Si muore di Alzheimer? Qual è l’aspettativa di vita?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MORBO ALZHEIMER PSICOSOCIALE COGNITIVO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneNel paziente con Alzheimer può cronicamente verificarsi una perdita di peso, nonostante la normale assunzione di cibo; questo si verifica anche perché il malato si dimentica di masticare o non sa più come deglutire, specialmente negli ultimi stadi della malattia. Un’altra conseguenza del malattia di Alzheimer è il deperimento muscolare, e una volta costretto a letto il malato può sviluppare piaghe da decubito. Più l’età avanza, più queste persone diventano vulnerabili alle infezioni. In conseguenza di tale accresciuta vulnerabilità, molti malati di Alzheimer muoiono di polmonite. Altre cause di morte sono le complicanze delle cadute e dell’allettamento, quali le fratture di femore e le infezioni da piaga da decubito.

Dalla diagnosi della malattia, in media i soggetti hanno un’aspettativa di vita di 6-8 anni, anche se molti possono sopravvivere anche fino a 20 anni. Nella maggior parte dei casi, la morte avviene per altre cause, come la polmonite che interviene come conseguenza dell’indebolimento del sistema immunitario che aumenta il rischio di infezioni ai polmoni.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

La vita è preziosa

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma LA VITA E' PREZIOSA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpg

“La nostra prima figlia a cinque giorni: pesava solo 1,7 chili, ma era così contenta di essere viva! Ho guardato questa foto spesso per farmi forza, tra alti e bassi, nei giorni trascorsi in terapia intensiva. La vita è preziosa”.

E’ la lezione che Lauren Vinje, una mamma americana, ha voluto condividere con il web pubblicando su Facebook il sorriso contagioso rivoltole dalla sua prima figlia, nata prematura dopo appena qualche giorno di vita.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Sconfitte e successi: 4 mosse per essere felici nella vita

MEDICINA ONLINE HAPPINESS GOD THANKS FELICITA DONNA EVVIVA SORRISO SOLDI SUCCESSO SCONFITTA CADERE IN PIEDI ALLEGRA ALLEGRIA SMILE HEART COUPLE HI RES WALLPAPER PICTURE PHOTO PICS.jpgPer vivere felici non serve molto, la felicità è principalmente una condizione mentale che dipende quasi esclusivamente da noi, dal nostro modo di affrontare la vita e rapportarci con gli eventi che quotidianamente accadono.  C’è grande differenza tra la qualità della vita di chi sa dare il giusto peso alle cose, rapportarsi serenamente con gli altri, stabilire con fermezza e convinzione le proprie priorità, e chi si lascia travolgere dagli eventi e non ha chiara la strada da percorrere.

1) GIUDICA IL TUO SUCCESSO, DAL PREZZO CHE PAGHI PER AVERLO

Quotidianamente vedo persone fare di tutto per avere successo, soprattutto nel campo lavorativo, il loro impegno è grande e una tale costanza va sicuramente premiata, ma qual è il prezzo che pagano per mantenere il ruolo che li fa sentire importanti? Stati di malumore persistenti, nervosismo, stress e vita sociale nulla, sono solo i sintomi più evidenti. L’attaccamento esagerato al ruolo, al fine di raggiungere l’obiettivo, li porta ad una progressiva perdita di valori, quei valori su cui invece è necessario basare la propria  vita per vivere felici: il rispetto, l’amicizia e l’aiuto reciproco sono pilastri portati di una vita felice e piena. Non si può mancare di rispetto nei confronti di un tuo pari (siamo tutti esseri umani, indipendentemente dal ruolo) in nome di un obiettivo; purtroppo invece accade quotidianamente che persone autonominatesi “migliori”, trattino male altre, senza averne il minimo diritto, forti di un arroganza che li fa sentire potenti e arrivati. Tuttavia questo atteggiamento logora i rapporti sociali, le persone non sono individui diversi in base alle situazioni in cui si trovano, l’uomo è uno sempre, e chi si arroga il diritto di calpestare gli altri, finisce per essere prima etichettato, poi schivato ed infine emarginato, compromettendo la propria felicità. Questo significa giudicare il proprio successo, soprattutto economico: Valutare quello che quotidianamente ci costa, analizzarne a fondo l’importanza e riporre sulla bilancia della vita i valori che stiamo perseguendo, al fine di capire se penderà dal lato della felicità o da quello dell’insuccesso morale. Imparare a farlo, ogni giorno, prima di effettuare anche la più piccola delle scelte, è importantissimo per vivere felici.

Leggi anche:

2) QUANDO PERDI, NON PERDERE LA LEZIONE

Perdere è parte del sistema e della nostra vita. Nessuno vince sempre, chi crede di essere sempre il migliore, di fare sempre la cosa giusta, imputando a fattori esterni i propri errori, si illude. Sbagliare è la cosa più semplice che possiamo fare, è un meccanismo così intrinsecamente legato alla vita stessa, che moltissime grandi personalità del passato ne hanno trattato il tema. Riporto solo qualche celebre citazione:

  • “Non vale la pena avere la libertà se questo non implica avere la libertà di sbagliare.” (Gandhi),
  • “Desiderare l’immortalità è desiderare la perpetuazione in eterno di un grande errore” (Arthur Schopenhauer),
  • ”Noi siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdonarci reciprocamente le nostre balordaggini è la prima legge di natura.” (Voltaire).

La citazione più celebre però, che ci riporta dritti al tema che stiamo trattando, è certamente quella di Cicerone: “Chiunque può sbagliare; ma nessuno, se non è uno sciocco, persevera nell’errore.”. Per vivere felici è necessario quindi comprendere il profondo significato di “imparare dai propri errori”, pratica che richiede prima di tutto umiltà nell’ammettere di aver sbagliato, risolutezza nel comprendere dove si ha sbagliato e intelligenza nel cercare si evitare di commettere nuovamente lo stesso sbaglio. Stabilito quindi che la vita, in quanto sentiero inesplorato, non può che essere costellata di errori, si acquisisce la forma mentale giusta per affrontare gli sbagli nel modo corretto e vivere felici.

Leggi anche:

3) NON OTTENERE QUELLO CHE VUOI, A VOLTE PUÒ ESSERE UNA FORTUNA

E’ necessario affrontare con ottimismo qualsiasi insuccesso, gli insuccessi esisteranno sempre nella nostra vita. Spesso si portano appresso una buona dose di ingiustizia e quando non si hanno i mezzi per rovesciare la situazione, il senso di rabbia e impotenza possono prendere il sopravvento. Per questo motivo è molto importante credere che esista sempre un motivo quando non riusciamo a raggiungere un determinato obiettivo: che si tratti di una causa a noi sconosciuta o di una beffa del destino poco importa, quello che veramente conta è ricordare sempre che se a quel bivio non siamo riusciti a svoltare a destra, vuol dire che abbiamo svoltato a sinistra, imboccano una strada che ci riserverà altrettante sorprese e possibilità di vivere felici. Quando si chiude una porta, se ne apre sempre un’altra, altre dieci o un portone, per questo va immediatamente dimenticata la delusione e con ottimismo perseguita la nuova strada, convinti che ora non siamo in grado di capire le opportunità che  ci aspettano, perché accecati dalla rabbia di non aver ottenuto quello che volevamo.

4) OGNI GIORNO STAI UN PO DI TEMPO DA SOLO

L’importanza di fermarsi, staccare un secondo la spina e pensare, è sottovalutata. Se nell’arco di una giornata sommassimo i secondi che trascorriamo da soli, valutando la direzione che la nostra vita sta prendendo, difficilmente arriveremmo al minuto.
E’ perentorio ritagliarsi un piccolo spazio per se stessi, anche soltanto cinque minuti, nei quali quotidianamente ci si pone una semplice domanda: “Sono felice?”. Due semplici parole, scomode, che non abbiamo mai il tempo di porci, e che ci possono salvare la vita. Se ogni giorno non lavoriamo per riuscire a vivere felici facendo piccoli passi nella direzione che riteniamo adatta al nostro benessere, non raggiungeremo mai la felicità; il primo passo (il primo, lo ripeto) è ritagliarsi un po’ di tempo per pensare alla propria condizione e in che aspetti può essere migliorata.
Quando si rallenta, si scala marcia, e infine si scende da questa automobile lanciata a tutti velocità, che la società del consumismo ci ha invogliato a comperare, è come se si acquisisse un nuovo senso. Si capisce cioè che strappando al giorno un po’ di tempo per se stessi, si inizia a percepire la realtà in modo diverso e presto diventa chiaro il percorso che dobbiamo seguire per vivere felici.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Django Reinhardt, l’uomo che con sole due dita riuscì a scrivere la storia della chitarra

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma IL MIO MITO DJANGO REINHARDT Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl mio mito è Django Reinhardt. Django Reinhardt nacque a Liberchies, una città del Belgio, il 23 gennaio del 1910 da una famiglia di etnia sinti, che girovagava in varie nazioni europee e nord-africane, fino a stabilirsi a Parigi. Ancora giovanissimo, Django era già un apprezzato suonatore di banjo, ma la sua vita era destinata a cambiare per sempre. Quando aveva appena diciotto anni la roulotte di famiglia dove lui viveva, fu infatti divorata da un incendio: Django riportò gravi ustioni, tanto da perdere l’uso della gamba destra e di buona parte della mano sinistra, cioè quella che usava sulla tastiera del proprio strumento musicale. L’anulare e il mignolo, distrutti dal fuoco, furono saldati insieme dalla cicatrizzazione e divennero inutilizzabili. Subito dopo l’incendio del caravan, Django rifiutò fermamente l’amputazione della mano sinistra e del piede destro e riuscì fortunosamente a superare il rischio di cancrena che gli si prospettava, ma per lui ogni aspirazione di essere musicista, era ormai del tutto svanita.

Qualsiasi persona al mondo, dopo un incidente del genere, avrebbe probabilmente smesso per sempre di suonare. Ma Django non aveva intenzione di piegarsi al suo destino tragico.

Dopo i primi tempi di nera disperazione e più di un anno di riabilitazione, ricominciò a suonare, ma aveva solo due dita a disposizione e doveva trovare un nuovo strumento e – soprattutto – un modo nuovo per usare al meglio la sua mano menomata. Un modo che nessuno aveva mai usato al mondo. A causa del danno alla mano sinistra, Reinhardt dovette per prima cosa abbandonare il banjo ed iniziare a suonare una chitarra che gli era stata regalata, meno pesante e meno ruvida. Nonostante le dita atrofizzate, o forse proprio “grazie” ad esse, sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria e del tutto originale e particolare riuscendo in questo modo a vincere la menomazione fino a tornare sulla scena assieme a diverse orchestre che giravano per la Francia. La sua condizione lo costringeva a ricorrere a tecniche diverse dalla maggioranza degli altri chitarristi e questo contribuì a plasmare il suo stile unico e inimitabile. L’originalissimo modo di suonare di Django, acclamato da musicisti di tutti i generi come geniale ed innovativo, divenne famoso in tutto il globo ed è ancora oggi studiato da molti chitarristi di fama mondiale. Django Reinhardt è tuttora considerato uno dei migliori musicisti della storia ed un esempio di come la volontà e l’amore per le proprie passioni possa far superare ogni difficoltà.

Il mio mito è invece Django Reinhardt, l’uomo che con sole due dita riuscì a scrivere la storia della chitarra e della musica.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Differenza tra organico inorganico

MEDICINA ONLINE INVASIVITA VIRUS BATTERI FUNGHI PATOGENI MICROBIOLOGIA MICROORGANISMI DNA RNA GENI CROMOSOMI LABORATORIO ANALISI PARETE INFEZIONE ORGANISMO PATOGENESI MICROBIOLOGY WALLPAI composti organici includono la quasi totalità dei composti del carbonio, i quali comprendono le molecole costitutive degli organismi viventi .

I composti inorganici invece includono tutti i composti che non contengono carbonio nelle loro molecole (tranne il diossido di carbonio, o anidride carbonica, e pochi altri composti del carbonio). Molti composti inorganici sono necessari alla vita: tra questi occupa un posto particolare l’acqua (la maggior parte delle reazioni fondamentali per gli organismi viventi si svolge in soluzione acquosa).

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Perché si soffre? Come superare la sofferenza?

MEDICINA ONLINE TRISTE CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA DEPRESSIONE VERTIGINE DONNADobbiamo partire dal riconoscere che la sofferenza è naturale, è parte della vita. 2500 anni fa, Buddha ha dedicato la sua esistenza al comprendere ed eliminare la sofferenza: una delle sue conclusioni è che “La vita è sofferenza” (anche se una traduzione migliore sarebbe “Nella vita sono insiti sofferenza, impermanenza e cambiamento”). Che io sappia, nessuno l’ha mai realmente smentito. Quindi, quando soffri non sempre c’è un colpevole o una causa eliminabile: a volte è come va la vita. A questa conclusione sono giunte anche diverse filosofie; per esempio, nell’antica Grecia lo Stoicismo consigliava di vivere in armonia col destino, anche avverso, per raggiungere così serenità e saggezza.

La sofferenza è inevitabile (a volte)

Perché soffrire – a volte – è inevitabile? Quanto meno, per le seguenti ragioni:

  1. A volte non accade quello che vogliamo.
  2. A volte accade quello che non vogliamo.
  3. Tutto è impermanente, tutto cambia; quindi, prima o poi perderemo quello a cui teniamo.
  4. Un giorno tu morirai – e questo vale per chiunque.
  5. Poiché siamo tutti diversi, e spesso vogliamo cose diverse, ci sarà sempre qualche disaccordo o conflitto con le altre persone.

E’ da notare che queste ragioni valgono per tutti, qualsiasi sia la loro condizione: non c’è modo di sfuggirle. Alcuni coltivano l’illusione che ci siano dei “trucchi” per sfuggire alla sofferenza (il denaro, il potere, la bellezza, la fede…), ma è tutto vano.
Certo, la sofferenza può essere diminuita, sia con azioni concrete che con il giusto atteggiamento (gli insegnamenti del Buddha hanno questo scopo), ma la sua eliminazione totale è semplicemente illusoria. Anzi, ostinarsi ad eliminare la sofferenza può portare al risultato opposto.

Leggi anche:

La vita e il mondo non sono fatti a nostra misura

Il mondo non è fatto per renderci felici. Anche se ci piacerebbe tanto che lo fosse, e alcune religioni ci dicono che è così, non c’è alcuna prova a favore, ma ce ne sono molte contro. Non è il mondo che deve adattarsi a noi; piuttosto, siamo noi che dobbiamo adattarci al mondo, se vogliamo realizzare quello che desideriamo.

Allo stesso modo, la vita non è fatta per renderci felici: l’esistenza, per sua stessa natura, è spesso dura, complicata e incerta. Per milioni di anni la mera sopravvivenza è stata un problema quotidiano, e tuttora lo è in molte parti del mondo. Elementi che rendono la vita difficile, come l’egoismo, l’avidità e la competizione, sono parte di ogni essere vivente (anche perché portano un vantaggio evolutivo). L’idea che l’esistenza possa – o debba – essere facile e senza problemi è profondamente ingenua e disinformata.

Poiché la vita non è fatta per renderci felici, aspettarci che lo faccia è egocentrico e infantile. La vita – semmai – ci offre delle opportunità per essere felici, ma sta a noi coglierle e svilupparle. La felicità personale non è mai scontata o un diritto (anche se a volte può arrivarci come dono inaspettato), ma è una creazione e una conquista che richiede impegno e risorse. Se non siamo felici e vorremmo esserlo, dovremmo chiederci cosa stiamo facendo, concretamente, per diventarlo.

Dicendo che “il mondo (o la vita) non sono fatti per renderci felici”, non intendo certo dire che siano fatti per renderci infelici. Semplicemente non sono al nostro servizio, quindi non possiamo aspettarci che si occupino della nostra felicità; quel compito spetta a noi stessi).

Non siamo speciali come ci dice la religione

Perché reagiamo con tanto stupore e smarrimento quando ci accadono eventi spiacevoli? In parte, io credo, perché la religione cristiana (come anche le altre religioni monoteiste) ci dice che noi umani siamo creature speciali e privilegiate, che Dio ci ama in modo particolare, ecc. Questo crea aspettative irreali: che la realtà si adatti a noi, che soddisfi i nostri bisogni, che se ci comportiamo bene saremo felici e protetti dal dolore. Anche se queste convinzioni sono confortanti, purtroppo sono anche alquanto illusorie: e quando vengono infrante, la delusione può essere terribile.
In realtà non siamo così speciali: rispetto agli animali abbiamo capacità avanzate e una coscienza, è vero (ma queste ci portano anche “doni” quali angosce esistenziali, nevrosi e depressione). Ma a parte quello, la vita umana si svolge come per gli animali: nasciamo con paura e dolore, viviamo in competizione per ottenere quel che vogliamo, ci ammaliamo, patiamo la decadenza, e infine moriamo.
Non ci viene riservato nessun “trattamento di favore”. Nonostante le enormi risorse che spendiamo per allontanare paure e sofferenze (gran parte del consumismo può essere visto come un tentativo in questo senso), il nostro destino rimane simile a quello di tutte le altre creature viventi.

Dal mio punto di vista, le religioni dicono spesso cose non vere. Ma se credere negli insegnamenti religiosi per te funziona, ti fa stare bene, e ti fornisce le risposte di cui hai bisogno, va benissimo; non intendo convincerti del contrario. Però, se quello in cui credi non corrisponde alla tua realtà, o se ti genera confusione e sofferenza (invece di pace e benessere), forse è il caso di metterlo in discussione.

Leggi anche:

Principali fonti di sofferenza

Di seguito elenco alcune delle principali fonti da cui proviene la nostra sofferenza. Averne chiara l’origine può aiutarci a gestirla meglio, ad accettarla (se non vi è alcun rimedio), oppure a cercare una possibile soluzione.

Sofferenza causata dagli altri

Quando la sofferenza è causata da altri esseri umani (dalle liti in famiglia alle guerre mondiali), è facile pensare che quelle persone siano cattive, stupide o ignoranti. Ma in molti conflitti non c’è chi ha “ragione” e chi ha “torto”, bensì ogni parte ha le sue ragioni. Quello che a te sembra sbagliato o assurdo, per altri può essere l’azione migliore: siamo tutti diversi, e vediamo le cose in modi differenti.
Questo vale anche per i presunti “bene” e “male”. Alcuni credono che, se eliminassimo il “male” (o i “cattivi”), la sofferenza sparirebbe. Ma chi decide cosa è bene o male? In genere, vediamo come “bene” ciò che è positivo per noi, e come “male” ciò che è negativo per noi. Ma quello che è male per qualcuno, potrebbe essere – e spesso è realmente – bene per qualcun altro. Inoltre, quello che ci sembra positivo oggi, potrebbe rivelarsi negativo domani (come illustrato dalla storia del contadino che ad ogni evento commentava: “Fortuna o sfortuna: chi può dirlo?”). E allora, chi ha ragione?
In realtà, bene e male sono “categorie immaginarie”, giudizi arbitrari e soggettivi. Prendiamo l’esempio del leone che insegue la gazzella per mangiarla: chi ha ragione e chi torto? Quale animale dovrebbe morire, e perché? Ovviamente, sia il leone che la gazzella avranno sull’argomento pareri ben diversi… e così è per noi: spesso giudichiamo un evento “bene” o “male” a seconda se siamo nella posizione della gazzella o del leone. Inoltre, quando qualcuno ci ferisce, tendiamo a prenderla sul personale, a pensare che ce l’abbia con noi o che ci voglia male. Ma invece, molto spesso questo accade per ragioni che non c’entrano nulla con noi: quella persona potrebbe avere avuto una giornata storta, o è malato, o non ci ha compresi, o era distratto, o seguiva una sua necessità, oppure vede le cose diversamente da noi. Tenere presente questo ci aiuta a non vedere gli altri come “nemici” e noi stessi come “vittime”.
Allo stesso modo, quando la vita ci fa soffrire, il più delle volte non riguarda noi personalmente, non c’è un motivo per cui ci capita: non è che il mondo ce l’ha con noi, o che veniamo puniti per qualche ragione. Certo, a volte soffriamo perché commettiamo degli errori (se attraverso la strada senza guardare e mi investono, se non mi preparo per un esame e mi bocciano), ma queste non sono “punizioni” (non c’è una causa morale), bensì conseguenze; in questi casi, dobbiamo imparare dai nostri errori e migliorare, per evitare di ripeterli.

Sofferenza causata dalla società

Una causa di sofferenza ampiamente diffusa ma di cui siamo spesso inconsapevoli, è quella causata dalle regole e dalle costrizioni sociali. Anche se non ce ne rendiamo conto perché vi siamo abituati fin dall’infanzia, siamo continuamente condizionati a reprimere ciò che sentiamo, quello che vorremmo dire e fare, per adeguarci alle norme e alle esigenze altrui (dalle persone intorno a noi fino alle leggi dello Stato).
Come aveva osservato già Freud, questa continua repressione è una delle principali cause di nevrosi e malesseri psichici. Negare il proprio sé, la propria natura autentica, non può essere privo di conseguenze. Al tempo stesso, questa repressione è il “prezzo da pagare” per tutti i vantaggi che ci porta il vivere in società: sicurezza, facile accesso a cibo e risorse, supporto, condivisione di mezzi e informazioni, possibilità di creare cose che da soli mai potremmo. Per essere completamente liberi, l’alternativa sarebbe vivere da soli come eremiti – ma le ragioni per cui non lo facciamo sono ovvie. Certo ci possono essere modi migliori e più armoniosi di vivere in società (la democrazia è assai meglio di dittature o monarchie), ma una vita sociale sarà sempre limitante: in primo luogo, ma non solo, perché la mia libertà finisce dove comincia quella altrui.
Attenuare la sofferenza del vivere in gruppo è però possibile, in vari modi:

  • Sviluppare una propria autonomia di pensiero. Non seguire passivamente la massa, o i gruppi che si frequentano.
  • Mettere in discussione usanze prive di senso o distruttive, e non seguirle solo perché di uso comune o tradizionali.
  • E soprattutto, non dare troppa importanza ai giudizi degli altri, e non dipendere dalla loro approvazione (anche perché non è mai possibile fare contenti tutti).

Sofferenza causata da noi stessi

A volte soffriamo per cause esterne a noi, senza che ne abbiamo colpa alcuna; altre volte, siamo noi stessi a causare gli eventi che ci fanno soffrire. E’ importante riconoscere quando è vero il secondo caso, e assumercene la responsabilità – altrimenti non sapremo cambiare, e continueremo a creare sofferenza.

Due cause specifiche per cui a volte creiamo la nostra sofferenza, sono l’ignoranza e le illusioni(cioè credere a cose non vere).

  • Per esempio, ci sono convinzioni diffuse che ci rendono infelici ma, finché non le mettiamo in discussione, continuiamo a seguirle.
  • Oppure, non conosciamo le ragioni per cui le persone si attraggono e si piacciono (oppure no), e quindi ci muoviamo “a casaccio” nel mondo delle relazioni.
  • Anche nell’ambito sentimentale, molti tendono a credere a pregiudizi e idee ingannevoli, che portano a infinite incomprensioni e scontri in amore.

Non è mai abbastanza

A volte soffriamo perché vediamo la nostra vita in modo distorto: ci concentriamo sui lati negativi e trascuriamo quelli positivi. Per la maggior parte del tempo, la nostra mente funziona così: se nella tua vita hai nove cose positive ed una negativa, tenderai a soffrire per quell’una che non funziona, e trascurerai di apprezzare le nove che vanno bene. Anche quando le cose ci vanno bene, di rado sappiamo goderci il momento presente; invece, tendiamo a desiderare altro e di più. Qualunque obiettivo raggiungiamo, non è mai abbastanza. Quindi viviamo proiettati verso una ipotetica felicità futura, invece di sentirci felici per quello che siamo e abbiamo. La felicità possibile nel presente ci sfugge perché siamo concentrati su quella immaginaria nel futuro.

Leggi anche:

Sofferenza causata dalle aspettative

Ogni volta che abbiamo un’aspettativa irreale o impossibile (sia verso il mondo esterno che verso se stessi), finiamo col crearci frustrazione e infelicità. Spesso non sono gli eventi in sé che generano la sofferenza, ma le aspettative che abbiamo in proposito: se ottengo 100 e mi aspettavo 200 sarò deluso; ma se ottengo 100 e mi aspettavo 50, sarò ben contento. Stesso evento, diversa reazione.
Se siamo spesso frustrati da quel che ci capita, è bene chiedersi se le nostre aspettative siano esagerate. Se ci aspettiamo che tutto vada a modo nostro (il mondo, la vita, il comportamento altrui…), ci ritroveremo costantemente insoddisfatti.

Sofferenza causata dalla competizione

A volte soffriamo perché ci sentiamo spinti alla competizione:

  • lo sforzo negli studi per acquisire competenze che diano maggiori opportunità;
  • la lotta per ottenere un posto di lavoro, e poi per fare carriera;
  • la conquista di un partner e la paura dei tradimenti, ecc.

Anche se queste situazioni ci possono apparire crudeli, in realtà sono anch’esse “naturali”, perché la natura stessa funziona secondo principi di “competizione darwiniana”. In natura, si è costantemente alla ricerca di risorse (cibo, riparo, partner), e in lotta contro altri individui e condizioni avverse: i più adatti prosperano, i meno adatti periscono. Gli esseri umani hanno sviluppato la società anche per attenuare queste condizioni (per esempio, tramite leggi uguali per tutti e servizi condivisi), ma la competizione rimane alla base della nostra natura (tutti vorrebbero il meglio, ma non tutti possono averlo).

La giustizia non esiste in Natura

A volte soffriamo perché subiamo delle ingiustizie. Per gli esseri umani la giustizia è un concetto primario, al punto che ci sembra una “legge naturale” – ma non è affatto così. In Natura non esiste giustizia o equità, ma vige la lotta per la sopravvivenza e la prevalenza del più adatto.
Sicuramente è importante impegnarsi per un mondo equo e giusto, per noi e per gli altri, ma non dovremmo stupirci se questo non sempre avviene. La giustizia è una invenzione umana, una funzione artificiale della società, un ideale che non sempre si riesce ad applicare.

Sofferenza per disastri naturali

Quando accadono disastri naturali (terremoti, eruzioni, uragani, tsunami, ecc.), siamo sconvolti e atterriti. Ci chiediamo il perché accadono eventi così terribili, la ragione di tanta sofferenza. La risposta che si davano gli antichi era l’ira o la vendetta di qualche dio; anche tutt’oggi alcuni vedono questi disastri come punizioni divine. Ma questi sono modi ingenui di dare una spiegazione “umana” ad eventi tanto più grandi di noi.
In realtà, i disastri naturali sono semplicemente meccanismi nel funzionamento del nostro pianetaNon hanno nulla a che fare con la nostra presenza: accadevano miliardi di anni fa, quando noi non c’eravamo, e accadranno quando noi saremo estinti. La Terra segue il suo corso, ignara delle conseguenze per le creature che ospita; un po’ come un elefante che è ignaro delle formiche che possono essere sul suo dorso.

Sofferenza senza senso

Dare una spiegazione agli eventi è un bisogno umano, e forse per questo certe religioni o filosofie dicono che ogni evento ha sempre un senso, un suo scopo. Ma quello che accade non sempre ha un senso: un terremoto non ha alcuno scopo, accade e basta (anche se ha una spiegazione geologica).
E’ vero che c’è sempre un motivo o una spiegazione agli eventi, ma non sempre è morale (le leggi naturali, la fisica o la biologia, sono amorali e indifferenti ai destini umani) o logico ai nostri occhi (una malattia segue una sua “logica” che prescinde dalla nostra).

Superare la sofferenza

Anche a causa di certi insegnamenti religiosi o “new age” (per quanto ben intenzionati), che credono in una connessione diretta tra le nostre virtù o azioni, e i risultati che otteniamo, certe persone vedono la sofferenza come un segno che hanno sbagliato, sono “peccatori” o hanno “perduto la grazia di Dio”: “Se avessi fatto tutto giusto – pensano – allora tutto andrebbe bene”. Come ampiamente spiegato sopra, invece, gli eventi negativi capitano a tutti, buoni e cattivi, a volte senza alcun motivo. E’ evidente che non sempre i “buoni” vengono premiati e i “cattivi” puniti.
Quando soffriamo, non vuol dire che siamo sbagliati, incapaci o colpevoli. A volte dipende dalle nostre azioni, ma altre volte succede solo perché siamo nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

Leggi anche:

Non tutto il male viene per nuocere

La sofferenza non è solo negativa, presenta anche degli aspetti “luminosi” e utili:

  • Ci fa crescere, ci spinge a migliorare ed evolverci.
  • Ci insegna a comprendere la sofferenza altrui (se non abbiamo provato un dolore particolare, non possiamo capire chi si trova in quella situazione). Aumenta la nostra empatia e compassione.
  • Ci induce ad apprezzare le cose positive (se fosse tutto facile e scontato, non lo apprezzeremmo).

Quindi, per certi versi la sofferenza ci rende più umani, più tolleranti e più saggi.

Altre risposte alla sofferenza

Nei casi in cui la sofferenza sia inevitabile, prendersela o combatterla è inutile (e persino controproducente): farlo non fa che aumentare la sofferenza stessa. E’ molto più produttivo concentrarsi su quel che di positivo abbiamo nella nostra vita, e godercelo. Anche quando non possiamo diminuire l’oscurità, possiamo però aumentare la luce.

Poiché l’esperienza della sofferenza è eterna e universale, nel corso del tempo l’uomo ha sempre cercato risposte e rimedi:

  • Come già accennato, la filosofia ha proposto numerose interpretazioni e metodi per affrontare la sofferenza e l’ignoto.
  • La classica “Preghiera della serenità” offre un’ispirazione preziosa per affrontare le preoccupazioni.
  • La psicologia e la comprensione dell’animo umano, offrono molti strumenti per diminuire la sofferenza e aumentare la felicità.
  • Coltivare una posizione di “ragionevole saggezza” (una visione realistica, in equilibrio tra gli estremi dell’ottimismo ingenuo e del pessimismo disperato), ci permette di affrontare meglio la sofferenza ed esserne meno influenzati.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Si può vivere senza respirare aria? Quanto può durare una apnea?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA APNEA STATICA DINAMICA PROFONDA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari A PeneMentre mediamente si può resistere vari giorni senza mangiare e senza bere, lo stesso non si può dire del respirare. L’essere umano ha bisogno di un flusso costante di aria, ed in particolare di ossigeno, per far funzionare ciclo di Krebs, respirazione cellulare aerobica e – in definitiva – per restare vivo.

Il soggetto medio può rimanere in apnea, per poche decine di secondi al massimo; con apnea si intende una momentanea e sospensione del respiro. Riferendoci all’apnea volontaria, un tempo medio che tutti gli adulti possono raggiungere è di 45-60 secondi. Questo range di valori è però estremamente variabile, in base ad alcuni fattori, come ad esempio:

  • età;
  • stato di salute generale;
  • soggetto allenato;
  • soggetto abituato alle alte altitudini;
  • fumo di sigaretta;
  • patologie respiratorie.

Ad ogni modo, dopo circa un minuto di apnea volontaria, quasi tutti i soggetti adulti non allenati sono costretti – dall’istinto di sopravvivenza – a riprendere fiato al più presto. Dopo questo periodo, a causa della progressiva diminuzione della pressione parziale dell’ossigeno e del contemporaneo aumento della pressione parziale dell’anidride carbonica nel sangue, il centro respiratorio invia infatti impulsi al diaframma, che la maggior parte delle persone percepisce come “vibrazioni”.
Le persone sportive e specie quelle allenate ad apnee prolungate, fisicamente e mentalmente, possono ovviamente allungare notevolmente il loro tempo di apnea, grazie a specifiche tecniche di rilassamento che rallentano il battito cardiaco e permettono al corpo di usare al massimo l’aria inspirata prima dell’inizio dell’apnea grazie anche all’emocompensazione (lo spostamento del sangue dalle zone periferiche del nostro corpo – mani, braccia, piedi, gambe – verso il tronco).

Gianluca Genoni, uno dei primatisti mondiali di apnea, è stato in grado di rimanere in apnea statica (senza muoversi) per 7 minuti e 30 secondi.
Umberto Pelizzari, un altro possessore di vari record del campo, ha raggiunto i 150 m di profondità in apnea in assetto variabile, che prevede uno sforzo muscolare, con una immersione di 2 minuti e 57 secondi.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Si può vivere senza bere acqua? Per quanto tempo?

Perdiamo una lattina di acqua ogni ora quanta acqua bere d'estate per evitare la disidratazioneL’acqua, insieme al cibo ed all’aria, è il bene più prezioso per l’uomo: il suo corpo, infatti, è composto per gran parte di acqua, che viene assunta durante la giornata tramite l’introduzione di liquidi con bevande e cibi; a tal proposito leggi anche: Quanti litri e percentuale di acqua sono presenti nel nostro corpo?

L’acqua è veramente importante per il corretto funzionamento del corpo, tanto che è importante l’assumerne almeno 1,5/2 litri al giorno, che possono salire fino al doppio o oltre in casi eccezionali, come ad esempio:

  • una sudorazione troppo intensa, tipica in estate e con elevata umidità;
  • una perdita elevata di liquidi a causa di varie condizioni e patologie (ad esempio diarrea/ vomito prolungati; ustioni importanti…)
  • durante attività fisiche intense e prolungate;
  • in individui con elevati % di massa magra e metabolismo basale (ad esempio nei body builder).

Ma quanto può resistere un uomo senza bere?
Una risposta esatta non esiste, perché dipende da una grande quantità di fattori, principalmente:

  • sesso del soggetto;
  • metabolismo basale;
  • età del soggetto;
  • la corporatura del soggetto;
  • stato di salute generale.

Vi fornisco alcuni esempi. A parità di temperatura, umidità e condizioni di salute generali:

  • un bambino appena nato resisterebbe per un terzo del tempo di un uomo adulto;
  • un ottantenne resisterebbe molto meno di un soggetto con la metà degli anni;
  • un body builder resisterebbe meno di un individuo con massa muscolare “normale”, dal momento che il suo metabolismo basale (e quindi il suo fabbisogno idrico giornaliero, valori che sono direttamente proporzionati) è più elevato del normale;
  • una donna ha potenzialmente la possibilità di resistere più a lungo di un maschio, perché ha un metabolismo basale mediamente più basse e tende ad avere maggiori risorse di liquidi a causa della superiore ritenzione idrica;
  • una donna incinta resiste meno senza bere rispetto ad una donna non in gravidanza;
  • un soggetto molto ansioso ha una resistenza alla disidratazione prolungata, minore di un soggetto calmo;
  • un atleta professionista di sport di resistenza (quindi che non possiede elevata massa muscolare, come avviene invece in atleti di sport di potenza) ha una resistenza alla disidratazione maggiore rispetto ad un individuo sedentario e ad un atleta di sport di potenza;
  • un fumatore ha una resistenza alla disidratazione minore rispetto ad un non fumatore;
  • un soggetto in salute resiste di più senza idratazione, piuttosto di uno che soffre di vomito, diarrea, diabete, cardiopatie ed ustioni gravi: la salute generale è importantissima per assicurare la più elevata resistenza possibile.

La resistenza dipende inoltre da vari fattori esterni, come il tipo di ambiente (e quindi temperatura ed umidità) in cui ci si trova: a parità di soggetto, nel deserto servirebbero quattro litri di acqua al giorno per una corretta idratazione, mentre a temperature miti ne basterebbero meno della metà. Il fabbisogno idrico giornaliero dipende anche fortemente dal tipo di attività che si compie: quando si dorme, per esempio, si riduce la perdita di liquidi, mentre quando si svolge un lavoro faticoso – effettuato magari sotto il sole estivo – può ovviamente far perdere una grandissima quantità acqua e minerali.

Leggi anche: Perdiamo una lattina di acqua ogni ora: quanta acqua bere d’estate per evitare la disidratazione?

In linea generale, con una temperatura ambientale attorno ai 15°C e senza sforzi eccessivi, un essere umano adulto di 40 anni in salute può resistere mediamente una settimana intera senza bere, purché si nutra almeno dei liquidi contenuti nei cibi freschi (specie frutta e verdura). A ogni modo, la disidratazione porta conseguenze in poco tempo, spesso anche gravi: senza acqua la volemia (cioè il nostro volume sanguigno circolante) diminuisce gradatamente e quando si passa da un livello normale di circa 5 litri, da un livello inferiore ai 3,5 litri, si assiste alla comparsa dei seguenti sintomi:

  • astenia (debolezza);
  • sete;
  • ansia;
  • malessere generale;
  • aumento della frequenza respiratoria;
  • tachicardia;
  • ipotensione arteriosa;
  • vertigini;
  • allucinazioni visive/uditive;
  • confusione.

Successivamente si può assistere ad una progressiva perdita di coscienza ed infine alla morte del soggetto, in modo simile a quello che avviene in una morte da dissanguamento.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!