VES alta o bassa: cause, sintomi e valori normali della velocità di eritrosedimentazione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma VES ALTA BASSA CAUSE SINTOMI VALORI Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene VaginaIn medicina, quando si parla di VES, si intende la “Velocità di EritroSedimentazione”: è una analisi di laboratorio che calcola il tempo che impiega la parte solida del san­gue (soprattutto, i globuli rossi) a separarsi da quella liquida (il plasma). Il sangue infatti è composto da due parti distinte:

  • una parte liquida, chiamata plasma sanguigno (o semplicemente “plasma”) in cui sono presenti numerose sostanze, come gli enzimi, i minerali, gli ormoni, gli zuccheri, le vitamine, le proteine, eccetera, utili per il metabolismo dell’organismo;
  • una parte cellulare solida, o “corpuscolata”, costituita dai globuli rossi o eritrociti, dai globuli bianchi o leuco­citi e dalle piastrine o trombociti.

Il laboratorio per 1 ora valuta in quanto tempo la parte corpuscolata del sangue precipita all’interno di una provetta graduata in millimetri posta verticalmente. Variazioni della VES possono essere un campanello di allarme di una quantità sterminata di patologie, da una infiammazione fino a tumori ed infarti; in alcuni casi, comunque la VES potrebbe essere aumentata senza alcuna patologia.

Perché la VES può servire?

La VES è un esame che viene prescritto perché offre al medico uno spunto diagnostico, che deve essere eventualmente poi approfondito con altri esami più specifici.

La VES permette di fare diagnosi?

La velocità con cui avviene la separazione tra la parte corpuscolata del sangue e il plasma, in una provetta posta verticalmente, varia da persona a persona e cioè varia sia in rapporto alla concentrazione nel plasma di determinate proteine (per esempio, le mucoproteine, le gammaglobuline, eccetera), sia con il numero dei globuli rossi. Questa variazione non è preci­sa e, quindi, il medico non può pronunciare una diagnosi, ma può sospetta­re la presenza di una patologia nell’organismo. In definitiva la VES da sola NON permette di fare una diagnosi: è un dato che va osservato insieme agli altri dati di laboratorio e tenendo conto della visita medica generale del paziente.

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Quando è utile controllare la VES?

E’ un esame di routine, tende comunque ad  essere ancor più utile quando il paziente tende ad ammalarsi spes­so a causa di un abbassamento delle difese naturali dell’organismo o soffre di stati infiammatori come la bronchite, la faringite, l’otite, eccetera, che tendo­no a ripetersi.

Patologie che fanno aumentare la VES

Le seguenti patologie possono provocare un aumento moderato o medio della VES (entro 50 mm/h):

  • Endocardite: è l’infiammazione della membrana di rivestimento interna del cuore;
  • Gotta: è un tipo di artrite acuta causata da cristalli di acido urico che si depositano solitamente nelle articolazioni;
  • Malattie renali di diverso tipo;
  • Malattie della tiroide di diverso tipo;
  • Sifilide: malattia venerea infettiva che danneggia il sistema nervoso;
  • Tubercolosi: malattia infettiva, rara ma in aumento in Italia, in cui vengono attaccati principalmente i polmoni e che causa necrosi dei tessuti;
  • Mononucleosi: conosciuta anche come “malattia del bacio”, è un’infezione causata da un virus, contagiosa, che provoca febbre, faringite e rigonfiamento dei linfonodi;
  • Osteomielite: infezione che colpisce le ossa e il midollo osseo;
  • Febbre reumatica: detta anche reumatismo articolare acuto, è un’infiammazione che deriva dal contagio con lo streptococco e causa solitamente febbre e dolore alle articolazioni;
  • Artrite reumatoide: è una malattia autoimmune che provoca dolore, infiammazione e anchilosi delle articolazioni;
  • Artrosi: malattia degenerativa delle articolazioni, cronica;
  • Crioglobulinemia: accumulo di crioglobuline (complessi di anticorpi che precipitano a temperatura ambiente), con eruzioni cutanee e infiammazione ad articolazioni ed organi;
  • Allergia acuta: intolleranza verso particolari sostanze. Si parla di allergia acuta quando il corpo è in piena reazione all’allergene;
  • Lupus eritematoso sistemico: malattia autoimmune che colpisce la pelle e causa degenerazione dei tessuti o ipertrofia dei tessuti;

Le seguenti patologie possono provocare un aumento elevato o molto elevato della VES (superiore a 50 mm/h):

  • Infarto del miocardio: necrosi di una parte di tessuto del cuore. Si ha quando a causa solitamente di un trombo o di un embolo, un vaso sanguigno che va al cuore viene occluso e smette di portare ossigeno e nutrimento;
  • Ictus: patologia che colpisce il cervello quando si verifica o un mancato afflusso di sangue ad una certa zona, la quale muore, o quando vi è un’emorragia, che porta comunque a non irrorare una porzione del cervello;
  • Infarto polmonare: si verifica quando un’arteria polmonare viene occlusa e il tessuto polmonare, non più irrorato di sangue, inizia ad andare in necrosi.
  • Leucemia: grave neoplasia che colpisce il sangue e causa un eccessivo aumento della produzione di globuli bianchi;
  • Linfomi: tipologie di tumore che colpiscono primariamente le ghiandole linfatiche;
  • Meningite acuta: grave infezione delle meningi (cervello) che può essere causata da virus o batteri. Fra i suoi sintomi ci son intensa cefalea, febbre e vomito;
  • Polmonite: grave infezione dell’apparato respiratorio, molto profonda. Causa tosse, febbre alta, dolore al torace, fatica a respirare, abbondante produzione di catarro;
  • Setticemia: infezione molto grave e diffusa in cui gli agenti patogeni (germi o tossine) si diffondono nel sangue in grande quantità;
  • Mieloma multiplo: tumore maligno che colpisce il midollo osseo;
  • Vasculite necrotizzante: infiammazione delle pareti dei vasi sanguigni. Può verificarsi come conseguenza di altre patologie come il lupus;
  • Polimialgia reumatica: è una malattia reumatica più comune negli anziani che colpisce collo, anche, avambracci e gambe;
  • Iperfibrinogenemia: malattia che comporta un’eccessiva produzione di fibrinogeno, con conseguenze sui tempi e modi di coagulazione e cicatrizzazione;
  • Arterite a cellule giganti: è una vasculite che colpisce i vasi sanguigni più grandi
  • Tromboflebite: infiammazione che porta alla formazione di trombi. Nella zona colpita la pelle è tesa, rossa, calda e dolente;
  • Uremia: intossicazione causata dall’incapacità dei reni di filtrare correttamente l’urea e le altre sostanze azotate che l’organismo scarta;
  • Ascessi: sacca di pus che si forma internamente al corpo a seguito di un’infezione che non ha trovato uno sfogo all’esterno.

Le seguenti patologie possono provocare più frequentemente una VES alta:

  • Infezioni batteriche:
    • Infezioni batteriche urinarie (cistiti, pielonefriti, uretriti),
    • Infezioni batteriche alle vie aeree (polmonite, bronchite, bronchiolite, faringite, laringite, sinusite). La bronchiolite ad esempio è una causa frequente di VES alta nei bambini.
    • Infezioni batteriche dentarie e del cavo orale (granulomi, ascessi, tonsilliti),
    • Infezioni batteriche cutanee (erisipela, impetigine, cellulite, fascite)
    • altre tipiche infezioni della giovane età come otiti e la scarlattina.
  • Infezioni fungine: sono meno frequenti, la maggior parte è causata da infezioni delle vie urinarie causate da miceti (funghi), la più frequente è la Candida.

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Una VES alterata indica SEMPRE malattia?

Questo è un concetto molto importante che spesso i pazienti non riescono a comprendere: una VES alta è sempre indice di malattia? La risposta è NO, entro un certo limite, lievi alterazioni acute (e non croniche) non devono necessariamente preoccupare, specie se presenti senza sintomi, segni e altri valori alterati. Aumenti molto elevati e/o cronici della VES è più probabile che indichino la presenza di una patologia, specie se il paziente presenta sintomi, segni ed altri valori alterati. Chiedete sempre al vostro medico.

Come ci si prepara all’analisi?

Si tratta di un semplice prelievo di sangue venoso, di solito dal braccio, che non prevede alcuna speci­fica preparazione, neppure essere a digiuno, anche se, per evitare che l’ali­mentazione influisca sul risultato accelerando o diminuendo la velocità con cui precipitano i globuli rossi, il consiglio è quello di eseguire l’analisi la mattina a digiuno, se possibile.

L’assunzione di farmaci influisce sulla VES?

I farmaci più comuni non influiscono sul risultato dell’esame, ma è sempre consigliabile informare il medico su una eventuale cura in corso in modo che possa avere un’idea globale dello stato di salute in cui si trova la persona.

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Quali sono i valori normali della VES?

Il valore normale della VES è 0-20 mm in 1 ora. Tuttavia l’età ed il sesso del paziente possono influire su questo range: le donne più anziane tendono infatti ad avere una VES più alta.

  • uomini fra i 20 e i 49 anni: VES media = 5 mm/h, con un range di 0-13 mm/h
  • uomini fra i 50 e i 69 anni: VES media = 7 mm/h, con un range di 0-19 mm/h
  • donne fra i 20 e i 49 anni: VES media = 9 mm/h, con un range di 0-21 mm/h
  • donne fra i 50 e i 69 anni: VES media = 12 mm/h, con un range di 0-28 mm/h

Alla luce di questi dati, in generale, sono considerati normali i valori di VES compresi tra 0-22 mm/h negli uomini, e tra 0-29 mm/h nelle donne

Formula di Miller per calcolare i valori normali della VES

Esiste un calcolo, la formula di Miller, che permette di calcolare in modo approssimativo i valori normali della VES.

VES minore di:    [ età in anni (+ 10 se sesso femminile)] / 2

Esempi. Per una persona di 60 anni di sesso femminile quindi, i valori di VES dovranno essere minori a [(60 + 10) / 2], cioè minori di 35. Per un ragazzo di 20 anni invece, i valori di VES dovranno essere minori di (20/2), quindi minori di 10.

Cosa significa avere la VES alta?

Secondo un indice, chiamato indice di Katz, 7 è il valore che può essere definito mediamente normale della VES.

  1. Se la VES è molto alta, con valori di molto superiori al valore massimo, può essere determinata da uno stato infiammatorio come l’artrite reumatoide (malattia infiammatoria acuta che colpisce le aticolazioni), da una epatopatia (sofferenza del fegato), da una insufficienza renale, da un trauma e via dicendo, fino a far sospettare la presenza di un tumore quando il valore è superiore a 100 millimetri dopo 1 ora.
  2. Se la VES è mediamente alta, con valori vicini o poco più alti di 20 mil­limetri in 1 ora, vi può essere uno stato di gravidanza oppure una infe­zione causata da batteri come, per esempio, la faringite o una anemia.
  3. Se la VES è piuttosto bassa, vicina allo 0, la causa può essere una aller­gia o una eccessiva presenza di globuli rossi nel sangue o uno stato di disidratazione dell’organismo.

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Fattori che fanno aumentare la VES

Il risultato della VES può essere influenzato da alcune condizioni non patologiche o comunque non inerenti ad infiammazione. Fattori che fanno aumentare la VES, sono:

  • Sesso femminile
  • Età avanzata
  • Anemia
  • Caldo
  • MCV elevato (globuli rossi di dimensioni superiori alla media, es. nella macrocitosi)
  • Traumi
  • Necrosi tissutale (a seguito di traumi)
  • Gravidanza
  • Malattie linfoproliferative
  • Infiammazioni già superate (il rientro a valori normali può richiedere qualche giorno)
  • Post-partum

In presenza di queste condizioni, il valore della VES può apparire elevato anche quando in realtà non è presente un’infiammazione che ne alza il valore.

Fattori che fanno diminuire la VES

Fattori che – al contrario – fanno diminuire la VES, sono:

  • Sesso maschile
  • Giovane età
  • Poliglobulia
  • Freddo
  • MCV basso (globuli rossi di dimensioni inferiori alla media, es. nella microcitosi)
  • Malnutrizione

In presenza di queste condizioni, il valore della VES può apparire normale anche quando in realtà è presente un’infiammazione che ne alza il valore.

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VES bassa: quali le cause?

Le possibili cause di una VES bassa, sono:

  • Danni al fegato: in questo caso è probabile che nel sangue vi sia un basso livello di proteine plasmatiche, che vengono prodotte dal fegato in caso di infiammazione, e che per questo i globuli rossi “galleggino” più a lungo;
  • Insufficienza cardiaca: condizione in cui il cuore non è in grado di pompare abbastanza sangue da soddisfare le necessità di tutto l’organismo;
  • Iperviscosità del sangue: sindrome in cui il sangue non è abbastanza fluido da essere pompato agevolmente ne vasi sanguigni, causando una circolazione rallentata, affaticamento del cuore e sofferenza di tutto l’organismo;
  • Ipofibrinogenemia: malattia in cui il corpo produce meno fibrinogeno del normale, con conseguenze nei processi di cicatrizzazione e coagulazione;
  • Anemia falciforme: malattia genetica in cui i globuli rossi hanno una forma allungata, a cilindro oppure a falce. I sintomi sono spossatezza, mal di testa, pelle fredda e pallore.

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Quali sono i principali sintomi e segni di VES elevata?

Essendo causata da moltissime patologie possibili, non esistono dei sintomi specifici legati ad una VES elevata. Generalmente sono i classici sintomi di tipo infiammatorio, a cui vanno aggiunti i sintomi specifici di ciascuna malattia (infettiva, autoimmunitaria, reumatologica, altro). I sintomi di VES elevata sono quindi compresi in una vasta gamma di manifestazioni, e per questo sono poco utili per inquadrare una specifica patologia, se non affiancati da altri esami bioumorali  e/o radiologici, che in prima battuta potrebbero essere emocromo con formula leucocitaria, PCR, creatinina, ionemia, esame urine, e – se sono presenti sintomi respiratori – una radiografia del torace (Rx torace).

Nel caso una velocità di eritrosedimentazione elevata sia un sinonimo di infiammazione acuta, i principali sintomi potranno essere:

  • febbre con temperatura corporea elevata al di sopra dei 37.5°C
  • dolori articolari o muscolari
  • sensazione di freddo a volte accompagnata da  brividi, alternata a fasi di sudorazione
  • possibili segni di infezione / infiammazione  in uno più distretti corporei, come ad esempio:
  • arrossamento o tumefazione (gonfiore) della pelle nelle infezioni dei tessuti molli come nel caso di erisipela o di cellulite (con interessamento degli strati sottocutanei più profondi),
  • problemi nella minzione come disuria (bruciore mentre si urina) o stranguria (dolore mentre si urina) nel caso vi sia un infezione delle vie urinarie, come ad esempio cistite o pielonefrite
  • tosse prodotti a volte accompagnata da difficoltà respiratorie nel caso di un’infezione delle vie aeree (polmonite, bronchite, broncopolmonire, bronchiolite nei bambini)
  • dolore addominale, nausea e/o vomito, comparsa di ittero nel caso di un’infezione delle vie biliari o della cistifellea (colangite  o colecistite)
  • sensazione di gonfiore, tensione e dolore a livello del cavo orale (da escludere presenza di granuloma o ascesso a livello dentale)
  • Dolore pelvico o inguinale che si accentua con i rapporti sessuali e al termine di ogni ciclo mestruale: sono sintomi tipici della malattia infiammatoria pelvica.

Se una VES alta è invece legata ad un processo infiammatorio cronico i sintomi più comuni potrebbero essere:

  • febbre a carattere altalenante di lieve modesta entità (febbricola)
  • dolori articolari accompagnati o meno da tumefazione (gonfiore),  arrossamento e sensazione di calore a livello delle articolazioni
  • diarrea e dolore addominale ricorrenti nel caso delle malattie croniche intestinali.
  • Dimagrimento (calo ponderale), perdita di appetito (iporessia) e di energia (astenia): sono sintomi che devono essere indagati perchè presenti in corso di neoplasia.

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Cosa fare dopo aver letto il risultato?

Dopo aver valutato i risultati della VES, il medico può orientarsi meglio e consigliare altre indagini di approfondimento.

Quale altre analisi fare insieme alla VES?

E’ importante affiancare questa analisi e confrontarla con un altro esame del sangue, la prima citata Proteina C-reattiva (PCR), molto più preciso perché la Proteina C-reattiva è una sostanza presente solo nel sangue delle persone che soffrono di malattie infiammatorie e che, quindi, aumenta quando ci si ammala e scompare a guarigione avvenuta.
Un altro esame che indica la presenza o meno di una infiammazione con cui può essere utile confrontare i risultati di VES e Proteina C-reattiva è l’a­nalisi delle Mucoproteine (alfa -1- glicoproteina acida), un esame utile per valutare se lo stato infiammatorio è dovuto a cause reumatiche.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Lingua verde: cause e terapie

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma LINGUA BIANCA IMPASTATA CAUSE PERICOLOSA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneIl colore normale della lingua è rosa/rossastro; in alcuni casi la lingua può assumere una colorazione verdastra:

  • alcuni collutori e dentifrici hanno coloranti o ingredienti che possono rendere la lingua verdognola;
  • mughetto orale: si tratta di una infezione fungina causata da Candida albicans, la lingua diventa bianca ma può assumere sfumature verdastre;
  • alcune infezioni delle vie respiratorie possono determinare lingua verdastra;
  • l’assunzione di antibiotici a lungo termine per un certo tipo di infezioni può condurre a lingua verde;
  • mangiare cibi con pigmenti verdi, può causare lingua verde;
  • infezioni e scarsa igiene orale possono essere causa di lingua verde.

Trattamento della lingua verde

Al fine di trattare una lingua verde è prima è necessario capire l’esatta causa o condizione a monte che l’ha determinata.

  • In caso di mughetto orale, il trattamento si compone di affrontare in modo efficace l’infezione applicando un farmaco anti-fungino.
  • In caso di infezione batterica delle alte vie respiratorie, il trattamento comporta l’uso di antibiotici.
  • E’ necessario seguire una buona dieta e bere molta acqua.
  • E’ preferibile smettere di fumare.
  • E’ importante mantenere una efficace igiene orale.

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Perché viene la diarrea? Quando diventa pericolosa? Cura farmacologica e rimedi casalinghi

Tutti noi, almeno una volta nella vita ne abbiamo sofferto, è molto fastidiosa ma per fortuna nella maggioranza dei casi innocua, sto parlando della diarrea. La diarrea consiste nella emissione di abbondante materiale fecale (quantità oltre i 300 – 400 grammi) di consistenza molto liquida o semiliquida in modo frequente durante la giornata (più di tre evacuazioni al giorno).
Tramite le scariche diarroiche, l’organismo elimina le sostanze tossiche dannose, il cibo non digerito contaminato o i batteri patogeni che risiedono nel nostro intestino.
La diarrea non è una classica malattia come la gastrite o il reflusso gastro esofageo ma è un sintomo, cioè la manifestazione associata a patologie gastrointestinali dovute a batteri, virus, intolleranze alimentari o neoplasie. E’ importante tenere d’ occhio la diarrea perché induce la perdita di parecchi liquidi e sali minerali e materiale non digerito dall’intestino tenue fino a portare alla disidratazione. La diarrea è associata spesso ad altri sintomi: crampi addominali, gonfiore, nausea e tenesmo (la sensazione di dover evacuare senza riuscire a farlo).

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Tipi di diarrea

Esistono varie tipologie di diarrea che si possono raggruppare in termini di frequenza di ondate diarroiche:

  • Diarrea acuta: spesso provocata da infezioni intestinali batteriche o virali, da tossine o in seguito all’assunzione di antibiotici che modificano l’equilibrio della normale flora batterica intestinale;
  • Diarrea cronica: persiste nel tempo ed è causata da infiammazioni croniche e allergie alimentari.
  • Diarrea ricorrente: compare a periodi alterni, talvolta in relazione all’assunzione di alimenti a cui si è intolleranti (per esempio lattosio).

Si può ulteriormente classificare la condizione in base alle varie cause scatenati in:

  • Diarrea da alterato assorbimento: causata da un cattivo funzionamento dei meccanismi intestinali che si occupano dell’assorbimento dei principi nutritivi contenuti negli alimenti; il mancato assorbimento può essere dovuto ad alterazioni della mucosa intestinale per infiammazioni o neoplasie, alla riduzione o scomparsa dei villi intestinali (celiachia), alla mancata digestione degli alimenti da parte degli enzimi (malattie del pancreas), ad interventi chirurgici (ad esempio il bypass intestinale) che riducono la superficie di contatto e di assorbimento.
  • Diarrea osmotica: causata da farmaci lassativi osmotici come sali di magnesio che alterano l’ equilibrio elettrolitico e richiamano acqua nell’intestino.
  • Diarrea secretoria: che causa una secrezione elevata a livello intestinale di acqua ed elettroliti, nel caso di tumori (adenoma del colon), di malattie endocrine, o di infezioni batteriche che producono tossine (colera) o che danneggiano l’ epitelio intestinale causando anche infiammazione, ulcerazioni e perdite di sangue che si può ritrovare nelle feci (shigella).
  • Diarrea motoria: aumento della velocità del transito del materiale e la riduzione del tempo a disposizione dell’intestino per assorbire i nutrienti per motivi neurologici.

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Diarree sostenute da germi patogeni

Questo tipo di diarrea (dissenteria) rappresenta circa la metà delle diarree riscontrabili negli esseri umani: sono innescate da batteri come Shigella o Salmonella e dai virus Rotavirus,Adenovirus e  della epatite. Sono molto comuni le salmonellosi soprattutto nei piccoli a seguito di ingestione di uova, latte non pastorizzato o di carne contaminati. La diarrea si manifesta nelle prime 48 ore dal contagio con delle feci con muco e sangue e scariche frequenti (ogni 3 ore circa). Oltre ai virus influenzali e parainfluenzali, un altro virus in grado di capace di provocare diarrea, è quello della epatite A; il serbatoio di questo patogeno sono i molluschi e i frutti di mare. La manifestazione clinica principale è  l’ittero.

Le tossinfezioni alimentari

Per tossinfezioni alimentari si intendono quelle patologie dovute all’azione di tossine prodotte da batteri presenti  nel cibo o acqua contaminati. La diarrea  si manifesta rapidamente, dopo 30 minuti dall’ingestione degli alimenti contaminati. Uno degli agenti batterici frequentemente responsabile è lo Stafilococco.
Un’altra possibile causa di diarrea è un’alimentazione con elevato apporto di proteine o di carboidrati come pasta, legumi, pane e dolci che rendono difficile la defecazione, favoriscono l’ emissione di gas e conseguente diarrea; infine anche le intolleranze e le allergie alimentari a cibi particolari come latte e glutine sono importanti cause di diarrea soprattutto nel bambino e l’ adolescente.

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Quali sono le cause di diarrea?

Ecco di seguito le possibili cause della dissenteria:

  • infezioni batteriche o virali, inclusa la diarrea del viaggiatore;
  • intolleranze alimentari (glutine, lattosio);
  • presenza di parassiti intestinali (spesso i bambini li prendono a scuola o all’asilo);
  • effetto collaterale indesiderato della terapia antibiotica;
  • malattie dell’intestino come colite, celiachia, malattie infiammatorie croniche (m. di Crohn, colite ulcerosa), colon irritabile;
  • stress psicofisico:
  • tumori intestinali o gastrici;
  • assunzione di farmaci lassativi o antinfiammatori non steroidei (FANS);
  • malattie genetiche o auto immuni.

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Diagnosi della causa della diarrea

Il medico per diagnosticare in modo esatto la causa della diarrea dovrà prima di tutto svolgere un’ anamnesi accurata del paziente a cui porrà domande specifiche sulla insorgenza, sulla durata e sull’eventuale esposizione ad agenti ambientali (principalmente cibo e bevande).
Inoltre esistono nella pratica clinica dei test diagnostici molto utili:

  • esami delle feci per verificare la presenza di batteri oltre a quelli già presenti in intestino o di parassiti;
  • esame del sangue;
  • colonscopia per osservare attentamente l’intero colon in cerca di eventuali infiammazioni.

Cosa fare in caso di diarrea

Se siete affetti da diarrea è bene seguire queste indicazioni:

  • non bere acqua di provenienza sconosciuta, ma sempre e solo quella nelle bottiglie con tappo sigillato;
  • se avete un bambino piccolo, sterilizzate sempre il suo biberon e i  giochi con cui viene a contatto.
  • in caso di diarrea in atto cercare di evitare la disidratazione assumendo almeno 2 litri di acqua al giorno o bevande con integratori alimentari per rimpiazzare la perdita di sali minerali;
  • prediligere dei pasti leggeri e poco complessi come il riso, patate lesse, carote,  mele e pere. Quando le condizioni inizieranno a migliorare si potranno reintrodurre nella dieta della carne di pollo, tacchino o vitello;
  • evitare di assumere farmaci anti diarroici perché vanno ad interferire con la motilità intestinale, ma non risolvono la causa della diarrea;
  • evitare bevande fredde o stimolanti come il vino, sia rosso sia bianco, la birra, il caffè, gli alcolici e la cioccolata; assumere delle tisane rilassanti e rinfrescanti che porteranno da subito sollievo e miglioramenti, si trovano facilmente in erboristeria.

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Diarrea e disidratazione

Una delle più grandi complicazioni della diarrea è la disidratazione perché riduce la quantità di acqua a disposizione degli organi come cuore e  sistema nervoso, arrecando seri problemi al loro funzionamento. La disidratazione è pericolosa nei bambini e negli anziani perché essi riescono più difficilmente a ripristinare l’equilibrio idrico; i sintomi riscontrati in un soggetto disidratato sono:

  • sete;
  • scarsa quantità di urine;
  • stanchezza;
  • secchezza del cavo orale;
  • febbre alta;
  • irritabilità;
  • mancanza di appetito;
  • sonnolenza.

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Diarrea: terapia farmacologica

Sono disponibili molti farmaci per curare la diarrea. Molte volte, la diarrea tende ad autorisolversi senza necessità di trattamenti particolari; prima di intraprendere un iter terapeutico per la cura del disturbo, il controllo del medico è sicuramente necessario, dato che, come abbiamo analizzato, alla base della diarrea si annoverano moltissimi e differenti fattori. A detta di ciò, ben si comprende come il trattamento per la diarrea dovrebbe differenziarsi proprio sulla base della condizione patologica che l’ha scatenata.

IMPORTANTE: Nell’evenienza di assunzione di farmaci per patologie più o meno gravi, uno dei problemi più frequenti legati alla co-manifestazione della diarrea è la modulazione dell’assorbimento dei principi attivi: la posologia del farmaco che si sta assumendo dovrà essere modificata dal medico, dato che la diarrea può favorire l’espulsione del principio attivo ancora prima che l’organismo possa averlo assorbito.

Ecco una lista di farmaci usati per la cura della diarrea:

1) Inibitori della motilità intestinale (antidiarroici): da utilizzarsi anche in caso di diarrea acuta, complicata o meno. Si raccomanda, inoltre, di assumere soluzioni elettrolitiche per via endovenosa qualora la diarrea fosse accompagnata da disidratazione. È doveroso puntualizzare che l’assunzione degli antidiarroici non è utile per la cura della patologia sottostante alla diarrea, ma ne cura semplicemente i sintomi.

  • Lactobacillus Acidophilus (es. Lacteol, Lacteol Forte): si tratta di un antidiarroico di origine microbica, costituito da microbi inattivati di Lactobacillus acidophilus. In particolare, è indicato per il trattamento della diarrea associata a dispepsia o colite, specie nel neonato. Per la cura della diarrea acuta, iniziare la terapia con 2 capsule da 5 miliardi di Lactobacillus acidophilus, tre volte al dì; proseguire con 2 capsule, due volte al giorno.
  • Bismuto salicilato: la posologia di questo antidiarroico (utilizzato anche per la cura della gastrite) varia dagli 87 ai 262 mg, da assumere ogni 30-60 minuti, al bisogno. Generalmente, questo farmaco è indicato per il trattamento della diarrea nei bambini. Consultare il medico.
  • Saccharomyces boulardii lyo: questo antidiarroico/probiotico è indicato per la cura della diarrea acuta: indicativamente, la posologia è 250 mg (1 capsula), due volte al giorno.
  • Loperamide (es. Imodium): iniziare il trattamento per la diarrea acuta con 4 mg di farmaco per os, da assumere dopo la prima evacuazione. Proseguire la terapia con 2 mg di sostanza (non superare i 16 mg in 24 ore). Generalmente, il disturbo svanisce in 48 ore. Non assumere il farmaco per oltre 5 gg consecutivi.  Per il trattamento della diarrea cronica, assumere 4 mg di farmaco per os, seguiti da 2 mg di attivo a seguito di ogni evacuazione. Non superare i 14 mg in 24 ore. La dose di mantenimento varia dai 4 agli 8 mg. In genere, il netto miglioramento clinico è osservabile dopo 10 gg di terapia.
  • Difenoxilato: assumere 2 tavolette o 10 ml di soluzione per os, 4 volte al dì. La terapia di mantenimento prevede l’assunzione di 2 tavolette una volta al dì. La posologia appena descritta è indicata per il trattamento della diarrea acuta nell’adulto; per il bambino, la dose varia in base all’età (1,5-10 ml, 4 volte al dì). Consultare il medico.
  • Codeina (es. Hederix Plan, Codein F FN): oltre che per la cura della tosse, la codeina viene talvolta impiegata in terapia per il trattamento della diarrea acuta non complicata degli adulti. La dose indicativa è 30 mg, 3-4 volte al dì. Il farmaco non è indicato per i bambini.

2) Antispastici e anticolinergici: non sono i farmaci utilizzati come prima linea per la cura della diarrea. Sono indicati per ridurre i sintomi che accompagnano il disturbo, come crampi e dolori addominali. Tra questi, i più indicati sono:

  • Scopolamina (es. Erion, Addofix): particolarmente indicata per dare sollievo sintomatico a disturbi gastrointestinali (spasmo della muscolatura liscia). Assumere per os 20 mg di principio attivo 4 volte al dì (dimezzare la dose per bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni). È possibile somministrare il farmaco anche per via endovenosa, alla stessa posologia.
  • Alverina citrato: si consiglia la somministrazione orale di 60-120 mg 1-3 volte al giorno. È sconsigliata la somministrazione ai bambini sotto i 12 anni.
  • Atropina solfato (es. Atropina Lux): utile in caso di spasmo della muscolatura liscia nel contesto della diarrea. Generalmente, si somministra il farmaco per iniezione sottocutanea o intramuscolare alla posologia di 20 mcg per chilo di peso corporeo (dose massima 600 mcg).

3) Antiemetici: sono indicati in caso di vomito nel contesto della diarrea. Sono sconsigliati nei bambini. Non costituiscono il trattamento di prima linea per la cura della diarrea.

4) Antibiotici a largo spettro: indicati in caso di diarrea dipendente da infezioni batteriche. Ad ogni modo, gli antibiotici non sono generalmente utilizzati per il trattamento della diarrea associata a gastroenteriti semplici, anche in caso di presunta infezione batterica, dato che la condizione tende a risolversi da sé in pochi giorni. Solo in caso di diarrea nel contesto di accertata co-infezione batterica, il medico può prescrivere farmaci antibiotici.

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Quando chiamare il medico?

E’ bene contattare il medico di famiglia:

  • se il paziente è un neonato e la diarrea continua per oltre 24 ore;
  • in caso di diarrea cronica;
  • in caso di probabili patologie infettive;
  • in caso di feci di color nero (non semplicemente scuro) per la presenza di sangue digerito proveniente da emorragie gastrointestinale;
  • quando il paziente ha la febbre alta;
  • se la diarrea nell’ adulto perdura per oltre 3 giorni;
  • se ci sono sintomi di disidratazione del malato.

Consigli per prevenire la diarrea

Di seguito troverete alcuni consigli utili per prevenire eventuali tossinfezioni batteriche che causano la diarrea:

  • lavare sempre le mani per due minuti con sapone liquido con antibatterico;
  • bere acqua solo in bottiglia se si viaggia in paesi stranieri;
  • mangiare cibi cotti evitando quelli crudi, abbrustoliti o conservati che hanno un aspetto dubbio.

Articolo di Dr. Alessandro Scuotto su medicitalia.it

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Perché viene la tosse e come faccio a farla passare?

MEDICINA ONLINE MILK LATTE VACCINO DI CAPRA PASTORIZZATO STERILIZZATO UHT ALTA QUALITA FRESCO LUNGA CONSERVAZIONE MICROFILTRATO INTERO PARZIALMENTE SCREMATO LIPIDI GRASSI COLESTEROLO BAMBINI NEONATI LATTANTI DIETA CALORIEFreddo e gelo, batteri, virus, fumo di sigaretta o quant’altro, a prescindere da cosa la provochi la tosse è un problema veramente fastidioso. I modi per risolvere o alleviare il disturbo sono molti ma di certo non tutti applicabili. Come sempre la cosa essenziale da fare è la diagnosi, ovvero individuare la causa scatenante. Cerchiamo insieme di capire come comportarsi anche in base al tipo di tosse che si ha. Secca o grassa che sia.

Perché viene la tosse?
La tosse è un sintomo di qualcosa che non va nelle vie respiratorie: si manifesta come reazione naturale per allontanare un elemento di disturbo: in genere catarro, polvere, agenti irritanti, patogeni (virus e batteri), muco nasale, quando la tosse è di gola, oppure può venire più dal profondo, dai bronchi e dai polmoni. Come la febbre dunque, anche la tosse di per se stessa non è una cosa grave, ma solo il sintomo di una malattia che nella maggior parte dei casi guarirà in breve, come anche un raffreddore, grazie all’azione del sistema immunitario. Vanno escluse comunque col medico delle cause importanti, specie la tosse perdura per più giorni. Ecco quindi qualche consiglio.

Leggi anche: Perché ci viene la febbre e perché non dobbiamo aver paura di lei

I rimedi naturali e domestici contro la tosse
Bere molti liquidi o utilizzare un umidificatore è utile sia per ammorbidire e rinfrescare una gola irritata, sia per fluidificare il muco. Il miele è un ottimo rimedio naturale riconosciuto scientificamente, per sedare la tosse. Ma attenzione, a differenza di ciò che si pratica abitualmente, andrebbe evitata la somministrazione del nettare nei bambini al di sotto dei 12 mesi: sembra infatti che possa scatenare botulismo infantile, a causa delle spore del batterio Clostridium Botulinum che può contenere (soprattutto nella preparazione domestica, ma anche industriale). In un adulto non sono rischiose, ma nell’apparato gastrointestinale di un neonato sì. Meglio evitare.

Rimedi per calmare la tosse grassa
Per calmare la tosse grassa si può ricorrere ai farmaci espettoranti, ma anche se si tratta di medicinali da banco, è sempre buona norma chiedere al medico, soprattutto per ciò che riguarda i bambini sotto i 4 anni, ma anche più in generale per escludere che il catarro, se in grandi quantità, sia sintomo di polmonite, bronchite o si abbia l’asma. Una particolare attenzione va riposta anche nell’utilizzo dei cosiddetti mucolitici. Se il catarro c’è ed esce tranquillamente, non è il caso di sollecitare l’ulteriore sua produzione con un medicinale di questo tipo, preferibile in caso di tosse secca.

Rimedi per sedare la tosse secca
In commercio esistono gustose caramelle calmanti della tosse, ma vanno evitate nei bambini sotto i 4 -5 anni. In caso di tosse talmente stizzosa da non permettere un sonno adeguato o particolari condizioni di salute, con l’ausilio di un medico si può optare per un sedativo della tosse o un mucolitico. Vi sono formulazioni anche per l’età pediatrica. Il miele e l’idratazione con i liquidi come dicevamo pocanzi, per tutto il resto dei casi.

Quando somministrare gli antibiotici per la tosse?
In genere gli antibiotici per la tosse non vanno dati perché nella maggior parte dei casi questa è provocata da infezioni virali (e ricordiamo che questa classe di farmaci agisce solo sui batteri). A volte può capitare che subentri però un’infezione batterica: sarà il medico a stabilire la diagnosi e l’eventuale necessità di una terapia antibiotica.

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Se la tosse è provocata da asma e allergia
Se con tutti i rimedi finora elencati non c’è una soluzione alla tosse, questa potrebbe essere dovuta da un attacco d’asma e/o provocato da un’allergia: se accompagnata da affanno e mancanza d’aria è il caso di un approfondimento diagnostico terapeutico per l’asma. Altrimenti un antistaminico può alleviare il disturbo.

Tosse nei fumatori
Ovviamente non potevo fare un accenno alla tosse da fumatore che purtroppo conosco bene essendo stato io stesso un fumatore per alcuni anni. E’ frequente soprattutto al mattino, è produttiva ed è direttamente proporzionale alla quantità di sigarette fumate. Il mezzo più semplice per contrastarla è smettere di fumare (ovviamente). Ma a parte questo, non è un sintomo da trascurare: può svilupparsi in bronchite cronica o in selezionati casi essere il segnale (NON precoce) di un tumore ai polmoni.

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Tumore alla mammella: cause, diagnosi e prevenzione

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Senologia Mammografia Tumore Cancro Seno Mammella Diagnosi Mastectomia Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione  Dietologo Roma Cellulite Sessuologia EcografieIl tumore al seno colpisce un donna su dieci. In molti casi, però, si può prevenire o comunque diagnosticare in fasi molto precoci. Di seguito tutte le informazioni relative alla prevenzione e gli appuntamenti indispensabili con i test raccomandati.

Ogni anno in Italia vengono diagnosticati 37.000 nuovi casi: il tumore del seno è il più frequente nel sesso femminile. Grazie, però, ai continui progressi della medicina e agli screening per la diagnosi precoce, nonostante il continuo aumento dell’incidenza, di tumore del seno oggi si muore meno che in passato.

Sono stati identificati molti fattori di rischio, alcuni modificabili, come gli stili di vita, altri invece no, come l’età (la maggior parte di tumori del seno colpisce donne oltre i 40 anni) e fattori genetico-costituzionali. Tra gli stili di vita dannosi si possono citare, per esempio, un’alimentazione povera di frutta e verdura e ricca di grassi animali, il vizio del fumo e una vita particolarmente sedentaria.

Ci sono inoltre alcuni fattori legati alla vita riproduttiva che possono influenzare il rischio di tumore del seno: un periodo fertile breve (prima mestruazione tardiva e menopausa precoce) e una gravidanza in giovanissima età sono protettive, così come l’allattamento per oltre un anno.

Il 10 per cento circa dei tumori del seno è ereditario, legato cioè alla presenza nel DNA di alcune mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2.

La prevenzione del tumore del seno deve cominciare a partire dai 20 anni con l’autopalpazione eseguita con regolarità ogni mese. E’ indispensabile, poi, proseguire con controlli annuali del seno eseguiti dal ginecologo o da uno specialista senologo affiancati alla mammografia annuale dopo i 50 anni o all’ecografia, ma solo in caso di necessità, in donne giovani.

Visita senologica
La visita senologicavisita senologica consiste nell’esame clinico completo del seno da parte di un medico specializzato. È una metodica semplice e indolore, effettuata nello studio del medico senza l’ausilio di particolari strumenti. Questo tipo di valutazione da sola in genere non è sufficiente a formulare una diagnosi precisa, ma può sicuramente essere utile per chiarire situazioni un po’ sospette.

Il senologo, prima di cominciare l’esame vero e proprio delle mammelle, si occupa dell’anamnesi, ovvero della raccolta di informazioni che potranno essere utili per formulare la diagnosi finale: eventuale presenza di casi di tumore del seno in famiglia, età di comparsa del primo ciclo mestruale e della menopausa, gravidanze, alimentazione, terapie ormonali (contraccettivi orali, terapie ormonali sostitutive in menopausa, eccetera). Solo dopo aver terminato questa fase il senologo può procedere con l’esame clinico propriamente detto che parte con l’osservazione e termina con la palpazione: il medico compie tutti quei gesti che ogni donna dovrebbe compiere mensilmente nel corso dell’autopalpazione.

La visita periodica dal senologo non è necessaria per le donne più giovani, ma è sufficiente effettuare con regolarità l’autopalpazione del seno (una volta al mese tra il settimo e il quattordicesimo giorno del ciclo) e rivolgersi al proprio medico di base e al ginecologo per i controlli. In caso di dubbio è proprio il medico generico o il ginecologo a consigliare una visita senologica specialistica durante la quale, grazie anche ad altri esami quali l’ecografia, è possibile distinguere tra patologie maligne e benigne del seno e se necessario, impostare la terapia più corretta. La visita annuale è fortemente consigliata dopo i 40 anni, mentre dopo i 50 è necessaria anche la mammografia.

Esami strumentali
Le donne dispongono di strumenti molto efficaci per la diagnosi precoce del tumore del seno, primo tra tutti la mammografia, affiancata da altri quali ecografia o risonanza magnetica. La prevenzione è fondamentale perché individuare un tumore ancora molto piccolo aumenta notevolmente la possibilità di curarlo in modo definitivo, ma è importante scegliere lo strumento più adatto.

Tra i 20 e i 40 anni generalmente non sono previsti esami particolari, se non una visita annuale del seno dal medico senologo. Solo in situazioni particolari, per esempio in caso di familiarità o di scoperta di noduli, è possibile approfondire l’analisi con una ecografia o una biopsia (agoaspirato) del nodulo sospetto. La mammografia non è raccomandata perché la struttura troppo densa del tessuto mammario in questa fascia di età renderebbe poco chiari i risultati.

Tra i 40 e i 50 anni le donne con presenza di casi di tumore del seno in famiglia dovrebbero cominciare a sottoporsi a mammografia con cadenza annuale, meglio se associata a ecografia vista la struttura ancora densa del seno.

Tra i 50 e i 60 anni il rischio di sviluppare un tumore del seno è piuttosto alto e di conseguenza le donne in questa fascia di età devono sottoporsi a controllo mammografico ogni anno.

Infine, anche dopo i 60 anni la prevenzione oncologica è importante e, nel caso del tumore del seno, lo è ancora di più, dal momento che tra i 50 e i 70 anni il rischio di sviluppare questo tumore raggiunge il suo massimo. Gli esperti consigliano una mammografia ogni due anni almeno fino ai 75 anni perché la vita media si è allungata e si possono ottenere buoni risultati terapeutici anche in pazienti anziane.

Nelle donne positive al test genetico per BRCA1 o 2 è indicata un’ecografia semestrale e una risonanza annuale, anche in giovane età.

Anche se la mammografia rimane uno strumento molto efficace per la diagnosi precoce del tumore del seno, oggi sono disponibili anche altre tecniche diagnostiche come la risonanza magnetica (ancora limitata a casi selezionati), la PEM (una tomografia a emissione di positroni – PET – specifica per le mammelle) e un nuovo esame già definito il Pap-test del seno che consiste nell’introduzione di liquido nei dotti galattofori (i canali attraverso i quali passa il latte) e nella successiva raccolta di questo liquido che porta con sé anche alcune cellule. Grazie al microscopio è poi possibile individuare quali tra le cellule fuoriuscite ha caratteristiche pretumorali permettendo una diagnosi molto precoce del tumore del seno.

Autopalpazione
L’autopalpazione è un esame che ogni donna può effettuare comodamente a casa propria: permette di conoscere profondamente l’aspetto e la struttura normale del seno e quindi di poter cogliere precocemente qualsiasi cambiamento. L’esame si svolge in due fasi:
l’osservazione permette di individuare mutazioni nella forma del seno o del capezzolo,
la palpazione può far scoprire la presenza di piccoli noduli che prima non c’erano.

Quando si parla di autopalpazione si pensa solo a un esame per la ricerca di noduli nella ghiandola mammaria, ma in realtà grazie a questo esame possono emergere altri segnali che devono spingere a consultare un medico, come retrazioni o cambiamenti della pelle, perdite di liquido dai capezzoli e cambiamenti di forma della mammella.

A partire dai 20 anni l’esame può essere effettuato una volta al mese tra il settimo e il quattordicesimo giorno del ciclo. Rispettare questi tempi è importante perché la struttura del seno si modifica in base ai cambiamenti ormonali mensili, e si potrebbero di conseguenza creare, in alcuni casi, confusioni o falsi allarmi.

È bene ricordare che, oltre agli ormoni, anche l’età, il peso corporeo, la familiarità e l’uso di contraccettivi orali influenzano la struttura del seno che, a volte, specialmente nelle donne giovani, si presenta particolarmente densa e difficile da valutare correttamente con l’autoesame.

Tra i 40 e i 50 anni l’incidenza (cioè i numero di nuovi casi) del tumore del seno aumenta in modo rapido e costante e quindi le donne in questa fascia di età non possono rinunciare all’autopalpazione come strumento di prevenzione. Con il sopraggiungere della menopausa, l’esame può essere eseguito indifferentemente in qualunque periodo del mese e deve essere effettuato con regolarità anche e soprattutto dalle over 60 poiché il picco di incidenza (numero di nuovi casi) del tumore del seno si colloca proprio tra i 65 e i 70 anni.

L’autopalpazione rappresenta un primo strumento di prevenzione del tumore del seno, ma da sola non può bastare e deve essere abbinata, a partire dai 45-50 anni, o anche prima in caso di familiarità o alterazioni, a visite senologiche ed esami strumentali più precisi come ecografia o mammografia.

Stili di vita

Per la prevenzione del cancro gli esami di controllo periodici sono importanti, ma anche un corretto stile di vita contribuisce a ridurre drasticamente il rischio di ammalarsi. In particolare si calcola che adottare sane abitudini possa evitare la comparsa di un cancro su tre.

Per raggiungere questo importante traguardo di prevenzione le regole da adottare sono molto semplici e riguardano in modo particolare:
alimentazione,
esercizio fisico,
abitudini voluttuarie, cioè quelle abitudini che danno piacere ma sono pericolose per la salute come il fumo o il consumo eccessivo di alcol.

Non occorrono grandi sforzi: basta porre un po’ di attenzione a ciò che si mangia e cercare di non condurre una vita troppo sedentaria. Mantenere il peso forma non è solo un’esigenza estetica, ma anche e soprattutto una scelta di salute contro l’insorgenza di molti tumori.

Per esempio, un buon metodo per ridurre il rischio di tumore consiste nel seguire la tradizionale dieta mediterranea. E non bisogna dimenticare che un’alimentazione corretta è anche la base della prevenzione per le malattie cardiovascolari e di una vecchiaia in piena forma. Oltre alla qualità del cibo conta anche la quantità: è importante non eccedere con le calorie introdotte che devono essere calcolate in base all’età, al peso, al tipo di attività svolta e a diversi altri parametri personali.

Non bisogna essere atleti per prevenire il cancro: il consiglio migliore è quello di svolgere un’attività fisica moderata per almeno 30 minuti al giorno e per almeno cinque giorni alla settimana. Questo tipo di attività può includere, per esempio, una passeggiata nel parco o la scelta di salire le scale a piedi piuttosto che usare l’ascensore o muoversi in bici e non in macchina.

Bisogna inoltre porre attenzione ad alcuni comportamenti apparentemente innocui, ma in realtà pericolosi come l’eccessiva esposizione al sole che può causare tumori maligni della pelle. Ciò non significa rinunciare al sole, ma esporsi con moderazione e con le adeguate protezioni.

Nel caso di fumo e alcol i dati parlano chiaro: chi fuma aumenta il proprio rischio di tumore del polmone, della bocca e della vescica, oltre a influenzare tutte le patologie oncologiche; mentre il consumo eccessivo di alcol risulta cancerogeno per bocca, esofago e stomaco. Queste semplici regole generali sono valide, con qualche opportuna modifica, a tutte le età.

Ormoni

Gli ormoni, e in particolare gli estrogeni, hanno un ruolo fondamentale nel regolare i processi legati alla fertilità e possono influenzare il rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro. Tutto comincia con il primo ciclo mestruale che determina profondi cambiamenti mensili nel corso del periodo fertile e fino all’avvento della menopausa, che instaura nuovi equilibri ormonali. Ogni fase della vita della donna è dunque caratterizzata da un preciso quadro ormonale e quindi anche il rischio di tumore cambia con l’età.

Tra i 20 e i 40 anni, per esempio, l’utilizzo della pillola contraccettiva e le eventuali gravidanze sono gli eventi più importanti dal punto di vista ormonale. In particolare gli ormoni assunti con la pillola potrebbero diminuire il rischio di tumore ovarico (di cui sono, di fatto, l’unico mezzo preventivo) a costo di un lievissimo aumento del rischio di tumore al seno (più con le vecchie pillole ad alto dosaggio che con quelle attuali, a basso dosaggio), mentre le gravidanze, che generano un blocco della produzione di estrogeni, hanno un effetto protettivo sul tumore del seno e dell’ovaio. Anche gli ormoni assunti per le cure contro l’infertilità influenzano il rischio di sviluppare tumori dell’ovaio, ma i dati non sono ancora completi e definitivi.

La fascia di età compresa tra i 50 e i 60 anni è in genere caratterizzata da un vero e proprio terremoto dal punto vista ormonale: la menopausa. Le ovaie smettono di produrre ormoni e quindi l’organismo è meno esposto all’azione degli estrogeni, in genere responsabili di un aumento del rischio di cancro. In questo senso la terapia ormonale sostitutiva a base di estrogeni, utilizzata per contrastare gli effetti negativi della menopausa (per esempio vampate di calore e osteoporosi) sembra essere un fattore di rischio per alcuni tumori come quello dell’endometrio e del seno, anche se l’utilizzo per non più di cinque anni sembra ancora accettabile. Dovendo scegliere è quindi consigliabile assumere una terapia sostitutiva che contenga anche un progestinico, anche se in genere è di utilizzo più complesso.

Test genetici

La maggior parte dei tumori è di origine “sporadica” ovvero si manifesta senza nessun tipo di legame con la trasmissione ereditaria dei geni, ma in alcuni casi (non più del 10% di tutti i tumori) si può parlare anche di cancro “ereditario”, legato, cioè, alla trasmissione da parte dei genitori di un gene mutato.

Sono stati messi a punto alcuni test genetici, metodiche complesse in grado di stimare il rischio di contrarre un tumore sulla base del corredo genetico. Uno dei tumori per i quali esiste la possibilità di sottoporsi a un test è quello del seno, il tumore più frequente nelle donne. È stato infatti dimostrato che chi ha una madre o una sorella con questa patologia, soprattutto se contratta in giovane età, corre un rischio maggiore di svilupparla nel corso della vita rispetto a chi non ha mai avuto casi di tumore del seno in famiglia. I geni BRCA1 e BRCA2 predispongono a questo tipo di cancro (e anche a quello dell’ovaio): ciò significa che, analizzandoli attentamente, nel caso di tumore si troveranno probabilmente mutazioni non presenti nelle cellule sane. E questa mutazione, se il tumore è ereditario, sarà la stessa nei vari membri della famiglia. Una volta stabilita la necessità di sottoporsi al test, mediante un colloquio con un genetista medico e un oncologo, si procede con un banale prelievo di sangue dal quale verrà estratto il DNA da controllare. Il risultato potrà essere positivo o negativo, cioè si potrà sapere se la mutazione è stata effettivamente ereditata oppure no.

È importante sottolineare che avere ereditato la mutazione non significa essere certi di contrarre prima o poi la malattia, piuttosto equivale ad avere un rischio più elevato rispetto a chi non ha la mutazione. Il test genetico non è dunque uno strumento di prevenzione nel senso classico del termine, ma si limita a fornire informazioni sul rischio di ammalarsi di tumore nel corso della vita e deve essere svolto solo in caso di reale necessità, dopo una consulenza con il genetista medico.

In base al risultato del test, il genetista medico e l’oncologo sapranno creare un piano di prevenzione individuale basato su controlli più frequenti e attenti che permetteranno di gestire al meglio il rischio e di individuare un eventuale tumore nelle sue fasi più precoci. Al momento attuale, tranne che per il seno e l’ovaio, non esistono test genetici disponibili per gli altri tumori femminili.

FONTE 1

FONTE 2

FONTE 3

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