Cervello: primo trapianto di connessioni

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Primo “trapianto” di connessioni nel cervello di una lumaca di mare, per farle diventare uguali a quelle di un’altra specie: lo scopo è verificare il legame tra i circuiti cerebrali e il comportamento. Ricercatori della Georgia State University, infatti, hanno scoperto che le due specie esaminate hanno connessioni neurali molto diverse, nonostante abbiamo gli stessi neuroni e lo stesso modo di nuotare. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Current Biology, sono importanti per due motivi: mostrano che l’evoluzione può conservare lo stesso comportamento anche se cambia la struttura cerebrale, e che gli stessi neuroni, in specie diverse, possono avere funzioni diverse.

I ricercatori, guidati da Akira Sakurai e Paul Katz, hanno studiato il cervello di due specie di lumache di mare, Dendronotus iris e Melibe leonina, che hanno grandi neuroni e circuiti semplici. Hanno bloccato le connessioni tra neuroni della prima specie usando il curaro, un veleno paralizzante usato da indigeni del Sud America sulla punta delle loro frecce, che ha impedito al cervello di produrre lo schema di impulsi che normalmente fa nuotare l’animale.

Poi i ricercatori hanno inserito degli elettrodi nei neuroni per creare delle connessioni artificiali uguali a quelle dell’altra specie di lumaca di mare. Il cervello ha funzionato normalmente, producendo gli impulsi ritmati che consentono il nuoto, dimostrando che queste due specie hanno lo stesso modo di nuotare anche se usano meccanismi cerebrali molto diversi. Lo studio indica anche che bisogna fare attenzione a non dare per scontato che due specie con stessi neuroni e uguale comportamento condividano anche lo stesso tipo di connessioni cerebrali.

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Trapianto di faccia: i casi più famosi al mondo

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO OSPEDALE CHIRURGIA SALA OPERATORIA OPERAZIONE CHIRURGICAOrmai molti sono i casi di trapianti chirurgici di faccia realizzati in giro per il mondo; una chirurgia ricostruttiva portata all’estremo ed eseguita con tecniche ogni volta sempre più avanzate, culminata con il caso di Grzegorz, il trentenne polacco che il 15 maggio 2013 è stato sottoposto al primo trapianto facciale urgente del mondo, trasportato d’emergenza in ospedale dopo un drammatico incidente con un macchinario tagliapietre. 

Tempi record

L’intervento chirurgico, eseguito dai medici del centro oncologico di Gliwice, una città del sud della Polonia nella regione della Slesia, è stato attuato in tempi record: dopo un primo tentativo che aveva permesso di salvare la vista e la parte inferiore del viso, il secondo ingresso nella camera operatoria è avvenuto a distanza di quattro settimane dall’incidente, al contrario di quello che avviene di solito. In 27 ore sono riusciti a ricostruire il volto del paziente – che successivamente è stato sottoposto ad una cura di farmaci anti rigetto, come da prassi – con un risultato molto soddisfacente, per quello che è il trapianto del volto più veloce mai fatto, come ricordato dal dottor Adam Maciejewski:

“L’intervento permetterà al paziente di tornare alla vita normale. Sarà in grado di respirare, mangiare, vedere.”

Per recuperare la motricità del viso ci sono voluti otto mesi. L’operazione è stata successivamente riconosciuta all’ASRM come il miglior esempio di chirurgia ricostruttiva del 2013.

Il trapianto di faccia più complesso

Un altro caso diventato famoso è quello relativo allo sfortunato Richard Lee Norris, noto per quello che è probabilmente il trapianto facciale più complicato che sia mai stato eseguito. Questo ragazzo americano, è stato raggiunto al volto da un colpo di pistola che gli ha devastato il viso, passando attraverso cute. ossa, muscoli e denti. Dopo numerosi interventi di chirurgia plastica oggi mostra una nuova faccia. All’epoca dell’incidente (1997) Richard Lee Norris aveva 23 anni e non esistevano ancora i trapianti facciali. Per più di dieci anni ha vissuto chiuso in casa vergognandosi di quello che era diventato ed uscendo solo la notte, con il volto coperto – nonostante gli interventi di ricostruzione parziale del viso. E’ stata la notizia di un donatore anonimo – i cui organi hanno salvato altri 5 pazienti – a fargli tornare la speranza, assieme all’equipe dei medici del reparto di chirurgia plastica, ricostruttiva e maxillo-facciale della Scuola di medicina dell’Università del Maryland. Il paziente è stato così sottoposto ad un intervento di 36 ore, durante il quale hanno lavorato 150 persone, fra medici, infermieri e personale sanitario e in cui gli sono stati sostituiti mascella, denti, lingua, muscoli e nervi. Sono state inoltre utilizzate tecniche d’avanguardia e medicine sperimentali, grazie anche alle sovvenzioni date nei progetti volti a ridare un volto ai veterani che subiscono gravi lesioni negli scenari di guerra dove gli USA sono impegnati. Dopo aver superato con successo la fase post operatoria, Richard Lee Norris ha annunciato di essere fiero del suo nuovo volto e di voler essere studiato per il resto della sua vita.

Altri casi famosi

Il caso di Grzegorz e di Richard Lee Norris non sono gli unici trapianti di faccia realizzati al mondo, ci sono molti altri casi diventati famosi, tra cui spiccano la polacca Joanna (operata dallo stesso Adam Maciejewski) e la francesa Isabelle Dinoire, purtroppo in seguito deceduta.

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Ho donato un rene, ora vivo una vita più piena

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma HO DONATO UN RENE VIVO VITA PIENA  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgUna vita nuova e diversa può iniziare all’improvviso, quando meno te lo aspetti. Fissavo la porta chiusa di Terapia Intensiva. Il cervello di mia cugina Elena, a 42 anni, era stato inondato da una emorragia, ma il suo corpo era sano e forte. Fissavo quella porta, in attesa. I medici uscirono e ricevettero il consenso alla donazione dei suoi organi. All’improvviso la vita delle sue due bambine cambiò per sempre, come altrettanto, all’improvviso, cambiò per sempre la vita di chi ricevette il cuore di Elena, i suoi reni, il suo fegato: in ciascuno di loro prendeva vita una nuova continuità di esistenza, attraverso la concreta espressione di amore che quel dono rappresentava.

Pensando ad Elena, un giorno guardai una ragazza che sapevo sottoporsi alla dialisi tre volte alla settimana e all’improvviso capii: «Io sto bene, ho due reni che funzionano. Se ne dessi uno a quella ragazza, o a chiunque sia nelle sue condizioni, staremmo bene in due». Iniziai così l’iter degli accertamenti. L’esito positivo di ciascuna analisi mi apriva la porta a quella successiva. Fui fortunata, passo dopo passo si aprirono tutte le porte, fino a quella della sala operatoria, ove mi accompagnò il chirurgo che amorevolmente aveva condiviso con me questo cammino.

Mi svegliai dopo l’intervento immaginando il mio rene destro dentro la sua culla, una specie di borsa-frigo in cui riposava ed era alimentato, durante il viaggio necessario per giungere in quell’ospedale che non conoscevo, dove lo attendeva l’equipe di chirurghi che lo avrebbe inserito nel grembo della persona che era stata scelta in base alla compatibilità. Non so chi sia quella persona e non so nulla della sua vita. Ma so la cosa più importante per me: ora stiamo bene in due. E mi piace pensare che questa persona possa vivere le sue giornate e pensare al proprio futuro con ritrovata libertà.

Io credo che nella vita ciascuno possa incontrare tante e tante occasioni per trasformare l’«io» in «noi», perché in tanti modi diversi, durante il proprio cammino, si presenta la possibilità di scegliere di vivere questa trasformazione. Quest’esperienza di donazione di un rene ad una persona sconosciuta ha donato, a propria volta, due significati alla mia vita: il primo è la ragione stessa di esistere, in quanto manifestazione del senso di «comunità»; il secondo è l’aver dato alla luce una vita nuova, quella che ha davanti a sé la persona sconosciuta che porta in grembo il mio rene.
Mi chiamo Paola.

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Primo uomo con pene trapiantato diventa padre

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO OSPEDALE CHIRURGIA SALA OPERATORIA OPERAZIONE CHIRURGICAUn pene è stato prelevato da un cadavere nel dicembre del 2014 in Sudafrica, per essere poi impiantato a un ragazzo di 21 anni che – a causa di una infezione grave – aveva subito l’amputazione del proprio: era rimasto solo un moncone di circa 1 centimetro. L’operazione era stata eseguita da André Van Der Merwe, un chirurgo di Johannesburg che, ospite a Venezia del congresso nazionale della Società italiana di Urologia (SIU), ha illustrato le fasi del delicato intervento, durato nove ore. Oggi, dopo molti mesi dall’intervento, il giovane paziente è diventato padre, dopo aver messo incinta la propria compagna in modo del tutto naturale, usando il pene trapiantato.

Vincenzo Mirone, segretario della SIU, ha affermato: “La chirurgia ricostruttiva ha fatto un vero e proprio miracolo: il tessuto cavernoso umano responsabile dell’erezione è particolarmente delicato e complesso. Le tecniche usate da Van Der Merwe e i suoi colleghi dell’università di Stellenbosch in Sudafrica sono molto simili a quelle impiegate per il trapianto di faccia: la vera sfida, infatti, è riuscire a suturare vasi e nervi dal diametro inferiore ai 2 millimetri. Il paziente non ha ancora recuperato la sensibilità al 100 per cento, proprio perché i nervi sensoriali sono sottilissimi e si deteriorano molto velocemente, ma è possibile che entro due anni riesca a tornare ad avere anche una sensibilità normale. Intanto, in appena tre mesi ha recuperato una funzionalità urologica e sessuale che gli ha consentito di avere erezioni e rapporti sessuali pressoché normali: a dimostrazione della ritrovata qualità di vita e della riuscita dell’intervento, il paziente è diventato padre”

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Morta a 49 anni la prima donna ad aver subito il trapianto di faccia

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ISABELLE DINOIRE MORTA TRAPIANTO FACCIA  Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Linfodrenaggio Vagina.jpgPurtroppo non ce l’ha fatta Isabelle Dinoire la donna francese che fu nel 2005 la prima persona al mondo ad essere operata per un trapianto del viso. Il decesso, a 49 anni, è avvenuto il 22 aprile scorso «dopo una lunga malattia» ad Amiens (nel nord della Francia), ma se ne è avuta notizia soltanto oggi.

L’intervento pionieristico

Il 17 novembre 2005, Isabelle Dinoire ricevette un nuovo viso, per la prima operazione del genere al mondo. Riuscì a superare l’impatto psicologico, ma il suo fisico ha prodotto un rigetto 11 anni più tardi. I farmaci che era costretta a prendere – secondo quanto si apprende da fonti sanitarie – hanno favorito l’insorgere di due tumori. Nel maggio del 2005 la donna aveva assunto alcuni sonniferi per andare a dormire e nella notte il suo labrador aveva più volte tentato di svegliarla e l’aveva sfigurata strappandole labbra, naso e guance. Dinoire raccontò di essersi svegliata intontita dai farmaci, ferita, ma senza subito rendersi conto della situazione. Dopo le prime cure accettò di sottoporsi al delicato trapianto di faccia da una donatrice al centro ospedaliero di Amiens. Un intervento durato 15 ore a cui parteciparono decine fra medici e infermieri sotto la guida del professor Bernard Devauchelle e Jean-Michel Dubernard. «Mi ci è voluto del tempo per accettare il mio volto. Ho dovuto imparare a fare tutto, a mangiare, a sorridere, ma la mia nuova faccia mi ha dato la forza di affrontare le persone e di guardarle negli occhi» ha più volte raccontato.

Il rigetto

A causa di due importanti episodi di rigetto furono prescritti a Isabelle Dinoire farmaci molto aggressivi per contrastare la reazione del suo organismo a tessuti che non appartenevano a lei. Nonostante i medicinali, nell’inverno scorso la donna ha subito un parziale rigetto che le causò la paralisi delle labbra. Proprio questi farmaci le avrebbero inoltre causato l’insorgere dei due tumori.

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Trapianto di cellule pancreatiche e pancreas artificiale per dire addio al diabete

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PANCREAS ANATOMIA FUNZIONI SINTESI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PenePresso l’Ospedale Niguarda di Milano è stato effettuato il primo trapianto in Europa di cellule pancreatiche che ha permesso ad un paziente di 41 anni di guarire dal diabete di tipo 1 e dire finalmente addio all’insulina. La tecnica utilizzata è stata messa a punto da Camillo Ricordi che dirige il centro Diabetes Research Institute (DRI) dell’Università di Miami dove già in passato sono stati seguiti i primi due casi mondiali. L’intervento ha coinvolto l’équipe della Chirurgia Generale e dei Trapianti, quella dell’Anestesia e Rianimazione 2, la Diabetologia, la Nefrologia e la Terapia Tissutale.

L’operazione

L’operazione consiste nel trapianto delle isole pancreatiche sulla membrana che circonda gli organi addominali. In pratica si va ad inserire chirurgicamente quelle cellule senza le quali si soffre di diabete di tipo 1. Quando le isole pancreatiche non fanno il loro dovere, l’insulina scarseggia e i livelli di glucosio che dovrebbe regolare aumentano al punto da provocare iperglicemia e, nei casi peggiori, il coma. Per questo, per mantenere sotto controllo il Diabete di tipo 1, i pazienti devono costantemente controllare i livelli di insulina nel sangue così da assumerne la dose necessaria in caso di bisogno. Permettendo dunque alle isole pancreatiche di funzionare, non si rischia più di subire un calo dell’insulina e si guarisce dal Diabete di tipo 1, come è avvenuto appunto a Milano per il paziente di 41 anni che, secondo il comunicato ufficiale dell’ospedale, adesso “sta bene e ora non ha più bisogno di somministrarsi insulina per mantenere sotto controllo i valori di glicemia”.

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Rischio rigetto

L’altra buona notizia è anche che il paziente non è a rischio rigetto. Le isole pancreatiche, donate da un soggetto sano, vengono inglobate in una “impalcatura biologica” che si unisce il plasma del paziente con la trombina in una sostanza gelatinosa che aderisce all’omento (tessuto altamente vascolarizzato che ricopre gli organi addominali). “L’organismo – spiegano – assorbe gradualmente il gel lasciando le isole intatte, mentre si formano nuovi vasi sanguigni che forniscono l’ossigenazione e gli altri nutrienti necessari per la sopravvivenza delle cellule”.

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Pancreas artificiale

Entro il 2018 potrebbe inoltre essere disponibile un “pancreas artificiale” capace di replicare le funzioni di quello naturale. Il dispositivo sarebbe in grado, nello stesso tempo, di misurare la glicemia nel sangue dei pazienti con diabete di tipo 1 e di regolare automaticamente la quantità d’insulina da iniettare nell’organismo. Lo sostengono, in uno studio pubblicato sulla rivista Diabetologia, Hood Thabit e Roman Hovorka, due ricercatori dell’Università Cambridge (Regno Unito). Durante la ricerca, gli autori hanno analizzato i progressi scientifici finora compiuti nello sviluppo di tecnologie capaci di supportare i pazienti diabetici nella gestione della malattia. Sulla base dei dati raccolti, hanno concluso che per il momento sono disponibili da una parte, strumenti di rilevazione del livello di glucosio nel sangue e, dall’altra, microinfusori (o “pompe per l’insulina”) che iniettano nell’organismo piccole dosi d’insulina. Ma, osservano, non è ancora stato messo in commercio un dispositivo capace di svolgere entrambe queste funzioni. Tuttavia, secondo Thabit e Hovorka, entro un paio d’anni potrebbe essere reperibile un “pancreas artificiale” che sia in grado di misurare i livelli di glucosio presenti nell’organismo e di rilasciare l’insulina solo quando ce n’è bisogno.

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Il cancro le deforma il volto, non ce l’ha fatta la mamma coraggio che ha lottato fino alla fine contro la malattia

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CANCRO DEFORMA VOLTO NON FATTA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Tecar Dolore Schiena Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Pene HD.jpgLotta contro il cancro fino a deformarsi il viso, ma purtroppo non ce la fa. Helen Butchart aveva scoperto a 55 anni di avere un cancro al seno mascellare. La malattia era così aggressiva che è stato necessario un intervento che le ha deformato completamente il volto. Un sacrificio che la donna ha fatto sperando di poter vivere e vincere la lotta contro la malattia, come riporta il Daily Mail.

Dopo 22 ore di intervento, cure aggressive e un lungo calvario però Helen ha scoperto che il cancro è nella sua forma terminale e non si può fare nulla per curarlo. La donna è morta la settimana scorsa dopo aver raccolto 30 mila sterline per l’ospedale che l’ha curata e dopo aver mostrato il suo volto a tutti per far capire l’importanza della prevenzione e della ricerca e quanto gli effetti del cancro possano essere devastanti.

FONTE

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Ricostruire un cuore con la stampante 3D per un futuro senza infarto del miocardio

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO CUORE DOLORE TORACE (2)Il cuore è un organo estremamente semplice eppure estremamente complesso, robusto eppure delicato, dal suo corretto funzionamento dipende la nostra salute. Uno dei sogni dei ricercatori di tutto il mondo è sempre stato quello di creare un cuore “di ricambio” in laboratorio ed oggi forse questo sogno potrebbe essere un po’ più accessibile.

Ricostruire un cuore funzionante con una stampante in 3D, oggi non è più fantascienza grazie ad una particolare tecnica di stampa sviluppata dagli esperti di bioingegneria della Carnagie Mellon University di Pittsburgh. Nei loro laboratori hanno già preso forma piccoli cuori embrionali e arterie coronarie, fatti con materiali biologici morbidi come il collagene. Le loro strutture riproducono fedelmente quelle ‘fotografate’ dal vivo con la risonanza magnetica, e in futuro potranno essere ulteriormente arricchite con cellule viventi per permettere la contrazione.

Il risultato, annunciato sulla rivista Science Advances, apre nuove prospettive per la ricostruzione degli organi con la medicina rigenerativa, che in un futuro non troppo lontano potrebbe perfino risolvere il problema delle liste d’attesa per i trapianti. “La sfida che si pone nell’usare materiali morbidi come gelatine è che quando vengono stampati in 3D tendono a collassare sotto il loro stesso peso”, spiega il bioingegnere Adam Feinberg. ”Per risolvere questo problema – aggiunge – abbiamo pensato di stampare i materiali morbidi dentro ad un materiale di supporto.

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