Gomme in formula 1: differenze, colori e vantaggi delle varie mescole

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Partendo da destra le sette gomme da asciutto (dalla più soft alla più hard) ed in fondo le due gomme da bagnato

In Formula 1 ogni particolare delle vetture, anche quello più piccolo ed apparentemente insignificante, può fare la differenza tra vincere un Gran Premio ed arrivare decimi, quindi immaginate l’enorme differenza che può fare il tipo di gomma. In F1 esistono varie mescole diverse ed ognuna ha le sue caratteristiche peculiari ed è studiata per offrire massimo grip e velocità oppure per avere buone prestazioni ma massimizzando la durata. La seguente lista è aggiornata al 2018 (quindi potrebbe non essere aggiornata, se ad esempio state leggendo questo articolo nel 2023) ed include 9 diverse mescole, due da bagnato e sette da asciutto.

Gomme da asciutto

Sono sette le tipologie di pneumatici che Pirelli mette a disposizione per la pista asciutta che potete distinguere facilmente ad occhio in base al colore delle bande poste sui lati:

  • Hypersoft;
  • Ultrasoft;
  • Supersoft;
  • Soft;
  • Medium;
  • Hard;
  • Superhard.

1) Gomme Hypersoft

E’ una novità del 2018: l’hypersoft, di colore rosa. E’ la mescola più morbida e più veloce in assoluto, adatta per tutti i circuiti che richiedono livelli elevati di grip meccanico. È la gomma da “qualifica”, velocissima ma che dura per pochi giri.

2) Gomme Ultrasoft

Fino al 2017 è stata la mescola più morbida: è la P Zero Purple, la gomma Ultrasoft  (riconoscibile dalla banda viola). Si tratta di uno pneumatico progettato appositamente per arrivare velocemente in temperatura ed avere un grip eccellente per pochi giri tuttavia si degradano altrettanto velocemente. Adatto per l’impiego su circuiti stretti e tortuosi che enfatizzano il grip meccanico.

3) Gomme Supersoft

Le gomme Supersoft P Zero Red si riconoscono per la banda laterale rossa ed hanno prestazioni eccellenti, si riscaldano in fretta e si consumano piuttosto velocemente. Permettono veloci giri molti veloci. Naturalmente hanno una durata maggiore rispetto alle Ultrasoft. E’ ideale per i circuiti lenti e tortuosi, soprattutto con una temperatura esterna fresca o fredda, quando è necessaria la massima aderenza meccanica. E’ una mescola “low working range”.

4) Gomme Soft

Spostandoci verso le gomme più dure troviamo gli pneumatici Soft che sfoggiano una banda laterale gialla. Lo P Zero Yellow è lo pneumatico “intermedio” tra mescole morbide e dure e costituisce un ottimo compromesso perché riesce a garantire buone prestazioni sul giro e, allo stesso tempo, ha un’usura minore rispetto alle Supersoft e le Ultrasoft. Molto utili anche perché possono sopportare il degrado dei primi giri in cui le monoposto sono più pesanti. E’ una gomma versatile e particolarmente appropriata su circuiti caratterizzati da alte velocità ed elevati carichi di energia.

5) Gomme Medium

Le gomme Medium (con una banda laterale bianca), a dispetto del nome, sono piuttosto dure come mescola. Le P Zero White sono generalmente usate solo in piste con grandi velocità, alti carichi aerodinamici ed alte temperature come ad esempio a Monza. E’ una mescola “low-working range”.

6) Gomme Hard

La P Zero Ice Blue Hard è la seconda gomma più dura della gamma Pirelli, dopo la Superhard. Ha colore azzurro ed è progettato per i circuiti caratterizzati da alti carichi sulle gomme, con asfalto abrasivo o curve veloci, con temperature ambientali alte. La mescola entra in temperatura più lentamente, ma dura molto di più. È una mescola “high-working range”.

7) Gomme Superhard

Le Superhard sono le gomme più dure che Pirelli produce per la Formula 1, sono riconoscibili dalla banda laterale arancione e, come si può intuire dal nome, sono state pensate per tutte quelle piste in cui i carichi aerodinamici sono molto elevati, si guida lungo molti curvoni veloci e l’asfalto è molto abrasivo: è una gomma estremamente resistente.

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Gomme da bagnato

La gamma degli pneumatici in Formula 1 prevede ulteriori due tipologie studiate per le gare in cui la pioggia bagna la pista: Intermedie e Full Wet. Sono ben riconoscibili dalle gomme dry grazie alla caratteristica scolpitura del battistrada (vedi foto in alto) importante per avere il massimo grip sulle piste bagnate e scivolose perché permettono l’evacuazione dell’acqua.

1) Gomme Intermedie

Le gomme Intermedie (con banda laterale verde) sono gomme piuttosto versatili ed utili quando il tempo è incerto. Alla massima velocità le Pirelli Cinturato Green riescono ad espellere ben 25 litri di acqua al secondo e vengono usate soprattutto quando la pista è leggermente bagnata o si sta asciugando.

2) Gomme Full Wet

Le Full Wet (riconoscibili dalla banda blu) e dal battistrada molto caratteristico, sono invece degli pneumatici studiati appositamente per gare molto piovose, dove l’acqua avvolge tutta la pista. Per riuscire a correre in condizioni così estreme la Pirelli ha fatto in modo che riescano ad espellere addirittura 65 litri di acqua al secondo.

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Come e quanto correre per dimagrire?

MEDICINA ONLINE TREADMILL RUNNER CARDIO CORRERE CORRIDORE CORSA APERTO TAPIS ROULANT MAGNETICO ELETTRICO MECCANICO DIFFERENZE DIETA DIMAGRIRE AEROBICA GRASSO CALORIE SALITA PESI CITTA SMOGSe state pensando di cominciare a correre per dimagrire, siete sulla strada giusta. Ma attenzione: perdere grasso è diverso da bruciare il grasso, e per dimagrire davvero, perdere il grasso in eccesso e aumentare muscoli e massa magra è importante prima di tutto sapere come funziona il nostro corpo.

Fondamentalmente, quando corriamo il nostro corpo usa sia carboidrati che grasso come energia. L’uso di carboidrati o grasso durante la corsa dipende dalla velocità e dall’intensità con cui si corre: per corse ad alta intensità o interval workout (sedute di allenamento con momenti ad alta intensità intervallati a momenti di recupero) il nostro corpo impiega prevalentemente i carboidrati. Questo perché sono più veloci da utilizzare. Se invece corriamo a ritmo blando e per un tempo prolungato, il nostro metabolismo brucerà i grassi.

Quindi basta correre piano e a lungo per dimagrire? No, perché per dimagrire non basta bruciare il grasso di troppo. Bisogna in realtà bruciare più calorie di quante se ne assumono. E più si lavora intensamente, più si bruciano calorie. Correndo o facendo qualsiasi sport o attività fisica.

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Quindi per bruciare molte calorie con la corsa bisogna correre ad alta intensità. No, non uno sprint, ma più o meno all’80% della propria massima frequenza cardiaca. Diciamo un ritmo che impedisce di parlare con il proprio compagno di allenamento, ovvero appena sotto la soglia aerobica. C’è un però: per correre a questo ritmo bisogna essere molto allenati, ma se l’obiettivo è dimagrire molto probabilmente non si è ben allenati. Allora bisogna trovare una strategia diversa.

Per esempio variando il ritmo della corsa, da un giorno all’altro oppure all’interno della stessa seduta di corsa. Dopo qualche mese di allenamento di corsa regolare, si può cominciare a inserire una o due sedute di corsa veloce a settimana: più o meno 20′ all’80% della massima frequenza cardiaca (dopo aver fatto un ottimo riscaldamento). Oppure si può cominciare facendo interval training2′ ad alta intensità sempre all’80% della frequenza cardiaca e 2′ a ritmo blando, per recuperare. Già farne 10 in totale è un buon inizio per cominciare a perdere peso: si può poi aumentare il tempo oppure il numero di ripetizioni.

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I grassi si bruciano dopo 20 minuti di attività: vero o falso?

MEDICINA ONLINE PALESTRA PESI MUSCOLI PROTEINE AMINOACIDI INTEGRATORI CORSA DIMAGRIRE DUODENO PANCREAS DIGESTIONE GLICEMIA BAMBINO GRASSO DIABETE ANALISI INSULINA ZUCCHERO CARBOIDRATI CIBO MANGIARE DIETAA contendersi il posto tra i migliori falsi miti in ambito di alimentazione, fitness e salute ce ne sono tanti: ma tra quello presentato in questo articolo, la frequenza dei pasti e la distribuzione dei nutrienti, è difficile stabilire il vincitore. La storiella del “I grassi si bruciano dopo 20 minuti di attività” è paragonabile a quella del “I grassi bruciano al fuoco dei carboidrati”: entrambe sono conclusioni ‘non-senso’, ottenute erroneamente dalla Fisiologia e dalla Biochimica, rispettivamente.

Dov’è la falla di questa ‘teoria’ così largamente diffusa e radicata? Per capirlo, bisogna introdurre giusto qualche concetto di Fisiologia dell’Esercizio. Per quanto complesso possa essere questo ambito, l’esercizio fisico può sostanzialmente essere diviso in aerobico ed anaerobico. Molto semplicemente, nel primo tipo l’organismo si affida ai sistemi energetici aerobici, nel secondo a quelli anaerobici: questo vuol dire che l’ATP (vera molecola energetica utilizzata dall’organismo) è prodotta, nel primo caso, in presenza di ossigeno, nel secondo in sua assenza. I sistemi energetici utilizzati dall’organismo sono descritti di seguito.

Sistema dell’ATP-CP

Il sistema dell’ATP-CP o dei fosfati energetici è utilizzato per attività fino a 20 secondi di durata, in cui l’organismo utilizza quasi esclusivamente le riserve di ATP e di creatina fosfato (CP). La resintesi di ATP avviene a partire dall’ADP (che è un ATP a cui manca un gruppo fosfato), a cui la creatina fosfato dona un fosfato per opera dell’enzima creatina fosfato chinasi (CPK) con produzione di creatinina (che viene eliminata con le urine). La CPK è utilizzata come markerdell’infarto miocardico, ed il motivo è relativo proprio al meccanismo appena descritto: con ridotto afflusso di sangue al cuore, le cellule cardiache lavorano in carenza di ossigeno affidandosi al sistema ATP-CP e incrementando i livelli di CPK.

Il sistema dei fosfati è utilizzato per contrazioni di intensità massimale e molto brevi (ad esempio nel sollevamento pesi e negli sprint), non richiede la presenza di ossigeno e non porta a produzione di acido lattico: per questo motivo le attività fisiche che usano prevalentemente questo sistema possono essere definite anaerobiche alattacide.

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Glicolisi anaerobica

Per attività di durata compresa tra i 20 ed i 60 secondi, l’organismo utilizza i carboidrati di deposito (glicogeno) per ricavare ATP. Le attività di questo tipo, non protratte generalmente oltre i 60 secondi, sono di intensità tale da richiedere al muscolo di affidarsi alle sue sole scorte energetiche, dunque la glicolisi anaerobica avviene in assenza di ossigeno.

Durante questo processo il piruvato proveniente dalla glicolisi, in assenza di ossigeno, non può entrare nel ciclo di Krebs, e viene convertito in lattato (o acido lattico). L’acido lattico determina un abbassamento del pH nei tessuti e la conseguente sensazione di bruciore che accompagna degli sprint superiori ai 20 secondi di durata o delle serie “lunghe” con i pesi (nel range 6-20 ripetizioni).

Glicolisi aerobica

Per attività sostenibili oltre il minuto, l’intensità non è così alta da provocare contrazioni muscolari in grado di inibire il flusso ematico al muscolo, dunque la resintesi di ATP avviene in presenza di ossigeno: per attività inferiori ai 20 minuti di durata, si parla di glicolisi aerobica. Nella glicolisi aerobica il glucosio (proveniente dal glicogeno muscolare ed epatico) viene completamente ossidato ed il piruvato può entrare nel ciclo di Krebs e produrre ulteriore ATP.

Lipolisi aerobica

Per attività di durata superiore ai 20 minuti, l’organismo si affida alla lipolisi aerobica, cioè alle riserve di lipidi da cui ricava gli acidi grassi per produrre ATP.

Bene, finora tutto chiaro e, finora, tutto sembra poter dare credito alla falsa storiella che qui sto descrivendo (o attaccando?). Faccio notare che il glicogeno viene utilizzato per attività inferiori ai 20 minuti e (attenzione qui) con questo voglio intendere “per attività non protraibili oltre i 20 minuti”. L’intensità, infatti, è ancora abbastanza elevata perché il corpo utilizzi glucosio e non acidi grassi per la produzione energetica, per motivi di convenienza in termini di tempo. Gli acidi grassi infatti sono usati prevalentemente dal muscolo a riposo o impegnato in attività ripetibili per oltre 20 minuti: in tal caso l’intensità è bassa al punto da permettere all’organismo di avere il tempo di utilizzare i grassi come combustibile (dal momento che questi devono dapprima essere mobilizzati, poi trasportati ed infine ossidati). Stresso inoltre sul concetto che la distinzione non è così netta: non accade che, passata una certa percentuale di intensità, si passi dall’utilizzo prevalente di acidi grassi a quello prevalente di glucosio. Le percentuali relative di utilizzo dei substrati energetici sono distribuite su un continuum.

Giusto per togliere ogni dubbio, durante una corsa a bassa intensità (protraibile oltre i 20 minuti), l’organismo consuma preferenzialmente acidi grassi: quasi il 100% per attività inferiori al 65% della frequenza cardiaca massima. L’idea che si brucino i grassi solo passati 20 minuti dall’inizio dell’attività è, quindi, assolutamente priva di logica: come se in quel preciso istante, mantenendo invariata l’intensità, l’organismo guardasse l’orologio e cambiasse il sistema energetico utilizzato.

Il falso mito è stato quasi sconfitto, dico “quasi” perché rimane la questione di quale attività sia più efficace nell’incrementare la lipolisi. “A occhio”, sembrerebbe una attività a ritmo blando (sotto il 65% della frequenza cardiaca massima), in cui l’organismo utilizza quasi per il 100% acidi grassi. Il punto che non viene quasi mai considerato è che, minore è l’intensità, minore è il consumo calorico: per quanto sia elevata la percentuale di calorie proveniente dai grassi, la quantità assoluta è bassa perché basso è il consumo totale. Se la persona A esegue degli sprint per un totale di 20 minuti, consumando in tutto 600 kcal di cui il 50% dagli acidi grassi (c’è da considerare, inoltre, altri fattori di cui parlerò a breve), avrà consumato più grassi della persona B che corre per 45 minuti bruciando 250 kcal prevalentemente derivanti da lipidi.

Inoltre, un’attività ad alta intensità genera un aumento di alcuni ormoni altamente lipolitici (catecolamine, GH, testosterone) che permane per molte ore dopo l’attività, oltre che causare un incremento nella sintesi proteica muscolare, fattore fondamentale in una dieta ipocalorica in cui si voglia migliorare la composizione corporea. Al contrario, l’attività a bassa intensità non causa apprezzabili effetti circa il mantenimento del tessuto muscolare, anzi ne promuove la perdita per via di alcuni processi di adattamento.

L’attività prettamente lipolitica aerobica, dunque, è da sconsigliare come attività principale in un programma di dimagrimento: fare “cardio” 3-4 volte a settimana per 40-60 minuti aumenta il dispendio calorico giornaliero medio di non più di 250-300 kcal, con effetti deleteri riguardo il mantenimento della massa magra. Degli sprint, o l’allenamento con i pesi, determinano un aumento del dispendio calorico grosso modo simile e garantiscono un ottimo partizionamento calorico, che indica da dove il corpo ‘attinge’ preferenzialmente le calorie, se dal grasso o dal muscolo.

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Corsa, frequenza cardiaca, formula di Tanaka e cardiofrequenzimetro

MEDICINA ONLINE PALESTRA PESI MUSCOLI PROTEINE AMINOACIDI INTEGRATORI CORSA DIMAGRIRE DUODENO PANCREAS DIGESTIONE GLICEMIA BAMBINO GRASSO DIABETE ANALISI INSULINA ZUCCHERO CARBOIDRATI CIBO MANGIARE DIETAPer tutti i runner che si allenano quotidianamente, che seguano tabelle o si orientino a intuito su come e quando variare il proprio ritmo di corsa, può essere di grande aiuto conoscere le frequenze cardiache allenanti per il proprio sistema aerobico. Questo  può risultare determinante non solo per il miglioramento della prestazione ma anche e soprattutto per una consapevole gestione delle proprie forze e del sistema cardiovascolare.

L’uso del cardiofrequenzimetro risulta efficace come strumento di conoscenza del nostro corpo ed un ottimo punto di partenza per chi inizia a correre. Prendiamo come esempio una sessione di allenamento che la maggior parte dei runner ha nel suo programma: i lavori in pista. Quasi tutti hanno avuto nel proprio programma di preparazione una sessione di resistenza aerobica in cui di solito si svolgono lavori di lunghezza media (10×400 metri) con una breve pausa tra una ripetuta e l’altra di circa un minuto. Eppure questo non è sufficiente ad indicarci che il lavoro che si sta svolgendo sia realmente un lavoro di resistenza.

Perché? Se il ritmo della corsa risulta superiore alla nostra velocità di soglia il nostro cuore non riuscirà a smaltire tutto l’acido e il lattato prodotto dalla resintesi dell’ATP (la molecola energetica necessaria per l’attività muscolare) e il sistema energetico che andremo ad usare (allenare) risulterà quello anaerobico lattacido. Le conseguenze saanno quelle di provocare un eccessivo affaticamento con la difficoltà, e talvolta l’impossibilità, di portare a termine correttamente l’allenamento e con un sovraccarico funzionale che influirà negativamente ed inevitabilmente sulla successiva sessione di training. Il cardiofrequenzimetro ci può dare delle informazioni di base e approfondite su ciò che stiamo facendo, aiutandoci così ad essere consapevoli di quello che il sistema energetico che abbiamo attivato sta metabolizzando durante la corsa.

Partiamo dalla formula di Tanaka :

Fc max (Frequenza cardiaca massima) = 208 – (0,7 x età)

A partire da questa formula utilizziamo il cardiofrequenzimetro in tre step per acquisire una maggiore consapevolezza del ritmo e del tipo di allenamento che si sta facendo (aerobico – anaerobico – resistenza – potenza aerobica – potenza anaerobica).
Ecco il primo step:

  • Usare il cardio frequenzimetro A RIPOSO per verificare la frequenza cardiaca di base.
  • Usare il cardio frequenzimetro IN ALLENAMENTO per verificare costantemente la frequenza cardiaca e le andature di allenamento.
  • Usare il cardio frequenzimetro DOPO L’ALLENAMENTO analizzando i dati registrati durante la sessione di lavoro.

In quest’ultima modalità è possibile in modo particolare capire quali sono le velocità di soglia (anarobica e VO2 max, cioè masimo uso di ossigeno) e visualizzare quali sono stati i regimi di frequenza cardiaca maggiormente sollecitati durante l’allenamento.

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Pubalgia del podista: cause, diagnosi e rimedi

DIFFERENZA PUBE OSSO ILIACO INGUINE PUBALGIA ANATOMIA FUNZIONILa pubalgia del podista è una sindrome dolorosa che può colpire sia a livello della sinfisi pubica che a livello delle inserzioni muscolo-tendinee degli adduttori e degli addominali. I principali sintomi della pubalgia del podista sono il dolore e l’impotenza funzionale. Il dolore interessa tutto il distretto inguinale dell’atleta, in particolar modo il retto addominale e gli adduttori, nella loro inserzione sul pube.
Il dolore può comparire improvvisamente durante un gesto sportivo (solitamente un cambio di direzione o un brusco scatto) e tende a scomparire con il riposo. Esistono tuttavia anche delle forme croniche, in cui il dolore tende a diventare persistente.

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Cause
Le cause principali di pubalgia del podista possono essere differenti da soggetto a soggetto, ma possiamo individuarne alcune principali:

  • Sovraccarichi eccessivi;
  • Squilibri muscolari (scarso equilibrio fra la muscolatura degli arti inferiori e quella addominale) e tendinei;
  • Microtraumi ripetuti nel tempo;
  • Allenamenti svolti in condizione di affaticamento muscolare e articolare;
  • Allenamenti svolti con intensità troppo elevate;
  • Allenamenti svolti senza il dovuto riscaldamento;
  • Utilizzo di scarpe inadeguate;
  • Infortuni precedenti non ben recuperati;
  • Sovrappeso.

Ecco alcuni dati interessanti: il 30% dei casi di pubalgia del runner è causata dal non rispetto del rapporto tra la distanza massima consigliata e suo rapporto peso/altezza dell’atleta; il 15% dei casi di pubalgia deriva da allenamenti collinari frequenti con ritmi eccessivi in discesa.
Per determinare in maniera più specifica quali possono essere i fattori principali che hanno causato questa patologia la causa scatenante di questa patologia è necessaria una attenta anamnesi e un esame posturale del soggetto. Spesso si sente dire che sport come il calcio a 5 e il podismo non vanno molto d’accordo. Basta riflettere su un dato: il 45% dei casi di pubalgia è causato dal binomio corsa-calcio. La ragione di questa affermazione è da ricercare nei ripetuti infortuni occorsi a podisti che giocano saltuariamente a calcio a 5, sport dove vengono effettuati continui cambi di direzione, scatti, brusche frenate. Gli infortuni sono connessi al fatto che la muscolatura dei maratoneti e podisti in generale è composta da fibre muscolari prevalentemente lente, poco reattive agli sforzi rapidi e intensi deve tipici del calcio a 5. I muscoli non sono quindi abituati a contrarsi e ad allungarsi velocemente per permettere i movimenti laterali e cambi di direzione. Tra i fattori scatenanti possiamo distinguere tra:

  • Fattori intrinseci: tutti quei fattori del nostro organismo che non riguardano strettamente la sfera sportiva ma la vita in generale, che dipendono dalle abitudini, dalla postura, dall’equilibrio generale del corpo;
  • Fattori Tecnici: più strettamente legati a cause sportive.

Tra i fattori intrinseci troviamo:

  • Asimmetria degli arti inferiori;
  • Appoggio del piede in pronazione o supinazione;
  • Ginocchio valgo o ginocchio varo;
  • Minor flessibilità ed elasticità a livello dell’articolazione coxo-femorale;

Tra i fattori tecnici rientrano:

  • Allenamenti su terreni non idonei;
  • Allenamenti svolti utilizzando posizioni e andature da sprinter;
  • Tecniche di corsa non corrette;
  • Allenarsi con compagni che hanno ritmi differenti dal proprio;
  • Allenamenti svolti in maniera frettolosa, senza riscaldamento o con intensità troppo elevata.

Sintomi
Il principale sintomo associato a questa patologia è uno stato di dolore che può presentarsi già nella fase iniziale del riscaldamento, per poi attenuarsi quando i muscoli si riscaldano, ma spesso persiste e non consente la prosecuzione dell’allenamento, costringendo l’atleta a fermarsi. Il quadro clinico si presenta con una dolenzia marcata in tutto il distretto inguinale dell’atleta, in particolar modo a carico del retto addominale e degli adduttori, nella loro inserzione sul pube. Il dolore al pube il più delle volte è dovuto a tensioni muscolari eccessive, squilibri di forza legati a tensioni muscolari del gruppo dello psoas, degli adduttori, del quadrato dei lombi e del medio gluteo.

Rimedi
Il trattamento della pubalgia del podista può prevedere diverse attività, tra cui:

  • riposo;
  • laserterapia;
  • tecarterapia;
  • fare esercizi di stretching con i muscoli adduttori: molte volte sono gli adduttori sono contratti e poco elastici, quindi è opportuno programmare sempre degli esercizi di allungamento muscolare;
  • assumere farmaci antinfiammatori.

Ma come spesso di dice “prevenire è meglio che curare”. L’ideale sarebbe quindi adottare una serie di accorgimenti che consentano di non arrivare a sviluppare questa fastidiosa patologia. Per esempio sarebbe opportuno:

  • allenarsi in modo intelligente, rispettando il principio della gradualità del carico di allenamento;
  • alternare momenti di carico più intenso a momenti di riposo;
  • alternare sedute di corsa, a sedute di potenziamento muscolare, in particolare addominale e degli ischio-curali;
  • fare stretching dinamico, preferendolo a quello balistico, evitando posture prima dell’allenamento e in condizioni di eccessivo affaticamento.

Parte della sintomatologia dolorosa riferita al bacino può essere prevenuta o alleviata con un trattamento mirato ed è consigliato utilizzare delle scarpe e delle solette adatte a dare dei benefici alle articolazioni del corpo.

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Malata di cancro corre la maratona di New York e batte il tumore

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MALATA DI CANCRO MARATONA NEW YORK MELANIA  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgLa distanza da correre in una maratona è ben 42 e 195 ma non è nulla se paragonata al percorso per guarire da un cancro. Questa è un’esperienza che va nettamente oltre lo sport e che rappresenta al tempo stesso, i massimi valori espressi dalla storica disciplina. Melania Stocco, 50 anni di Onara di Tombolo (Padova), sposata con Giovanni e mamma di due figli, ha avuto due anni una diagnosi di un tumore osseo ad una tibia. Lo scorso febbraio Melania ha iniziato le cure chemioterapiche ed il 6 novembre scorso, pettorale numero 53832, ha tagliato il traguardo della Maratona di New York! Ma non è finita qui: ora Melania ha intenzione di correre la maratona di Stoccolma! Auguri di cuore Melania!

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Forrest Gump esiste davvero: l’uomo che corre senza fermarsi mai

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma UOMO CHE CORRE FORREST GUMP  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgSerge Girard, francese di nascita (1963) ha cominciato a corre 14 anni fa e , per così dire, non si è più fermato, meritandosi per le sue instancabili imprese l’appellativo di “uomo che corre senza fermarsi mai, ma anche quello di “Forrest Gump francese”. Sino a 14 anni fa aveva una vita molto tranquilla, facendo l’assicuratore e il promotore finanziario. Poi gli è capitato tra le mani in libro che ha cambiato la sua vita: «La corsa di Flanagan», di Tom McNab, che racconta la storia straordinaria della traversata degli Stati Uniti a piedi, da parte di duemila concorrenti, nel 1931. Da quel momento ha capito che doveva gettarsi dietro le spalle la vita che aveva vissuto e ha deciso che il suo destino era quello di correre, correre per il mondo intero, a piedi. Detto, fatto: si è da subito adoperato per realizzare il suo sogno e avrebbe anche detto: “La strada è lunga solo per chi non prova a realizzare i suoi sogni”. Da allora, dopo essersi messo on the run, non si è più fermato.
Un giorno, mentre correva in Niger, un tuareg vedendolo passare chiese ai suoi accompagnatori: “Ma cosa ha fatto di così terribile quest’uomo per meritare una punizione così grave?”.

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Queste le sue imprese:
1997 – Trans-USA (Los Angeles to New York): 4,597 km in 52 giorni, 23 ore, 20 min (record del mondo)
1999 – Trans-Australia (Perth/Sydney): 3,755 km in 46 giorni, 23 ore, 12 min (record del mondo, soppiantato da Achim Heukemes)
2001 – Trans-South America (Lima/Rio de Janeiro): 5,235 km in 73 giorni, 3 ore, 40 min (record del mondo)
2003/2004 – Trans-Africa (Dakar/Cairo): 8,295 km in 123 giorni, 2 ore, 40 min (record del mondo)
2005/2006 – Trans-Eurasia (Paris/Tokyo): 19,097 km in 262 giorni (allo stato l’unica impresa di questo tipo portata a termine, anche se il nostroBattista Marchesi (di oltre 70 anni), per quanto su circuiti stradali “casalinghi” proprio in questi giorni sta provando ad eguagliare tale record, con la sua impresa Battista Marchesi 19.100 km in 9 mesi.
2009/2010 – Un anno di corsa: 27,011 km in 365 days (record del mondo)

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A 85 anni batte il record mondiale di maratona

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma 85 ANNI RECORD MARATONA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina Glutei TestaL’ingegnere Ed Whitlock, canadese ma inglese di nascita (è nato a Londra il 6 marzo 1931), alla veneranda età di 85 anni, ha polverizzato il record del mondo dei 42 km e 195 metri nella sua categoria (85-90), scendendo sotto il muro delle 4 ore: 3 ore e 56 minuti netti, ben 38 minuti in meno rispetto al precedente record di 4 ore 34 minuti 55 secondi. Ed Whitlock nel 2000 fu la persona più anziana a correre la maratona in meno di 3 ore col tempo di 2 ore 52 minuti e 47 secondi, inoltre è stato il primo ultrasettantenne a correre la specialità in meno di tre ore con il tempo di 2 ore 59 minuti e 10 secondi nel 2003.

Continuerò a correre finché potrò

“Miravo alle 3 ore e 50, ma dopo metà gara mi sono reso conto che era troppo difficile”, ha detto ai microfoni di CBC Radio One. “Nessuno sa quando arriverà l’ora dell’ultima corsa ma io continuerò a correre finché potrò”. Nel 2006 ha stabilito il record mondiale per il gruppo da 75 a 79 anni col tempo di 3h 08′ 35″ alla Toronto Waterfront Marathon e nella Maratona di Rotterdam il 15 aprile 2007 ha abbassato il suo tempo a 3h 04′ 54″. Il 26 settembre 2010 ha corso la Toronto Waterfront Half Marathon (mezza maratona) in 1h 34′ 23″.

PS Ed Whitlock è deceduto a Toronto, il 13 marzo 2017, ad 86 anni.

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