una disregolazione dei linfociti T e dei linfociti B e conseguente produzione di citochine infiammatorie, come il TNF alpha e l’IL17. In un’alta percentuale di soggetti affetti da Artrite Reumatoide, specie in quelli portatori dell’HLA DR4 o DR1, sono presenti il fattore reumatoide e gli anticorpi anti-proteine citrullinate (anti-CCP), questi ultimi sono altamente specifici di malattia.

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Quali sono i sintomi e segni dell’artrite reumatoide?

Le articolazioni vengono generalmente interessate in maniera simmetrica e aggiuntiva; a essere colpite sono in genere le piccole articolazioni delle mani e dei piedi, ma qualsiasi articolazione diartrodiale (cioè dotata di membrana sinoviale) può essere coincolta. Più frequentemente l’infiammazione è poliarticolare, ossia interessa più di quattro articolazioni, e, se non trattata o non responsiva ai trattamenti, può provocare erosioni ossee e deformità. Una delle caratteristiche cliniche della malattia è la rigidità articolare prevalentemente al mattino, che può durare anche per molte ore. L’interessamento della colonna vertebrale non è tipico dell’artrite reumatoide sebbene tardivamente ci possa essere un coinvolgimento del rachide cervicale con impegno del dente dell’epistrofeo e possibile interessamento del midollo spinale. Per quanto concerne l’interessamento sistemico la malattia può causare fibrosi polmonare, sierositi, vasculiti, nodulosi cutanea e degli organi interni, episcleriti e scleriti, amiloidosi.

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Diagnosi

Le indagini per la diagnosi di malattia e per la ricerca e stadiazione dell’impegno d’organo comprendono, oltre all’esecuzione di esami ematici per la ricerca del Fattore Reumatoide e degli anticorpi anti-CCP, anche il dosaggio degli indici di infiammazione come la velocità di eritrosedimentazione (VES) e della proteina C reattiva (PCR). Inoltre:

  • per evidenziare versamento articolare, ipertrofia sinoviale, borsiti/tenosinoviti, erosioni ossee:
    • ecografia articolare;
    • radiografia articolare;
    • risonanza magnetica articolare;
  • per lo studio della densità minerale ossea:
    • mineralometria ossea computerizzata (MOC).

Per approfondire:

In caso di interessamento extra-articolare:

  • spirometria, DLCO, TC torace ad alta risoluzione per lo studio dei polmoni;
  • ecocardiogramma per lo studio del cuore.

Relativamente al fattore reumatoide ed ai test che si usano per valutarlo, ti consiglio di leggere anche:

Criteri classificativi

I criteri classificativi sono stati recentemente rivisti da un gruppo internazionale di esperti e richiedono un punteggio maggiore o uguale a 6 per fare diagnosi considerando:

  • coinvolgimento articolare:
    • coinvolgimento di una grossa articolazione (0 punti),
    • coinvolgimento da 2 a 10 grandi articolazioni (1 pt),
    • coinvolgimento da 1 a 3 piccole articolazioni (2 pt),
    • coinvolgimento da 4 a 10 piccole articolazioni (3 pt),
    • coinvolgimento di più di 10 articolazioni (5 pt),
  • fattore reumatoide e anti-CCP:
    • negatività del fattore reumatoide e degli anti-CCP (0 pt),
    • bassa positività del fattore reumatoide o degli anti-CCP (2 pt),
    • alta positività del fattore reumatoide o degli anti-CCP (3 pt,
  • indici infiammatori:
    • indici di flogosi normali (0 pt),
    • indici di flogosi alterati (1 pt),
  • durata dei sintomi:
    • durata dei sintomi inferiore a sei settimane (0 pt),
    • durata dei sintomi maggiore di sei settimane (1 pt).

Stadiazione, decorso e trattamenti

Lo stato della malattia può essere identificato analizzando il tipo di lesioni sul paziente; il decorso è assai vario; sono possibili vari trattamenti farmacologici: a tale proposito leggi: Artrite reumatoide: stadiazione, decorso e trattamenti

Prognosi e mortalità

La compromissione delle articolazioni comporta una limitazione della mobilità che può sfociare in invalidità e successiva morte prematura. Un caso tristemente famoso è quello della popolare attrice e scrittrice Anna Marchesini, affetta da artrite reumatoide, morta ad appena 62 anni. Il decorso della malattia varia notevolmente da caso a caso. Alcuni pazienti presentano sintomi lievi a breve termine, ma nella maggior parte di essi la malattia progredisce per tutta la vita. Circa il 20%-30% dei casi svilupperà noduli sottocutanei (noti come noduli reumatoidi).

I fattori prognostici negativi includono:

  • Sinovite persistente.
  • Malattia erosiva precoce.
  • Reperti extra-articolari (compresi noduli reumatoidi sottocutanei).
  • Risultati sierologici positivi per artrite reumatoide.
  • Positività sierologica agli anticorpi anti-CCP.
  • Storia familiare di artrite reumatoide.
  • Stato funzionale scadente.
  • Basso status socio-economico.
  • Elevata risposta della fase acuta (velocità di sedimentazione eritrocitaria, la proteina C-reattiva).
  • Aumento rapido della gravità clinica.
  • Scarsa risposta ai farmaci ed alla fisioterapia.
  • Vita sedentaria.
  • Uso di droghe, alcolismo, tabagismo.
  • Alimentazione scorretta.
  • Età avanzata.
  • Presenza di altre patologie (cardiopatie, diabete, coagulopatie, obesità…).

Uno studio del 2006, sostiene che l’artrite reumatoide riduca la durata della vita delle persone da circa 3 a 12 anni. Uno studio del 2005 della Mayo Clinic ha osservato che gli affetti da tale condizione hanno un rischio raddoppiato di incorrere in malattie cardiache indipendente da altri fattori di rischio come il diabete, l’abuso di alcol, colesterolo elevato, pressione arteriosa e un indice di massa corporea elevati. Il meccanismo attraverso il quale l’artrite reumatoide causa questo aumento del rischio rimane sconosciuto; la presenza di una infiammazione cronica è stata proposta come un fattore, almeno in parte, responsabile. Risposte positive alla terapia possono certamente indicare una prognosi migliore.

Leggi anche: Lupus eritematoso sistemico (LES): cause, sintomi e terapie

I migliori prodotti per la cura delle ossa e dei dolori articolari

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Differenze tra artrite ed artrosi: sintomi comuni e diversi

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La mano di un paziente con artrite reumatoide

Artrite ed artrosi sono due patologie che rientrano nella categoria delle reumatologia (in inglese “rheumatology”), entrambe interessano le articolazioni ed entrambe sono caratterizzate da dolore accompagnato da rigidità e limitazione nei movimenti delle articolazioni colpite. Sono proprio queste somiglianze a generare talvolta la confusione tra artrosi e artrite, a volte scambiate l’una per l’altra. Eppure sono due malattie ben distinte che si differenziano in diversi punti: l’artrite è una patologia infiammatoria cronica di origine autoimmune che può svilupparsi in soggetti di ogni età, anche nei bambini, mentre l’artrosi è una malattia degenerativa che insorge soprattutto dopo i 60 anni.

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Artrite

L’artrite (in inglese “arthritis”) si manifesta con l’infiammazione articolare caratterizzata da:

  • gonfiore,
  • tumefazione,
  • arrossamento,
  • rigidità,
  • aumento della temperatura nell’area colpita,
  • dolori che comportano anche la perdita della capacità motoria delle articolazioni interessate.

Le forme più severe possono deformare le articolazioni, compromettendo la capacità di svolgere anche i più semplici compiti quotidiani. Possono esserne colpite persone di ogni età e con il passare degli anni l’infiammazione tende a peggiorare se non riconosciuta e curata adeguatamente. Esistono diversi tipi di artrite, tra cui l’artrite reumatoide (anche nella forma giovanile), la gotta, e l’artrite nell’ambito di malattie del connettivo quali il lupus eritematoso sistemico. Le cause possono essere di origine metabolica, traumatica, infettiva o idiopatica.

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Classificazione eziologica delle artriti

  • Artrite Reumatoide
  • Spondilo artriti o marker negative:
    • Spondilite anchilosante
    • Spondilite psoriasica
    • Intestinali (Entesoartrite enteropatica)
    • Reattive
    • Indifferenziate
  • Del bambino (idiopatica giovanile)
  • Da cristalli (dismetaboliche)
  • Settiche (da agenti infettivi)

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Artrosi

L’artrosi (o osteoartrosi, in inglese “Osteoarthritis”) a differenza dell’artrite, non è una malattia infiammatoria, ma una forma degenerativa cronica. È una delle cause più comuni di disturbi dolorosi, colpisce circa il 10% della popolazione adulta generale, e il 50% delle persone che hanno superato i 60 anni di età. Costituiscono fattori predisponenti l’obesità, il sesso femminile, parenti affetti da tale malattia, traumi articolari, stress continuo, umidità. I sintomi e i segni clinici che si presentano sono tutti localizzati nell’articolazione interessata:

  • dolore,
  • limitazione del movimento,
  • rigidità,
  • deformità articolare.

Durante il manifestarsi di tale patologia nascono nuovo tessuto connettivo e nuovo osso attorno alla zona interessata. Colpisce soprattutto le persone più avanti con gli anni perché è connessa all’usura delle articolazioni. Le strutture articolari più frequentemente colpite sono quelle maggiormente sollecitate dal peso e dall’attività, tra cui ginocchia, anche, spalle, mani, piedi e colonna vertebrale. Con il processo degenerativo dell’artrosi si assiste a un assottigliamento della cartilagine articolare e in seguito a deformità ossee che causano il dolore e i sintomi specifici dell’artrosi, particolarmente evidenti a livello delle falangi distali delle mani. L’articolazione interessata presenta caratteristiche alterazioni della cartilagine, con assottigliamento, fissurazione, formazione di osteofiti marginali e zone di osteosclerosi subcondrale nelle aree di carico. La membrana sinoviale si presenta iperemica e ipertrofica, la capsula è edematosa e fibrosclerotica.

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Terapie

Riguardo alla terapia dell’artrosi, i cambiamenti nello stile di vita, specialmente la perdita di peso e l’attività fisica, uniti alla terapia analgesica, rappresentano il perno del trattamento. Il paracetamolo rappresenta il farmaco di prima linea, mentre gli antinfiammatori non steroidei (FANS) sono indicati solo nel caso il sollievo dal dolore non sia sufficiente, in relazione alla minore incidenza di effetti collaterali del primo nella terapia cronica.
Allo stato attuale non esiste una cura universale e definitiva in grado di debellare le forme più diffuse di artrite, come l’artrite reumatoide. Attraverso un trattamento appropriato, mirato alla riduzione del dolore, alla rivisitazione delle proprie abitudini comportamentali ed alla prevenzione delle lesioni articolari, è comunque possibile convivere con la malattia e mantenere una buona qualità di vita.

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Feci dure, stitichezza e dolore defecazione: cause e cure

MEDICINA ONLINE DIARREA VIAGGIATORE VACANZA VIAGGIO CIBO ESOTICO INFEZIONI CIBI CONTAMINATI ACQUA INTESTINO DOLORE FECI LIQUIDELa frequenza delle evacuazioni intestinali fra le persona sane varia notevolmente: da tre evacuazioni al giorno a tre alla settimana.
Di norma le feci vengono espulse senza sforzo, senza fastidio e senza eccessiva tensione addominale.

Per stitichezza o stipsi quindi si intende un numero ridotto di evacuazioni o la difficoltà ad espellere le feci.

Poiché la funzione principale dell’intestino crasso (colon) è quella di riassorbire l’acqua presente al suo interno, un rallentato transito del cibo digerito lungo il colon determina un maggior riassorbimento d’acqua con indurimento delle feci e di conseguenza minor numero di evacuazioni, cioè stitichezza.

Se trascorrono più di tre giorni senza defecare, il contenuto intestinale può indurirsi al punto che una persona non solo ha difficoltà ma ha anche dolore all’espulsione del materiale fecale.
Può essere considerata stipsi anche il forte sforzo necessario ad evacuare nonché la sensazione di svuotamento incompleto del retto (tenesmo).

Esistono molte false convinzioni circa il corretto funzionamento dell’intestino. Una di queste è che si debba evacuare ogni giorno. Un’altra è le scorie alimentari, trattenute più a lungo nel corpo, vengano riassorbite e siano pericolose per la salute, producano malattie o accorcino la vita.
Queste false credenze hanno portato all’eccesivo utilizzo e all’abuso di lassativi o addirittura a procedure meccaniche quali l’irrigazione del colon.
Va sottolineato che l’uso continuo di lassativi stimolanti può causare dipendenza e che sottoporsi frequentemente ad irrigazioni coliche può essere all’origini di serie complicanze.

Anche se può essere estremamente fastidiosa, la stitichezza di per sé non è un problema serio. Comunque, se essa si manifesta improvvisamente, può essere il campanello di allarme e l’unico sintomo di un problema importante quale il cancro del colon-retto.
La stipsi nel tempo può essere all’origine di complicanze come le emorroidi (dovute a sforzo eccessivo) o a ragadi (dovute al passaggio di feci dure che stirano gli sfinteri anali). Ambedue queste situazioni causano sanguinamento anale con emissione di sangue rosso vivo che tinge le feci.

Le ragadi possono essere molto dolorose e a loro volta possono aggravare la stipsi che è alla loro origine.
Le feci dure possono incastrarsi nel canale anale sia nei bambini che nei vecchi e ciò può essere causa di perdita di controllo dell’evacuazione con fuoriuscita di liquidi dal retto che passano attorno all’impatto fecale.
Talvolta uno sforzo eccessivo determina la fuoriuscita dal retto di parete intestinale, chiamata prolasso rettale, ed essa può essere accompagnata da secrezione di muco che macchia la biancheria intima.

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COS’E’ LA STITICHEZZA ?

Essa consiste nell’avere meno di tre defecazioni alla settimana. Quando questo fatto dura tre o più settimane, viene considerato stitichezza cronica. Circa il 16% degli occidentali adulti, e circa un terzo degli adulti sopra i 60 anni soffrono di stitichezza cronica.I sintomi possono variare da soggetto a soggetto.

I sintomi più caratteristici della stitichezza cronica sono:

  •  Defecazione forzata (ponzamento).
  • Senso di defecazione incompleta (tenesmo).
  • Defecazione prolungata.
  • Evacuazione con feci dure e/o a palline (caprine).
  • Ragadi o lacerazioni della mucosa anale.
  •  Dolori addominale, rigonfiamento e/o malessere.

CAUSE
La stitichezza cronica è un disturbo comune che annovera numerose cause possibili. In molti casi la causa principale è sconosciuta.
Nella maggior parte dei casi la stipsi è un sintomo, non una malattia.
Come la febbre la stitichezza può essere causata da molte situazioni diverse.
Quasi tutti hanno provato episodi occasionali di stitichezza che si è risolta nel tempo e con qualche accorgimento dietetico.

Le cause più comuni sono::

  • Dieta inadeguata. Ricca di grassi animali (carne, latticini e uova), di zuccheri (torte e dolciumi vari), ma povera di fibre (verdura, frutta e cereali integrali), soprattutto povera di fibre insolubili che determinano le normali contrazioni peristaltiche intestinali e così aiutano la massa fecale a progredire nell’intestino e ad essere poì espulsa.
    Tutti gli studi nel settore hanno stabilito che una dieta ad alto contenuto di fibre determina un aumento della massa fecale che a sua volta porta a svuotamenti più frequenti e a minor stipsi.
  • Sindrome dell’Intestino Irritabile. Questa sindrome è spesso accompagnata da stipsi.
    Le eccessive contrazioni o spasmi della muscolatura del colon rallentano il percorso del materiale fecale all’interno del viscere, si ha così anche un aumentato riassorbimento di acqua che causa feci sempre più dure e conseguente stipsi.
    La stipsi nell’intestino irritabile è diversa da quella funzionale in quanto è accompagnata da dolore addominale.
  •  Cattive abitudini comportamentali. Un individuo può diventare stitico se ignora o reprime lo stimolo ad andare di corpo.
    Questo succede quando non si vuole utilizzare bagni pubblici per questioni igieniche o per troppa ressa.
    Dopo un po’ di tempo lo stimolo non è più percepito e ciò porta a stipsi. I bambini reprimono lo stimolo se impegnati in giochi o per non frequentare toilette non famigliari (a scuola) e ciò porta a essere stitici anche in età adulta.
    Numerose ricerche hanno evidenziato che sopprimere lo stimolo alla defecazione può portare ad un rallentamento del transito intestinale e a determinare un rilassamento incompleto dei muscoli del pavimento pelvico, con conseguente spinta all’indietro delle feci.
  • Rilassare il pavimento pelvico è fondamentale per favorire una buona evacuazione.
    Questo avviene quando si è posizionati bene sulla tazza del water e l’angolo formato fra le gambe ed il busto è inferiore all’angolo retto. La posizione ideale è quella che si ha nei gabinetti cosiddetti “alla turca”. Nelle normali tazze di ceramica purtroppo la posizione è quasi ad angolo retto e quindi non funzionale ad una buona evacuazione. Si può ovviare a ciò acquistando uno speciale sgabello da posizionare davanti al water, che si chiama “squatty potty” (tazza accovacciata), facilmente reperibile in internet, o molto più semplicemente posizionando due grossi libri ai piedi della tazza su cui appoggiare i piedi.  Questo consente di appoggiarli piedi più in alto e quindi far sì che gambe e tronco del corpo assumano una posizione ad angolo acuto. In tale posizione il muscolo pubo-rettale si rilassa, il colon sigmoideo si raddrizza e l’evacuazione viene favorita.
  • Pseudo-stipsi. E’ la falsa convinzione di un soggetto di essere stitico in quanto (secondo lui) non evacua adeguatamente. Bisogna spiegare a queste persone che non evacuare ogni giorno non è stipsi, a patto che ciò avvenga senza sforzo e con feci morbide. Un’altra situazione è quella in cui il soggetto tenta di evacuare senza riuscirci, ma troppo prematuramente in quanto le feci non hanno ancora raggiunto l’ampolla rettale per essere così espulse.
  • Viaggi. La gente spesso diventa stitica durante i viaggi.
    Ciò è dovuto ai cambiamenti di vita, degli orari, dell’alimentazione, del tipo di acqua e la difficoltà a trovare una toilette adeguata.
  • Gravidanza. La stipsi in gravidanza è frequente ed è dovuta ai cambiamenti ormonali di questo stato.
  • Ragadi ed Emorroidi. Sono situazioni che comportano dolore al canale anale e producono uno spasmo dello sfintere anale che può posticipare la defecazione.
  • Farmaci. Molti farmaci sono causa di stitichezza. In particolare i farmaci antidolorifici a base di oppioidi, gli antiacidi contenenti alluminio o calcio, gli antispastici, gli antidepressivi, i tranquillanti, il ferro, gli anticonvulsivanti per l’epilessia, quelli usati nel Parkinson, i farmaci per il cuore o per la pressione a base di calcio-antagonisti.
  • Disturbi della motilità del colon. In questi casi il tubo digerente del paziente digerisce il cibo più lentamente del normale.
    Perciò ci vuole più tempo perché le feci si formino, avanzino lungo l’intestino e quindi vengano espulse.
    La maggioranza di questi soggetti sono donne e circa la metà delle persone con stitichezza funzionale hanno questo problema.
  • Disfunzione del pavimento pelvico. In questi casi i muscoli responsabili della defecazione (muscoli del pavimento pelvico) non lavorano adeguatamente.
    Essi non si rilassano a dovere per consentire alle feci di uscire dal corpo.
    In altri casi essi possono non essere sufficientemente contratti da far progredire le feci lungo il colon.
    Un soggetto con questi problemi necessita di molto tempo e di notevoli sforzi per riuscire a defecare.
  • Abuso di lassativi. Le persone che abitualmente assumono grosse quantità di lassativi stimolanti ne divengono dipendenti e possono aver bisogno di aumentarne progressivamente la dose fino a che l’intestino diventa insensibile e smette di funzionare.
  • Disturbi ormonali. Una scarsa funzionalità della tiroide può essere causa di stitichezza.
  • Malattie particolari. La sclerodermia, il Lupus, la Sclerosi multipla, il Parkinson e l’ictus possono essere causa di stipsi.
  • Perdita di Sali corporei. La disidratazione con perdita di Sali come nel vomito o nella diarrea possono essere alla base di una successiva stipsi.
  • Compressione meccanica. Stenosi cicatriziali postoperatorie, infiammazione cronica dei diverticoli, tumori e cancro possono causare delle compressioni dell’intestino e quindi stitichezza.
  • Danni nervosi. Traumi o tumori della spina dorsale possono essere causa di stitichezza per lesione dei nervi che comandano la muscolatura responsabile della defecazione.

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STIPSI NEI BAMBINI
La stitichezza è molto frequente nei bambini e può essere dovuta a tutte le cause descritte sopra. In pochi casi vi può essere un difetto congenito delle terminazioni nervose dell’intestino (morbo di Hirschprung) o una scarsa funzionalità della tiroide che stanno alla base della stipsi.

Nella maggior parte dei casi comunque la stitichezza del bambino è dovuta ad una cattiva educazione comportamentale.
Molti bambini grandicelli affetti da stitichezza hanno fin da piccoli evacuato feci molto dure, questo indipendentemente dalla dieta e dalla educazione all’evacuazione.
In questi casi bisogna essere ancora più rigorosi imponendo una dieta ricca di fibre e perseverare nell’educare rigorosamente allo svuotamento intestinale.

La stipsi può portare dolore al momento della defecazione, causare ragadi anali dolorose e/o sanguinamento che porta il bambino a trattenere le feci, aggravando così la stitichezza.I bambini trattengono le feci anche per altri motivi.
Alcuni si rifiutano di andare in bagno fuori casa.

Stress emotivi come crisi famigliari o difficoltà scolastiche possono spingere a trattenere le feci con conseguente carenza di evacuazione anche per una o due settimane. In questi casi si verificano ostruzioni fecali che non si risolvono spontaneamente.

STIPSI NEGLI ANZIANI
I vecchi soffrono di stipsi molto più dei giovani adulti.
Una dieta inadeguata, la scarsa introduzione di liquidi, lo scarso movimento fisico, molti farmaci e comportamenti errati portano alla stitichezza.
La dieta e le abitudini alimentari hanno un ruolo importante nell’insorgenza della stipsi.
Uno scarso interesse per il cibo, tipico delle persone anziane sole, porta a ingerire cibi poveri di fibre.

Una dentatura inadeguata porta ad ingerire cibi morbidi, molto lavorati, ovviamente poveri di fibre.
I maschi anziani con problemi alla prostata bevono meno acqua per non dover urinare troppo e con difficoltà.
L’acqua e gli altri liquidi aggiungono massa alle feci e le rendono morbide e più facili da espellere.
L’allettamento prolungato, soprattutto nelle case di riposo o per un incidente o per una malattia e la mancanza di esercizio fisico son anch’essi alla base della stipsi.I vecchi assumono molti farmaci per i loro disturbi cronici: antidepressivi, antiacidi a base di alluminio o di calcio, antistaminici, diuretici e anti parkinsoniani.

Tutti posso essere causa di stitichezza.La paura di diventare stitici può portare ad un uso cronico eccessivo di lassativi stimolanti che nel tempo diventano inefficaci e portano all’effettuazione di clisteri che a loro volta contribuiscono alla perdita di una normale funzione intestinale.

QUANDO RIVOLGERSI AL MEDICO
Avvertire il medico di famiglia quando la stitichezza insorge in breve tempo, dura da più di tre settimane, è ostinata e severa, ed è associata a perdita di peso e/o dolori addominali.
Questi sintomi sono da considerare con più attenzione se il paziente ha più di 45 anni.
Una visita specialistica gastroenterologica è sempre consigliabile prima di effettuare indagini invasive e rischiose, quali la colonscopia, la Tac o la Risonanza magnetica.

COME SI CURA
Prima di intraprendere la cura della stipsi bisogna sempre tener presente che la frequenza normale delle defecazioni può variare ampiamente: da tre evacuazioni al giorno a tre alla settimana.
Ciascun individuo deve stabilire cosa è normale per lui per evitare un inutile uso di lassativi che creeranno dipendenza.
Brevi periodi di stipsi sono frequenti anche nelle persone sane e giovani.
Minimi cambiamenti dietetici e delle abitudini di vita possono aiutare a risolvere la stitichezza senza che vi sia la necessità di ricorrere al medico o assumere farmaci.
Questi sono i suggerimenti:

  • Assumere maggiori quantità di cibi ad alto contenuto di fibre come cereali integrali, frutta e verdura.
  • Trovare il tempo per fare esercizio fisico moderato, come camminare velocemente o andare in bicicletta. Gli esperti raccomandano di effettuare almeno 2+1/2 ore di attività fisica alla settimana (circa una mezz’ora al giorno). Saranno necessari dei particolari esercizi fisici per tonificare i muscoli addominali dopo una gravidanza o quando questi siano troppo lassi.
  • Bere molti liquidi (non zuccherati), meglio se durante i pasti. Le donne dovrebbero ingerire almeno 2 litri al giorno, mentre gli uomini almeno tre litri.
  • Trovare il tempo di recarsi alla toilette dopo un pasto (meglio se dopo la colazione del mattino o dopo il pranzo), cioè quando è più probabile che avvenga una defecazione a causa dell’aumento delle contrazioni dell’intestino determinate dello riempimento dello stomaco (riflesso gastro-colico).
  • Non avere fretta e non essere disturbati.
  • Non ignorare o reprimere lo stimolo a defecare.

Se la stitichezza peggiora o non si risolve entro 3 settimane è meglio recarsi da uno specialista Gastroenterologo.
Egli dovrà raccogliere un racconto accurato dei disturbi (anamnesi) ed eseguire una visita completa (esame obiettivo).
Non scordarsi di comunicare al medico se in famiglia vi sono stati casi di cancro del colon-retto o altre importanti malattie.
Prima di andare a fondo sulle cause della stitichezza, il medico dovrebbe prescrivere dei prodotti a base di fibre o blandi lassativi per vedere di risolvere il problema con rimedi semplici.
A seconda dell’età e della storia clinica il Gastroenterologo prescriverà alcune indagini diagnostiche (esami del sangue come l’emocromo, la sideremia, la VES o in alcuni casi la colonscopia).
Se gli esami saranno risultati normali (cioè negativi) la diagnosi sarà di “stitichezza funzionale”, il che significa che non vi sono malattie gravi e conosciute alla base di questo disturbo.

Se la causa della stitichezze è dovuta ad una specifica malattia, la cura dovrà essere indirizzata a risolvere quella specifica causa.
Per esempio, se l’insufficiente funzionamento della tiroide è la causa della stitichezza, si dovrà assumere un ormone della tiroide (Eutirox) come terapia sostitutiva.
Se la causa della stitichezze è dovuta ad una specifica malattia, la cura dovrà essere indirizzata a risolvere quella specifica causa.

Per esempio, se l’insufficiente funzionamento della tiroide è la causa della stitichezza, si dovrà assumere un ormone della tiroide (Eutirox) come terapia sostitutiva.
Nella maggioranza delle persone i lassativi stimolanti debbono essere l’ultima risorsa ed assunti sotto la supervisione del medico.
Il Medico Gastroenterologo è esperto nel capire quando è necessario un lassativo e soprattutto quale tipo è il più idoneo per quella persona.

Esistono infatti numerosi tipi di lassativi che agiscono in maniera diversa nell’intestino.
La cosa più importante è sapere che una cura che funziona deve essere seguita per molto tempo e con costanza.Poiché la stitichezza non insorge in un giorno non ci si deve aspettare che essa si risolva in un giorno.

Il nostro intestino è come un orologio e come tale deve essere trattato.
Cercare di andare in bagno sempre alla stessa ora anche se lo stimolo è assente.
In tal caso è utile provocare lo stimolo con una supposta di glicerina. Non avere fretta e non essere disturbati da pretendenti al bagno.

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TIPI DI LASSATIVI

  •  Lassativi formanti massa. Questi debbono essere assunti con molta acqua. Essi sono anche conosciuti come integratori di fibre, ed agiscono trattenendo il contenuto d’acqua nell’intestino.
    In tal modo le feci diventano più soffici, con più massa e sono più facili da espellere.
    Generalmente questi lassativi possono interferire con l’assorbimento di alcuni farmaci.
    E’ pertanto consigliabile di assumere i farmaci almeno a due ore di distanza (prima o dopo) dal lassativo.
    Essi possono causare gonfiore e dolore addominale in quanto le fibre vengono digerite dai batteri del colon con produzione di gas.
    Molte persone in cui i lassativi formanti massa non fanno effetto lamentano più gonfiore e più dolori addominali.
    Questo avviene in quanto la stipsi è abbastanza ostinata, e quindi la massa di feci e fibre progredisce più lentamente e i batteri del colon (microbiota) hanno più tempo per fermentare il contenuto.
  • Lassativi stimolanti. Questi agiscono stimolando le contrazioni ritmiche (peristalsi) dei muscoli dell’intestino.
    Questi lassativi come il bisacodile, la senna o la cascara agiscono più rapidamente degli altri lassativi proprio per il loro effetto di contrazione sulla muscolatura intestinale. Possono però causare crampi addominali, dare assuefazione e soprattutto contrastare il normale funzionamento dell’intestino.
    Se assunti per anni possono determinare una totale immobilità dell’intestino con stitichezza irreversibile.
    Pertanto possono essere assunti solo per brevi periodi e mai continuativamente.
  •  Lassativi osmotici. Essi impediscono ai liquidi presenti nell’intestino di essere riassorbiti e facilitano la loro progressione all’interno di esso, determinando così la sua distensione.
    La distensione a sua volta innesca la normale contrattilità dei visceri (peristalsi) e quindi determina una evacuazione in modo naturale.
    Questi possono essere usati regolarmente per la cura della stipsi o per la preparazione dell’intestino per la colonscopia (magnesio citrato, latte di magnesia, polietilenglicole).
    Questa classe di lassativi è utile negli individui che soffrono di stitichezza da cause sconosciute (idiopatica).In dosi elevate sono anche utili nella inerzia del colon o stipsi atonica.I soggetti diabetici debbono essere accuratamente monitorati per evitare squilibri elettrolitici dovuti a questi prodotti.
  • Lassativi ammorbidenti.
    Essi inumidiscono le feci e ne prevengono la disidratazione.
    Questi (docusato sodico) sono raccomandati dopo un parto o la chirurgia rettale ed in tutti quei casi in cui bisogna evitare al massimo lo sforzo della defecazione. Sono tuttavia poco efficaci nella stipsi severa ed il loro uso prolungato può causare disturbi elettrolitici.
  • Lassativi lubrificanti.
    Rendono le feci untuose e lubrificate per consentirne un passaggio più agevole nell’intestino. Olii minerali quali la paraffina e la vasellina sono i più usati.
    Stimolano la defecazione circa otto ore dopo l’ingestione.
  •  Lassativi salini. Sono anche questi lassativi osmotici (latte di magnesia, magnesio citrato) che trattengono acqua nel colon per facilitare il passaggio delle feci.
    Possono essere usati nella stipsi acuta, se non vi sono segni di occlusione intestinale.
    Un loro uso massiccio e prolungato può determinare squilibri elettrolitici soprattutto nei bambini e nelle persone con malattie renali.
  • Farmaci con prescrizione medica. Negli ultimi anni la ricerca farmacologica ha compiuto passi da gigante in questo campo.
    Sono di recente disponibili in farmacia la prucalopride (Resolor) e la linaclotide (Constella).
    Il primo agisce stimolando la peristalsi intestinale, quando questa sia assente o insufficiente e lo si prescrive nelle forme di stitichezza atonica o adinamica.
    Il secondo agisce promuovendo la secrezione di acqua e ioni cloro all’interno del colon e lo si prescrive per la stipsi con gonfiore e dolore, come nell’intestino irritabile.Trattandosi di farmaci sicuri ma complessi vanno prescritti dallo specialista Gastroenterologo che saprà consigliarli alla persona giusta nel momento giusto, nella dose corretta e per le indicazioni particolari di ognuno.

I migliori prodotti per la salute dell’apparato digerente 

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche per il benessere del vostro apparato digerente, in grado di combattere stipsi, fecalomi, meteorismo, gonfiore addominale, acidità di stomaco, reflusso, cattiva digestione ed alitosi:

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Muscolo piriforme: anatomia, funzioni e cosa fare se è infiammato

MEDICINA ONLINE MUSCOLO PIRIFORME SINDROME SCIATICA NERVO SCIATICO DIFFERENZE ANATOMIA FUNZIONI PATOLOGIE INFIAMMAZIONE.jpgIl muscolo piriforme (musculus piriformis) presenta una forma triangolare. Unisce la superficie interna (o faccia pelvica) dell’osso sacro al femore ed è classificato tra i muscoli esterni dell’anca. E’ un muscolo abbastanza piccolo del corpo umano, ma svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento della una postura corretta in ogni momento del giorno. Oltre a concorrere alla stabilizzazione dell’articolazione dell’anca, è principalmente un abduttore dell’anca. La sua azione è massima a 60° di flessione di anca quando perde le sue componenti di rotazione che sono: rotazione esterna prima dei 60°, rotazione interna dopo i 60° di flessione.

Origine e inserzione

Il musculus piriformis ha una forma triangolare che unisce la faccia interna pelvica dell’osso sacro al femore: in particolare è composto da tre o più fasci che prendono origine nella regione posta a lato del secondo, terzo e quarto foro sacrale anteriore oltre che dal margine della grande incisura ischiatica per andarsi ad inserire in un unico tendine sull’estremità superiore della superficie interna del grande trocantere femorale. Le sue fibre e fasci muscolari si dirigono quindi in modo obliquo verso il basso passando internamento al grande forame ischiatico, foro delimitato dal legamento sacrotuberoso e dal margine osseo compreso tra la spina iliaca postero-inferiore e la spina ischiatica. Suddivide il grande forame ischiatico in due canali sovrapposti, quello sovrapiriforme e quello sottopiriforme. Nella sua interezza il piriforme ha varie corrispondenze:

  • anteriormente con l’intestino retto, i vasi ipogastrici e il plesso sacrale
  • profondamente con l’osso sacro
  • nella parte extrapelvica con il grande gluteo e con l’articolazione dell’anca
  • superiormente con il nervo e i vasi glutei superiori
  • inferiormente con il nervo ischiatico, il nervo e i vasi glutei inferiori, il nervo e i vasi pudendi interni e il nervo cutaneo po­steriore del femore

Innervazione

I rami che innervano il muscolo piriforme sono quelli facenti parte del plesso sacrale L5, S1 e S2.

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Azione e Funzione

Quando facciamo punto fisso sul bacino, il piriforme agisce come un muscolo abduttore dell’anca: questa azione è massima a 60° di flessione dell’anca in quanto in questa posizione è minima e quasi nulla la sua seconda funzione di rotatore. Quest’ultima azione di rotazione è molto importante e cambia in base ai gradi di flessione dell’anca: quando questa è inferiore ai 60° il piriforme risulta essere un extrarotatore, quando è superiore ai 60° invece è un intrarotatore (in alcuni testi sono riportati i 90° di flessione). Con l’arto in carico, inoltre, impedisce anche eventuali brusche rotazioni interne del femore (come quando si appoggia il piede nella corsa). Quando invece il piriforme ha punto fisso sul femore, inclina controlateralmente il bacino portandolo in retroversione: la sua azione è in grado di fornire una rilevante forza di rotazione sull’articolazione sacro-iliaca e di spostare in avanti rispetto alle ali iliache la base del sacro e l’apice indietro. Infine questo muscolo posturale è importantissimo per la stabilizzazione dell’articolazione dell’anca stessa.

Patologie, dolori e postura

Quando parliamo del piriforme parliamo di un muscolo fondamentale per la stabilità e la postura corretta di una persona: per anni la sua importanza è stata trascurata, si pensava infatti che essendo un muscolo tanto piccolo rispetto per esempio ai muscoli addominali o al quadricipite femorale, non avesse molta importanza per l’equilibrio posturale e il benessere fisico del corpo. Il piriforme svolge la sua azione in tranquillità, ma in caso di posture non corrette (specialmente in posizione seduta) e mal posizionamento del bacino, si ritrova a svolgere il lavoro che sarebbero di altri muscoli come il piccolo e medio gluteo (ciò succede ovviamente in altri casi e con altri muscoli come il tensore della fascia lata). Oltre a creare squilibri muscolari e problemi al movimento in caso di mal funzionamento, il muscolo piriforme se contratto e infiammato può provocare dolori alla schiena, lombalgia e sciatalgia molto simili a quelli dati da un’ernia del disco: in questi casi si parla di sindrome del piriforme, la patologia probabilmente più famosa legata a questo muscolo, a tal proposito leggi: Sindrome del piriforme: sintomi, esercizi, cura e recupero

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Caviglia slogata (distorsione) e gonfia: cosa fare? Fasciatura ed altri rimedi

MEDICINA ONLINE CAVIGLIA SLOGATA DISTORSIONE STORTA DOLORE FASCIATURA GONFIA RIMEDI TERAPIA FARMACI.jpgPer distorsione – che è sinonimo di “slogatura” o, più popolarmente, “storta” – intendiamo una lesione a carico di un’articolazione o delle strutture a essa connesse.
Nel caso della caviglia, la distorsione interessa l’articolazione tibio-peroneo-astragalica detta anche tibio-tarsica o talo-crurale. Le ossa chiamate in causa sono la tibia, il perone e l’astragalo. Le strutture associate a questa articolazione che possono essere interessate dalla slogatura sono i vari legamenti.
Dal punto di vista fisiologico, la distorsione è causata da un movimento fuori dall’ordinario, che comunque non avrà comportato dislocazioni o sublussazioni.
La distorsione si può verificare come primo episodio oppure come recidiva, se c’è già stato un evento traumatico. Infine, ci sono i casi di lassità croniche, dove, a causa di un’eccessiva mobilità dell’articolazione (dovuta, per esempio, a un trattamento inadeguato di una slogatura precedente), si è spesso soggetti a distorsione.
Tra i sintomi più comuni della patologia ci sono, oltre al dolore, il gonfiore, la presenza di ematomi e, nelle circostanze più gravi, l’impossibilità di camminare.
Ora che abbiamo fatto maggiore chiarezza su cosa sia una distorsione, vediamo insieme quali sono le sue diverse tipologie.

Le tipologie di distorsione e le cure consigliate
Ci sono 3 tipi di distorsione, che si differenziano tra loro per la gravità del trauma:

  • distorsione di primo grado: si verifica una deformazione elastica a carico del legamento, che però, per fortuna, non riporta lesioni;
  • distorsione di secondo grado: qui la faccenda si complica un po’, perché si ha una lesione parcellare (parziale) del legamento. Ciò può predisporre a recidive;
  • distorsione di terzo grado: in questo caso, il peggiore, avremo la completa lesione del legamento e potrebbe rivelarsi necessario agire con la chirurgia.
    Terapie consigliate per la distorsione di primo grado
    Se hai subìto una distorsione di primo grado le cure a cui dovrai sottoporti sono: riposo, uso della borsa del ghiaccio, tenere la caviglia sollevata, utilizzo della cavigliera elastica, fisiokinesiterapia. Si prevedono 7 giorni di prognosi.

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Terapie consigliate per la distorsione di primo grado
Nei casi più lievi, quando c’è solo un lieve arrossamento della zona interessata basta del ghiaccio, messo più volte al giorno e una fasciatura leggera, oltre ovviamente al riposo. La fasciatura più essere eseguita anche personalmente purché sia salda ma allo stesso tempo non stretta. E’ sbagliato credere che più si stringe prima si risolve la torsione. La fasciatura deve essere ben salda, ma leggera, in modo da far respirare la pelle e non impedire la circolazione, è anche inutile fare una fasciatura larga perché totalmente inutile allo scopo. L’arto non deve essere costretto eccessivamente, ma deve essere mobile. Nei casi più lievi la situazione si risolve in uno o due giorno, solo se c’è del dolore si può prendere anche un farmaco analgesico, ma è sempre meglio farne a meno. Quando al momento della slogatura sono evidenti fin da subito rigonfiamenti, deformazioni e irregolarità nell’arto, in questo caso bisogna rivolgersi prontamente al medico. Solo il medico può decidere come procedere, soprattutto se sulla caviglia sono presenti anche lividi ed ematomi. In alcuni casi la fasciatura va rimandata di qualche ora o anche di un paio di giorni, in modo da far riassorbire eventuali liquidi. Nel caso di una slogatura seria la fasciatura da preferire è quella a spirale. Il bendaggio va eseguito con delle fasce larghe e compatte, che avvolgono prima la caviglia nella parte alta del collo del piede e poi a livello trasversale in entrambi i lati. La forma finale deve essere quella di tante “x” sovrapposte e poi tenute insieme o da una spilla o da adesivo. In ogni caso qualora la fasciatura non sia sufficiente è preferibile anche fare delle radiografie per escludere la presenza anche di fratture. In caso affermativo quando a essere coinvolti sono anche i legamenti è sempre il medico che valuterà la possibilità di un intervento o di un bloccaggio completo mediante ingessatura. Non ci sono svantaggi nel fasciare la caviglia quando è slogata, a patto che lo si faccia in modo adeguato e preciso, senza essere troppo avventati. Il vantaggio è quello di bloccare la lesione e dare al piede il riposo necessario per ristabilirsi. Una buona fasciatura, va ripetuta almeno ogni due o tre giorni. Bisogna sempre chiedere al medico quando toglierla, se il caso è più complicato.

Terapie consigliate per la distorsione di secondo grado
Per evitare il rischio di recidive è importante che i trattamenti prescritti dal tuo medico siano seguiti per filo e per segno. Anche qui troviamo riposo e borsa del ghiaccio, cui si aggiungono stampelle, bendaggio funzionale/cavigliera elastica e riabilitazione fisiokinesiterapica.

Terapie consigliate per la distorsione di terzo grado
Di certo sarà necessaria, oltre ai sempre utili riposo, ghiaccio e cavigliera elastica, l’immobilizzazione. La prognosi media è di 30 giorni e bisognerà procedere con la fisiokinesiterapia. Nei casi più gravi potrebbe rendersi necessario un intervento chirurgico.

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Ernia del disco e mal di schiena: sintomi, diagnosi e cura

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Cosa sono i dischi intervertebrali ed a che servono?

I dischi intervertebrali sono strutture anatomiche che si frappongono tra le varie vertebre della spina dorsale. Sono composti da un anello fibroso che contiene un nucleo polposo. Il loro ruolo è da una parte quello di distribuire in modo omogeneo le forze applicate alla colonna su tutta la superficie delle vertebre; dall’altra, quello di permettere movimenti di inclinazione, rotazione e scivolamento tra le vertebre adiacenti. Per alcuni motivi che tra poco vedremo, i dischi possono essere interessati da un’erniazione.

Cos’è l’ernia del disco?

L’ernia del disco compare quando il nucleo polposo fuoriesce dall’anello fibroso e si sposta verso le radici nervose della colonna vertebrale, creando così un conflitto disco-radicolare che può portare dolore. Il dolore, in realtà, può essere causato tanto dalla compressione diretta del nucleo polposo sulle radici nervose, quanto dall’insorgenza di un’infiammazione acuta, come un edema, ossia un accumulo di liquido sieroso che provoca un conflitto con il nervo. Le ernie possono interessare l’intera colonna, ma più di frequente si verificano nel tratto lombare, dando quindi origine a sciatalgie e a lombosciatalgie, con dolore alla schiena e alle gambe. Se invece si tratta di un’ernia nel tratto cervicale, il dolore, oltre che al collo (cervicalgia), si avvertirà anche lungo il braccio (cervicobrachialgia) e addirittura fino alla mano . In rapporto alla forza espulsiva del nucleo, e quindi in base alla gravità dell’ernia, si distingue tra ernie:

  • contenute;
  • protruse;
  • espulse.

Le cause e i fattori di rischio dell’ernia al disco

Da dove ha origine un’ernia del disco? Innanzitutto diciamo che se il nucleo polposo del disco può “scivolare” verso l’esterno è perché c’è un cedimento delle strutture fibrose dell’anello che lo circonda. Ciò è dovuto a un processo degenerativo legato all’avanzare dell’età, a fattori genetici o ad altri fattori come vita sedentaria, fumo, peso eccessivo, etc. L’ernia, poi, può essere conseguente anche a sforzi importanti o a una cattiva postura.

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I sintomi e segni dell’ernia del disco

Il sintomo principale di ernia discale è il dolore che viene in genere descritto come intenso e acuto e spesso peggiora quando raggiunge l’arto interessato, quello inferiore se l’ernia riguarda un disco più “basso” (ad esempio in zona lombare/sacrale, evenienza più frequente) o quello superiore se l’ernia riguarda un disco più “alto” (ad esempio in zona cervicale). L’insorgenza del dolore per via di un’ernia discale può verificarsi improvvisamente o può essere preceduta da una sensazione di rottura o di scatto a livello della colonna vertebrale. Il dolore, diffuso o localizzato che sia, non è l’unico sintomo dell’ernia del disco. Esistono altri sintomi e segni legati ad un’ernia del disco, che possono essere lievemente diversi in base alla sede dell’erniazione, tra questi ricordiamo:

  • ipovalidità muscolare, quindi debolezza dei muscoli;
  • alterazione della sensibilità: tipicamente i pazienti riferiscono una sensazione di intorpidimento o di formicolio;
  • alterazione dei riflessi osteotendinei.

Il dolore è ovviamente localizzato in base al disco erniato. Ad esempio l’ernia discale cervicale comporta dolore al collo e alla spalla, dolore irradiato al braccio, intorpidimento e formicolio al braccio o alla mano. Il dolore può essere diffuso, intenso e difficile da localizzare, oppure acuto, bruciante e facilmente localizzabile. In genere, il dolore alle braccia o al collo costituisce il primo segno di irritazione delle radici nervose dovuta a problemi alla cervicale. L’intorpidimento, il formicolio e la debolezza a livello muscolare possono essere sintomi di un problema più grave. Ernie a dischi lombari e sacrali determineranno un dolore che parte dalla zona lombare e si irradia alla gamba.

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Diagnosi

La diagnosi di ernia del disco inizia con l’esame obiettivo completo della colonna vertebrale, delle braccia e degli arti inferiori. Il medico dovrà esaminare la colonna vertebrale osservando la flessibilità, l’ampiezza dei movimenti e segni che suggeriscano un danneggiamento delle radici nervose o del midollo spinale a causa di un’ernia del disco. Al paziente può essere sottoposto uno schema che richieda di descrivere dettagliatamente sintomi come dolore, intorpidimento, formicolio e debolezza. Potrebbe essere necessario ricorrere ad accertamenti diagnostici strumentali, quali la radiografia o la risonanza magnetica (RM).

Quando si interviene su un’ernia del disco?

Non tutte le ernie sono uguali e non tutte le ernie sono chirurgiche. Ci sono anche casi di ernie del disco totalmente asintomatiche. L’intervento chirurgico, comunque, non si valuta mai solo in base al dolore avvertito. È necessario studiare il danno che il nervo subisce a causa dell’ernia. In genere, si opta per la chirurgia se sono presenti deficit motori o importanti disturbi della sensibilità. In tutti gli altri casi si propende per terapie di tipo conservativo (farmacologiche e ortesiche tramite l’uso di cinture lombari) e riabilitativo (fisioterapia, manipolazioni vertebrali, educazione posturale).

  • Cure conservative. Non tutti i pazienti che lamentano dolore al collo e alla schiena necessitano di un intervento chirurgico. Infatti, la maggior parte dei soggetti trova sollievo dalla sintomatologia dolorosa grazie a terapie non chirurgiche come l’esercizio fisico, i farmaci, la fisioterapia e la chiroterapia.
  • Decompressione chirurgica. L’intervento chirurgico maggiormente praticato per la stenosi spinale cervicale è la foraminoctomia cervicale. Tale procedura è volta ad allargare il canale spinale per alleviare la compressione sul midollo spinale e ridurre sintomi, come formicolio e debolezza, osservati in caso di stenosi spinale.
  • Sostituzione discale artificiale. I dischi artificiali sono soluzioni protesiche concepite per sostituire il disco malato, rimosso dalla colonna, mantenendo però il movimento, la flessibilità e quindi la naturale conformazione biomeccanica della colonna vertebrale.
  • Chirurgia di fusione spinale. La fusione spinale consiste in un intervento chirurgico volto al trattamento delle condizioni degenerative della colonna vertebrale in genere. Mediante l’utilizzo di innesti ossei e strumenti, quali piastre metalliche e viti, questa procedura permette di fondere due o più vertebre adiacenti, con l’obiettivo di stabilizzare la colonna vertebrale e ad alleviare il dolore provocato dalla patologia degenerativa.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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