Quando il bambino inizia a gattonare? Cosa deve fare il genitore?

MEDICINA ONLINE BIMBO BAMBINO NEWBORN BABY NEONATO LATTANTE GATTONARE CARPONARE CAMMINARE PARLARE BENE PRIMA PAROLA SCALCIARE CORRERE PARLARE MASCHIO FEMMINA DIFFERENZA AIUTO GENITORI.jpgChe significa “gattonare”?

Il verbo “gattonare” sta a indicare l’avanzare con le mani e con le ginocchia sul pavimento (“a quattro zampe”), riferito solitamente ai bambini che non hanno ancora imparato a camminare in piedi e non a quelli che già sanno camminare.

A quanti mesi il bambino inizia a gattonare?

Solitamente il bimbo, sia maschio che femmina, tra i 6 e gli 8 mesi acquisisce la capacità di stare in equilibrio su mani e piedi a pancia sotto; successivamente tra i 9 e i 10 mesi inizia il gattonamento, ma ci sono bimbi che iniziano anche prima o più tardi: non è importante anticipare le tappe motorie quanto raggiungerle quando si è veramente pronti. Alcuni bambini saltano questa fase e sperimentano altre modalità di movimento, ad esempio strisciano a pancia in giù, si spostano da seduti aiutandosi con mani e piedi, per poi passare direttamente alla stazione eretta. E’ importante in questa fase notare nel bambino la volontà di spostarsi in una direzione che può decidere autonomamente.

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Gattonare: è davvero importante?

Spesso si pensa che saltare questa tappa motoria e passare direttamente alla deambulazione non abbia nessuna importanza dal punto di vista motorio, della coordinazione e dello sviluppo cognitivo, ma secondo alcuni autori non è affatto così. Il gattonamento prepara e allena il bambino alla sua futura coordinazione motoria; inoltre il passaggio dalla posizione quadrupedica a quella bipede (in piedi) permette la formazione delle curve fisiologiche della schiena. Inoltre il bimbo, grazie al gattonamento:

  • Aumenta la coordinazione occhio-mano: quando i piccoli esaminano un oggetto, ad esempio, imparano a sviluppare la distanza ed il posizionamento e a sfruttare il movimento delle mani per raggiungerlo in sincronia con gli occhi, che devono poter lavorare insieme.
  • Impara a utilizzare entrambe le orecchie e tutti e due gli occhi (visione binoculare).
  • Sviluppa la propriocezione: impara a percepire la posizione del corpo nello spazio e il grado di contrazione dei propri muscoli anche senza l’aiuto visivo.
  • Sviluppa le funzioni cognitive. Avete mai sentito parlare del lato destro e sinistro del cervello? Ebbene, per poter funzionare al meglio, queste due parti devono essere in piena comunicazione tra loro, e la loro capacità di comunicare non è un’abilità del tutto innata. I movimenti richiesti per gattonare portano i due lati del cervello ad interagire tra loro, creando aree di informazioni importanti per la maturazione delle diverse funzioni cognitive.
  • Aumenta la fiducia in se stesso: il bambino impara anche a prendere decisioni circa la destinazione e la velocità, e sperimenta il piacere provocato dal raggiungimento del suo obiettivo.
  • Sviluppa lo schema crociato, ovvero la funzione neurologica per cui il braccio destro si muove in sincronia con la gamba sinistra e viceversa.

Il bambino che gattona ha bisogno di scarpe?

Per gattonare non c’è bisogno di scarpe: l’ideale sono i calzini antiscivolo.

Cosa devono fare i genitori?

Per agevolare il gattonamento il genitore può aiutare il bimbo disponendo un grande tappeto morbido con la gomma sotto con alcuni giocattoli sparsi: il bambino imparerà presto a spostarsi nella modalità che gli risulta più congeniale per raggiungerli.

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Differenza tra neonato, lattante, bambino ed infante

MEDICINA ONLINE NEWBORN NEONATO BIMBO BAMBINO FIGLIO LATTE MAMMA GENITORI FAMIGLIA PAPA MADRE PADRE NONNI AMORE PEDIATRIAQuando un bimbo viene chiamato neonato?

Un bimbo prende il nome di “neonato” nel periodo di 4 settimane che inizia con il parto e finisce col 28° giorno dopo il parto.

Quando un bimbo viene chiamato lattante?

Un bimbo prende il nome di “lattante” nel periodo variabile che inizia col 29° giorno dopo il parto e termina  con lo “svezzamento“. Ricordiamo che lo svezzamento (anche chiamato “divezzamento” o ancora “alimentazione complementare”) è il processo di sostituzione dell’alimentazione esclusiva a base di latte (allattamento naturale o artificiale) tipica delle prime fasi di vita, con quella caratterizzata dall’assunzione di altri liquidi e solidi. Lo svezzamento inizia in un tempo variabile che oscilla tra i 6 e gli 11 mesi di vita. Quindi il bimbo viene chiamato lattante generalmente tra l’inizio del secondo mese e massimo l’11° mese.

Quando un bimbo viene chiamato bambino od infante?

Dopo lo svezzamento il bimbo viene comunemente chiamato “bambino“. Infine il termine “infante” deriva dal latino infans che significa “muto, che non può parlare” ed in passato si riferiva esclusivamente al periodo tra la nascita del bambino ed il momento estremamente variabile in cui inizia a parlare nei primi anni di vita. Oggi, per estensione, questo termine ha assunto anche il significato di periodo della vita di un individuo fino all’insorgenza dei primi segni della pubertà.

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Differenze latte 1 (di inizio) e 2 (di proseguimento): quando cambiare?

MEDICINA ONLINE NEONATO BAMBINO BIMBO FECI VOMITO BOCCA VOMITO FECALOIDE CAUSE COLORE VERDE GIALLO ROSSO MARRONE BILIARE CAFFEANO CIBO ALIMENTARE DIGESTIONE NAUSEA STOMACO MAL DI PANCIA ACQUA NON DIGERITO PEZZI COLITE COLONLe formule di inizio (latte 2)
Le formule di inizio del latte artificiale sono contrassegnate con il numero 1 (perciò vengono dette di “tipo 1” o starting formula) e sono state studiate proprio per nutrire i neonati da zero fino a quattro mesi di vita.
Ecco le caratteristiche principali di questo tipo di latte:

  • hanno un valore energetico tra 64 e 72 calorie circa per ogni 100 centimetri cubi;
  • il loro contenuto di zuccheri è costituito dal solo lattosio (lo zucchero presente nel latte) o anche da maltodestrine (zuccheri che, oltre a fornire un buon contenuto energetico, vengono assorbiti rapidamente da parte del-l’organismo);
  • contengono nelle giuste proporzioni gli acidi grassi essenziali Omega 6 e Omega 3, molto importanti in quanto l’organismo umano non è in grado di produrli da solo;
  • contengono 1,2-1,9 grammi di proteine ogni 100 millilitri: fino a qualche anno fa questa percentuale era quasi doppia, ma recenti studi hanno dimostrato che, per rispondere ai fabbisogni di un bambino di questa età, non è necessario sovraccaricare il lavoro dei reni.
Le formule di proseguimento (tipo 2)

Le formule di proseguimento del latte artificiale sono contrassegnate con il numero 2 (perciò vengono dette di “tipo 2”) e possono venire offerte ai bimbi a partire dai 4-5 mesi fino all’anno di vita. Intorno a questa età, infatti, il piccolo ha raggiunto una maggiore maturità dell’apparato digestivo e ha esigenze nutrizionali diverse rispetto a prima: comincia, infatti, anche lo svezzamento, cioè il passaggio graduale dal solo latte a un’alimentazione che comprende anche i primi cibi solidi.

No al latte di mucca

Le formule di proseguimento del latte artificiale rappresentano il miglior sostituto del latte di mucca, la cui introduzione è sconsigliata prima dell’anno, in quanto troppo povero di ferro o molto ricco di proteine. Rispetto al latte vaccino, queste formule hanno, infatti, un maggior contenuto di ferro, zuccheri, vitamine e acido linoleico (un acido grasso essenziale per l’organismo). Il contenuto di proteine è di poco superiore a quello delle formule di inizio, mentre la presenza di grassi è minore.

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In polvere o diluito

In commercio esistono formule in polvere, che vanno diluite prima del consumo, e latti invece già diluiti, quindi pronti per l’uso. I tipi più diffusi in Italia sono comunque quelli in polvere che hanno il vantaggio di durare a lungo e di avere un ingombro limitato. Quelli diluiti, invece, danno più problemi di “scorta”, ma hanno il vantaggio di non lasciare margini di errore durante la diluizione: non si rischia, cioè, di preparare un latte troppo denso o, al contrario, troppo leggero.

Latte per allergia o rigurgito

Esistono alcuni tipi di latte adatti ai bambini che hanno sviluppato un’allergia a questo alimento (che si manifesta con eruzioni cutanee, vomito e diarrea) o che presentano alcuni problemi della prima infanzia, come il rigurgito. In questo caso il pediatra potrà consigliare tipi speciali di latte (i delattosati, gli idrolisati, il latte di soia, gli antirigurgito).

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Morte in culla: cause, sintomi, incidenza, come evitarla

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COLICHE NEONATI RIMEDI Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina GluteiE’ la paura che ogni neo-genitore nutre, quando apprende dell’esistenza di una simile sindrome, eppure la morte in culla (nota anche come Sindrome della morte improvvisa del neonato, SIDS) è tra le prime cause di decesso tra i neonati. Una sindrome di cui oggi si conoscono meglio le cause, grazie a uno studio pubblicato dall’autorevole rivista Pediatrics.

Lo studio sulle cause

I ricercatori del Boston Children’s Hospital hanno analizzato campioni del cervello di 71 bambini morti per presunta Sids tra il 1995 e il 2008, sia messi a dormire in condizioni considerate poco sicure sia in posizioni sicure. Nei bimbi sono state riscontrate alterazioni nei livelli di alcuni neurotrasmettitori, dalla serotonina ai cosidetti recettori gaba. “Queste sostanze controllano respirazione, ritmo cardiaco, pressione e temperatura – spiegano gli autori di questa pubblicazione importantissima – e in questo caso impediscono ai bambini di svegliarsi se respirano troppa anidride carbonica o il corpo diventa troppo caldo. Le regole per una corretta messa a letto restano quindi fondamentali, per evitare di mettere i bimbi in situazioni a rischio asfissia da cui non sono in grado di difendersi”. Una notizia che, grazie alla grande generosità di questi ricercatori e dei genitori di questi neonati, segna un notevole passo avanti nella prevenzione di questa sindrome poste le linee guida suggerite per ridurne l’incidenza.

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Incidenza della morte in culla
Non esistono dati nazionali – si apprende consultando il sito ufficiale del dicastero – sull’incidenza del fenomeno, mancando un sistema di rilevazione omogeneo; in Italia, in passato, è stata calcolata nell’ordine del 1-1,5% dei nati vivi, ma è attualmente in netto declino per la maggior attenzione nel coricare i neonati in posizione supina. Ora è stimabile attorno allo 0,5%, ovvero 250 nuovi casi SIDS/anno. Il picco è fra i 2 e 4 mesi di età, soprattutto nel periodo invernale; è più rara dopo i 6 mesi, eccezionale nel primo mese. La prevenzione della SIDS si pone come una assoluta priorità nella salute pubblica.

Morte in culla: sintomi e segni

Le vittime della morte in culla sono bambini sani che non mostrano nessun segno di malattia. Alcuni bambini mostrano dei sintomi qualche giorno prima della morte ed è consigliabile una comunicazione costante col pediatra sulla salute del bambino. Tra questi sintomi ci sono tosse, sibili, vomito, diarrea e scarso appetito. I bambini possono sembrare irrequieti o irritabili o apparire pallidi e svogliati. Progressivamente la pelle del bambino assume un colorito bluastro, le mani e i piedi si raffreddano e sopraggiungono difficoltà respiratorie. Internamente i polmoni e il canale respiratorio diventano gonfi e infiammati. L’acqua e il sangue si depositano nei polmoni e i vasi che collegano i polmoni al flusso sanguigno sono soggetti a spasmi.

Come evitare la morte in culla del neonato o del lattante?

Vi riportiamo di seguito le principali linee guida, l’adozione di queste regole, nei Paesi in cui sono state diffuse attraverso campagne di informazione di massa in larga parte di matrice governativa, hanno comportato una riduzione della percentuale di casi.

  • Il piccolo deve essere messo a dormire in posizione supina, a pancia in su sin dai primi giorni di vita nella propria culletta, preferibilmente nella stanza dei genitori;
  • l’ambiente non deve essere troppo caldo con una temperatura attorno ai 20 gradi, da evitare l’eccesso di vestiti e coperte troppo pesanti;
  • il materasso deve essere della misura esatta della culla e non troppo soffice; no a peluche, paracolpi, giocattoli e altri oggetti in prossimità del bimbo;
  • i piedini devono toccare il fondo della culla o del lettino;
  • da evitare anche la condivione del letto con i genitori;
  • l’ambiente deve essere libero da fumi;
  • l’uso del ciuccio durante il sonno, raccomandato in alcuni Stati, è da consigliarsi solo dopo il mese di vita.

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Denti da latte (decidui) nei bambini: quando spuntano e cadono?

MEDICINA BIMBO BAMBINO BAMBINA FIGLIA KID BABY LITTLE GIRL NEONATO PEDIATRIA DENTI DA LATTE DECIDUI INFANZIA SCUOLA EDUCAZIONE BIMBA FELICE FELICITA FAMIGLIA PEDAGOGIALa dentatura da latte (anche chiamata “dentatura decidua”) è composta da venti denti (dieci superiori e dieci inferiori):

  • otto incisivi;
  • quattro canini;
  • otto molari;

Non esistono premolari decidui. I denti da latte sono anche chiamati “denti decidui”.

MEDICINA ONLINE DENTI DA LATTE BAMBINI.

A che età ai bambini spuntano i denti di latte?

I denti di latte iniziano in genere a crescere all’età di 8 mesi con notevoli differenze individuali. I primissimi denti che nascono sono quelli anteriori del mascellare inferiore. All’età di 18 mesi si vedono i primi molari.

A che età i bambini cambiano i denti di latte?

I denti cominciano ad essere sostituiti all’età di 6 anni e proseguono nel loro cambiamento fino a 13 anni, raggiungendo così il totale di 28 denti.

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Diabete gestazionale: cos’è e quali sono i rischi per il feto e la madre

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Questa condizione si verifica nel 8% nelle donne incinte. Generalmente, il diabete gestazionale tende a scomparire al termine della gravidanza, tuttavia, le donne che ne hanno sofferto presentano un rischio più elevato di sviluppare diabete di tipo 2 in età avanzata. Esistono dei fattori di rischio come l’obesità e la familiarità con un paziente diabetico che possono accrescere sensibilmente la probabilità di andare incontro a questa forma di diabete.

Sintomi del diabete gestazionale
Il diabete gestazionale si manifesta con sintomi poco evidenti e passa spesso inosservato alle donne. Tuttavia attraverso un’attenta analisi delle condizioni della gestante è possibile intuirne la presenza.
I sintomi da controllare sono: l’aumento ingiustificato della sete, il frequente bisogno di urinare, la perdita di peso corporeo, i disturbi della vista e le infezioni frequenti, come cistiti e candidosi.

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Terapia del diabete gestazionale
La cura del diabete durante la gravidanza avviene fondamentalmente attraverso una dieta finalizzata a garantire il giusto apporto calorico necessario alla crescita del feto, a preparare l’organismo materno al parto e all’allattamento, oltre che ad evitare episodi di ipoglicemia o iperglicemia per l’organismo della madre. Non può comunque prescindere dalla pratica dell’attività fisica.
La terapia con insulina si rende necessaria solo quando, nonostante il rispetto dell’alimentazione prescritta dal diabetologo o dal dietologo, i valori della glicemia risultano superiori ai valori ritenuti normali per la gravidanza.
Nel caso del diabete gestazionale, l’autocontrollo della glicemia è fondamentale per tenere sotto controllo l’evolversi della malattie e valutare l’efficacia della terapia.

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Rischi per la madre e per il feto nel diabete gestazionale
Pur essendo una condizione transitoria, se non viene diagnosticato ed adeguatamente curato, può portare a delle conseguenze, sia per la madre che per il feto. In presenza di diabete gestazionale non esiste alcun rischio per la vita del bambino, ma è comunque importante controllare al meglio i valori glicemici per evitare complicanze.
Tra queste, la più conosciuta e diffusa è chiamata macrosomia, ovvero un eccessivo sviluppo del feto rispetto alla sua età gestazionale, con peso alla nascita superiore ai 4-4,5 kg.
Il motivo di questo eccesso ponderale va ricercato nella grande disponibilità di glucosio (zucchero) legata all’iperglicemia materna. Per le notevoli dimensioni, il feto può incontrare importanti difficoltà durante il passaggio nel canale del parto, richiedendo in molti casi il ricorso al parto cesareo (anche se in tal senso, il diabete gestazionale non rappresenta un indicazione assoluta). In caso di parto naturale, quindi, per la madre aumentano i rischi di lacerazione vaginale (fino all’interessamento dello sfintere anale) ed emorragie post-partum, mentre il nascituro corre un maggior rischio di frattura e distocia di spalla. Al momento del parto, inoltre, il nascituro può subire una crisi ipoglicemica, dal momento che – essendo abituato a vivere in un ambiente iperglicemico – può risentire della brusca diminuzione degli zuccheri al momento del distacco del cordone ombelicale.

Altre complicanze del diabete gestazionale
Altre possibili complicanze alla nascita sono rappresentate dall’iperbilirubinemia, dall’ipocalcemia e dalla sindrome da distress respiratorio.
Un cattivo controllo metaboilico del diabete gestazionale può dare origine a complicazioni ipertensive e facilitare l’insorgenza di diabete materno nel post-partum. Le donne affette da GDM costituiscono infatti una popolazione ad elevato rischio per lo sviluppo del diabete mellito tipo 2 negli anni successivi: per entrambe queste due forme di diabete sono infatti simili i più importanti fattori di rischio, quali obesità, distribuzione viscerale del tessuto adiposo e familiarità per diabete.
La macrosomia, al pari della condizione opposta, sembra aumentare il rischio di obesità e sue complicanze tardive (diabete di tipo II, aterosclerosi, ipertensione) nell’infanzia e nelle successive fasce di età .
Come anticipato nella parte introduttiva, il diabete gestazionale non comporta normalmente abortività o malformazioni, comunque possibili nel caso in cui l’iperglicemia cronica sia già presente al momento del concepimento ma ancora all’oscuro della gestante e dello staff medico. Tutto ciò contribuisce a sottolineare l’importanza di una visita pre-concepimento nel momento in cui la gravidanza è ancora ricercata. Sia chiaro che anche una donna diabetica può portare a termine una gravidanza con serenità e senza alcuna complicanza, ma è fondamentale che il concepimento sia preceduto da un preventivo consulto medico e da un controllo ottimale del diabete prima, durante e dopo la gravidanza. Il concepimento e le primissime settimane di gestazione, in particolare, devono avvenire in una situazione di perfetto controllo glicemico.

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Il mio bambino può mangiare il parmigiano? A che età iniziare?

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Leggiamo dal sito del Consorzio del Parmigiano Reggiano:

[Il] prof. Sergio Bernasconi dell’Università di Parma […] ha indicato in questo formaggio una straordinaria fonte di calcio altamente biodisponibile (e quindi assimilabile), molto utile per bambini ed adolescenti (“che mangiano molto e male”, ha detto il clinico) e la cui dieta è carente, come risulta da statistiche sia europee che statunitensi […]

Ma da che età è preferibile iniziare a consumare il Parmigiano Reggiano? Molti pediatri consigliano di evitare il formaggio nelle pappe fino al compimento del primo anno d’età – per approfondire questo punto, ti consigliamo di leggere questo articolo: I pediatri italiani dicono “no” al Parmigiano nelle pappe.

Quanto ne dovrebbe mangiare?

L’importante, come per ogni altro cibo, è non abusarne. Un bambino piccolo, di pochi anni d’età, non dovrebbe mangiare formaggio più di tre o quattro volte a settimana. Mangiare formaggio non vuol dire divorarne etti ed etti: bastano pochi grammi di Parmigiano Reggiano, una o due scaglie, per soddisfare, per esempio, il fabbisogno giornaliero di calcio. Facciamo qualche numero. Un bambino di età compresa fra uno e sei anni ha bisogno di circa 800 mg di calcio al giorno. Considera che una porzione di soli 50 g di Parmigiano Reggiano assicura un apporto di 580 mg di calcio. Insomma, a conti fatti, un etto di Parmigiano sarebbe già assai più che sufficiente.

Per i bambini allergici alle proteine del latte

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che chi è allergico alla caseina, la proteina principale del latte, può mangiare il Parmigiano Reggiano, purché sia un Parmigiano di lunga stagionatura.

Una ricerca pubblicata sulla rivista internazionale PLoS One ha svelato che:

due bimbi su tre (sotto i dieci anni) con gravi allergie al lattosio, che hanno assunto un cucchiaio di parmigiano reggiano, equivalente a un bicchiere di latte, non hanno presentato problemi e conseguenze negative.

L’importante, come già scritto, è che il Parmigiano sia ben stagionato, almeno 30 mesi. Più l’invecchiamento del formaggio è lungo e più gli enzimi proteolitici presenti nel latte e nel siero innesto “predigeriscono” la caseina, fino a ridurla in aminoacidi liberi, più facili da assorbire per l’organismo.

Ricorda infine che il Parmigiano Reggiano non garantisce solo un ottimo apporto di calcio. Questo formaggio è ricco di tante altre sostanze nutritive, come le vitamine A e B, oltre che di ferro e di zinco. Per esempio, il Beta-Carotene e le vitamine A, B2, B6, B12 assicurano un’ottima azione protettiva e antitossica: favoriscono la formazione degli anticorpi e ci difendono dagli inquinanti presenti nell’aria che respiriamo ogni giorno. Insomma, mangiare il Parmigiano fa bene. Basta solo non esagerare con le dosi.

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Differenza tra feci del neonato allattato al seno o con latte artificiale

MEDICINA ONLINE NEONATO BIMBO BAMBINO PIANTO CONGENITO LATTE ALLATTAMENTO SEN MADRE FIGLIO GENITORE BIMBI LATTANTE MATERNO ARTIFICIALE DIFFERENZA PICCOLO PARTO CESAREO NATURALE PIANGERE SINGHIOZZO PANNOLINO FECI URINA PENEL’alimentazione del bebè – se con latte materno o con latte artificiale – condiziona in modo molto marcato l’aspetto delle sue feci. Una variazione che dipende dalle diverse caratteristiche della flora batterica intestinale del bambino. Che a sua volta è legata appunto al tipo di alimentazione.

Se il neonato prende il latte materno, le sue feci hanno un colore giallo vivo – ocra o becco d’oca – e una consistenza cremosa o tendente al liquido. L’odore non è cattivo e tendenzialmente acidulo. A volte possono essere presenti dei granuli biancastri: non è niente di preoccupante, sono semplicemente granelli di caseina, una proteina del latte che, se presente in eccesso, può venire eliminata con le feci. Questo aspetto caratteristico rimane costante per tutto il periodo dell’allattamento esclusivo al seno: Al massimo con il passare delle settimane le feci possono diventare un pochino più compatte, e verso il terzo/quarto mese può esserci un rallentamento nel ritmo dell’evacuazione: invece che emettere feci più volte al giorno, magari il bambino comincia a farla una o due volte al giorno o anche una volta ogni 2/3 giorni.

Se l’alimentazione del neonato prevede latte artificiale, le sue feci saranno diverse: più pastose e compatte, con un colorito che raramente è giallo ocra, ma quasi sempre o giallo chiaro o tendente al marroncino. Anche la frequenza delle evacuazioni sarà diversa: più rara.

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