La milza è un organo indispensabile? Se viene asportata cosa può succedere?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MILZA ORGANO INDISPENSABILE SUCCEDE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa milza è un organo indispensabile?
Pur essendo un organo importante del nostro corpo, non è comunque un organo indispensabile alla vita umana: in caso di asportazione ci sono altri organi interni, come il fegato ed il midollo osseo, che ne prendono le funzioni.

Cosa succede quando viene asportata la milza?
La milza svolge svariati compiti (a tal proposito leggi: A cosa serve la milza e che significa “rottura della milza”?). A causa di ciò, i pazienti che – per varie cause – hanno affrontato un intervento di asportazione della milza (splenectomia) presentano livelli più alti di reticolociti, piastrine e globuli rossi incompleti o patologici; per il venir meno delle funzioni immunologiche, sono inoltre più sensibili alle infezioni, soprattutto a quelle prodotte da microrganismi capsulati: per questo motivo si parla di immunodepressione post-splenectomia. Alla luce di ciò, ai pazienti sottoposti ad asportazione della milza, si raccomanda di vaccinarsi contro il batterio pneumococco, che causa la polmonite, e, di anno in anno, contro l’influenza. Inoltre, un’altra misura preventiva, adottata in particolari condizioni patologiche, è quella di assumere degli antibiotici, i quali innalzano un muro contro gli agenti batterici presenti nell’ambiente.

Rischi legati all’intervento chirurgico
Grazie ai progressi della medicina, la splenectomia è, ormai, un’operazione sicura. Tuttavia, la sua esecuzione, come quella di un qualsiasi altro intervento chirurgico, presenta dei potenziali rischi, che non vanno sottovalutati.
Emorragie, coaguli di sangue (trombi), infezioni della ferita e lesioni degli organi adiacenti (stomaco, pancreas e colon) sono le quattro più importanti complicanze dell’asportazione della milza.
La recente rivalutazione dell’importante ruolo svolto dalla milza nella difesa dell’organismo, soprattutto in età pediatrica, ha modificato l’approccio terapeutico, che oggi si orienta soprattutto verso un trattamento di tipo conservativo, mentre prima si tendeva più ad un approccio chirurgico.

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Rottura della milza: terapia conservativa o chirurgica?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ROTTURA MILZA TERAPIA CHIRURGICA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLe lesioni della milza possono essere di lieve o di grossa entità. Lesioni spleniche vaste trasformano la rottura della milza in una vera e propria emergenza medica, che richiede l’immediato intervento chirurgico per arrestare l’emorragia interna e salvare la vita al paziente. In caso di traumi più superficiali, la rottura della milza può essere invece trattata in modo conservativo, ospedalizzando per qualche giorno il paziente ed osservando l’evolversi della situazione verso l’eventuale guarigione spontanea.

Per approfondire:

Terapia chirurgica nella rottura della milza
A causa dell’importante vascolarizzazione, la rottura della milza può causare emorragie massive, con accumulo di sangue nella cavità addominale ed insorgenza di shock ipovolemico fino alla morte. In simili circostanze, l’immediato intervento chirurgico di splenectomia (asportazione della milza) può salvare la vita al paziente senza complicanze cliniche significative.

Per approfondire sulla terapia chirurgica che consiste nella rimozione della milza, leggi questo articolo: Splenectomia parziale e totale: perché si esegue e quali sono i rischi

E’ importante però ricordare che, rispetto al passato, grazie alla rivalutazione del ruolo immunitario della milza ed al rischio di severe infezioni post-operatorie, l‘intervento di splenectomia viene oggi praticato con maggiore cautela. Si tende ad osservare il paziente per capire se l’emorragia è in grado di arrestarsi spontaneamente, riservando l’intervento ai casi in cui non avviene la guarigione spontanea. Inoltre, durante l’intervento chirurgico si cerca quando possibile di riparare la lesione, applicando ad esempio dei punti di sutura, o di asportare soltanto la parte di milza interessata dalla rottura (splenectomia subtotale o parziale), piuttosto che asportare completamente la milza come spesso si faceva in passato.

Leggi anche: La milza è un organo indispensabile? Se viene asportata cosa può succedere?

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Differenza tra colite ulcerosa, muco-membranosa, da fermentazione e da putrefazione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA TRA INTESTINO TENUE E CRASSO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneLe coliti sono processi infiammatori dell’intestino colon e si distinguono principalmente in colite da fermentazione, colite da putrefazione, colite mucomembranosa, colite ulcerosa, coliti infettive, coliti parassitarie. Le infettive possono essere causate da bacilli del tifo, del paratifo, della dissenteria, da salmonelle e da altri germi. Le parassitarie da amebe e altri microrganismi.

COLITE DA FERMENTAZIONE
È caratterizzata dall’evacuazione, 3-4 volte al giorno, di feci diarroiche abbondanti, spumose, giallo-oro, di odore acre. Altri sintomi sono espulsione di gas inodore, specie durante la notte, coliche intestinali dolorose permanenti o parossistiche, digestione difficile, diminuzione dell’appetito, depressione dello stato generale. La palpazione del colon è più o meno dolorosa. A provocare la colite da fermentazione, la cui origine è poco conosciuta, contribuisce un’alimentazione troppo ricca in idrati di carbonio e in cellulosa negli individui nei quali la digestione di queste sostanze determina un’acidità anormale che irrita la mucosa del colon. La colite da fermentazione, generalmente è benigna e che regredisce verso la cinquantina, è soggetta a ricadute frequenti, spesso in seguito a sregolatezze alimentari e a strapazzi fisici e mentali.

COLITE DA PUTREFAZIONE
La diarrea è spesso alternata da stitichezza, le feci sono pastose, poco abbondanti, bruno scure, lisce e brillanti, fetide; emissioni di gas fetide ma poco abbondanti. I dolori sono minori che nella colite da fermentazione; la parte destra dell’addome è spesso dolente alla palpazione. I sintomi generali sono, nel complesso, eguali a quelli della colite da fermentazione. La colite da putrefazione può essere dovuta a un’alimentazione troppo ricca di alimenti putrescibili (come uova, carne, ecc.), essere secondaria a fermentazione esagerata, oppure derivare da una lesione organica del colon, specie nell’individuo anziano. È una malattia benigna, ma spesso ribelle alle cure e soggetta a ricadute.

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COLITE MUCO-MEMBRANOSA
Detta anche iperstenia intestinale o distonia addominale digestiva, è una malattia cronica del colon, caratterizzata da dolori addominali ed eliminazione di feci ricoperte di muco che talora hanno l’aspetto di membrane. Il primo sintomo è una stitichezza cronica in individui che, anche se evacuano ogni giorno, hanno feci frammentate e dure. Alla stitichezza subentrano crisi di diarree caratterizzate dalla emissione di feci ricoperte da muco. Questi episodi acuti sono accompagnati da dolori addominali i quali, a seconda del lo stato psichico individuale, possono variare da semplici malesseri a coliche parossistiche. Sul lato sinistro dell’addome, il colon si rivela alla palpazione come un cordone duro e alquanto dolente. La colite muco-membranosa, più frequente nelle donne, è di origine essenzialmente psichica e si riscontra negli individui ipersensibili, ansiosi, nevrotici. All’insorgenza della malattia, le cui crisi sono spesso in connessione con crisi psichiche, contribuiscono l’abuso di lassativi o di clisteri e qualche volta l’ulcera gastroduodenale e la calcolosi biliare o renale.

COLITE ULCEROSA
Detta anche retto-colite emorragica, è una infiammazione cronica del colon che alterna fasi acute con fasi di remissione. Nella maggior parte dei casi inizia nell’intestino retto e progredisce fino al ceco. Di solito comincia a manifestarsi nella forma acuta con evacuazioni numerose (fino a 20 al giorno) di cui solo una o due contengono materiale fecale, le altre sono emorragiche e in seguito diventano purulente per tornare emorragiche nella fase di remissione. Talvolta questa sindrome dissenterica è accompagnata da dolori addominali e tensione anale dolorosa. Sintomi generali sono depressione dello stato generale, diminuzione dell’appetito, dimagramento, talvolta febbre scarsa o, al contrario, che supera i 38°-39° ed è indice di gravità. La malattia evolve per crisi successive: le fasi acute durano da qualche settimana a qualche mese, poi le evacuazioni diventano normali ma la mucosa del colon resta fragile e sanguina al minimo contatto. La fase remissiva può durare settimane, mesi, talvolta anni, oppure le crisi possono diventare sempre più frequenti e ravvicinate e portare alla forma cronica. Le cause della colite ulcerosa, che è più frequente fra i 20 e i 40 anni, sono sconosciute. Vi contribuiscono, a quanto sembra, dei fattori psichici, cioè traumi e conflitti mentali in individui ansiosi, emotivamente o affettivamente immaturi.

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Testicolo ritenuto (criptorchidismo ectopico e vero): diagnosi, terapia e complicazioni

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma TESTICOLO RITENUTO CRIPTORCHIDISMO TERAP Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgCon testicolo ritenuto o criptorchidismo (dal greco “cripto”, nascosto) ci si riferisce ad una malformazione urologica, caratterizzata dalla mancata discesa del testicolo nel sacco scrotale. Il criptorchidismo può associarsi ad altre anomalie del tratto genito-urinario (es: ipospadia) e nel 70% dei casi riguarda il testicolo destro. Il testicolo anomalo si può trovare in un punto qualsiasi del tragitto che normalmente compie durante la vita fetale dal polo inferiore del rene allo scroto attraversando il canale inguinale. L’interruzione di questo cammino fisiologico porta ad avere il testicolo in una posizione diversa da quella normale che è quella costituita dallo scroto.

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Sede del testicolo ritenuto: differenza tra criptorchidismo vero ed ectopico

Il più delle volte il testicolo lo troviamo nel sottocutaneo della regione inguinale od in sede sottofasciale in pieno canale inguinale (criptorchidismo vero). In tali casi nello scroto esiste un solo testicolo (quello disceso normalmente) e quindi l’altro è “nascosto”. Il testicolo nascosto (testicolo criptorchide) si può classificare in base alla sua posizione nel tragitto di discesa:

  • addominale alta,
  • addominale bassa,
  • inguinale,
  • soprascrotale,
  • scrotale alta.

Quando invece il testicolo si viene a trovare in un punto al di fuori del tragitto del percorso previsto per la sua “migrazione” dalla cavità addominale allo scroto, si parla di ectopia testicolare o criptorchidismo ectopico.

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma TESTICOLO RITENUTO CRIPTORCHIDISMO TERAP2Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpg

Inoltre il testicolo può essere:

  1. testicolo ectopico: testicolo disceso oltre l’anello inguinale esterno ma è posizionato all’esterno al di fuori dello scroto;
  2. testicolo ritenuto: il testicolo è posto a monte dell’anello inguinale esterno lungo la via di migrazione dello stesso (fino al rene).

Nel bambino il criptorchidismo va anche distinto dal “testicolo retrattile” (testicolo normalmente disceso nello scroto, ma in grado di risalire nel canale inguinale per mezzo del riflesso cremasterico e da dove può essere manualmente riportato in sede) e dal “testicolo mobile” (testicolo normalmente disceso nello scroto, che si muove facilmente dentro e fuori dal sacco scrotale per effetto della contrazione del muscolo cremastere). Vi sono poi dei casi di criptorchidismo acquisito (testicolo normalmente disceso alla nascita, che successivamente risale nel canale inguinale ad es. a seguito di un’ernia e non è più riposizionabile in sede). Ancora diverso è il caso di completa assenza di entrambi i testicoli (anorchidia) o di uno soltanto (monorchidia).

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Quanto è diffuso?

Il criptorchidismo si realizza nel 3-5% dei nati a termine e nel 9-30% dei pre-termine. In Italia, secondo queste percentuali, annualmente possiamo avere dai 10.000 ai 90.000 casi. Il criptorchidismo ha una frequenza di circa 1 bambino su 100, la sua incidenza sembra essere aumentata negli ultimi 30 anni soprattutto a causa dell’aumentata esposizione a tossici ambientali (estrogeni, pesticidi, radiazioni).

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Criptorchidismo nel neonato

Il criptorchidismo è abbastanza frequente nel neonato, ma generalmente regredisce entro il primo anno di età, con una discesa spontanea del testicolo, attraverso il canale inguinale, nel sacco scrotale senza che vi siano interventi terapeutici.

Quando preoccuparsi?

La mancata discesa del testicolo è da considerarsi patologica se non avviene entro il termine del primo anno di vita.

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Cause

Le cause di questa malformazione sono congenite per mancata formazione e/o attivazione di strutture e fattori che sovrintendono allo sviluppo del testicolo. Alla luce di recenti studi, volti alla ricerca della cause che contribuiscono alla manifestazione del criptorchidismo, è emerso che questo difetto genitale risulti notevolmente influenzato dagli ormoni. Più precisamente, si tratta di disfunzioni ormonali a livello ipotalamico ed ipofisario: l’insensibilità del testicolo alle gonadotropine (insieme di ormoni che stimolano le gonadi: FSH, LH, hCG) sembra essere la causa principale del criptorchidismo. Nonostante quanto affermato, il meccanismo che regola la responsività ormonale rimane tuttora oggetto di studio per molti autori, poiché non ci sono dimostrazioni inconfutabili. Sembra, comunque, che anche il testosterone vi sia implicato.
Inoltre il particolare peptide INSL3, fattore 3-insulino-simile(INSulin-Like factor 3,) sembra essere l’elemento imputabile alla discesa del testicolo, precisamente durante la fase embrionale: è chiaro come un’alterazione genetica di questo fattore possa considerarsi, a tutti gli effetti, una causa di criptorchidismo.
Oltre alla mutazione genetica di INSL3, anche altre patologie potrebbero considerarsi elementi causali di criptorchidismo, tra cui:

  • l’ipospadia, una anomalia congenita causata dall’incompleto sviluppo dell’uretra, viene spesse volte associata al criptorchidismo;
  • il micropene, la condizione in cui la lunghezza del membro risulta inferiore a 2,5 deviazioni standard rispetto alla norma. Il micropene sembra essere provocato da una carenza di gonadotropine durante lo stadio fetale;
  • la retrazione del gubernaculum testis, il legamento scrotale che collega il testicolo alla regione inguinale, responsabile sia della “spinta” della gonade verso la borsa scrotale, sia del suo mantenimento all’interno della sacca;
  • la sindrome della disgenesia testicolare (TDS) potrebbe causare criptorchidismo: la TDS sembra essere l’esito di anomalie embrionali e fetali, conseguenza, a sua volta, di fattori ambientali (ad esempio inquinamento).

I fattori causali responsabili del criptorchidismo acquisito sono spesso controversi; ad ogni modo, questi sembrano imputabili ad interventi chirurgici per l’ernia inguinale.

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Diagnosi

La diagnosi del criptorchidismo non risulta particolarmente complicata, tutt’alto: in particolare, nei casi di criptorchidismo monolaterale senza ipospadia (anomalo sviluppo dell’uretra), gli accertamenti di laboratorio non sono indispensabili, poiché già dal semplice esame obiettivo il medico evince il disturbo del paziente. Situazione differente si ha, invece, nelle forme bilaterali o monolaterali di criptorchidismo con ipospadia, in cui gli accertamenti diagnostici di laboratorio, considerando la possibilità di un’anorchia (assenza di entrambi i testicoli), sono pressoché imprescindibili: LH, FSH, cariogramma (rappresentazione del corredo cromosomico di una cellula/individuo) e valutazione del testosterone pre/post stimolazione con hCG (human chorionic gonadotropin).

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Complicanze

La mancata discesa del testicolo nella sacca scrotale porta ad una alterazione del funzionamento dell’organo, non solo in termini di produzione degli spermatozoi (riduzione) ma anche in termini di riproduzione cellulare con tendenza allo sviluppo di tumori maligni del testicolo. Sembra che ad influire negativamente sia la temperatura (il testicolo ritenuto ha una temperatura di 1 grado maggiore di quello in sede normale), quindi si rende necessario riposizionare il testicolo nello scroto prima della pubertà per evitare problemi di sterilità. Se invece l’intervento si effettua tardivamente le possibilità di ripresa sono minori od addirittura nulle. In tali casi si preferisce asportare il testicolo sia per evitare il rischio di neoplasie sia perché è dimostrato che il testicolo superstite talora funziona meglio in assenza di testicolo criptorchide.

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Terapie

Esistono terapie mediche (da effettuare entro il primo anno di età) e chirurgiche (se entro il primo anno di età il testicolo non è disceso nella sacca scrotale) da attuare in età pediatrica per prevenire i danni sulla fertilità e per migliorare le possibilità diagnostiche precoci di tumori testicolari.
L’iter terapeutico del criptorchidismo prevede che il testicolo venga riportato all’interno dello scroto precocemente (entro il biennio di vita) con un trattamento medico e/o chirurgico appropriato in modo da salvaguardarne la sua funzionalità e in modo da evitare che vada incontro ad una degenerazione neoplastica (circa il 12% dei tumori testicolari riscontrati in età adulta sono correlati a criptorchidia). Ogni decisione di trattamento è comunque rimandata al compimento del 12º mese di età quando è terminato il periodo in cui è ancora possibile assistere ad una discesa spontanea. La terapia medica (di tipo ormonale) deve essere eseguita entro i primi 18 mesi di vita e porta ad una risoluzione del problema nel 15-30% dei casi. Il trattamento chirurgico del criptorchidismo infantile mira a riportare il testicolo nella sacca scrotale, e viene definito con il termine Orchidopessi o Orchidopessia. Generalmente, si effettua una incisione sull’addome verso l’interno della piega inguinale. Si riposiziona il testicolo nello scroto e lo si fissa nella “borsa” tramite una seconda incisione dello scroto.

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Rottura della milza: cosa si prova e qual è la terapia?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ROTTURA DELLA MILZA PROVA TERAPIA SINTOMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari An Pene.jpgIn un precedente articolo, ci eravamo chiesti dove si trova, com’è fatta ed a cosa serve la milza, oggi invece cercheremo di capire quello che succede quando si verifica la “rottura della milza”.

Un organo frequentemente sottoposti a traumi
La milza è un organo che si danneggia frequentemente in caso di traumi a livello toracico-addominale o per traumi in altri distretti che si o si ripercuotono indirettamente su di essa. Tra tutti, la milza è infatti l’organo interno più frequentemente leso nei traumi toraco-addominali, questo a causa:

  • della sua fragilità intrinseca;
  • della ricca vascolarizzazione;
  • della sua posizione;
  • della presenza di un lungo peduncolo vascolare (arteria e vena lienale);
  • della connessione ai vari legamenti che le trasmettono sollecitazioni provenienti da altri organi.

Quali sono le cause di rottura della milza?
Come abbiamo appena visto, la rottura della milza può essere causata da traumi violenti (come incidenti stradali, un pugno molto forte, un proiettile…). Tuttavia ci sono delle circostanze, non così rare, in cui la milza diviene particolarmente suscettibile alla rottura, anche a seguito di traumi modesti o insignificanti, come un colpo di tosse, uno starnuto, un conato di vomito, lo sforzo alla defecazione, od una palpazione troppo vigorosa dell’organo. In genere, il rischio di rotture spontanee o secondarie a traumi minimi è elevato in caso di splenomegalia (ingrossamento della milza), specie se severo. Ecco allora che la rottura della milza diviene più comune nel corso di alcune malattie, come la mononucleosi infettiva, la malaria, la schistosomiasi, la cirrosi, le anemie emolitiche (es. talassemia), il morbo di Gaucher, la sarcoidosi, la leucemia a cellule capellute, la leucemia cronica mielogenica, la leucemia cronica linfocitica ecc. Per questa ragione, in questi individui (per es. ai ragazzi affetti da mononucleosi infettiva) la pratica di sport di contatto o ad alto rischio di traumi è caldamente sconsigliata dai medici.

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Cosa si prova in caso di rottura della milza?
In presenza di un trauma violento dell’addome il paziente lamenta un dolore intenso in questa regione (ipocondrio sinistro, quadrante supero-laterale sinistro dell’addome), che si irradia alla spalla omolaterale (sinistra) ed è aggravato dalla palpazione. Le pareti addominali appaiono ipercontratte e l’addome disteso per l’accumulo di sangue nella cavità addominale; inoltre, il sanguinamento interno porta gradualmente ad uno stato si shock emorragico, segnalato da sintomi come pallore, ansietà, tachicardia, stordimento e confusione. Non sempre, però, le manifestazioni cliniche della rottura splenica si instaurano così precocemente; l’emorragia, infatti, può non essere immediata ma verificarsi in un secondo tempo, con una latenza di qualche giorno dal trauma ed insorgenza tardiva dei disturbi, anche a distanza di 6-7 giorni dall’incidente. Naturalmente, la rottura della milza può essere isolata o associata a lesioni di altri organi, che complicano le manifestazioni cliniche e la prognosi; quando vi è associazione con lesioni di altri organi, la mortalità per rottura splenica è elevata (10-20%), mentre in caso di lesione isolata la mortalità si aggira al 4%.

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Come si fa diagnosi di rottura della milza?
I mezzi diagnostici essenziali sono la TAC e l’ecografia, che avvalorano il sospetto emerso dall’esame fisico del paziente; anche il lavaggio peritoneale ha un’importante utilità diagnostica (si introduce un piccolo catetere, un tubicino di plastica flessibile, nell’addome, per aspirare ed analizzare il liquido aspirato ricercando la presenza di sangue).

Emergenza medica o terapia conservativa
Le lesioni spleniche possono essere lievi o di grossa entità; a seconda della gravità della situazione le possibili terapie sono quella conservativa o quella chirurgica. A tal proposito leggi: Rottura della milza: terapia conservativa o chirurgica?

Per approfondire sulla terapia chirurgica che consiste nella rimozione della milza, leggi questo articolo: Splenectomia parziale e totale: perché si esegue e quali sono i rischi

Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Acidità di stomaco e bruciore: tutti i farmaci antiacidi

MEDICINA ONLINE NAUSEA MAL DI PANCIA REFLUSSO GASTROESOFAGEO ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO APPARATO DIGERENTE CIBO TUMORE CANCRO POLIPO DIVERTICOLO CRASSO FECI VOMITO SANGUE OCCULTO MILZA VARICI CIRROSIL’acidità gastrica, anche chiamata acidità di stomaco o pirosi retrosternale, è un sintomo dolorifico urente localizzato posteriormente allo sterno e diffuso nella parte superiore dell’addome, che può indicare una disfunzione dell’apparato digerente, in particolare dello stomaco. I pazienti affetti da questo disturbo riferiscono varie sensazioni quali un senso diffuso di bruciore allo stomaco che si propaga all’esofago ed alla faringe, accompagnato da scialorrea (ipersecrezione di saliva) ed eventuale reflusso in bocca di liquido dal gusto acre. Sovente il bruciore è accompagnato da eruttazione, alitosi e vomito.
La pirosi può insorgere spontaneamente o in seguito a vari eventi/patologie, tra cui i più frequenti sono:

  • ingestione di alimenti irritanti;
  • ingestione di farmaci particolari;
  • reflusso gastroesofageo (a tale proposito leggi anche: Reflusso gastroesofageo: sintomi, diagnosi e cura);
  • esofagite da reflusso;
  • consumo di cibi difficilmente digeribili e cattiva digestione;
  • ostacoli allo svuotamento gastrico;
  • ernia iatale;
  • ulcera gastrica;
  • ulcera duodenale.

Fattori che aumentano la possibilità del presentarsi del disturbo:

Generalmente, l’acidità di stomaco è un disturbo che può essere facilmente trattato, tuttavia, è bene non sottovalutarlo, poiché potrebbe rappresentare il sintomo di eventuali patologie di base non ancora diagnosticate.

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Farmaci per l’acidità di stomaco

Trattandosi di un disturbo che può essere provocato da cause di varia origine e natura, il trattamento del bruciore di stomaco può variare da paziente a paziente, appare quindi chiaro quanto sia importante individuare quale sia la causa scatenante che ha portato all’insorgenza di questo disturbo, per poter curare a monte il problema e non con palliativi.
I principali farmaci utilizzati per la cura dell’acidità di stomaco sono i cosiddetti antiacidi. Tali farmaci esplicano la loro attività attraverso la neutralizzazione temporanea dell’eccessiva acidità a livello dello stomaco, ma senza alterare la produzione dell’acido cloridrico da parte delle cellule gastriche. Per tale ragione, questo tipo di farmaci è utile perlopiù nei casi sporadici di acidità di stomaco, magari provocati da pasti eccessivamente abbondanti o dal consumo di cibi difficilmente digeribili.
Quando, invece, l’acidità di stomaco è provocata da patologie più gravi, allora il medico potrebbe ritenere necessario il ricorso a farmaci in grado di interferire direttamente con la produzione dell’acido cloridrico a livello gastrico, oppure in grado di proteggere la parete dello stomaco dall’eccessivo ambiente acido. Stiamo parlando dei cosiddetti farmaci gastroprotettori, fra cui ritroviamo gli inibitori di pompa protonica, gli antistaminici H2 e gli agenti citoprotettivi.
Di seguito sono riportate le classi di farmaci maggiormente impiegate nella terapia contro l’acidità di stomaco ed alcuni esempi di specialità farmacologiche; spetta al medico scegliere il principio attivo e la posologia più indicati per il paziente, in base alla gravità della malattia, allo stato di salute del malato ed alla sua risposta alla cura.

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Antiacidi

Come accennato, i farmaci antiacidi esplicano la loro azione neutralizzando temporaneamente l’acidità di stomaco e non influiscono in alcun modo sulla produzione di acido cloridrico.
Fra gli antiacidi maggiormente impiegati in terapia, ricordiamo:

  • Sodio bicarbonato (Citrosodina®): questo sale è uno dei prodotti maggiormente impiegati per contrastare l’acidità di stomaco. È disponibile in polvere o in granulato effervescente. Solitamente, si consiglia l’assunzione di due cucchiaini da caffè di prodotto da sciogliersi preventivamente in acqua.
  • Idrossido di alluminio e idrossido di magnesio (Maalox®, Maalox TC®, Maalox Plus®): questi composti vengono impiegati sempre in associazione. Sono disponibili in diverse formulazioni farmaceutiche, fra cui ricordiamo le compresse masticabili e la sospensione orale.
    Quando utilizzati sotto forma di compresse masticabili, si consiglia l’assunzione di una o due compresse (contenenti 400 mg di idrossido di alluminio e 400 mg di idrossido di magnesio) dalle tre alle quattro volte al dì.

Inibitori di Pompa Protonica

Come accennato, questi farmaci trovano impiego nel trattamento dell’acidità di stomaco soprattutto quando questa è provocata da patologie come ulcere gastrointestinali, reflusso gastroesofageo o ernia iatale.
Fra i principi attivi maggiormente impiegati, ricordiamo:

  • Lansoprazolo (Lansox®, Lansoprazolo EG®): il lansoprazolo è uno degli inibitori di pompa protonica maggiormente impiegati in terapia. È disponibile in formulazioni farmaceutiche sotto forma di capsule. Generalmente, per il trattamento dell’acidità di stomaco si consiglia l’assunzione di 15-30 mg di principio attivo al giorno, per un periodo di almeno quattro settimane.
  • Pantoprazolo (Pantorc®, Peptazol®): il pantoprazolo è disponibile sotto forma di compresse. La dose di farmaco da assumere e la durata del trattamento possono dipendere dal tipo di patologia che sta alla base dell’acidità di stomaco. Solitamente, la dose consigliata varia fra i 20 mg e i 40 mg al giorno, da assumersi un’ora prima dei pasti, per un periodo che può variare dalle due alle quattro settimane.

Antistaminici H2

Gli anatistaminici H2 (o antagonisti dei recettori istaminici H2, che dir si voglia), costituiscono anch’essi una classe di farmaci che viene largamente impiegata nel trattamento dell’acidità di stomaco causata da diversi tipi di patologie e disturbi.
Fra i diversi principi attivi appartenenti a questa classe, ricordiamo il capostipite: la cimetidina (Ulis®). Questo principio attivo è disponibile in compresse e in granulato per soluzione orale. Solitamente, nei pazienti adulti si consiglia l’assunzione di 800 mg di cimetidina al giorno, la sera prima di coricarsi.

Agenti citoprotettivi

Gli agenti citoprotettivi non sono farmaci impiegati per la cura dell’acidità di stomaco in sé, poiché non sono in grado né di inibire la sintesi di acido cloridrico né di neutralizzare l’ambiente eccessivamente acido che si viene a creare a livello gastrico. Tuttavia, grazie al loro meccanismo d’azione, agiscono proteggendo la mucosa dello stomaco dall’eccessiva acidità.
Fra i principi attivi appartenenti a questo gruppo, ricordiamo il sucralfato (Gastrogel®). Questo principio attivo, una volta raggiunto lo stomaco, è in grado di formare un gel che funge da barriera protettiva nei confronti della mucosa gastrica, ostacolandone in questo modo il contatto con l’acido cloridrico.
Il sucralfato è disponibile in diverse formulazioni farmaceutiche sotto forma di compresse, gel, polvere orale e sospensione orale. Quando assunto sotto forma di gel, si consiglia l’assunzione di 1 grammo di principio attivo due volte al dì, un’ora prima dei pasti, oppure al mattino ed alla sera prima di coricarsi.

I migliori prodotti per la salute dell’apparato digerente

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche per il benessere del vostro apparato digerente, in grado di combattere stipsi, fecalomi, meteorismo, gonfiore addominale, acidità di stomaco, reflusso, cattiva digestione ed alitosi. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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Circonferenza addominale: cos’è, come si misura ed a che serve

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CIRCONFERENZA ADDOMINALE COME SI MISURA  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgCos’è la circonferenza addominale?
E’ la circonferenza minima tra la gabbia toracica e l’ombelico, con il soggetto in piedi e con i muscoli addominali rilassati.

Come si misura la circonferenza addominale?
La circonferenza addominale si valuta con un comune nastro metrico, non elastico, posizionato a livello della vita, secondo un piano orizzontale parallelo al pavimento. La vita rappresenta la parte più stretta dell’addome e normalmente si trova appena al di sopra della porzione superiore del bordo laterale della cresta iliaca. Qualora tale zona non fosse ben evidente, la misura viene presa a livello dell’ombelico. E’ molto importante mantenere in orizzontale il nastro metrico ed evitare di stringerlo eccessivamente o mantenerlo troppo allentato; l’addome deve inoltre essere spoglio da vestiti.

A che serve misurare la circonferenza addominale?
Questa misurazione è correlata al rischio di malattie cardiovascolari, diabete e morte prematura, secondo questo schema:

UOMO

DONNA

RISCHIO

CM

CM

Molto elevato > 120 > 110
Elevato 100 – 120 90 – 109
Basso 80 – 99 70 – 89
Molto basso <80 < 70

A tale proposito leggi anche: Circonferenza vita e fianchi: rapporto e significato clinico

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Come fare gli addominali alti, bassi e laterali (obliqui): i consigli per evitare i dieci errori più comuni

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COME FARE ADDOMINALI ALTI BASSI ERRORI Medicina Estetica Riabilitazione Nutrizionista Dieta Grasso Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Seno Luce Pulsata  Macchie Cutanee Pene Pressoterapia MassaggioPer avere una pancia piatta e tonica, non basta perdere il grasso locale in eccesso: è necessario rinforzare i muscoli addominali.

Esiste anatomicamente un addominale alto ed uno basso?

Prima di proseguire l’articolo, ritengo importante fare una premessa di anatomia semplice. Nonostante molti, sbagliando, in palestra facciano distinzione tra addominali “alti” e “bassi”, ciò è un errore. Il muscolo che dà all’addome il caratteristico aspetto a scacchi è un unico muscolo chiamato muscolo retto addominale; il suo aspetto particolare è dovuto a tre o quattro iscrizioni tendinee trasversali e da una verticale che lo separano nella caratteristica configurazione a scacchiera. Non esistono quindi anatomicamente addominali alti o bassi (o superiori e inferiori). I diversi esercizi per gli addominali comportano certamente stimoli differenti, ma il muscolo allenato è sempre il retto addominale in toto. Il fatto che nel titolo abbia inserito questa errata distinzione, riflette la volontà di far trovare questo articolo ai motori di ricerca: dipende dal fatto che molti, nel fare una ricerca sugli addominali su Google, inseriscono le diciture “alti” o “bassi”.

Da quali muscoli principali è costituito l’addome?

Oltre al già citato muscolo retto addominale, l’addome è costituito principalmente anche dai muscoli obliqui e dal muscolo trasverso. Gli obliqui interni ed esterni corrono lungo il lato del ventre e aiutano a piegare e a ruotare ai lati il corpo, oltre ad assisterlo nella flessione del tronco. Il muscolo trasverso è un profondo strato muscolare che sostiene tutta la struttura interna e gli organi dell’addome. Aiuta ad appiattire lo stomaco e viene coinvolto nella respirazione, nella minzione, nella defecazione e nel parto. Il traverso aiuta anche a sostenere la colonna vertebrale in alcuni esercizi. Altri muscoli addominali sono il piramidale, il quadrato dei lombi, il cremastere e i muscoli intrinseci del rachide lombare.

Leggi anche: 8 errori che fanno crescere i tuoi muscoli MENO di quanto potrebbero

I dieci errori comuni nello svolgere esercizi per gli addominali

1) Il movimento non parte dalla testa Se tieni le mani dietro alla testa, assicurati di non chiudere i gomiti e di non spingere la testa con le braccia mentre ti sollevi. Ti verrà naturale farlo, ma questa spinta affaticherà i muscoli del collo e farà lavorare male l’addome . Se tieni le braccia in un’altra posizione, ricorda comunque di non coinvolgere la testa e il collo nell’esercizio. Ricorda che il movimento giusto non parte dalla testa o dal collo: parte dalla pancia.

2) Non curvare la schiena Non provare a mettere la testa sulle ginocchia. Più ti sollevi da terra meglio è, ma fino a un certo limite. Se la schiena inizia a curvarsi, farai uno sforzo troppo grande con la parte bassa della schiena. La schiena deve stare diritta. Inoltre, quando state stesi, schiacciate bene per terra la vostra zona lombare.

3) Piedi a terra Se non riesci a tenere i piedi a terra e non li hai assicurati a terra in qualche modo, dovrai fare uno sforzo aggiuntivo con le cosce per provare a tenerli giù. Nel caso in cui le tue gambe si stancassero prima dei tuoi addominali e ti costringessero a smettere, l’intero esercizio sarebbe stato inutile.

4) Non solo stesi sul tappetino Dimenticarsi che gli addominali lavorano non soltanto nella classica posizione stesi per terra sul tappetino, ma anche con altri esercizi. Provate a correre o, ancora meglio, saltare la corda per dieci minuti al giorno e vedrete che risultati!

5) Supera i tuoi limiti, ma con buon senso Ricorda che l’unico modo per rinforzare i muscoli, è spingerli oltre la loro soglia di resistenza. Se però fai troppe ripetizioni e inizi a sentire un dolore intenso, significa che stai esagerando. Fermati, perché nel migliore dei casi non riusciresti più a eseguire l’esercizio nella maniera corretta, mentre nel peggiore dei casi rischi di determinare un danno al tuo fisico.

Leggi anche: Correre fa ingrassare? Gli errori da evitare

6) Respira bene Un errore molto comune quando si fanno gli addominali è quello di rimanere in apnea, non respirare mentre si fanno gli esercizi. La respirazione è invece il segreto non solo per fare dei buoni esercizi per l’addome, ma per gli esercizi di tutto il corpo. La regola è semplice: dovete espirare (buttare fuori l’aria) tutte le volte che contraete il muscolo e inspirare (mettere dentro l’aria) quando invece tornate in posizione.

7) Fai stretching Dopo aver fatto gli addominali è importantissimo fare stretching per evitare i dolori del giorno dopo. A seguito dell’allenamento stendetevi e tirate le braccia e le gambe per allungare gli addominali.

8) Non fare solo addominali Vi state focalizzando sugli addominali per avere una pancia piatta, ma vi state dimenticando di tutte le altre parti del vostro corpo? Non fate questo errore: l’allenamento deve essere completo e bilanciato su tutte le parti del corpo. Ricordate: la bellezza di un corpo è soprattutto nell’armonia delle sue parti.

9) Non far passare troppo tempo tra le ripetizioni L’alta percentuale di fibre rosse nei muscoli addominali consente a questi di recuperare velocemente dopo lo sforzo. Una pausa troppo lunga quindi manderebbe a monte lo stimolo allenante. Il recupero tra le serie, negli esercizi per gli addominali, non dovrebbe mai superare i 40 secondi.

10) Chiedi consiglio al medico Prima di iniziare qualsiasi tipo di esercizio a casa da soli, consultate il vostro medico, specialmente se non siete più in forma o se avete patologie dell’apparato locomotore, ad esempio non fare esercizi per gli addominali se ti è stata diagnosticata l’osteoporosi: gli esercizi per l’addome ti espone al rischio di fratture da stress.

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Addominali: quante ripetizioni fare?

Prima di chiudere è importante ricordare che il muscolo retto addominale, essendo di media costituito al 50% da fibre bianche ed al 50% di fibre rosse, si allena in maniera ottimale alternando ripetizioni maggiori e minori, ad esempio serie con 10 ripetizioni alternate a serie con 20 ripetizioni.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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