Si possono tagliare o spezzare le supposte rettali?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SI POSSONO TAGLIARE LE SUPPOSTE RETTALI  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgSpecie quando il paziente è un bambino, molti genitori hanno l’abitudine a tagliare in pezzi le supposte rettali, per riuscire ad inserirle meglio nell’ano del figlio o perché magari hanno in casa solo una supposta con un dosaggio di principio attivo troppo elevato per essere adatto ad un bimbo.

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Ma le supposte possono essere tagliate o spezzate?
La risposta è NO. Questo perché, al contrario delle compresse che si assumono per os (quindi per via orale) dove il principio attivo e uniformemente distribuito in tutto il volume, nelle supposte rettali non è così. Se dunque spezzando in due una compressa da 1 mg avremo la certezza che stiamo somministrando esattamente 0,5 mg di principio attivo al bimbo, spezzando in due una supposta di Tachipirina da 500 non avremo mai la certezza di somministrare 250 mg di paracetamolo dal momento che non possiamo sapere in quella data supposta quanto principio attivo era è concentrato nella sua punta e quanto invece nella parte posteriore. Nel caso delle supposte infatti l’azienda produttrice ci assicura solo che in tutta la supposta sia contenuta una certa quantità di principio attivo, ma non ci assicura che dividendo la supposta daremo metà dose. Quindi le supposte non vanno mai tagliate o spezzate, ma vanno invece sempre somministrate intere.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Taping NeuroMuscolare in un bimbo nato prematuro di 32 settimane

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma TAPING NEUROMUSCOLARE BIMBO PREMATURO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneApplicazione di Taping NeuroMuscolare in un bimbo nato prematuro di 32 settimane, con sofferenza perinatale. L’obiettivo del trattamento è di far raggiungere velocemente dei miglioramenti sulla mobilità della mano del bimbo, che si presenta serrata in chiusura con ipertono. Il trattamento è stato realizzato nel reparto di Neonatologia dell’Ospedale Federico II di Napoli. Forza piccolo!

Foto di “Taping NeuroMuscolare Institute Italia”

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È normale che il mio bambino non emetta feci ogni giorno?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIARREA NEONATO BAMBINO Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina Glutei PressotSì, ma solo dopo qualche settimana di vita. Nelle prime settimane tendenzialmente questo non accade, come spiega un opuscolo del National Childbirth Trust inglese. Se nelle prime settimane di vita un neonato non evacua tutti i giorni, potrebbe essere un segnale che non si sta alimentando in modo adeguato, e che ha bisogno di mangiare di più. “Questo può succedere soprattutto con i bimbi allattati al seno, se c’è qualche problema con l’allattamento. In questo caso vale la pena sentire un consulente di allattamento, per verificare come stanno andando le cose e – se c’è bisogno – correggere eventuali errori.
Dopo qualche settimana, invece, può accadere che la frequenza delle evacuazioni si riduca di molto, fino ad arrivare a una volta al giorno o una volta ogni due/tre giorni. Se il bambino comunque sta bene e le feci sono morbide e di un bel colorito giallo non ci sono problemi.

Se invece si cominciano a superare i tre/quattro giorni o anche più e il bimbo appare irrequieto, a disagio, con malessere, può darsi che stia effettivamente facendo fatica a espellere le sue feci, magari perché non c’è ancora un adeguato coordinamento tra la spinta e il rilascio dello sfintere anale. Allora può essere il caso di intervenire: basta una leggera stimolazione tattile della zona intorno all’ano, per esempio con un sondino.

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I virus sui giocattoli dei bambini sopravvivono fino a 24 ore

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma VIRUS GIOCATTOLI 24 ORE INFEZIONI  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgUno studio condotto dalla Georgia State University, pubblicato online sulla rivista The Pediatric Infectious Disease Journal, ha dimostrato che una possibile causa di infezioni tra i bimbi sono i giocattoli sui quali alcuni virus sopravvivono fino a 24 ore.

Come si è svolto l’esperimento

Per compiere la ricerca, gli studiosi hanno appositamente infettato un giocattolo in plastica, con un virus conservato in un ambiente a 22 gradi ed esposto a due diverse percentuali di umidità relativa del 60% e 40%. In queste condizioni, simili a quelle presenti nelle comuni abitazioni domestiche, sono stati poi in in grado di recuperare particelle virali infettive fino a 24 ore dopo la contaminazione dell’oggetto. Analizzando il giocattolo a distanza di tempo hanno potuto evidenziare la presenza del microrganismo dopo 24 ore nel primo caso, con un’umidità relativa del 60%, e dopo 10 ore nel secondo caso, umidità al 40%.

Bambini più a rischio

Gli esperti fanno sapere che spesso le persone non pensano che sia possibile prendere i virus da oggetti inanimati, ma che vengano trasmessi solo da un individuo all’altro. I bambini sono particolarmente esposti al rischio di infezioni perché mettono in bocca le mani e tutti gli oggetti che trovano. L’asilo nido, le scuole materne, la sala d’attesa del pediatra, la propria casa sono luoghi in cui i piccoli condividono i giochi ed è, quindi, facile che si sviluppino delle infezioni, in quanto sui loro giocattoli alcuni virus sopravvivono fino a 24 ore. Quelli dell’influenza e della SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome, Sindrome Acuta Respiratoria Severa), per esempio, riescono a mantenersi vivi diverse ore grazie alla loro armatura proteica, conservandosi come particelle virali complete e potenzialmente infettive.

Serve un’accurata pulizia

Un consiglio per contenere la trasmissione di virus è pulire e igienizzare regolarmente bambolotti e macchinine. Per farlo si può usare una piccola quantità di candeggina opportunamente diluita e poi ben risciacquata con acqua o altri prodotti specifici, purché atossici.

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Ragazza è sterile per un tumore: sua madre partorisce un figlio per lei

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RAGAZZA STERILE MADRE FIGLIO PER LEI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgA 18 anni sembrava che la sua esistenza fosse spezzata inesorabilmente: il cancro al collo dell’utero che le avevano appena diagnosticato le lasciava poche speranze di vita e le toglieva per sempre ogni possibilità di avere figli. Quel referto medico suonava come una condanna a morte che spazzava via in un colpo solo tutti i suoi sogni di adolescente. Tre anni dopo Jessica Jenkins, una parrucchiera 21enne di Rhymney, nel Galles, si ritrova guarita dal tumore e con un bimbo di tre chili tra le braccia, partorito il 2 dicembre da sua madre Julie Bradford, 45 anni, che ha portato avanti la gravidanza al posto della figlia: la ragazza, infatti, prima di cominciare le cure si era fatta prelevare 21 ovuli per avere degli embrioni da congelare e utilizzare in futuro in caso se ne fosse presentata l’occasione. Julie, già madre di tre figli, si ritrova ora a essere contemporaneamente madre e nonna del piccolo Jack.

In quei 21 ovuli (solo dieci dei quali sono sopravvissuti) c’era già una premonizione: a 21 anni Jessica avrebbe avuto un bimbo, anche se a partorirlo sarebbe stata sua madre. «Mamma è stata la donna più coraggiosa e sorprendente del mondo, la amo in un modo che non si può descrivere per avermi dato mio figlio – dice la ragazza – Fin da bambina desideravo diventare madre, ora il mio sogno si è avverato. Jack è perfetto sotto ogni aspetto».

Quando nel 2013 Jessica andò in ospedale per farsi visitare, i medici le dissero che aveva una malattia trasmessa sessualmente: secondo loro era troppo giovane per avere un tumore all’utero. La verità venne a galla solo dopo ulteriori test, quando la biopsia rivelò che si trattava proprio di un tumore e, poche settimane dopo, fu accertato che si era diffuso ai linfonodi. I medici furo chiari: Jessica non avrebbe mai più potuto avere figli. Fu a quel punto che la ragazza decise di far congelare gli ovuli, e Julie si offrì come madre surrogata.
In questi anni Jessica ha lottato contro il cancro e, a quanto pare, sembra avercela fatta: ora è in remissione, si sottopone a regolari check-up per assicurarsi che il cancro non torni e collabora a una campagna per incentivare le giovani donne a sottoporsi al pap-test. Visti i risultati, in primavera ha deciso che la sua vita poteva nuovamente guardare al futuro e, insieme al marito Rees, ha benedetto il momento in cui aveva fatto congelare i suoi ovuli: un embrione è stato scongelato e impiantato nel grembo di sua madre, che il 2 dicembre ha partorito Jack, consentendole di dare con orgoglio l’annuncio su Facebook.

«Gli ultimi tre anni – ha detto Julie – sono stati i peggiori in assoluto, ma per fortuna ho avuto la fortuna di poter contribuire perché tutto tornasse a posto. Vedevo Jessica così sofferente e impaurita che avrei voluto prendere il suo posto, ma non c’era nulla che potessi fare e mi sentivo inutile: il cancro sembrava essersi impadronito delle nostre vite. Avevamo tutti il cuore spezzato pensando che il sogno di mia figlia, quello di avere un bimbo, non si sarebbe mai potuto avverare. Per questo, quando si è presentata la possibilità di fare da “madre surrogata” non ci ho pensato due volte: è stato un onore per me mandare avanti la gravidanza del bimbo di Jessica e Rees. Siamo stati così tante volte in ospedale in questi anni: non mi sembra vero che l’ultima visita sia stata per un’occasione così felice».

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Partorisce e tenta di buttare il neonato nella spazzatura chiuso in una busta

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PARTORISCE BUTTARE NEONATO SPAZZATURA  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgA Napoli, questa notte, poco prima delle 3 in piazza Garibaldi, una donna ha chiuso in un sacchetto di plastica suo figlio appena nato, cercando di disfarsi di esso. I primi ad intervenire sono stati i militari dell’Esercito, in servizio nella zona per «Strade Sicure», allertati da alcuni extracomunitari che avevano notato una donna straniera, una cittadina ucraina di 37 anni, sanguinante con un sacchetto di plastica anch’esso sporcato da tracce ematiche. La donna è stata subito rintracciata dai militari che nel frattempo avevano anche chiamato gli agenti della polizia. Quando hanno chiesto alla donna cosa contenesse il sacchetto, lei ha riferito che si trattava di spazzatura e che stava per gettarla in un cassonetto. Militari e poliziotti non si sono fidati ed esaminando il contenuto hanno scoperto che c’era un neonato appena partorito.

Vincenzo Prato, caporalmaggiore dell’Esercito, intervenuto per primo dopo la segnalazione da parte di due extracomunitari: “Il bambino era cianotico quando l’abbiamo trovato – ha raccontato  – è stata una gioia bellissima poter salvare un bambino, indescrivibile. È veramente un onore indossare questa divisa che ci permette ogni giorno di aiutare la gente e intervenire in questi casi di emergenza. Abbiamo subito provveduto a portare il bambino e la donna al caldo mettendoli in condizioni di sicurezza”.

La donna ed il neonato sono stati trasferiti all’ospedale Loreto Mare dove i sanitari hanno accertato che il neonato era stato appena partorito. Il bimbo pesa solo 2 chili e 700 grammi, tuttavia è in condizioni generali discrete e non è in pericolo di vita. E’ stato adottato da tutto il personale del reparto, e si sta pensando anche di dargli un nome, ma non è ancora stato deciso quale. “Si potrebbe ipotizzare Nicola perché oggi è San Nicola”.

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Con la “presa a canguro” Alex Karev salva un neonato

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PRESA A CANGURO Kangaroo Hold Grey's Anatomy  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari.jpgUno dei momenti più belli del telefilm a sfondo medico “Grey’s Anatomy” è quello che succede nell’ottava puntata della sesta stagione. Al Seattle Grace Mercy West Hospital un neonato è nato prematuro e rischia di morire, il giovane chirurgo Alexander “Alex” Karev per salvarlo usa la “presa a canguro” (Kangaroo Hold cioè mettersi a torso nudo così che il bambino senta il calore del corpo, una pratica descritta anche nella letteratura scientifica):

Se siete appassionati di Grey’s Anatomy come il sottoscritto, non potete perdervi questi articoli:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Meningite batterica e virale: sintomi, profilassi, cura e vaccini

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MENINGITE BATTERICA VIRALE SINTOMI CURA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpg

Charlotte Cleverley-Bisman sviluppò una grave meningite meningococcica e il rash petecchiale progredì alla gangrena così da rendere necessaria l’amputazione. È comunque sopravvissuta alla malattia ed è diventata un simbolo della campagna di vaccinazione per la meningite in Nuova Zelanda

La meningite è una patologia caratterizzata da infiammazione delle meningi, le membrane che rivestono il cervello e il midollo spinale. A provocarla possono essere vari patogeni, soprattutto batteri, virus, anche funghi. In alcuni casi la meningite può anche avere cause non infettive. In genere le forme batteriche sono le più gravi e sono portate da tre specie di batteri:

  • Haemophilus influenzae di tipo B (HiB);
  • Streptococcus o Diplococcus pneumoniae (pneumococco);
  • Neisseria meningitidis (meningococco).

E’ il meningococco il responsabile dei casi di epidemia. Ne esistono cinque ceppi capaci di provocare malattie pericolose: i sierotipi A, B, C, Y, W135. In Europa e USA si registrano casi da meningococco B e C.

Quanto è diffusa la meningite in Italia?
In Italia si registrano circa 900 casi di meningite batterica all’anno. Un terzo circa sono attribuibili al meningococco e un’analoga percentuale è causata dallo pneumococco. I casi residui sono dovuti a batteri diversi (stafilococchi, streptococchi, listeria, micobatteri, escherichia coli) oppure non è stato possibile identificare una causa precisa. È stato solo a partire dal 1994 che il Ministero della Salute ha implementato un sistema di sorveglianza nazionale per ottenere dati sull’incidenza delle meningiti batteriche e i loro agenti causali. Come conseguenza vi è stato un incremento notevole, di anno in anno, della segnalazione di casi di meningite e in particolare di meningiti sostenute da Haemophilus influenzae di tipo b (Hib), con il raggiungimento di un picco, nel 1999, di 1 057 casi di meningite, poi ridottosi negli anni successivi grazie al diffondersi della vaccinazione contro Hib, destinata ai bambini nel primo anno di vita. La meningite da meningococco in Italia ha un’incidenza minore rispetto al resto d’Europa: circa 200–300 casi/anno (3–5 casi/milione di abitanti contro una media europea di 12 casi/milione). La maggior parte dei casi di malattia da meningococco sono causati da sierogruppi B e C.

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Come avviene il contagio?
Il batterio si può annidare nelle mucose del distretto naso-faringeo, nella maggior parte dei casi senza dare sintomi (si stima che fino al 30% della popolazione sia portatrice inconsapevole di meningococco), e può essere trasmesso da una persona all’altra per via aerea, ma a distanza ravvicinata, soprattutto in luoghi chiusi e affollati, dato che non sopravvive a lungo fuori dall’organismo umano. Dalle prime vie aeree, il patogeno può poi raggiungere le meningi attraverso il sistema circolatorio.

Quali sono le cause non infettive di meningite?
La meningite si può verificare anche come risultato di diverse cause non infettive, come la diffusione alle meningi di neoplasie o l’assunzione di alcuni farmaci, per lo più antinfiammatori FANS, antibiotici e immunoglobuline per via endovenosa. Può anche essere causata da diverse condizioni infiammatorie come la sarcoidosi, che in tal caso prende il nome di neurosarcoidosi, malattie del tessuto connettivo, come il lupus eritematoso sistemico, e alcune forme di vasculite (infiammazione della parete dei vasi sanguigni) come la Sindrome di Behçet. Cisti epidermoidi e cisti dermoidi possono causare meningite rilasciando materiale nello spazio subaracnoideo. La meningite di Mollaret è una sindrome caratterizzata da episodi ricorrenti di meningite asettica. Raramente l’emicrania può essere causa di meningite e tale diagnosi può essere fatta solo quando le altre possibili cause sono state scartate. Infine vi sono alcune procedure mediche invasive che possono associarsi a complicanza meningitica, fra cui le tecniche di anestesia spinale e peridurale e gli interventi neurochirugici.

Come si riconosce la meningite?
I segni e sintomi possono essere facilmente confusi con quelli di una banale influenza, specie nelle prime ore. In seguito negli adulti si può manifestare con la letargia, l’irritabilità, la fotofobia, il torcicollo, la presenza di eruzioni cutanee e le convulsioni. Nei bambini molto piccoli con irritabilità, febbre o al contrario temperatura bassa, rigidità del corpo e del collo, pianto acuto. È sempre essenziale rivolgersi tempestivamente al medico. Dopo 20-36 ore i sintomi sono gravi: convulsioni, perdita di conoscenza, macchie sul corpo.

Diagnosi con esami di laboratorio e strumentali
Se si sospetta un caso di meningite, vengono immediatamente effettuati gli esami del sangue per la ricerca dei marcatori di infiammazione (ad esempio, la proteina C reattiva e la formula leucocitaria), così come la coltura. L’esame più importante per individuare o escludere la meningite è l’analisi del liquido cerebrospinale, ottenuto attraverso la puntura lombare, tuttavia, la puntura lombare è controindicata se vi è una massa nel cervello (tumore o ascesso) o se la pressione intracranica risulta elevata, in quanto può essera causa di un’ernia cerebrale. Se un individuo è a rischio per ipertensione intracranica, che si riscontra nel 45% di tutti i casi negli adulti, l’esecuzione di una tomografia computerizzata (TC) o di una risonanza magnetica (RM) è raccomandata prima della puntura lombare. Se si rileva la necessità di eseguire una TC o una RM prima della puntura lombare o se quest’ultima si dimostra di difficile esecuzione, le linee guida suggeriscono la somministrazione precoce di antibiotici per evitare ritardi nel trattamento, soprattutto se l’attesa per la TC o la RM è superiore a 30 minuti. Spesso la TC o la RM vengono eseguite in una fase successiva per valutare le complicazioni della meningite e per escludere la presenza di focolai ascessuali, ventricoliti, ependimiti ed empiemi. Nelle forme gravi di meningite, il monitoraggio degli elettroliti del sangue può essere importante. Ad esempio, l’iponatriemia è comune in caso di meningite batterica, a causa di una combinazione di fattori, tra cui la disidratazione, l’escrezione inadeguata dell’ormone antidiuretico o per l’eccessiva somministrazione di liquidi per via endovenosa

Quanto è grave?
Secondo l’Istituto Superiore della Sanità ancora oggi la meningite da meningococco provoca il decesso nell’8-14% dei pazienti, ammesso che le cure siano tempestive e adeguate; altrimenti arriva quasi al 50%. In un terzo dei casi si sopravvive con complicanze serie, spesso a carico di vista, udito, del sistema neuro-motorio, degli arti.

Quanto è diffusa?
Le categorie più a rischio sono i bambini nella primissima infanzia e i giovani dai 15-18 anni ai 24-25 anni. Come già accennato precedentemente, in Italia si registrano circa mille nuovi casi ogni anno, 500.000 in Europa. Altri fattori di rischio sono la vita in comunità, il fumo attivo e passivo, le altre infezioni della vie respiratorie.

Cosa fare se si è stati accanto a un malato?
Si procede a profilassi con una terapia antibiotica per le persone che sono state a stretto contatto con un malato. In genere si considerano i conviventi, compresi colleghi di lavoro e di studio, chi ha dormito o mangiato nella stessa casa, chi ha potuto avere contatto con la saliva del paziente nella settimana precedente l’esordio della malattia. Ovviamente anche gli operatori sanitari che sono stati esposti alle secrezioni respiratorie della persona in cura. La sorveglianza dura una decina di giorni.

Trattamento e cure del paziente con meningite
La meningite è potenzialmente pericolosa per la vita e, se non trattata, presenta un alto tasso di mortalità; la mancata diagnosi precoce porta purtroppo spesso ad un ritardo nel trattamento e ciò è associato ad una prognosi maggiormente negativa, tanto che la somministrazione di antibiotici ad ampio spettro dovrebbe essere iniziata anche durante la fase di conferma della diagnosi, prima ancora di avere la certezza di quest’ultima. Se si sospetta un’infezione meningococcica, le linee guida raccomandano l’assunzione immediata di benzilpenicillina PRIMA del ricovero in ospedale. Se vi sono segni di ipotensione o shock, devono essere somministrati liquidi per via endovenosa. Dato che la meningite può causare una serie di gravi complicanze, un controllo medico periodico è consigliato per limitarle e, se si ritiene necessario, può essere utile il ricovero in un’unità di terapia intensiva. La ventilazione meccanica può rendersi necessaria, se il livello di coscienza è molto basso o se vi è evidenza di insufficienza respiratoria. Se vi sono segni di ipertensione endocranica, devono essere prese adeguate misure di controllo della pressione intracranica. Le convulsioni sono trattate per mezzo di farmaci anticonvulsivanti. Il verificarsi di idrocefalo può richiedere l’inserimento di un dispositivo di drenaggio temporaneo o a lungo termine, come uno shunt cerebrale.

Prognosi
Purtroppo anche quando la diagnosi viene fatta tempestivamente, e la terapia antibiotica praticata subito e in maniera adeguata, la possibilità di guarire completamente è inferiore al 50%.

Perché vaccinarsi è IMPORTANTISSIMO?
Essendo la possibilità di guarire completamente così bassa, la prevenzione vaccinale è l’unica via per cambiare davvero la storia della malattia. Prevenire è davvero – in questo caso ancor di più del solito – meglio che curare.

Perché vaccinare è importante non solo per il proprio figlio ma per l’intera comunità?
Oltre a proteggere la persona vaccinata, si protegge la comunità. Maggiore è la percentuale di vaccinati e maggiori sono le possibilità che le persone non vaccinate siano comunque protette dal contagio, perché la circolazione della malattia in questo modo è contenuta. È la cosiddetta “immunizzazione comunitaria”, che tutela fra l’altro anche chi non può sottoporsi al vaccino, per condizioni di salute ad esempio, o chi ancora non ha potuto essere immunizzato, come i bambini appena nati.

Come funziona il vaccino?
La vaccinazione diffusa e attivamente offerta dal servizio sanitario contro il sierotipo C e contro lo pneumococco ha ridotto sensibilmente il numero di casi nel nostro Paese, mentre un vaccino contro il sierotipo B è oggi disponibile, su richiesta, per i bambini a partire dal terzo mese di vita. Il vaccino contro lo pneumocco è generalmente raccomandato prima dei 5 anni e per gli anziani; quello antimeningococco C è è disponibile in due dosi (a due mesi e un anno di età) oppure in una sola dose dopo l’anno; esiste anche un vaccino tetravalente contro il meningococco A, C, Y, e W135, disponibile per chi pensa di poter venire a contatto con forme della malattia diffuse in altre aree del  mondo. L’ultimo arrivato è il vaccino contro il meningococco B, somministrabile in tre dosi.

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