Piede piatto: cos’è e perché può diventare pericoloso per la salute

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PIEDE PIATTO IN BAMBINO COSE PERICOLOSO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgCon “piede piatto” viene indicata una particolare conformazione del piede caratterizzata dall’appiattimento della volta plantare (la parte della superficie plantare del piede che, in situazioni fisiologiche, non tocca il terreno quando si è in posizione eretta) e dalla valgo-pronazione del calcagno. E’ quindi un paramorfismo in cui risultano alterati i rapporti anatomici del piede.

Piede piatto nei bambini

Dai 10 mesi di vita fino ai 3-4 anni di età questa situazione è del tutto fisiologica e rientra nella normale crescita del piede (piede piatto fisiologico), ed è generalmente portata a correggersi spontaneamente entro i 6-7 anni di età.

Perché il piede piatto può diventare pericoloso?

Anche quando la presenza dei piedi piatti permane senza regredire autonomamente dopo i 7 anni di vita, la condizione è – la maggior parte delle volte – indolore, tuttavia questo paramorfismo può contribuire all’insorgenza di problemi a caviglie e ginocchia perché la presenza di questa condizione può alterare l’allineamento delle gambe.

Quali sono le cause del piede piatto?

La presenza del piede piatto nei bambini è del tutto normale e in alcune persone questa conformazione del piede tipica dell’infanzia non regredisce, permanendo anche in età adulta. Nonostante la presenza di piattismo generalmente non desti importanti problematiche, i bambini che ne sono affetti hanno maggiori possibilità di soffrire da adulti di patologie secondarie come l’artrosi della caviglia e l’alluce valgo: il trattamento di questa condizione è dunque preventivo. Alcuni fattori possono influire sulla possibilità di sviluppare il piede piatto anche in età adulta: obesità, lesioni traumatiche al piede o alla caviglia; artrite reumatoide; invecchiamento.

Quali sono i sintomi del piede piatto?

La maggior parte delle persone non ha alcun sintomo associato alla presenza del piede piatto. In alcuni casi, soprattutto nei soggetti con valgo-pronazione del calcagno, possono esservi dolore in particolare nella zona del tallone o della volta plantare e gonfiore nella parte interna della caviglia.

Come prevenire il piede piatto?

Per prevenire la formazione del piede piatto in età adulta è bene evitare le condizioni che possano predisporre al suo sviluppo. Se nulla si può fare riguardo alcuni fattori di rischio – come l’artrite reumatoide e l’invecchiamento – è possibile invece attuare delle strategie preventive per evitare l’insorgenza di condizioni come il sovrappeso e l’obesità e le lesioni traumatiche al piede o alla caviglia che favoriscono la comparsa di questo disturbo.

Diagnosi

Per effettuare la diagnosi è necessario un esame obiettivo e durante la visita al paziente si chiederà di effettuare dei movimenti (come mettersi sulle punte dei piedi) per esaminare la meccanica dei piedi.
Nel caso il paziente lamenti dolore, può essere richiesta la sottoposizione e diversi esami di imaging:

  • Radiografia: per visualizzare le ossa e le articolazioni dei piedi.
  • TAC: in grado di visualizzare le ossa e l’articolazione del piede da diverse angolazioni, fornendo maggiori dettagli rispetto a una normale radiografia.
  • Ecografia: questo esame, in grado di fornire immagini dei tessuti molli, può essere effettuato nel caso in cui il medico sospetti la presenza di una lesione tendinea.
  • Risonanza magnetica: in grado di fornire immagini dettagliate sia dei tessuti duri (come le ossa) sia dei tessuti molli (come tendini e vasi sanguigni).

Trattamenti

Nonostante la presenza di piattismo generalmente non desti importanti problematiche, i bambini che ne sono affetti hanno maggiori possibilità di soffrire da adulti di patologie secondarie come l’artrosi della caviglia e l’alluce valgo: il trattamento di questa condizione è dunque preventivo.
In presenza di un accentuato piattismo dei piedi, già a partire dai 3 o 4 anni di età è bene mettere in atto una serie di provvedimenti – del tutto non invasivi – mirati a favorire la maturazione della volta plantare. Tra questi:

  • l’uso di un plantare;
  • il rinforzo muscolare mediante esercizi e sport adatti.

In entrambi i casi è bene farsi consigliare dal medico, evitando soluzioni “fai da te”.

Quando è necessaria la chirurgia?

Se entro gli 8-9 anni non si raggiunge un miglioramento della volta plantare possono essere consigliati, nei casi di piattismo più importanti, interventi chirurgici correttivi da eseguire tra i 9 e i 14 anni. Diverse sono le procedure chirurgiche utilizzate a questo scopo: le più diffuse sono l’endortesi e il calcagno-stop, entrambe mirate a correggere la pronazione del calcagno e a far risalire la volta plantare.

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Pubalgia del podista: cause, diagnosi e rimedi

DIFFERENZA PUBE OSSO ILIACO INGUINE PUBALGIA ANATOMIA FUNZIONILa pubalgia del podista è una sindrome dolorosa che può colpire sia a livello della sinfisi pubica che a livello delle inserzioni muscolo-tendinee degli adduttori e degli addominali. I principali sintomi della pubalgia del podista sono il dolore e l’impotenza funzionale. Il dolore interessa tutto il distretto inguinale dell’atleta, in particolar modo il retto addominale e gli adduttori, nella loro inserzione sul pube.
Il dolore può comparire improvvisamente durante un gesto sportivo (solitamente un cambio di direzione o un brusco scatto) e tende a scomparire con il riposo. Esistono tuttavia anche delle forme croniche, in cui il dolore tende a diventare persistente.

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Cause
Le cause principali di pubalgia del podista possono essere differenti da soggetto a soggetto, ma possiamo individuarne alcune principali:

  • Sovraccarichi eccessivi;
  • Squilibri muscolari (scarso equilibrio fra la muscolatura degli arti inferiori e quella addominale) e tendinei;
  • Microtraumi ripetuti nel tempo;
  • Allenamenti svolti in condizione di affaticamento muscolare e articolare;
  • Allenamenti svolti con intensità troppo elevate;
  • Allenamenti svolti senza il dovuto riscaldamento;
  • Utilizzo di scarpe inadeguate;
  • Infortuni precedenti non ben recuperati;
  • Sovrappeso.

Ecco alcuni dati interessanti: il 30% dei casi di pubalgia del runner è causata dal non rispetto del rapporto tra la distanza massima consigliata e suo rapporto peso/altezza dell’atleta; il 15% dei casi di pubalgia deriva da allenamenti collinari frequenti con ritmi eccessivi in discesa.
Per determinare in maniera più specifica quali possono essere i fattori principali che hanno causato questa patologia la causa scatenante di questa patologia è necessaria una attenta anamnesi e un esame posturale del soggetto. Spesso si sente dire che sport come il calcio a 5 e il podismo non vanno molto d’accordo. Basta riflettere su un dato: il 45% dei casi di pubalgia è causato dal binomio corsa-calcio. La ragione di questa affermazione è da ricercare nei ripetuti infortuni occorsi a podisti che giocano saltuariamente a calcio a 5, sport dove vengono effettuati continui cambi di direzione, scatti, brusche frenate. Gli infortuni sono connessi al fatto che la muscolatura dei maratoneti e podisti in generale è composta da fibre muscolari prevalentemente lente, poco reattive agli sforzi rapidi e intensi deve tipici del calcio a 5. I muscoli non sono quindi abituati a contrarsi e ad allungarsi velocemente per permettere i movimenti laterali e cambi di direzione. Tra i fattori scatenanti possiamo distinguere tra:

  • Fattori intrinseci: tutti quei fattori del nostro organismo che non riguardano strettamente la sfera sportiva ma la vita in generale, che dipendono dalle abitudini, dalla postura, dall’equilibrio generale del corpo;
  • Fattori Tecnici: più strettamente legati a cause sportive.

Tra i fattori intrinseci troviamo:

  • Asimmetria degli arti inferiori;
  • Appoggio del piede in pronazione o supinazione;
  • Ginocchio valgo o ginocchio varo;
  • Minor flessibilità ed elasticità a livello dell’articolazione coxo-femorale;

Tra i fattori tecnici rientrano:

  • Allenamenti su terreni non idonei;
  • Allenamenti svolti utilizzando posizioni e andature da sprinter;
  • Tecniche di corsa non corrette;
  • Allenarsi con compagni che hanno ritmi differenti dal proprio;
  • Allenamenti svolti in maniera frettolosa, senza riscaldamento o con intensità troppo elevata.

Sintomi
Il principale sintomo associato a questa patologia è uno stato di dolore che può presentarsi già nella fase iniziale del riscaldamento, per poi attenuarsi quando i muscoli si riscaldano, ma spesso persiste e non consente la prosecuzione dell’allenamento, costringendo l’atleta a fermarsi. Il quadro clinico si presenta con una dolenzia marcata in tutto il distretto inguinale dell’atleta, in particolar modo a carico del retto addominale e degli adduttori, nella loro inserzione sul pube. Il dolore al pube il più delle volte è dovuto a tensioni muscolari eccessive, squilibri di forza legati a tensioni muscolari del gruppo dello psoas, degli adduttori, del quadrato dei lombi e del medio gluteo.

Rimedi
Il trattamento della pubalgia del podista può prevedere diverse attività, tra cui:

  • riposo;
  • laserterapia;
  • tecarterapia;
  • fare esercizi di stretching con i muscoli adduttori: molte volte sono gli adduttori sono contratti e poco elastici, quindi è opportuno programmare sempre degli esercizi di allungamento muscolare;
  • assumere farmaci antinfiammatori.

Ma come spesso di dice “prevenire è meglio che curare”. L’ideale sarebbe quindi adottare una serie di accorgimenti che consentano di non arrivare a sviluppare questa fastidiosa patologia. Per esempio sarebbe opportuno:

  • allenarsi in modo intelligente, rispettando il principio della gradualità del carico di allenamento;
  • alternare momenti di carico più intenso a momenti di riposo;
  • alternare sedute di corsa, a sedute di potenziamento muscolare, in particolare addominale e degli ischio-curali;
  • fare stretching dinamico, preferendolo a quello balistico, evitando posture prima dell’allenamento e in condizioni di eccessivo affaticamento.

Parte della sintomatologia dolorosa riferita al bacino può essere prevenuta o alleviata con un trattamento mirato ed è consigliato utilizzare delle scarpe e delle solette adatte a dare dei benefici alle articolazioni del corpo.

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Dove sono le gambe della terza ragazza? La foto rompicapo diventa virale

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma FOTO ROPICAPO GAMBE RAGAZZA  ILLUSIONE  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgSui social sta girando in modo virale da alcuni giorni una foto postata su Reddit, che mostra un gruppo di amiche sedute su un divano a bere un drink. Fino a qui nulla di strano, ma se si osserva attentamente l’immagine, si nota che la terza ragazza da sinistra sembra non avere le gambeUn’illusione ottica a cui non si riesce a trovare una spiegazione univoca. Voi cosa ne pensate?

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Glutei sodi: come fare gli squat a casa ed in palestra con e senza pesi

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO SQUAT PESI GINNASTICA MUSCOLI PALESTRA PESISTICA GAMBE SCARPE SPORTLe gambe ed i glutei sono da sempre una parte del corpo importante per la nostra salute e per la nostra bellezza, questo vale sia per le donne che per gli uomini. Per allenarli esistono vari esercizi che abbiamo visto in questo articolo, ma il più importante in assoluto è probabilmente lo squat e per questo merita un capitolo a parte. Lo squat è infatti uno degli esercizi più efficaci per la tonificazione e il rassodamento degli arti inferiori. Ti consente, ripetizione dopo ripetizione, di modellare le cosce e sollevare i glutei ottenendo risultati già dopo le prime settimane di allenamento. I muscoli principali coinvolti sono i glutei ed i quadricipiti. alcuni tra i muscoli secondari coinvolti nello squat, sono: muscolo sacrospinale, bicipite femorale, muscolo trasverso dell’addome, muscolo medio gluteo/muscolo piccolo gluteo (abduttori), muscolo gastrocnemio.

Squat

Il movimento inizia da una posizione eretta e può essere eseguito a corpo libero o con strumenti. Si possono utilizzare manubri, una kettlebell o un bilanciere, poggiato saldamente sul trapezio e tenuto stretto con le mani alla larghezza preferita. Il movimento comincia portando indietro i fianchi, piegando le ginocchia e abbassando il busto tenendolo sempre dritto, senza mai flettere la schiena, per poi tornare in posizione eretta. Lo squat si può eseguire a diverse profondità. Se arriva al di sotto del parallelo, oltre la piega delle ginocchia, è considerato squat completo, mentre un’accovacciata meno profonda lo qualifica come squat superficiale. Due errori comuni sono una discesa troppo rapida e un’eccessiva flessione del busto in avanti. Anche un movimento sconnesso e poco controllato delle ginocchia può causare problemi, così come uno scorretto allineamento dei piedi. Tali errori possono portare ad un sovraccarico delle strutture articolari o infortuni. Ecco come eseguire lo squat:

  1. Mettiti in posizione eretta.
  2. Divarica le gambe fino a portare i piedi a lato delle spalle.
  3. Posiziona le punte dei piedi a 45 gradi.
  4. Tieni i manubri in mano.
  5. Controlla di non inarcare la schiena.
  6. Piega le ginocchia fino ad averle all’altezza dei piedi; le cosce devono essere parallele al terreno o leggermente al di sotto del parallelo.
  7. Sollevati nuovamente spingendo con i talloni.
  8. Torna nella posizione iniziale.

Ripeti questo tipo di squat in 2 o 4 serie da 10 ripetizioni. Una variante molto efficace è quella di effettuare i piegamenti con in mano dei pesi, ad esempio dei piccoli manubri (il peso deve essere adeguato alla tua corporatura).

Multipower

Potete allenare i glutei con un macchinario chiamato multipower (o Smith machine), una macchina polifunzionale che troviamo in ogni palestra. Chiedete al vostro istruttore come allenarvi con questo macchinario.

Non ti resta che scegliere l’esercizio che preferisci e iniziare a modellare il tuo corpo in completa autonomia.

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Foto prima e dopo gli squat: storie di glutei risorti dalle ceneri

Lo squat è un esercizio importantissimo, da molti addirittura reputato il migliore, per tonificare e rinforzare i glutei e gli altri muscoli degli arti inferiori. E’ un esercizio semplice, eppure è importante eseguirlo in palestra sotto la guida di un istruttore esperto, specie se siamo inesperti.

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La corretta esecuzione dello squat richiede una grossa sinergia tra numerosi gruppi muscolari, ognuno dei quali si rilassa e si contrae in specifiche fasi del movimento.

Guarda anche: il video che mostra la trasformazione della modella fitness Jean Selter in cinque anni

Lo squat è capace di rimodellare letteralmente un gluteo non esattamente in forma, come vediamo da questa carrellata di immagini di “prima e dopo” aver eseguito questo esercizio per un certo periodo:

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Insufficienza venosa e vene varicose: cause, prevenzione e trattamenti

MEDICINA ONLINE INSUFFICIENZA VENOSA CAUSE VENA VENE VALVOLE VARICI GAMBE CHIRURGIA TRATTAMENTI DOLORE FASTIDIO SANGUE CIRCOLAZIONE MICROCIRCOLO.jpg
Il termine “insufficienza venosa” definisce una condizione patologica dovuta ad un difficoltoso ritorno del sangue venoso al cuore. L’insufficienza venosa degli arti inferiori innesca un aumento di pressione nei capillari, con successiva formazione di edema, ipossia generalizzata e lattacidemia (eccessiva presenza di acido lattico nel sangue).
L’insufficienza venosa richiede un intervento terapico, farmacologico e/o medico: quando non trattata o trascurata, la condizione può degenerare in una sindrome progressiva contraddistinta da dolore, gonfiore, alterazioni cutanee e, nei casi più gravi, varicoflebite (formazione di un trombo secondario insorto su varici).

Incidenza

L’insufficienza venosa costituisce una condizione patologica particolarmente diffusa nei Paesi Occidentali ed industrializzati, mentre nelle aree poco sviluppate, come i Paesi poveri di Africa ed Asia, il fenomeno si presenta in misura molto minore.
L’insufficienza venosa è una realtà attuale: in genere, le donne sono molto più colpite rispetto al sesso forte. In Italia, ad esempio, si stima che il 30% della popolazione femminile ed il 15% di quella maschile sia affetto da insufficienza venosa di entità variabile.
Da quanto riportato sulla rivista European journal of vascular and endovascular surgery si possono ricavare interessanti stime:

  • In età giovanile, l’insufficienza venosa colpisce il 10% dei maschi e il 30% delle femmine
  • Dopo i 50 anni, il fenomeno vascolare si manifesta nel 20% dei maschi e nel 50% delle donne.

Da questi dati si comprende non solo che l’insufficienza venosa colpisce prevalentemente il gentil sesso, ma anche e soprattutto che l’incidenza del disturbo aumenta proporzionalmente all’età.

Leggi anche: I 12 segni che indicano una cattiva circolazione da non sottovalutare

Cause e classificazione

In base alla causa scatenante, l’insufficienza venosa può essere classificata in due macrogruppi:

  1. INSUFFICIENZA VENOSA ORGANICA: causata da alterazioni patologiche delle vene. In questa categoria rientrano:
    • Dermatite da stasi: persistente infiammazione della cute degli arti inferiori, generata da una stasi vascolare. La dermatite da stasi è una condizione patologica tipica dei pazienti affetti da disturbi circolatori nelle vene delle gambe; il disturbo si presenta con edema cronico agli arti inferiori, prurito, escoriazioni ed essudazione.
    • Sindrome delle gambe senza riposo (RLS): alcuni pazienti affetti da questa sindrome sviluppano successivamente insufficienza venosa.
    • Trombosi venosa profonda: condizione patologica dovuta all’ostruzione di una vena a causa di un trombo (grumo di sangue). Una simile ostruzione del circolo profondo è responsabile, a sua volta, del difficoltoso ritorno venoso; si parla pertanto di insufficienza venosa profonda.
    • Varici: le vene varicose sono dilatazioni anomale e permanenti di vene ed arterie, espressione di un’alterazione dell’efficienza delle valvole venose.
  1. INSUFFICIENZA VENOSA FUNZIONALE: condizione dovuta ad un sovraccarico funzionale delle vene che, pur in piena salute, sono sottoposte ad un lavoro eccessivo rispetto alle loro possibilità.
    • Linfedema: il ristagno di linfa nei vari distretti dell’organismo, che caratterizza il linfedema, è dovuto ad una compromissione del sistema linfatico. Il linfedema richiede un superlavoro da parte delle vene, pertanto può favorire l’insufficienza venosa.
    • Ridotta mobilità degli arti (tipico dei soggetti che rimangono in posizione statica per lungo tempo → edema da immobilizzazione). Anche le anomalie posturali (piede piatto, alterazioni della morfologia del rachide ecc.) costringono le vene ad uniperlavoro, che può sfociare nell’insufficienza venosa.
Classificazione clinica dell’insufficienza venosa
Classe 0 Assenza di segni clinici visibili o palpabili di malattia venosa
Classe 1 Presenza di teleangectasie o vene reticolari
Classe 2 Presenza di vene varicose
Classe 3 Presenza di edema
Classe 4 Turbe trofiche di origine venosa: pigmentazione, eczema, ipodermite
Classe 5 Come classe 4 con ulcere cicatrizzate
Classe 6 Come classe 4 con ulcere in fase attiva

Fattori di rischio

Alcuni pazienti sono più predisposti all’insufficienza venosa rispetto ad altri.Quali sono i fattori di rischio?

  • Assunzione di una postura statica per lungo tempo
  • Gravidanza
  • Ipertensione
  • Obesità
  • Lavori in ortostatismo (che richiedono di rimanere in piedi e fermi per lungo tempo)
  • Predisposizione genetica
  • Fumo di tabacco
  • Pregressa storia di trombosi venosa profonda
  • Sesso femminile
  • Statura: i soggetti alti sono più a rischio di insufficienza venosa
  • Terapia ormonale estrogenica.

Leggi anche: Vene varicose: sintomi iniziali e come curarle ed eliminarle

Sintomi e segni

I sintomi e segni di insufficienza venosa sono molto variabili, tuttavia spesso sono i seguenti:

  • Ulcere cutanee
  • Vene varicose
  • Gambe gonfie e pesanti
  • Caviglie gonfie
  • Ispessimento della pelle
  • Porpora 
  • Prurito
  • Comparsa di macchie scure
  • Crampi ai polpacci
  • Dilatazione delle vene superficiali
  • Dolore in corrispondenza di una vena varicosa
  • Edema persistente 
  • Flebite
  • Formicolio alle gambe
  • Teleangectasie
  • Trombosi venosa profonda.

Leggi anche: Formicolio alle mani, piedi, braccia e gambe: cause e cure

Gravità

In base alla gravità, esistono sette classi di insufficienza venosa:

  • Classe 0 assenza di segni clinici visibili o palpabili di malattia venosa
  • Classe 1 teleangectasie o vene reticolari
  • Classe 2 vene varicose
  • Classe 3 edema
  • Classe 4 turbe trofiche di origine venosa: pigmentazione, eczema, ipodermite
  • Classe 5 Come classe 4 ulcere cicatrizzate
  • Classe 6 Come classe 4 ulcere in fase attiva.

Complicanze

L’insufficienza venosa può determinare, direttamente o indirettamente:

  • cellulite batterica;
  • distrofie cutanee;
  • ischemia e necrosi della pelle;
  • setticemia;
  • embolia polmonare;
  • ulcerazioni cutanee;
  • infezioni cutanee;
  • varicoflebite.

Diagnosi

La diagnosi di insufficienza venosa consiste inizialmente nell’anamnesi e nell’esame obiettivo. Possono poi essere necessari vari esami, come ad esempio TC, ecografie con colordoppler ed esami del sangue.

Diagnosi differenziale

L’insufficienza venosa va distinta da altre patologie per alcuni versi simili, tra cui:

  • Manifestazioni cutanee di patologie cardiache/renali
  • Teleangectasie
  • Ulcere d traumi
  • Vene varicose
  • Allergia da contatto
  • Carcinoma basocellulare
  • Cellulite batterica
  • Dermatite da stasi
  • Erisipela.

Leggi anche: Differenza tra massaggio drenante e massaggio linfodrenante

Terapie

La cura dipende dalla causa specifica che ha determinato a monte l’insufficienza venosa. In genereale è utile:

  • eliminare il fumo;
  • perdere peso se obesi;
  • praticare esercizio fisico costante e regolare (anche una semplice camminata di mezz’ora al giorno);
  • seguire una dieta sana e bilanciata;
  • bere molta acqua;
  • utilizzare calze elastiche/bende a compressione;
  • evitare di rimanere in posizioni statiche per lunghi periodi;
  • evitare di rimanere in posizione eretta per lungo tempo;
  • evitare di rimanere in ambienti caldi;
  • applicare creme o pomate ad azione capillaro-protettiva, antiedemigena e decongestionante;
  • muovere spesso le gambe;
  • rialzare il letto nella zona in corrispondenza dei piedi;
  • non indossare scarpe con tacchi alti;
  • non indossare abiti troppo aderenti;
  • evitare di assumere la pillola anticoncezionale;
  • non sporsi per lunghi periodi al sole o fare bagni molto caldi;
  • seguire corsi di rilassamento e yoga.

Sono utili gli integratori a base di:

  • Vitis vinifera
  • Ginkgo biloba
  • Ippocastano
  • Rutina
  • Amamelide
  • Diosmina
  • Luteina
  • Esperidina.

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I farmaci più indicati sono:

  • farmaci anticoagulanti ad applicazione topica;
  • scleroterapia;
  • farmaci flebotonici;
  • farmaci profibrinolitici.

Nei casi più gravi, si ricorre alla chirurgia, tramite:

  • valvuloplastica;
  • rimozione della vena interessata;
  • laserterapia;
  • ablazione con radiofrequenza.

Sia l’ablazione con radiofrequenza che la terapia laser possono creare effetti collaterali fastidiosi, anche se reversibili: piccoli ematomi, ustioni cutanee, formicolii alle gambe e lievi lesioni dei nervi. Entrambi gli interventi producono risultati eccezionali nel trattamento dell’insufficienza venosa.

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Scleroterapia per eliminare i capillari dilatati

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma SCLEROTERAPIA ELIMINARE CAPILLARI Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Peeling Pressoterapia Linfodrenante Dietologo Dieta Dermatologia Gambe Gonfie Edemi DonnaLa scleroterapia è una tecnica cosmetica per trattare i vasi sanguigni sottili, ossia i capillari. Questo trattamento esiste dagli anni ’20, quando si usava per curare le vene varicose (dilatate) ed è usato oggi per risolvere il problema dei capillari dilatati. I capillari possono comparire in qualsiasi parte del corpo, ma le zone più frequenti sono attorno al naso e sulle gambe.

Cause dei capillari dilatati

Molti fattori sono responsabili per la comparsa dei capillari dilatati. Spesso la causa è da trovare nella familiarità, nella gravidanza, o nel caso di donne con squilibrio ormonale. A volte i capillari dilatati si presentano come effetto collaterale di alcuni medicinali o in conseguenza di un forte impatto.

Come funziona il trattamento?

Con un ago molto sottile si inietta una soluzione speciale, lo Scleremo, che provoca la contrazione e il restringimento delle pareti capillari fermando il flusso sanguigno nel canale venale. Con questa procedura i vasi rimangono senza sangue e spariscono da soli. Per garantire ottimi risultati, l’iniezione nelle vene si fa strettamente sotto una luce speciale e con l’aiuto di una lente di ingrandimento particolare. La scleroterapia è la terapia più efficace per rimuovere i capillari dilatati e si usa anche per rimuovere le vene varicose più lievi.

Il trattamento è doloroso?

Questo procedimento non è molto doloroso: si usa un ago molto piccolo, nella maggior parte dei casi non c’è nemmeno bisogno di anestetico. Succede che le zone trattate restino un po’ più sensibili del solito nei due giorni successivi al trattamento.

Quanti trattamenti sono necessari?

Per ottenere risultati migliori è sufficiente una cura che comprende da 2 a 5 trattamenti. Molto dipende – ovviamente – dalla situazione di partenza e dalla compattezza dei vostri capillari.

Quanto durano i risultati?

I capillari trattati scompaiono per sempre. Ovviamente, se la causa originale medica dei capillari rimane, c’è la possibilità che nuovi capillari appaiano: essi dovranno essere trattati con un nuovo ciclo di trattamento. Uno stile di vita sano, un’alimentazione corretta e praticare dello sport sono, come sempre, la maniera migliore per impedire la formazione di nuovi capillari una volta che quelli vecchi siano stati trattati.

Il trattamento di scleroterapia è sicuro?

Le vene trattate con questo intervento sono vene superficiali, che non hanno alcuna funzione vitale, sono solo un disagio estetico. Questo trattamento esiste da decenni e ha dimostrato di essere molto sicuro ed efficace, specialmente se effettuato da un medico esperto. Le reazioni allergiche sono molto rare, e gli effetti collaterali molto lievi.

Quali sono gli effetti collaterali della scleroterapia?

Le possibili reazioni sono legate alla tolleranza delle iniezioni, che comprende lividi, gonfiore, rossore e prurito. Sono rari i casi di effetti collaterali duraturi come una pigmentazione prolungata o piccole cicatrici. Questi ultimi dono effetti rari, soprattutto se il trattamento si svolge da un medico esperto e, se si presentano, sono effetti molto più accettabili dei propri capillari dilatati. Reazioni allergiche sono molto rare.

Consigli per un rapido recupero dopo scleroterapia:

  • Se siete inclini a fare lividi, usate delle pastiglie o della crema contro i lividi un giorno prima e 5 giorni dopo l’intervento.
  • Se trovate dei lividi, applicate del ghiaccio o la crema contro i lividi dopo il trattamento.
  • Evitate saune, bagni turchi e bagni di sole per un paio di giorni dopo l’intervento.
  • Evitate di fare esercizi eccessivi per 3 giorni dopo l’intervento.
  • Evitate bagni caldi per 6 ore dopo l’intervento.
  • I capi più comodi dopo l’intervento sono pantaloni scuri e larghi.
  • Provate ad usare delle calze contenitive (o collant da 10 denari) per 2 o 3 giorni dopo l’intervento. Vi preghiamo di portarvele per poterle usare subito dopo il trattamento.
  • Le reazioni comuni dopo il trattamento sono rossore, gonfiore, prurito, sensibilità nella zona trattata e lividi. Tutte queste reazioni scompaiono nel giro di una settimana.
  • Se per caso non avete chiare le istruzioni, avvertite degli effetti collaterali o se dubitate dei risultati, chiamate subito il vostro medico di fiducia.

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I leggings: scopri se ci stai bene o se è meglio non indossarli

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO OBESITA GRASSO SOVRAPPESO DIETA DIMAGRIRE METRO ADDOME PANCIA GRASSOSia durante l’inverno che durante l’estate, sono moltissime le donne che li indossano, sto parlando dei leggings. Ma siamo davvero sicuri che siano un capo d’abbigliamento adatto a tutte le gambe? Fermo restando che – per fortuna – ognuno col proprio corpo ci può fare quello che vuole (basta che sia legale!) e che la bellezza è soggettiva, in certi casi però il caro vecchio buon gusto sembra davvero averci abbandonato!

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Corsi e ricorsi storici nella moda
I leggings (chiamati in Italia anche “leggins”) sono un indumento molto aderente, indossato sulle gambe. Questo tipo di vestito dal nome così curioso, è andato per la maggiore negli anni Ottanta e primi anni Novanta, allora li chiamavamo fuseaux (da “fuso” per la forma che regala alla figura femminile), termine già usato dallo stilista italiano Emilio Pucci fin dagli anni ’50. Usati ben prima degli anni ’80 (quando si ebbe un vero e proprio boom grazie alla cantante Madonna che li indossò in Cercasi Susan disperatamente del 1985), resi famosi anche da molte storiche icone della moda, come ad esempio la grandissima Audrey Hepburn, che li indossa nei film Sabrina ed in Cenerentola a Parigi. Come spesso succede in questo campo, tali aderentissimi pantaloni sono tornati di moda negli ultimi tempi, dal 2005 in poi, grazie anche alla loro comodità, ma anche alla sensualità che sicuramente sprigionano se portati nella maniera adatta. Solitamente i modelli attuali sono realizzati in elastam, o in filati misti di nylon e cotone o poliestere, ma esistono anche modelli realizzati in lana o seta, o latex.

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I leggins mettono in risalto i difetti
Il peggior difetto di questi pantacollant è quello di mettere in risalto i difetti, anche in chi non ne ha di particolarmente evidenti, e perciò bisognerebbe pensarci bene quando si sceglie di indossarli, soprattutto se volete far colpo su un ragazzo dai gusti particolarmente raffinati!
Quando la moda li ha riproposti, gli stilisti li hanno abbinati a lunghissime maglie o a mini dress, oggi, dopo qualche anno dal loro rilancio, le maglie si sono accorciate, e da sotto abito, il leggings è ritornato ad essere “pantalone”, mostrandosi aderentissimo sui glutei, con risultati che variano dall’estremamente sexy all’estremamente ridicolo. Infatti tutte le cose che gli stilisti lanciano in passerella, non sempre sono mettibili dalla gente comune (anzi diciamo proprio la maggior parte!): così dovrebbe essere anche per i leggings. Quindi la prima domanda che ci dobbiamo fare è…

A chi stanno bene i leggins?
Ovviamente la bellezza è un fatto relativo, ed è scontato che tutte le donne hanno il diritto di indossarlo se ne hanno voglia, a prescindere dalla forma del proprio corpo e della propria linea, ma credo di poter dire – con un buon margine di certezza – che ci sono delle gambe che stanno oggettivamente meglio coi leggins ed altre meno. Essendo tagliato alla caviglia, o peggio al polpaccio, i pantacollant sicuramente non slanciano le gambe ma le accorciano.
In più se le caviglie non sono sottili, l’interruzione in quel punto le evidenzierà e le penalizzerà. Se poi si sceglie il modello al polpaccio è necessario possederlo molto fine e avere un’altezza, a mio avviso, superiore al metro e 65. Certo che se i leggings saranno infilati in un paio di stivali questi due difetti decadono perché è come indossare dei collant, quindi l’idea di indossare un dato paio di scarpe, risulterà spesso una mossa estremamente vincente.

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I leggings evidenziano un corpo sproporzionato
Il difetto principe però che i leggings mettono in evidenza è la sproporzione. Essi avvolgono la gamba in tutta la sua lunghezza e sono aderenti a polpaccio e caviglia: tali due fattori creano un’illusione ottica per la quale se il bacino non è della stessa dimensione delle larghezza delle caviglie, i fianchi risulteranno più grandi. Quindi i leggings vanno meglio a chi ha i fianchi e il bacino piccolo (o comunque di misura simile alla distanza tra le caviglie), altrimenti – se la misura dei fianchi è molto più pronunciata – è meglio optare dei pantaloni che siano più larghi in basso, oppure – se la temperatura lo permette – per gli shorts.

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I leggings evidenziano la cellulite
L’altro difetto che è messo in evidenza solo da leggings in tessuto sottile o sformato o di bassa qualità è la cellulite a vista. Oltre alla cellulite tutti i rotolini, le culotte de cheval e i polpacci da calciatore vengono messi in chiara evidenza da questo tessuto, perciò i leggings donano a chi è magra, alta, slanciata, ha il bacino piccolo, le caviglie sottile e sedere e cosce sode. Chi è robusta, formosa o semplicemente non longilinea, ha caviglie grosse, fianchi larghi o anche semplicemente normali e un po’ di curve non starà bene con i leggings! Ma anche chi è magra e ossuta, con gambe molto sottili risulterà ancora più magra se lì indosserà soprattutto in colori scuri.

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I vantaggi di portare i leggings
Ma quindi i leggings vanno sempre evitati? Certamente no, se portati con sicurezza e con un corpo in buone condizione di linea, sono molto sexy ed hanno anche alcune indiscutibili qualità, tra cui una importante è sicuramente la comodità: sono freschi d’estate e caldi d’inverno, ma attenzione, questa comodità non deve prevalere sul buongusto. Quindi si ai leggings sotto abitini e maxi pull anche per chi è in sovrappeso o non è “perfetta” come una modella, ma per favore evitiamo di metterli come se fossero il più bel paio di pantaloni che abbiamo e prima di uscire di casa siate oneste con voi stesse e con quello che c’è al di sotto della vostra zona lombare! Prima di chiudere eccovi il “Codice di condotta dei leggings”, ed alcuni consigli per abbinarli al meglio!

Il Codice di condotta dei Leggings

1 I leggings non dovrebbero essere né troppo stretti né troppo larghi: dovrebbero essere sufficientemente aderenti. Quelli di pelle sono molto attillati, dunque non perdonano certi inestetismi.

2 I leggings non sono pantaloni. In casa possono essere comodi se abbinati ad una maglia, ma uscire senza mettere nulla per coprirli può svelare un po’ troppo. Questo vale anche per le ragazze dal fisico perfetto. Non abbinarli solo ad una maglia o ad una giacca lunga. Sebbene questi capi coprano il sedere, il look comunque non sarà completo.

3 Non metterli con le scarpe sbagliate. I leggings stanno bene con gli stivali che arrivano alle ginocchia o alle caviglie, i sandali e le infradito. Se vuoi abbinarli ad un paio di tacchi alti, il risultato finale non deve essere volgare, dunque studia bene il resto dell’outfit. I leggings possono anche essere abbinati alle ballerine e ai mocassini, l’importante è che la scarpa vada bene per il resto dell’outfit.

4 Assicurati che i leggings siano sufficientemente lunghi. Ricorda anche che dopo un bel po’ di lavaggi potrebbero restringersi. Quando i leggings lunghi si accorciano e arrivano fino alle caviglie, usali solo per stare in casa.

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Come abbinare al meglio i leggings?
I leggings non sono riservati solo alle adolescenti e alle ventenni: anche negli ambienti di lavoro creativi, come gli uffici di pubbliche relazioni, le aziende di moda, le redazioni o le agenzie pubblicitarie, puoi osare e dare sfogo alla tua originalità. Invece, nei luoghi di lavoro più formali, assicurati che il codice di abbigliamento della tua azienda non sia troppo severo prima di indossare i leggings: questo capo è sicuramente casual. Se sei l’ultima arrivata, osserva per un certo periodo le tue colleghe per vedere se li indossano. In tal caso, opta per leggings di alta qualità, come quelli classici in cotone, scamosciati, di pelle o di denim scuro, evitando quelli di cotone. Con questa varietà a tua disposizione, creerai numerosi outfit. Ricorda la regola d’oro: non metterli mai come se fossero dei pantaloni. Se indossi dei leggings di pelle ed una maglia per andare a lavorare, sembrerai poco professionale ed i tuoi colleghi potrebbero cominciare a farsi un’idea poco lusinghiera di te. Scegli preferibilmente i leggings neri – o comunque scuri – e monocolore per andare a lavorare. Quelli con i motivi a fantasia sono più adatti alle ragazze molto giovani.

1 Abbina i classici leggings neri in cotone ad una camicia. Per avere un’immagine più seriosa, indossa una giacca in jeans. In alternativa, puoi scegliere anche di metterli con maxi t-shirt e sempre giacca di jeans. Ai piedi, in entrambi i casi, metti delle ballerine in nappa nera o stivaletti biker.

2 Indossa il chiodo in nappa nera, una maxi t-shirt in viscosa grigio mélange con stampe grafiche sul davanti e i leggings di jeans. Per le scarpe, scegli gli stivaletti biker, poi indossa una cintura con borchie alla vita e completa l’outfit con una borsa ampia in nappa nera. Se fuori c’è il sole usa gli occhialoni scurissimi.

3 Per un look sofisticato ed elegante abbina i leggings ad un maglione oversize e marca la vita con una cintura. Aggiungi degli stivali alti e adatti al maglione. Per indossare questo outfit al lavoro, il maglione dovrà essere di eccellente qualità.

4 Scegli dei leggings in denim e abbinali con una tunica morbida, delle ballerine e un chiodo in nappa. Aggiungi una collana o un foulard. Sarai trendy e casual allo stesso tempo.

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PS Quello che è scritto nelle righe sopra, non vuole assolutamente impedire a nessuna donna di indossare liberamente ciò che più le piace. Concettualmente, quello che avete appena letto, è un po’ come sulle riviste di moda, dove ci sono articoli che ci dicono – ad esempio – che un certo tipo di costume da bagno sta meglio ad un fisico più asciutto, ed un altro taglio di costume sta bene a chi ha le forme. Si tratta di trovare l’abito giusto per valorizzare i propri punti forti e nascondere i propri piccoli difetti. Ecco, qui è la stessa cosa: i legging sono un abito che sta meglio ad un certo tipo di fisico piuttosto che ad un altro. Liberissime tutte voi di indossarlo, ma forse il vostro fisico potrebbe essere penalizzato dai legging e valorizzato da un altro capo di abbigliamento. Poi… Viva la libertà di andare in giro come si vuole, anche in pigiama se si desidera!

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