Ecografia del seno [VIDEO]

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO OSPEDALE ANAMNESI ESAME OBIETTIVO SEMEIOTICA FONENDOSCOPIO ESAME (2)L’ecografia della mammella è una tecnica diagnostica basata sugli ultrasuoni, pertanto innocua ed indolore, in grado di produrre immagini delle componenti della mammella, della parete toracica e delle stazioni linfonodali satelliti, in modo da analizzare l’eventuale presenza di lesioni benigne e maligne, come fibroadenomi, cisti e cancro, specie in pazienti giovani e/o con componente adiposa limitata. L’esame ecografico della mammella usa una sonda ad elevata frequenza (10 Mhz ed oltre), è di solito svolto durante la visita senologica, ed è completato da una accurata anamnesi, dalla palpazione della mammella e da eventuale mammografia. Durante l’ecografia al seno l’operatore muove lentamente la sonda sulla cute, precedentemente cosparsa di gel, della paziente per esaminare i tessuti sottostanti, soffermandosi su alcuni punti che possono essere “sospetti”, come mostrato nel video può essere visionato seguendo QUESTO LINK

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Differenza tra gastroscopia ed ecografia

MEDICINA ONLINE ECOGRAFIA ADDOME ADDOMINALE GASTROSCOPIA STOMACO GRAVIDANZA ESOFAGO FEGATO PANCREAS INTESTINO CRASSO ILEO CIECO INCINTA APPENDICE ASCENDENTE TRASVERSO DISCENDENTE RETTO ANO COLONSCOPIA SIGMOIDOSCOPIA TUMORECos’è una gastroscopia?

Con “endoscopia” in medicina, si indica in generale una tecnica diagnostica/terapeutica che usa un particolare strumento chiamato “endoscopio” (un tubo flessibile e mobile dotato di videocamera all’estremità che restituisce l’immagine su un monitor) per osservare tessuti dall’interno del corpo, raggiungibili dall’esterno tramite strutture anatomiche (bocca, naso, ano…) o piccole incisioni. Più specificatamente la “gastroscopia” (anche chiamata “esofagogastroduodenoscopia” o “EGDS“) è un tipo particolare di endoscopia digestiva nella quale l’endoscopio viene inserito attraverso la bocca e può indagare le alte vie digerenti, cioè esofago, stomaco e duodeno (la prima parte dell’intestino tenue).

Per quale motivo si effettua una gastroscopia?

La gastroscopia ha un importante scopo diagnostico – anche tramite la possibilità di effettuare biopsie – in un gran numero di patologie, tra cui l’ernia iatale, l’esofagite, la gastrite, la gastroduodenite, l’ulcera duodenale e vari tipi di tumori.

Cos’è una ecografia gastrica?

L’ecografia è un’indagine semplice e innocua che si basa sull’emissione di ultrasuoni, innocui per l’organismo, tanto che è possibile farla anche ad una donna incinta. Gli ultrasuoni sono onde emesse da una sonda fatta passare sulla pelle, che viene prima ricoperta da un sottile strato di gel. Le onde sono riflesse in diversa misura dai diversi tessuti: per questo l’ecografia può distinguere tra cisti a contenuto liquido o masse solide. Quando una ecografia si rivolge all’addome, solitamente mediante l’uso di sonde a frequenza medio-bassa, si parla più correttamente di “ecografia addominale” (e non di ecografia gastrica) e serve per indagare l’addome nel suo complesso (parte dello stomaco, colecisti, vie biliari, duodeno, fegato, pancreas, intestini…).

Per quale motivo si effettua una ecografia addominale?

L’ecografia ha un ruolo importante nella diagnosi di svariate patologie addominali (infiammazioni, masse anomale, malformazioni…) che riguardano gli organi appena elencati.

Vantaggi della gastroscopia rispetto all’ecografia

La gastroscopia – nella maggioranza dei casi – è in grado di fornire informazioni più accurate rispetto all’ecografia. La gastroscopia ha anche l’enorme vantaggio di potersi associare all’eventuale prelievo di una piccola quantità di tessuto anomalo (biopsia) o di permettere vere e proprie tecniche terapeutiche (asportazioni di lesioni circoscritte), funzionalità impossibili con una ecografia.

Vantaggi dell’ecografia rispetto alla gastroscopiascopia

Di contro i vantaggi di una ecografia sono nell’essere un esame decisamente meno invasivo, fastidioso (non necessita di sedazione come invece spesso accade nella gastroscopia) e rischioso (minori rischi di sanguinamento e perforazione dello stomaco e del duodeno). I rischi di una ecografia sono praticamente assenti e può essere effettuato varie volte, anche in caso di donna in gravidanza. L’ecografia è infine un esame più rapido, meno costoso e di più facile reperibilità negli studi medici.

Gastroscopia ed ecografia: quale dei due è il migliore?

La risposta a questa domanda è “dipende”. Alcune patologie fanno preferire una tecnica piuttosto che l’altra. Solo nel caso in cui alla diagnosi si voglia far immediatamente seguire una terapia od una biopsia, la gastroscopia diventa una scelta praticamente obbligata rispetto all’ecografia. Sarà comunque il medico, e non il paziente, a decidere la tecnica maggiormente indicata, soppesando vantaggi, svantaggi ed ipotesi diagnostica.

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Ecografia prostatica transrettale: come si svolge, è dolorosa, a che serve?

MEDICINA ONLINE ECOGRAFIA PROSTATICA TRANSRETTALE SONDA RETTO ANO PROSTATA TENE GHIANDOLA IPERPLASIA IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA CANCRO TUMORE UMO ULTRASUONI.jpgL’ecografia prostatica transrettale è una ecografia della prostata che, anziché essere effettuata con una Continua a leggere

Differenza tra ecografia e mammografia nella diagnosi di tumore al seno

MEDICINA ONLINE MAMMELLA SENO PETTO DONNA QUADRANTI Q1 Q2 Q3 Q4 FEMMINA FEMMINILE MASCHILE CAPEZZOLO AREOLA MUSCOLI PETTORALI CASSA TORACICA DOTTI GALATTOFORI INTROFLESSO PAGET TESSUTO ADIPOSO ECOGRAFIA MAMMOGRAFIALe donne dispongono di strumenti molto efficaci per la diagnosi precoce del tumore del seno, tra essi sono di estrema importanza quelli appartenenti al campo della diagnostica per immagini, primo tra tutti la mammografia, affiancata da altri quali ecografia, risonanza magnetica e PET. La prevenzione è fondamentale perché individuare un tumore ancora molto piccolo aumenta notevolmente la possibilità di curarlo in modo definitivo, ma è importante scegliere lo strumento più adatto a noi, fermo restando che una visita senologica periodica è sempre indicata in tutte le donne al di sopra dei 20 anni, specie se hanno casi di tumore alla mammella in famiglia. Ricordiamo che per le donne positive al test genetico per BRCA1 o 2 è indicata un’ecografia semestrale ed una risonanza annuale, anche in giovane età.

Ecografia

L’ecografia è lo strumento più adatto per la diagnosi quando la paziente ha meno di 35/40 anni e/o ha una mammella di dimensione ridotta (con scarsa componente adiposa), la mammografia è meno raccomandata perché la struttura troppo densa del tessuto mammario in questa fascia di età renderebbe poco chiari i risultati. Ciò è determinato dal fatto che, per motivi legati alla restituzione dell’immagine, l’ecografia permette di trovare lesioni più facilmente quando la mammella è giovane (maggiore componente ghiandolare), mentre la mammografia permette la localizzazione di lesioni quando è maggiore la componente adiposa (pazienti meno giovani). Adipe e noduli hanno una ecogenicità simile, quindi una mammella fortemente adiposa renderebbe infatti più difficile riconoscere il nodulo.

In situazioni particolari, per esempio in caso di scoperta di noduli sospetti, è possibile approfondire l’analisi ecografica con una biopsia (agoaspirato) del nodulo e successiva indagine istologica.

L’ecografia ha molti vantaggi: per prima cosa è indolore, economica e lo strumento ecografico è facilmente reperibile in qualsiasi struttura sanitaria anche piccola. Un grande pregio della ecografia rispetto ad altre metodiche è che permette di visualizzare una struttura in tempo reale con molti vantaggi (si pensi ad esempio alla visualizzazione della reazione del nodulo alla mobilizzazione che – se presente – è indice di benignità), inoltre l’ecografia non utilizza radiazioni ionizzanti come invece avviene con la mammografia, ciò la rende utile nello studio di tessuti in una donna incinta e lo rende un esame ripetibile molte volte, senza alcun rischio per la paziente.

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Mammografia

La mammografia è lo strumento più adatto per la diagnosi quando la paziente ha più di 35/40 anni e/o ha una mammella di grandi dimensioni (con adipe maggiormente sviluppato). In questi casi l’ecografia è meno indicata perché – come già prima accennato – una mammella di una donna meno giovane ha solitamente una forte componente adiposa che rende difficile distinguere noduli sospetti in virtù di simile ecogenicità tra adipe e nodulo. Nella mammografia invece adipe e nodulo vengono restituiti con una “luminosità” differente e ciò rende il nodulo più facilmente distinguibile in una mammella con forte componente adiposa.

In caso di dubbio, è comunque certamente utile affiancare una ecografia alla mammografia. E’ importante ricordare che tra i 50 e i 60 anni il rischio di sviluppare un tumore del seno è piuttosto alto e di conseguenza le donne in questa fascia di età devono sottoporsi a controllo mammografico ogni anno. E’ anche importante ricordare che la mammografia, al contrario dell’ecografia, utilizza radiazioni ionizzanti e ciò la rende un esame difficilmente ripetibile, specie se la paziente è incinta.

Anche se la mammografia rimane uno strumento molto efficace per la diagnosi precoce del tumore del seno, oggi sono disponibili anche altre tecniche diagnostiche come la risonanza magnetica (ancora limitata a casi selezionati), la PEM (una tomografia a emissione di positroni – PET – specifica per le mammelle) e un nuovo esame già definito il Pap-test del seno che consiste nell’introduzione di liquido nei dotti galattofori (i canali attraverso i quali passa il latte) e nella successiva raccolta di questo liquido che porta con sé anche alcune cellule. Grazie al microscopio è poi possibile individuare quali tra le cellule fuoriuscite ha caratteristiche pretumorali permettendo una diagnosi molto precoce del tumore del seno.

Conclusioni

La mammografia è indicata in particolare dopo i 35/40 anni (o comunque nelle donne con adipe mammario molto sviluppato). Il seno, infatti, cambia con l’età: aumenta il tessuto adiposo – che appare scuro alla mammografia – mentre diminuisce il volume della ghiandola, che appare chiara. Su fondo scuro, quindi, ogni formazione sospetta diventa immediatamente visibile. Nelle donne più giovani, invece, in genere si verifica la situazione contraria: la massa della ghiandola (chiara) prevale sull’adipe (scuro), perciò è più difficile notare eventuali formazioni, specialmente se molto piccole. L’ecografia – mostrando invece gradazioni di grigio invertite rispetto alla mammografia – risulta l’opzione migliore nelle donne più giovani (prima dei 35/40 anni) o comunque in quelle con massa ghiandolare che prevale su quella adiposa.

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Ecocardiogramma da stress (ecostress) fisico e farmacologico: come si svolge, è pericoloso?

MEDICINA ONLINE DOPPLER ECO COLOR ECOGRAFIA VASI CUORE ATRIO VENTRICOLO VALVOLE PROLASSO INSUFFICIENZA STENOSI SANGUE FLUSSO FLUSSOMETRIA DIREZIONE CALIBRO MISURA DIAGNOSI CARDIOLOGIA FLPer poter meglio valutare lo stato del muscolo cardiaco e/o delle coronarie e/o delle valvole cardiache, o per controllare l’efficacia di una terapia cardiologica, il medico può decidere che sia opportuno osservare ecograficamente il cuore (con e senza indagine Doppler, utile per indagare la dinamica del sangue) mentre il paziente compie uno sforzo ed osservare quali modificazioni si verificano in tali circostanze. A volte infatti alcune patologie si rendono visibili in particolare quando il cuore è “stressato” e non a riposo: in questo caso la semplice ecografia a riposo potrebbe risultare normale e dare delle informazioni fuorvianti.

Ecografia da stress fisico o farmacologico

L’ecocardiografia da stress (ecostress) è una delle metodiche di cui disponiamo per osservare quali modificazioni avvengono nel nostro cuore durante un certo stimolo (lo “stress”). Lo stress può essere fisico, indotto cioè da un impegno muscolare del paziente, o farmacologico:

  • ecostress con sforzo fisico o “ecostress fisico”: il paziente deve pedalare seduto in una poltrona o sdraiato su un lettino che sono stati modificati con l’aggiunta di pedali;
  • ecostress farmacologico o “ecostress da farmaci”: il paziente rimane disteso sul lettino del laboratorio di ecocardiografia mentre il suo cuore ed il suo apparato circolatorio, grazie all’iniezione endovenosa di farmaci specifici che inducono il cuore a comportarsi come se il paziente stesse sostenendo uno sforzo fisico.

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Come si svolge un ecostress fisico?

Il paziente viene invitato a sedersi su una speciale poltrona collegata ad un cicloergometro. Con questo sistema il paziente può rimanere seduto permettendo al cardiologo di eseguire contemporaneamente l’ecografia mentre la resistenza applicata ai pedali viene progressivamente aumentata. Al paziente viene applicato un bracciale per controllare la pressione arteriosa e degli elettrodi che consentono di registrare contemporaneamente l’elettrocardiogramma.

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Quando viene un ecostress fisico?

Quando il paziente si sente molto affaticato deve avvertire il cardiologo che interromperà gradualmente l’esame. L’esame può anche essere interrotto dal cardiologo anche se il paziente non avverte ancora particolare stanchezza. Questo può avvenire per la comparsa di alterazioni elettrocardiografiche o per modificazioni della motilità delle pareti del cuore all’ecocardiogramma o per variazione anomala dei parametri della pressione o per comparsa di sintomi che il cardiologo giudica significativi. E’ importante che il paziente avverta il cardiologo se durante l’esame compaiono i seguenti sintomi:

  • oppressione, peso, senso di schiacciamento al torace;
  • dolore al torace;
  • malessere generale;
  • dispnea (fatica a respirare);
  • attacco di panico;
  • comparsa di extrasistoli;
  • tachicardia;
  • senso di svenimento;
  • cefalea;
  • calore al volto;
  • nausea;
  • vomito.

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Come si svolge un ecostress farmacologico?

Il paziente viene fatto sdraiare su un lettino, sul fianco sinistro come per un normale esame ecocardiografico transtoracico. Vengono applicati degli elettrodi al torace per monitorizzare l’elettrocardiogramma ed uno sfigmomanometro per valutare l’andamento della Pressione Arteriosa. Viene applicata una fleboclisi per somministrare, in dose controllata, il farmaco che provocherà al cuore le stesse modificazioni indotte da uno sforzo fisico (Dobutamina) o variazioni del circolo delle coronarie capaci di provocare una insufficienza coronarica acuta (Dipiridamolo). Attraverso la stessa fleboclisi possono essere somministrati altri farmaci che il cardiologo ritenga necessari per l’esito favorevole del test. La fleboclisi verrà ovviamente rimossa al termine del test.

Quando viene interrotto un ecostress farmacologico?

L’esame viene interrotto quando è stata iniettata la dosa massima di farmaco per quel paziente. Può anche essere interrotto dal cardiologo prima del completamento del protocollo di iniezione per la comparsa di alterazioni significative del tracciato elettrocardiografico o della motilità delle pareti del cuore all’ecocardiogramma, per variazioni dei parametri pressori o quando il paziente lamenti dei sintomi o segni che il cardiologo giudichi significativi.

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L’ecostress farmacologico o fisico è pericoloso?

Durante un ecostress farmacologico o fisico possono comparire una aritmia pericolosa, una crisi di angina, uno scompenso acuto, un infarto del miocardio, un arresto cardiaco ed in casi estremamente rari (meno di 1 caso su 10 mila test) il decesso del paziente. Per questo nel laboratorio dove si esegue il test sono sempre disponibili farmaci e strumenti in grado di far regredire ognuna di queste rare complicanze nel minor tempo possibile. L’incidenza delle complicazioni è comunque la stessa di una normale prova da sforzo a tappeto rotante o al cicloergometro o di una scintigrafia.

Come prepararsi all’esecuzione di un’ecostress farmacologico o fisico?

Prima di un ecostress farmacologico o fisico, è opportuno che il paziente consulti con sufficiente anticipo il proprio medico curante per stabilire l’eventuale sospensione della terapia in corso che potrebbe essere necessaria per dirimere il dubbio diagnostico. La sospensione dei farmaci, che non deve essere decisa da chi esegue l’esame ma da chi lo richiede, deve avvenire con modalità diverse a seconda delle proprietà del farmaco stesso. In linea di massima si segnala che, qualora il medico curante abbia deciso di far sospendere al paziente la terapia in corso, questa deve avvenire con le seguenti modalità:

  • 48 ore prima dell’esame per nitroderivati, Calcio antagonisti, ACE inibitori, Digitale, Aminofillina.
  • 5 giorni prima dell’esame per beta bloccanti (che andranno sospesi gradualmente).

E’ infine molto importante che il paziente:

  • non fumi prima dell’esame;
  • non assuma thè, coca cola, caffè da almeno 12 ore;
  • non abbia recentemente assunto alcol e droghe;
  • sia a digiuno da almeno 4 ore (in caso di diabete è opportuno consigliarsi con il proprio medici curante al fine di stabilire la dose di antidiabetico orale o di insulina). Si può invece bere senza particolari restrizioni;
  • porti con sé la copia o l’originale della documentazione clinica relativa al problema che deve essere chiarito (cartella clinica, ECG, prove da sforzo, coronarografia…).

Chiedere comunque SEMPRE al medico eventuali precauzioni e norme di preparazione all’esame.

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Carcinoma della tiroide: sintomi, prognosi e linee guida

MEDICINA ONLINE TIROIDE NODULO IPOTIROIDISMO IBSA EUTIROX ORMONI TIROIDEI METABOLISMO BASALE COLLO GOZZO SINTOMI PARATIROIDI TIROIDECTOMIA TOTALE PARZIALE CHIRURGIA OBESITA INGRASSARE PEIl carcinoma della tiroide viene considerato una neoplasia rara in quanto costituisce il 2% di tutti i tumori. Si può manifestare a tutte le età, con massima incidenza tra i 25 e i 60 anni e con una maggiore prevalenza nel sesso femminile. Tali neoplasie sono invece molto rare nei bambini. La sopravvivenza è molto elevata, superando il 90% a 5 anni nelle forme differenziate.

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I tumori della tiroide originano nella maggior parte dei casi dalle cellule follicolari (che compongono il tessuto tiroideo insieme alle cellule parafollicolari o C) e si distinguono in:

  • carcinoma papillare (PTC): è la forma più frequente di carcinoma differenziato della tiroide (circa il 75%). Presenta una crescita lenta e può dare luogo a metastasi che interessano i linfonodi del collo. In alcuni pazienti il tumore è multifocale e può interessare entrambi i lobi della tiroide. Secondo il Centro medico dell’Università del Maryland, il carcinoma papillare della tiroide ha una prognosi molto favorevole, con un tasso di sopravvivenza di oltre il 95% dei pazienti ad almeno 10 anni dalla diagnosi (UMM).;
  • carcinoma follicolare (FTC): rappresenta circa il 15% dei carcinomi differenziati della tiroide e può dare luogo a metastasi a distanza. Colpisce per lo più persone di età superiore ai 50 anni. – carcinoma anaplastico: è un tipo di tumore raro (<1% dei tumori della tiroide) ma particolarmente aggressivo e di difficile gestione, in quanto dà metastasi a distanza molto precocemente;
  • carcinoma midollare (MTC): origina dalle cellule parafollicolari (o cellule C) e si caratterizza per la presenza di elevati livelli circolanti di calcitonina. Tale tumore può avere un andamento familiare e può essere la manifestazione di sindromi genetiche quali la sindrome neoplastica multiple tipo 2 (MEN2).

Quali sono i fattori di rischio per il carcinoma della tiroide?

Un fattore di rischio accertato per il carcinoma differenziato della tiroide è l’esposizione a radiazioni. Il tumore della tiroide è infatti più comune in persone sottoposte a radioterapia sul collo per altre neoplasie o esposte a ricadute di materiale radioattivo come accaduto dopo l’esplosione della centrale nucleare di Cernobyl.

Come si effettua la diagnosi di carcinoma della tiroide?

Il sintomo più comune del tumore della tiroide è il riscontro alla palpazione o all’osservazione di un nodulo tiroideo. Solo il 3-5% di tutti i noduli della tiroide sono però forme tumorali maligne.
In alcuni casi, in presenza di un carcinoma tiroideo possono essere riscontrati in sede laterocervicale masse linfonodali anche di dimensioni e consistenza importanti. Una volta accertata la presenza di noduli tiroidei, generalmente si effettuano ulteriori approfondimenti diagnostici, in particolare:

  • valutazione della funzione della ghiandola: si effettua misurando i livelli circolanti di TSH, FT4 ed FT3 come pure gli anticorpi anti Tireoglobulina e anti Tireoperossidasi. Di nessuna utilità è invece il dosaggio della tireoglobulina.
  • ecografia tiroidea: è l’esame radiologico di prima scelta. Di semplice esecuzione, consente di valutare sia le dimensioni sia le caratteristiche ecostrutturali dei noduli. Costituiscono segni di sospetto ecografico la presenza di microcalcificazioni, di vascolarizzazione intra-nodulare e l’irregolarità dei margini del nodulo.
  • agoaspirato con ago sottile: è indicato in presenza di un nodulo singolo o di un nodulo sospetto nell’ambito di un gozzo multinodulare. Il campione di cellule così raccolto viene sottoposto ad esame citologico consentendo di distinguere, in un buon numero di casi, un nodulo benigno da un nodulo maligno.
  • scintigrafia tiroidea: fornisce importanti informazioni sul comportamento funzionale della tiroide e dei noduli tiroidei, in particolare nei casi in cui il nodulo all’esame citologico venga considerato dubbio. E’ un esame molto semplice, basato sulla somministrazione per via endovenosa di un tracciante radioattivo (99mTc-pertecnetato) che viene elettivamente captato dalle cellule tiroidee
  • misurazione dei livelli di calcitonina, sostanza che rappresenta il marker specifico del carcinoma midollare della tiroide. In caso di livelli dubbi di calcitonina, può essere indicato un test di stimolo con calcio o con penta gastrina, in regime di Day Hospital.
  • test genetici: l’esecuzione può essere indicata nel caso di un carcinoma midollare della tiroide, dal momento che questo tipo di tumore può avere un andamento familiare ed essere parte di sindromi genetiche quali la sindrome neoplastica endocrina tipo 2 (MEN2).
  • TAC, RMN e PET/CT: consentono la stadiazione del tumore identificando le possibili sedi di diffusione della malattia.

Quali sono i trattamenti per il carcinoma della tiroide?

Esistono vari tipi di trattamenti, che si possono dividere in chirurgici e non chirurgici.

  • Trattamenti chirurgici. In tutti i casi di carcinoma della tiroide, la chirurgia rappresenta la prima opzione terapeutica. Generalmente, in presenza di un tumore della tiroide viene eseguita di routine la tiroidectomia totale. La linfadenectomia del compartimento centrale è sempre eseguita in presenza di una carcinoma midollare, mentre in presenza di un carcinoma differenziato (follicolare o papillare) è eseguita solo se intraoperatoriamente si evidenziano linfonodi sospetti per metastasi o di dimensioni aumentate. Particolare attenzione viene dedicata anche al risultato estetico, grazie all’utilizzo di suture intradermiche con materiale riassorbibile e alla raccomandazione di massaggi postoperatori della ferita con creme dedicate per ridurre l’incidenza di cicatrici ipertrofiche.
  • Trattamenti non chirurgici. Dopo l’intervento di tiroidectomia è generalmente indicata l’ablazione del residuo tiroideo mediante iodio-131. Lo scopo della Terapia Radiometabolica con iodio 131 è distruggere il tessuto tiroideo normale che quasi sempre residua anche dopo una tiroidectomia totale ed eliminare eventuali microfocolai neoplastici presenti all’interno dei residui tiroidei o in altre sedi. Un secondo obiettivo di questa terapia è rendere più efficace il follow-up mediante il dosaggio della tireoglobulina sierica e l’eventuale esecuzione della scintigrafia total-body con iodio 131. La terapia radiometabolica può essere eseguita solamente in strutture autorizzate all’impiego terapeutico dello iodio 131 e deve essere eseguita in regime di “ricovero protetto”, in particolari stanze dedicate alla Medicina Nucleare.
  • La terapia radiante e la chemioterapia sono infine indicate nel caso di tumori altamente aggressivi e inoperabili o in quelli caratterizzati da de-differenziazione.

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Cosa succede dopo la fine delle terapie?

Il follow up è differenziato a seconda del tipo di carcinoma della tirodie che è stato trattato.

Carcinoma differenziato della tiroide: i pazienti, trattati con ormone tiroideo (L-Tiroxina) ad un dosaggio tale da mantenere ridotti livelli di TSH, vengono periodicamente sottoposti ad ecografia del collo e alla determinazione dei livelli circolanti di TSH, FT4, FT3, anticorpi anti tireoglobulina e tireoglobulina (che costituisce un buon marker di malattia nel paziente tiroidectomizzato). In casi selezionati anche può essere indicato valutare la risposta della tireoglobulina dopo stimolo con TSH ricombinante umano o procedere ad una Scintigrafia totale corporea con I131.

Carcinoma midollare della tiroide: dopo l’intervento i pazienti effettuano una terapia con ormone tiroideo (L-Tiroxina) al fine di ovviare all’ipotiroidismo conseguente alla rimozione della tiroide, e vengono periodicamente rivalutati previo dosaggio di TSH, FT4, FT3 e calcitonina.

Prognosi dei carcinomi della tiroide

Circa l’80% dei pazienti con carcinoma della tiroide ben differenziato (DTC) può essere curato definitivamente con un trattamento iniziale ed il 95-97% di questi sono ancora vivi dopo 30 anni di follow-up (De Groot 1990). Nonostante questa buona prognosi, alcuni pazienti presentano un alto rischio di recidiva e di morte; questi pazienti potrebbero essere identificati al momento della diagnosi usando fattori prognostici ben stabiliti che possono essere suddivisi in personali, istopatologici, biologici, molecolari e fattori relativi al trattamento.

  • L’età alla diagnosi è uno dei fattori prognostici indipendenti sia per PTC, sia per FTC. L’età avanzata alla diagnosi rappresenta un fattore prognostico negativo sia per recidiva, che per mortalità. Il significato prognostico dell’età persiste quando la percentuale delle morti totali è corretta per la mortalità su una popolazione controllo di uguale sesso, età ed anno di nascita quando sono considerate solo le morti tumore-correlate. Il rischio di recidiva e morte aumenta proporzionalmente con l’età, particolarmente dopo i 40 anni, i 45, i 50 anni o 60 anni; a secondo delle diverse caratteristiche. Sebbene non sia ancora chiaro perché hanno una prognosi peggiore, i più anziani hanno più spesso tumori localmente invasivi alla presentazione, una più alta incidenza di metastasi a distanza alla diagnosi e più frequentemente varianti istologiche aggressive. I tumori della tiroide tendono ad essere presenti meno nei pazienti anziani e allo stesso tempo sono meno differenziati, con una captazione di I-131 sensibilmente inferiore nei pazienti più giovani e, quindi, una minore efficacia della terapia con I-131. Di contro, bambini e adolescenti nonostante frequentemente presentino una patologia estesa localmente alla diagnosi, hanno un’eccellente prognosi a lungo termine.
  • Il sesso maschile è un fattore di rischio secondo alcuni autori, ma non per altri. Mentre è di solito un fattore prognostico negativo nelle analisi univariate, perde il suo valore prognostico nelle analisi multivariate. Se il sesso maschile sia veramente un fattore prognostico negativo non è stato ancora risolto.
  • Tipi e varianti istologiche. La prognosi del PTC è migliore rispetto al FTC. La prognosi meno favorevole del FTC è strettamente correlata all’età avanzata dei pazienti e all’estensione del tumore al momento della diagnosi, piuttosto che all’istologia. La percentuale di sopravvivenza dei pazienti con PTC ed FTC è simile tra pazienti coetanei e stesso stadio di malattia. Inoltre, nell’ambito di queste due entità istologiche, la prognosi può differire per le loro differenti varianti (Rosai 1992). Nel PTC la variante a cellule alte, la variante a cellule colonnari e la variante ossifila hanno una prognosi peggiore. Viceversa, una buona prognosi si è osservata quando il tumore è ben capsulato e in caso di variante follicolare, sebbene alcune di queste siano più aggressive. Una prognosi intermedia è stata dimostrata con la variante sclerotica diffusa. Mentre il FTC minimamente invasivo mostra una buona prognosi, il FTC largamente invasivo ha una prognosi meno favorevole (Rosai 1992). Un’invasione vascolare avanzata rappresenta un fattore prognostico negativo (Lang 1986), mentre il grado di invasione della capsula ha un limitato valore prognostico (Brennan 1991). Alcune varianti FTC, come il carcinoma a cellule di Huerthle, gli istotipi scarsamenti differenziati e insulare, sono stati frequentemente associati con una prognosi sfavorevole (Akslen 1991; DeGroot 1995; Sakamoto 1983; Tubiana 1985). È interessante notare che il grado di invasione e il grado di differenziazione non sono correlati tra loro, cossichè entrambi i parametri devono essere presi in considerazione da un punto di vista prognostico. Quando accumuli microscopici di cellule indifferenziate sono ritrovate all’interno di un carcinoma tiroideo differenziato, il tumore deve essere considerato e trattato come carcinoma anaplastico.
  • Il grado di differenziazione cellulare è di considerevole significato prognostico sia nel carcinoma papillifero, sia nel carcinoma follicolare. Comunque, non esiste un consenso generale nella definizione di ben moderato e scarsamente differenziato, all’interno del gruppo dei carcinomi tiroidei differenziati. Il grado del tumore, in accordo con la classificazione di Broder, che si basa sulle caratteristiche del nucleo del citoplasma e sul numero di figure mitotiche, era un fattore prognostico significativo sia nell’analisi uni variata, sia in quella multivariata per il carcinoma tiroideo papillifero. Il contenuto nucleare di DNA è considerato uno dei migliori indicatori prognostici di malignità in una grande varietà di tumori umani. Nel DTC uno studio riportava che l’aneuploidia del DNA era un fattore avverso nell’analisi uni variata, ma non era un fattore prognostico indipendente nell’analisi multivariata (Joensuu 1986). Nei casi della Mayo Clinic un contenuto anomalo di DNA era associato con una più alta mortalità per tumore, almeno nei tumori papilliferi ad alto rischio (Hay 1990). L’importanza di questo parametro non è ben stabilita per il carcinoma follicolare.
  • La dimensione del tumore primitivo può variare da meno di 1 cm di diametro (molto frequente oggi giorno) a notevoli dimensioni. Quando sono unifocali e con linfonodi negativi, i tumori inferiori a 1 cm, i cosiddetti “microcarcinomi” hanno una prognosi eccellente sia in termine di sopravvivenza, sia di sopravvivenza libera da recidiva (Baudin,1998; Hay,1992). C’è un graduale aumento nel rischio di recidiva e mortalità tumore specifica con l’aumento delle dimensioni del tumore primitivo (Akslen,1991; Cady1988 ; DeGroot 1995; Hay 1990; Hay 1987; Mazzaferri 1994; Mazzaferri,1998). La dimensione del tumore è un significativo fattore di rischio nelle analisi multivariate. Sembra essere più predittivo nei tumori papilliferi che nei tumori follicolari, nei quali il grado di differenziazione e la diffusione dell’invasione prevalgono sulla dimensione del tumore (Brennan 1991; Emerick 1993; Lang 1986; Rosai 1992; Sakamoto 1983; Shaha 1995; Tubiana 1985).
  • Il carcinoma tiroideo papillifero è multifocale in circa il 50% dei casi (dal 20 all’80%) relativamente al numero di sezioni patologiche analizzate (DeGroot 1990; Hay 1990; Mazzaferri 1994; Mortensen 1955). Anche se esistono divergenze di opinioni in merito, il FTC è di solito unifocale. I PTC multifocali sono più frequentemente accompagnati da metastasi linfonodali (Baudin 1998; Katoh 1992) e presentano più frequentemente un’evidenza di malattia locale persistente, recidive regionali e metastasi a distanza. Dati controversi sono stati riportati relativamente alla relazione tra multifocalità e mortalità. A questo riguardo è utile notare che la mutifocalità in un lobo è associata con una più alta probabilità di interessamento dell’altro lobo. Ciò almeno in parte spiega perchè le recidive e le morti tumore-correlate sono meno frequenti con la tiroidectomia totale che con le procedure chirurgiche meno radicali (Baudin 1998) .
  • L’estensione del tumore oltre la capsula tiroidea è un fattore predittore indipendente di una prognosi peggiore sia in PTC che in FTC. È stato osservato nel 5-10% di PTC e nel 3-5% di FTC, ed è associato con una più alta percentuale di recidive locali, metastasi a distanza e morte tumore correlata (deGroot 1990; Hay 1990; Hay 1993; Mazzaferri 1994; Simpson 1987; Yamashita 1997). Comunque, dovrebbe essere fatta una distinzione tra invasione microscopica della capsula tiroidea e invasione macroscopica con coinvolgimento di altri organi del collo. In quest’ultimo caso la prognosi è peggiore, specialmente a causa della difficoltà di arginare la malattia locale (Hu A et al,2007).
  • Le metastasi linfonodali sono frequenti nei PTC (30%-60%), ma non così frequenti negli FTC (15%-20%) (Grebe 1996). Sono molto più comuni nei bambini, verificandosi in oltre l’80% con PTC. I linfonodi locali possono essere coinvolti anche nel caso di microcarcinoma papillifero (Baudin 1998). Molti autori hanno dimostrato che le metastasi ai linfonodi regionali sono associate ad una più alta percentuale di recidiva di tumore e mortalità tumore specifica (Akslen 1991; DeGroot 1990; Mazzaferri 1994; Tubiana 1985), mentre altri non hanno trovato significative differenze nella sopravvivenza (Hay 1990; Hay 1993). Il coinvolgimento linfonodale è associato ad un outcome significativamente peggiore anche in assenza di invasione extra tiroidea. Nella casistica dell’Ohio State University, le metastasi ai linfonodi cervicali bilaterali e mediastinici erano un fattore prognostico indipendente predittivo di recidiva tumorale e mortalità cancro correlata (Mazzaferri 1994). All’istituto Gustave-Roussy le metastasi linfonodali palpabili rappresentavano un fattore di rischio indipendente per morte tumore correlata (Tubiana 1985). E’ stata dimostrata una mortalità del 3.6% nei pazienti con metastasi linfonodali, tale indice è estremamente alto per una patologia che è ritenuta avere una prognosi eccellente (Pacini 1994). Oltre che la presenza o assenza di metastasi linfonodali, il sito, la dimensione, il numero e l’estensione del tumore oltre la capsula tiroidea (Yamashita 1997) hanno probabilmente un impatto sulla prognosi, sebbene non siano stati presi in considerazione ampie casistiche.
  • Le metastasi a distanza al momento della diagnosi rappresentano il fattore prognostico peggiore nei pazienti sia con carcinoma tiroideo papillifero sia follicolare. La mortalità tumore specifica nei pazienti con metastasi a distanza varia dal 36% al 47% a cinque anni; dipende dalla durata del follow-up e aumenta fino al 70% a 15 anni (Hoie 1988; Pacini 1994; Schlumberger 1996). L’analisi univariata ha dimostrato che nel caso di metastasi a distanza, l’età più giovane, il tipo istologico ben  differenziato, la localizzazione nel polmone piuttosto che nell’osso, la presenza di piccole lesioni e la captazione di I-131 sono fattori associati ad una prognosi migliore. L’ analisi multivariata ha, comunque, dimostrato che la malattia metastatica estesa ha un impatto prognostico peggiore della localizzazione anatomica (polmone o osso). Il migliore outcome è presente nei pazienti più giovani con metastasi micronodulari responsive alla radio-iodioterapia non visibili alla radiografia standard.
  • Un peggiore outcome è associato alla perdita di differenziazione dei geni di espressione tiroide specifici, quali il recettore per il TSH, il trasportatore Na+/I-, la tireoglobulina (Tg)  e i geni tireoperossidasi, come dimostrato dalla ridotta espressione di questi geni nei tumori scarsamente differenziati e dalla loro assenza nei tumori indifferenziati (Arturi 1998; Elisei 1994). Tra gli oncogeni coinvolti con la patogenesi del PTC, solamente BRAFV600E è stato dimostrato avere un impatto negativo sull’outcome (Xing 2007; Elisei 2008), mentre ciò non si è dimostrato per i riarrangiamenti RET/PTC (Basolo 2001; Adeniran 2006). Mutazioni somatiche dell’oncosoppressore p53 o la sovraespressione della sua proteina codificata portano a una prognosi peggiore nell’ambito del ATC che è di per sè un tumore ad elevata mortalità (Pollina 1996). Similmente, la sovraespressione della proteina  p21, che è codificata dall’oncogene RAS è stata associata a forme di carcinoma tiroideo più aggressive (Romano 1993). I risultati sopra riportati sono solamente l’inizio di un nuovo approccio alla biologia del tumore ed indicano che i prodotti degli oncogeni e degli oncosoppressori possono rivelare la prognosi dei tumori della tiroide.

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Ecocardiogramma per via transesofagea: preparazione, è doloroso?

MEDICINA ONLINE CUORE HEART INFARTO MIOCARDIO NECROSI ATRIO VENTRICOLO AORTA VALVOLA POMPA SANGUE ANGINA PECTORIS STABILE INSTABILE ECG SFORZO CIRCOLAZIONETalvolta può accadere che l’ecocolordoppler cardiaco transtoracico non sia sufficiente a chiarire efficacemente la situazione cardiaca del paziente. Qualche volta infatti gli ultrasuoni non riescono ad attraversare grosse masse muscolari, il polmone che può essere espanso per una malattia, l’osso o i componenti metallici delle strutture artificiali come le protesi valvolari cardiache. Se la struttura da esaminare si trova in profondità nel corpo o se è “nascosta” dietro una struttura ossea o una valvola artificiale, può non essere vista con la sola ecocardiografia standard che esplora il cuore da una posizione anteriore. In questi casi può essere necessario ricorrere ad un diverso punto di esplorazione, posteriore, che aggiri gli ostacoli. Accade quindi che il Cardiologo richieda l’Ecocardiogramma per via transesofagea che, per il paziente, equivale alla esecuzione di una comune gastroscopia.

Per visualizzare il cuore da questa diversa finestra il paziente deve sopportare il disagio della introduzione di una sonda, di dimensioni paragonabili a quelle di un dito di un ragazzo, attraverso l’esofago. L’esofago è l’organo che connette la bocca con lo stomaco e passa proprio dietro al cuore, in una posizione quindi che consente di “vedere” il cuore da vicino e da una posizione opposta a quella dell’esame transtoracico. In questo modo possono essere acquisite altre informazioni originali che, integrate a quelle dell’esame transtoracico, consentono quasi sempre di dirimere i problemi diagnostici del paziente.

Come prepararsi all’esame?

Per eseguire L’ecocardiogramma transesofageo è necessario non mangiare o bere dopo la mezzanotte del giorno dell’esame. Le medicine possono essere assunte cercando di bere solo la minima quantità sufficiente per deglutire i farmaci. In caso di diabete è importante consigliarsi con il proprio medico per definire la dose adeguata di Insulina che dovrà essere ovviamente ridotta per il digiuno.

Come si svolge l’esame?

Il paziente viene invitato a togliersi gli occhiali ed a rimuovere eventuali protesi dentarie, viene collegato al monitoraggio elettrocardiografico e, tramite una fleboclisi, ad una infusione di soluzione fisiologica che ha il solo scopo di tenere disponibile, per il tempo dell’esame, un accesso venoso per somministrare farmaci in caso di necessità.

Il paziente viene posto sul fianco sinistro con il busto ed il collo leggermente flessi come per guardarsi le gambe. Il medico, dopo avergli inserito tra i denti un boccaglio per non danneggiare la sonda, lo aiuterà nel compito sgradevole ma non pericoloso di ingoiare la sonda.

Può essere consigliabile eseguire una anestesia locale della bocca e del retrobocca (faringe) con lidocaina spray (un anestetico locale).

Quanto dura l’esame?

La durata complessiva è di circa 10-15 minuti.

L’ecocardiogramma transesofageo è doloroso?

No, non è doloroso. L’esame è certamente fastidioso ma, se il paziente riesce a collaborare ed a mantenere la calma, si affronta facilmente. Il momento più difficile è quello dell’introduzione della sonda. In quel momento si possono manifestare colpi di tosse, eruttazioni, conati di vomito; sono disturbi passeggeri che non devono allarmare il paziente e che non pregiudicano un risultato favorevole dell’esame. Si deve tenere presente che il tubo non può interferire con la normale respirazione che avviene attraverso il naso e la trachea.

Come comunicare durante l’esame?

Durante l’esame, con la sonda nell’esofago, non è possibile parlare. Si deve quindi stabilire prima dell’inizio dell’esame un codice di comunicazione attraverso l’uso della mano.

Cosa è possibile fare per facilitare l’esame e renderlo il meno fastidioso possibile?

Respirare lentamente cercando di rilassare i muscoli del collo e delle spalle. Cercare di collaborare con il Cardiologo.

INFORMAZIONI SPECIALI

Si deve informare il medico se vi sono:

  1. Malattie del fegato croniche
  2. Storia di precedenti epatiti
  3. Storia di infezioni gravi
  4. Allergie a Farmaci
  5. Glaucoma
  6. Malattie polmonari
  7. Disturbi gastrici

L’ecocardiogramma transesofageo è pericoloso?

Ogni volta che “qualcosa” viene introdotta nel nostro corpo esistono dei rischi. Tuttavia con l’ecocardiografia transesofagea i rischi sono ridottissimi. Si tratta generalmente di aritmie cardiache che vengono ben tollerate dal paziente e che solo molto raramente richiedono un trattamento farmacologico. Esiste però una rarissima possibilità (2-3 ogni mille casi) che la sonda danneggi l’esofago durante l’introduzione.

L’ecocardiografia transesofagea è comunque una metodica estremamente sicura ed è estremamente improbabile che si verifichino delle complicazioni; di fatto l’utilità delle informazioni che si ottengono giustifica ampiamente i disturbi che il paziente deve sopportare ed il minimo rischio di complicazioni insite nella metodica.

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Cosa accade dopo l’esame?

Generalmente il paziente dopo pochi minuti dal termine dell’esame non avverte alcun disturbo. Qualora sia stato necessario somministrare un sedativo è consigliabile aspettare almeno 30 minuti prima di lasciare l’ospedale ed evitare di mettersi alla guida. E’ pertanto consigliabile che Lei venga accompagnato da un familiare per evitare di dover guidare personalmente l’automobile al ritorno.

La gola, per l’azione dell’anestetico locale, può essere lievemente irritata per cui non è consigliabile bere o magiare per 2-3 ore.

Quali sintomi dobbiamo segnalare al cardiologo?

Le complicazioni, come detto, sono rarissime. Vanno comunque segnalati alcuni sintomi che dovessero insorgere dopo l’esame:

  • Dolore insolito o difficoltà ad inghiottire
  • Dolore addominale o toracico
  • Vomito di color caffè o sangue

ATTENZIONE:

L’ecocardiografia transesofagea viene effettuata nella stragrande maggioranza dei casi senza creare problemi al paziente: le percentuali di insuccesso tecnico sono molto basse (1-4% a secondo delle casistiche) e generalmente legate ad una mancata collaborazione da parte del paziente.

Per ovviare a questi inconvenienti si raccomanda al paziente di porre al medico tutte le domande che ritiene opportune, al fine di ottenere una conoscenza completa delle indicazioni, delle procedure, dei rischi e dei benefici che possono derivare dall’esame a cui sta per essere sottoposto.

Siamo convinti che un paziente informato affronterà gli inevitabili disagi con una maggiore consapevolezza e minore ansia contribuendo alla riuscita dell’esame.

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Ecocolordoppler cardiaco (ecocardio): funzioni, preparazione, gravidanza

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L’ecocardio o ecocolordoppler cardiaco transtoracico a riposo è Continua a leggere