Differenza tra osteoblasti, osteoclasti ed osteociti

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-differenza-iperplasia-ipertrofia-esempi-riabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenza-ecogLe ossa sono organi a tutti gli effetti: la loro parte minerale viene costantemente rinnovata da due tipi di cellule al loro interno:

  • osteoclasto: libera idrolasi acide che hanno il compito di dissociare i sali minerali e distruggere le fibre collagene in modo da poter riassorbire i minerali quando ciò sia richiesto dall’organismo, collaborando all’omeostasi del calcio nel nostro corpo. L’ormone calcitonina, prodotto dalla tiroide, inibisce l’attività degli osteoclasti, agendo direttamente su di essi;
  • osteoblasto: sintetizza nuova matrice extracellulare del tessuto osseo; quando l’osteoblasto viene circondato da matrice, smette di produrre matrice e prende il nome di osteocita. L’osteoblasto contiene al suo interno delle granulazioni PAS-positive dette matrix vesicles o globuli calcificanti, provvisti di membrana e ritenuti l’agente che dà il via al processo di mineralizzazione. Tra le varie proteine secrete dall’osteoblasto troviamo anche la procollagenasi, enzima che, deposto nella matrice verrà trasformato nella sua forma attiva, la collagenasi, che sarà impiegata dagli osteoclasti nella demolizione delle fibre collagene. L’attivazione della procollagenasi è a carico degli stessi osteoclasti, che tramite una serie di proteine, arrivano a disporre della collagenasi matura.Inoltre, l’osteoblasto (e la sua forma più differenziata l’osteocita) presenta sulla membrana anche dei recettori per il paratormone (PTH) grazie ai quali, una volta avvenuta l’interazione con il suddetto ormone, vengono liberati gli OAF (osteoclast activating factors), ovvero fattori di attivazione per gli osteoclasti, che inizieranno il processo di riassorbimento della matrice calcificata. Quando la funzione biosintetica cessa gli osteoblasti diventano osteociti, le cellule del tessuto osseo adulto, che occupano le lacune ossee.

La differenza fondamentale tra i due tipi di cellule delle ossa è quindi chiara, semplificando: gli osteoclasti “distruggono” l’osso recuperando sali minerali, mentre gli osteoblasti lo “costruiscono”. Grazie ad esse negli esseri umani, un osso normale viene distrutto e ricostruito completamente ogni due mesi circa.

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Osso omero: anatomia e funzioni in sintesi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma OMERO OSSO ANATOMIA FUNZIONI SINTESI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpg

Omero destro (sulla sinistra: vista anteriore; sulla destra: vista posteriore)

L’omero (in inglese “humerus”) un osso lungo pari e simmetrico degli arti superiori, e costituisce lo parte scheletrica del braccio, la porzione anatomica del corpo compresa tra la spalla, superiormente, e l’avambraccio, inferiormente. L’omero corrisponde – nell’arto inferiore – al femore è l’osso pari che compone lo scheletro di ciascuna coscia.

Omèro o òmero?

Domanda apparentemente banale: quando si parla dell’osso omero, dove va l’accento? Quando si parla dell’osso omero, l’accento va sulla prima o (òmero). L’accento va sulla e (Omèro) solo in riferimento al noto poeta greco autore dell’Iliade e dell’Odissea.

Funzioni dell’osso omero

L’omero è situato tra scapola (principale osso della spalla) e ossa dell’avambraccio (radio e ulna); costituisce lo scheletro del braccio, fornisce inserzione a diversi muscoli e partecipa alla formazione di due importanti articolazioni dell’arto superiore: l’articolazione della spalla e l’articolazione del gomito.

Leggi anche: Differenza tra omero, ulna e radio

Anatomia

L’omero è l’unico osso del braccio (mentre lo scheletro dell’avambraccio, che è la parte dell’arto superiore compresa tra gomito e polso, è costituita da ulna e radio). L’omero è costituito da:

  • diafisi (anche chiamato “corpo”);
  • due estremità dette epifisi (epifisi prossimale ed epifisi distale).

L’epifisi prossimale si articola con la scapola costituendo l’articolazione scapolo-omerale (del tipo delle enartrosi), mentre l’epifisi distale si articola con le due ossa dell’avambraccio appena citate: radio e ulna.

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Epifisi prossimale

L’estremità prossimale dell’omero è la porzione ossea più vicina alla spalla e che, unendosi a un osso di quest’ultima (nella fattispecie la scapola), forma la sopraccitata articolazione gleno-omerale.
Gli elementi anatomici rilevanti dell’estremità prossimale sono:

  • La testa. È la parte più prossimale dell’omero. Proiettata in direzione mediale, è una protuberanza ossea che ha la forma di una semi-sfera. Possiede una superficie liscia di natura cartilaginea e ricopre l’importante funzione di articolarsi con la cavità glenoidea (o fossa glenoidea) della scapola e formare l’articolazione della spalla.
  • Il collo anatomico. È una regione di confine tra la testa e le altre strutture dell’epifisi prossimale. È breve e più stretto rispetto alla testa.
  • Il tubercolo maggiore. È un processo osseo di discreta grandezza, che si sviluppa in direzione laterale, subito dopo il collo anatomico. Possiede due facce, una anteriore e una posteriore.
    La sua funzione è ancorare i capi terminali di tre muscoli dei 4 totali che formano la cosiddetta cuffia dei rotatori: il muscolo sovraspinato, il muscolo sottospinato (o infraspinato) e il muscolo piccolo rotondo (o teres minore).
  • Il tubercolo minore. È un processo osseo di dimensioni ridotte, in posizione mediale rispetto al grande tubercolo. Ha soltanto una faccia, quella anteriore, e funge da punto d’inserzione per il capo terminale del 4° muscolo della cuffia dei rotatori: il muscolo sottoscapolare.
  • Il solco intertubercolare. È una profonda depressione, situata tra i due tubercoli e percorsa dal tendine della lunga testa del muscolo brachiale. Sul margine superficiale, il solco intertubercolare presenta delle creste, che prendono il nome di labbra. Alle labbra, si ancorano i tendini di tre importanti muscoli: il muscolo pettorale maggiore, il muscolo grande rotondo e il muscolo grande dorsale.
  • Il collo chirurgico. È la regione di confine, che separa i tubercoli (situati superiormente) dal corpo dell’omero (inferiormente).

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Diafisi

Il corpo è la porzione centrale dell’omero, compresa tra l’estremità prossimale e l’estremità distale.
Sede d’inserzione di diversi muscoli, ha un aspetto cilindrico, superiormente, e una forma prismatica, inferiormente.
Le strutture anatomiche rilevanti del corpo dell’omero sono, di fatto, tre: la tuberosità deltoidea, il foro nutritizio e la scanalatura radiale.
La tuberosità deltoidea è una prominenza ossea, situata poco più in alto della metà, in posizione antero-laterale. La sua funzione è accogliere il capo terminale del muscolo deltoide.
Il foro nutritizio è il canale che permette l’ingresso, nell’omero, dei vasi sanguigni deputati all’ossigenazione e nutrizione dell’omero stesso.
Infine, la scanalatura radiale è una lieve depressione, che percorre in diagonale e con orientamento laterale la sezione posteriore del corpo. Al suo interno, ospita il nervo radiale e l’arteria brachiale profonda. Lateralmente, termina in corrispondenza della tuberosità deltoidea.
Per quanto concerne i muscoli che hanno rapporto con il corpo dell’omero, questi sono: il muscolo coracobrachiale, il muscolo brachiale e il muscolo brachioradiale, sulla sezione ossea anteriore, e la testa mediale e la testa laterale del tricipite brachiale, sulla sezione ossea posteriore.

Epifisi distale

L’estremità distale presenta una zona articolare e una zona non articolare: quella articolare è definita lateralmente dal condilo e medialmente dalla troclea dell’omero, che ha la forma di una puleggia. Il condilo si articola con la testa del radio, mentre la troclea con l’incisura trocleare o semilunare dell’olecrano dell’ulna. La porzione non articolare dell’estremità distale è data dall’epicondilo laterale (poco sviluppato) e dall’epicondilo mediale, o epitroclea (molto più sviluppato), al di sotto del quale si trova un solco che accoglie il nervo ulnare. Dai due epicondili si originano verso la diafisi la cresta sopracondiloidea mediale e la cresta sopracondiloidea laterale. Anteriormente, al di sopra del condilo, c’è la fossetta radiale che accoglie la testa del radio durante la flessione dell’avambraccio sul braccio, sopra la troclea c’è la fossetta coronoidea che accoglie il processo coronoideo dell’ulna sempre nella flessione dell’avambraccio sul braccio e posteriormente, al di sopra della troclea, è presente la fossa olecranica per accogliere l’olecrano dell’ulna nell’estensione dell’avambraccio.

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Differenza tra ossa pari, impari e mediane con esempi

Ossa pari Ossa impari vertebra Arto superiore Tipi di ossaLe ossa pari (anche chiamate “ossa simmetriche”) sono quelle che nel nostro organismo sono doppie, presenti cioè in due copie. Sono ossa pari ad esempio il femore, le costole, l’omero ed il radio, di cui esistono una copia appartenente al lato destro del corpo, ed un’altra al lato sinistro.

Le ossa impari (o “asimmetriche”) sono quelle contenute in una sola copia nel corpo umano, e sono presenti nella linea mediana del corpo (un’asse immaginaria che attraversa longitudinalmente la colonna vertebrale) per questo prendono anche il nome di ossa mediane. Esempi di ossa impari sono: l’osso frontale (la fronte), l’osso occipitale (che si trova alla base del cranio, vicino al collo), le vertebre (che compongono la colonna vertebrale) oppure lo sfenoide, osso all’interno del cranio.

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Di cosa sono fatti i denti?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE DENTI DA LATTE DECIDUI PERMANENTI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari AnoI denti sono formati da dentina (o avorio), un particolare tipo di tessuto osseo giallognolo molto resistente. Essa ha la funzione di proteggere la polpa dalle variazioni di temperatura e dalle sollecitazioni meccaniche. Non a caso, i denti sono gli organi più mineralizzati dell’organismo umano. La dentina è un materiale poroso composto:

  • per il 65% di materiale inorganico;
  • per il 22% di materiale organico;
  • per il 13% di acqua.

Nella corona (la parte sporgente e visibile del dente) la dentina è rivestita da uno strato di smalto, un particolare tessuto epiteliale di colore bianco molto resistente e mineralizzato che ha il compito di proteggere il dente dalle aggressioni esterne. La dentina è più tenera dello smalto: una volta esposto vi si creano facilmente delle cavità.
A livello del colletto e delle radice la dentina è rivestita da un altro tipo di tessuto osseo, detto cemento, che la ancora alla sua sede.

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Cavità pulpale
Nella dentina è presente una piccola cavità (cavità pulpale) che contiene la polpa del dente particolarmente ricca di vasi sanguigni e di terminazioni nervose (nervo trigemino). Essa si continua in un canalicolo che percorre ciascuna delle radici (canale radicale) per poi sboccare nell’alveolo con un piccolo foro, attraverso al quale penetrano nel dente vasi sanguigni e nervi. Al suo interno sono contenute cellule particolari, gli odontoplasti, che hanno la funzione di produrre la dentina necessaria ai processi di rinnovamento.
La sensibilità del dente è dovuta proprio alla presenza delle terminazioni nervose all’interno della polpa dentaria. Ciascun dente possiede una sensibilità tattile, termica e dolorifica.

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Callo osseo e pseudoartrosi, quando la frattura non guarisce: cause, diagnosi e terapie

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Dieta Peso Dietologo Nutrizionista Roma Cellulite Sessuologia Sesso Ecografie DermatologiaSmettere di fumare Frattura FumoQuando un osso subisce una frattura, in condizioni fisiologiche inizia un processo biologico di riparazione che con il tempo porta alla formazione del “callo osseo”. Il callo osseo è un tessuto di riparazione che viene creato grazie al processo di callogenesi  che solitamente si manifesta dopo tre settimane dall’evento traumatico che ha portato alla frattura. Il callo osseo salda i frammenti dell’osso fratturato e si modifica progressivamente modulandosi in risposta alle forze meccaniche esercitate su di esso, diventando sempre più resistente. Nelle settimane o nei mesi seguenti, il callo osseo ricostituisce l’integrità e le normali caratteristiche biomeccaniche del segmento scheletrico lesionato, tuttavia – se il processo di calcificazione subisce un condizionamento o un’interruzione tale da non consentire un consolidamento – è possibile che la frattura non guarisca correttamente. In tale evenienza si ha la formazione di un callo di tipo fibroso che comporta dolore e limitazione funzionale (pseudoartrosi) e, spesso, rende necessario intervenire chirurgicamente. In alcuni casi si può parlare di “ritardo di consolidazione” quando l’osso inizia a formare callo ma impiega più tempo del normale per ultimare la guarigione. La guarigione dell’osso può essere ostacolata da alcuni fattori di rischio preesistenti come ad esempio patologie metaboliche o fumo di sigaretta.

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Quali fattori possono condizionare la guarigione ossea?
L’osso guarisce quando la frattura è stabile e ha una vascolarizzazione sufficiente per cui possa formarsi callo osseo. Una corretta alimentazione gioca un ruolo importante nella guarigione dell’osso.

  • Stabilità, allineamento, contatto reciproco delle parti, immobilità: la regola più importante è quella che quando un osso si rompe le parti rotte devono essere riallineate e a contatto e non devono muoversi fino a quando non guariscono in quanto anche piccoli movimenti durante la formazione del callo osseo possono disturbare la guarigione e creare una pseudoartrosi. Alcune fratture possono essere stabilizzate semplicemente con un gesso altre richiedono un trattamento chirurgico con una riduzione e la stabilizzazione attraverso mezzi di sintesi come placche, viti, chiodi o fissatori esterni.
  • Vascolarizzazione:  l’apporto di sangue è fondamentale per la guarigione di una frattura poiché attraverso il sangue vengono trasportati tutti i fattori che sono indispensabili per la formazione del callo osseo
  • Nutrizione: avere una alimentazione adeguata è importante per facilitare la guarigione ossea attraverso una dieta sana ed equilibrata che comprende calcio, proteine, vitamina C e D sta alla base di una corretta guarigione dell’osso, integratori alimentari che vanno oltre i requisiti giornalieri non sono necessari (la rara eccezione è rivolta a pazienti gravemente malnutriti con patologie metaboliche o con danni multiorgano, in questo caso il medico potrà consigliare le linee guida dietetiche migliori e eventualmente aggiungere integratori alimentari).

Fasi della osteogenesi ripartiva delle fratture
In sintesi, le fasi che portano alla guarigione di una frattura, sono:

  1. fase di formazione e di organizzazione dell’ematoma (= travaso emorragico);
  2. fase di proliferazione e differenziazione tissutale in senso osteogenetico (le cellule ematiche sopraggiunte a livello del focolaio di frattura si differenziano in osteociti);
  3. fase di maturazione (cioè indurimento, calcificazione de callo) e successivamente fase di rimodellamento (cioè rimaneggiamento del callo che tende a fare scomparire quelli che sono i segni di frattura veri e propri).

Cause di pseudoartrosi
L’osso non guarisce e va in pseudoartrosi quando manca di stabilità sufficiente o il flusso di sangue è ridotto, situazioni che a volte possono coesistere. Un trauma ad alta energia come ad esempio  un incidente stradale, può causare una lesione grave che oltre a rompere l’osso determina una compromissione della vascolarizzazione a causa della lesione dei tessuti molli circostanti.

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Fattori di rischio
Diversi sono i fattori di rischio che aumentano la probabilità che una frattura vada incontro a pseudoartrosi:

  • utilizzo di tabacco o nicotina inibisce la guarigione di una frattura e aumenta la probabilita’ di formazione della pseudoartrosi
  • età avanzata
  • anemia grave
  • diabete
  • livelli bassi di vitamina D
  • ipotiroidismo
  • scarsa o cattiva alimentazione
  • utilizzo di famaci come acido acetil-salicilico, ibuprofene e cortisone (il medico deve essere a conoscenza dei farmaci assunti dai pazienti che hanno riportato una frattura per valutare la possibilità di sospendere la terapia durante il periodo di guarigione della frattura)
  • infezioni
  • fratture esposte (quando l’osso è fuoriuscito dalla pelle)

Compromissione della vascolarizzazione

  • Alcune ossa, come ad esempio quelle del piede, hanno una stabilitá intrinseca ed un eccellente apporto di sangue, in questi casi possono guarire anche con un trattamento non chirurgico e una minima stabilità.
  • In alcune ossa come ad esempio la testa del femore o lo scafoide del polso, la frattura causa una interruzione della vascolarizzazione e di conseguenza il rischio di pseudoartrosi è elevato.
  • Alcune ossa come ad esempio la tibia hanno un apporto di sangue moderato; traumi ad alta energia possono compromettere lo stato cutaneo e favorire la pseudoartrosi della frattura in questo distretto.

Sintomi di pseudoartrosi
La pseudoartrosi solitamente è dolorosa e quando si verifica, insorge dopo un periodo di benessere a seguito del trattamento della frattura, quindi inizia il dolore a distanza di mesi dalla frattura e può essere persistente per mesi o anni, oppure può iniziare quando si utilizza il braccio o la gamba rotta o può essere presente anche a riposo.

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Diagnosi di pseudoartrosi
Per diagnosticare una pseudoartrosi il medico ortopedico si avvale degli esami radiografici e a seconda del distretto interessato potrebbero essere richieste semplici radiografie o esami più particolari come la TAC o la RMN. Attraverso queste indagini il medico stabilisce l’avanzamento della guarigione o la presenza di una pseudoartrosi. Solitamente si parla di pseudoartosi quando dagli esami clinici e radiografici il medico ortopedico riscontra:

  • dolore persistente da più di 6 mesi nel sito di frattura
  • la mancata formazione del callo osseo nei tempi biologici adeguati e durante i controlli nei mesi successivi
  • un riassorbimento dei monconi della frattura o uno spazio tra questi

Nel caso in cui si diagnostichi una pseudoartrosi il medico potrà chiedere alcuni esami del sangue per scoprire se esiste una carenza vitaminica o di calcio, una patologia metabolica come diabete e ipotiroidismo o se è in atto un’infezione.

Trattamento della pseudoartrosi
Il trattamento può essere chirurgico o non chirurgico il vostro ortopedico discuterà con voi le possibilità terapeutiche che meglio si adattano al vostro caso esponendovi i rischi ed i benefici della scelta per risolvere il caso di pseudoartrosi.

1) Trattamento non chirurgico. L’utilizzo di uno stimolatore osseo come la magneto terapia o i CEMP (campi elettromagnetici pulsati) viene applicato sulla pelle nella zona di pseudoartrosi, questo piccolo dispositivo eroga onde elettromagnetiche a ultrasuoni o impulsi che stimolano la guarigione dell’osso. Il dispositivo va applicato giornalmente da 20 minuti a diverse ore in base alle disposizioni del vostro ortopedico o fisiatra.           

2) Trattamento chirurgico. La chirurgia è necessaria quando i metodi tradizionali di trattamento falliscono. Potrebbe essere necessario un nuovo trattamento chirurgico se il primo trattamento non ha portato a guarigione la frattura. Le opzioni chirurgiche prevedono nuova sintesi della frattura, innesto osseo autologo o da donatore di organi (allograft) o sostituti dell’osso e sintesi interna e/o esterna.

  • Innesto osseo autologo: durante questa procedura il chirurgo ortopedico preleva dell’osso in un altro distretto come ad esempio dal bacino, e lo pone nel sito di pseudoartrosi dopo aver tolto il tessuto di guarigione patologico dalla frattura. L’osso utilizzato ha la funzione di supporto funzionale e biologico ovvero serve a rinforzare la stabilità della sintesi e ad apportare cellule e fattori di guarigione nel sito della frattura. Il sito maggiormente utilizzato per il prelievo di tessuto osseo è il bacino, in questo caso il chirurgo fa un’incisione sul bordo della cresta iliaca e da lì preleverà il tessuto osseo sufficiente per trattare la pseudartrosi.
  • Allograft (innesto da donatore di organi): un allotrapianto (Allograft) evita di prelevare osso dal paziente e diminuisce quindi la durata dell’intervento ed il dolore post operatorio. Esso fornisce un’impalcatura quindi un supporto funzionale alla stabilità della frattura ma non da nessun  apporto biologico in quanto è osso non vitale, motivo per cui viene utilizato spesso in associazione con osso prelevato dal bacino del paziente. Con il tempo l’allograft verrà o riassorbito o sostituito da osso vitale.
  • Sostituti dell’osso: come per gli allograft i sostituti dell’osso hanno il vantaggio di ridurre i tempi chirurgici e ridurre il dolore post operatorio da soli non forniscono supporto funzionale nè biologico essi sono trattati con alcune sostanze che attivano e favoriscono la formazione dell’osso .

Molto frequentemente la stabilità della frattura in pseudoartrosi non è data dagli innesti ossei ma questi vanno associati ad una stabilizzazione attraverso sintesi con fissatori interni come placche e viti o chiodi oppure  fissatori esterni:

  • Fissazione interna: se si verifica una pseudoartrosi dopo un intervento di sintesi interna la scelta chirurgica potrebbe essere una nuova sintesi interna per aumentare la stabilità. Il chirurgo può scegliere di sostituire un chiodo endomidollare con uno di diametro maggiore per aumentare la stabilità della frattura e favorire il sanguinamento nel sito di pseudoartrosi oppure cambiare una placca per aumentare la stabilità utilizzando anche innesti ossei per favorire la guarigione.
  • Fissatore esterno è una impalcatura esterna che si fissa all’osso attraverso dei perni rigidi Fiches che vengono avvitati nell’osso stesso lontano dalla frattura e su questi perni esternamente si costruisce l’impalcatura che  serve a stabilizzare la frattura. La fissazione esterna può essere utilizzata anche nel caso di una pseudoartrosi infetta dopo rimozione di un dispositivo di fissazione interna.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Perché la frattura di femore può portare alla morte del paziente?

MEDICINA ONLINE SURGEON SURGERY EMERGENCY ROOM CHIRURGIA OPERAZIONE CHIRURGO TEAM TRAPIANTO SANGUE BISTURI EMERGENZA CUORE CERVELLO OSPEDALE MORTE ERRORE FERRI VASCOLARELe fratture del femore prossimale, conseguenza dell’involuzione osteoporotica dello scheletro, sono in continuo aumento nei Paesi industrializzati. Ciò è legato fondamentalmente al progressivo invecchiamento della popolazione, e, seppure in misura minore, ad altri fattori, quali un’aumentata fragilità ossea dovuta alla maggiore sedentarietà della popolazione; un ulteriore elemento favorente potrebbe essere la maggior frequenza di cadute legate ed una condizione generale di salute mediamente più scadente negli anziani di oggi rispetto a quella dei relativamente pochi individui che in passato raggiungevano età molto avanzate.

Alta mortalità

Nelle indagini svolte recentemente dall’Istituto Rizzoli, nell’anno successivo all’intervento, è stato riscontrato un eccesso di mortalità rispetto ai valori attesi, calcolati in base alle tavole di mortalità della popolazione bolognese, (rischio attribuibile) pari al 21% circa negli uomini ed al 13% circa nelle donne; il fenomeno nel campione esaminato è risultato particolarmente evidente nei primi mesi ma diminuisce nel tempo, fino ad annullarsi intorno dopo 8 – 9 mesi dall’intervento. Le fratture del femore prossimale nel paziente anziano costituiscono un importante problema sanitario nei Paesi industrializzati. Numerosi ricercatori hanno infatti dimostrato che, nonostante i progressi nell’anestesia, nelle tecniche chirurgiche e nell’assistenza, ancora oggi il tasso di mortalità nei mesi successivi all’evento traumatico risulta notevolmente elevato. Sono state inoltre svolte indagini per stabilire quali siano i principali fattori che si associano a tale eccesso di mortalità, ma i risultati ottenuti hanno portato a conclusioni spesso discordanti.

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Perché la frattura di femore può portare al decesso?

La frattura di femore può determinare la morte del paziente a causa di:

  • Infezioni. Se la frattura è esposta, ossia se in seguito al trauma i tronconi dell’osso hanno lacerato i tessuti e sono fuoriusciti all’esterno, è elevato il rischio di infezioni. L’osteomielite è la più comune ed anche la più difficile da curarsi.
  • Gravi lesioni dei tessuti come vasi sanguigni, nervi, capsule articolari. Le complicanze possono essere immediate con gravi emorragie che se non ridotte immediatamente possono comportare la morte dell’infortunato. Possono però comportare anche delle complicanze successive come nel caso delle fratture sottocapitate che, poiché generalmente danneggiano la vascolarizzazione della capsula articolare e della testa del femore che è già scarsamente irrorata, possono provocare necrosi della testa dell’osso.
  • Età. Elevata età media del paziente con frattura di femore.
  • Emorragie interne. Anche se la frattura non è esposta possono aversi forti emorragie e conseguenti shock per il ridotto volume sanguigno in circolo.
  • Shock neurogeno causato dal fortissimo dolore.
  • Embolia (ostruzione di un’arteria causata da un coagulo di sangue o da una bolla d’aria). In conseguenza della rottura dell’osso i midolli ossei possono introdursi attraverso la rottura di un vaso nel torrente sanguigno e bloccarsi negli alveoli polmonari (embolia polmonare) o nel cervello (ictus cerebrale). Per approfondire: Embolia polmonare: massiva, diagnosi, da tumore, terapia
  • Sindrome compartimentale. In seguito al trauma la muscolatura potrebbe essere interessata da un’importante tumefazione che riempie i compartimenti muscolo/osso. Se non sottoposta ad opportune cure la sindrome può evolversi in necrosi muscolare. Può capitare che la sindrome compartimentale sia particolarmente acuta ed allora bisogna con urgenza intervenire chirurgicamente praticando incisioni verticali nei compartimenti interessati per alleviare la pressione.
  • Lesioni da decubito, tipiche dei pazienti anziani immobilizzati a letto per lunghi periodi durante la riabilitazione; a tale proposito leggi anche: Lesioni da decubito: prevenzione, stadi, classificazione e trattamento

I migliori prodotti per la cura di ossa e dolori articolari

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche per il benessere di ossa, legamenti, cartilagini e tendini e la cura dei dolori articolari. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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Omero: anatomia dell’osso del braccio

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma OMERO ANATOMIA OSSO BRACCIO SCHELETRO OS Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.gifL’omero (pronuncia: òmero, per distinguerlo da Oméro, il poeta greco autore dell’Iliade e dell’Odissea) è un osso lungo, pari e simmetrico, che forma lo scheletro del braccio. L’omero è l’UNICO osso del braccio. Si articola superiormente con la scapola e (articolazione scapolo-omoerale) e inferiormente con le due ossa dell’avambraccio, radio e ulna (articolazione del gomito).

Da quali parti è composto l’omero?

  1. Epifisi prossimale. La testa dell’omero è costituita da una grossa superficie emisferica liscia e rivestita da cartilagine, diretta medialmente ed in rapporto con la cavità glenoidea della scapola; la testa è delimitata inferiormente dal collo anatomico dell’osso. Inferiormente al collo anatomico, nella parte frontale dell’osso, si trova un rilievo diretto in avanti noto come tubercolo minore (o trochine), inserzione del muscolo sottoscapolare; superiormente e lateralmente rispetto a quello minore si trova il tubercolo maggiore (trochite o trochitere), che con le sue tre facce dà inserzione agli altri muscoli della cuffia dei rotatori: il sopraspinato, il sottospinato e il piccolo rotondo. Tra i due tubercoli si trova il solco bicipitale (o intertubercolare), delimitato verso la diafisi da due creste che scendono dai rispettivi tubercoli (creste del tubercolo minore e maggiore); in questo solco scorre il tendine del capo lungo del bicipite brachiale. Medialmente e lateralmente al solco bicipitale si inseriscono rispettivamente il muscolo grande rotondo e grande pettorale.
  2. Diafisi. Il punto di passaggio convenzionale tra l’estremità prossimale e il corpo dell’omero è il collo chirurgico. La diafisi dell’omero è in sezione abbastanza circolare prossimalmente, mentre distalmente è triangolare. Ha quindi tre facce e tre margini. Il margine anteriore origina dal tubercolo minore, quello laterale dalla cresta epicondiloidea laterale e quello mediale dalla cresta epicondiloidea mediale. Sulla faccia antero-laterale, poco più in alto del centro, si trova la tuberosità deltoidea che rappresenta il punto di inserzione del muscolo deltoide. Al di sotto di questa si può intravedere invece il solco del nervo radiale, che dalla faccia posteriore si porta in quella antero-laterale. Sulla faccia anteromediale si trova invece il foro nutritizio dell’osso.
  3. Epifisi distale. L’estremità distale presenta una zona articolare e una zona non articolare: quella articolare è definita lateralmente dal condilo e medialmente dalla troclea dell’omero, che ha la forma di una puleggia. Il condilo si articola con la testa del radio, mentre la troclea con l’incisura trocleare o semilunare dell’olecrano dell’ulna. La porzione non articolare dell’estremità distale è data dall’epicondilo laterale (poco sviluppato) e dall’epicondilo mediale, o epitroclea (molto più sviluppato), al di sotto del quale si trova un solco che accoglie il nervo ulnare. Dai due epicondili si originano verso la diafisi la cresta sopracondiloidea mediale e la cresta sopracondiloidea laterale. Anteriormente, al di sopra del condilo, c’è la fossetta radiale che accoglie la testa del radio durante la flessione dell’avambraccio sul braccio, sopra la troclea c’è la fossetta coronoidea che accoglie il processo coronoideo dell’ulna sempre nella flessione dell’avambraccio sul braccio e posteriormente, al di sopra della troclea, è presente la fossa olecranica per accogliere l’olecrano dell’ulna nell’estensione dell’avambraccio.
  • Corpo. Il corpo ha una forma quasi cilindrica in alto e prismatica triangolare in basso. Presenta una faccia antero-mediale, una faccia antero-laterale e una faccia posteriore che sono divise da tre margini: anteriore, mediale e laterale.
  • Faccia antero-mediale. La faccia antero-mediale ha nella sua parte di mezzo il foro nutritizio al di sopra del quale è visibile un’impronta per l’inserzione del muscolo coracobrachiale; nella parte alta di questa faccia si trova il prolungamento inferiore del solco bicipitale.
  • Faccia antero-laterale. La faccia antero-laterale presenta, nel suo terzo medio, una parte rugosa, a forma di V, la tuberosità deltoidea, sulla quale si inserisce il muscolo deltoide.
  • Faccia posteriore. La faccia posteriore è percorsa dal solco del nervo radiale, una scanalatura elicoidale che ha inizio in alto presso il margine mediale e si porta in basso e in fuori, dividendo la faccia stessa in due parti, una al di sopra del solco, da cui origina il capo laterale del muscolo tricipite e una, sotto il solco, da cui nasce il capo mediale dello stesso muscolo.
  • Margine mediale. Il margine mediale percorre tutto il corpo dall’alto in basso terminando all’epitroclea.
  • Margine laterale. Il margine laterale, che è interrotto dal solco del nervo radiale, termina nell’epicondilo.
  • Margine anteriore. Il margine anteriore si biforca in basso delimitando la fossa coronoidea.
  • Estremità prossimale. L’estremità prossimale è ingrossata e fa seguito al corpo in corrispondenza del collo chirurgico. Presenta un’ampia superficie articolare quasi emisferica, rivestita di cartilagine, la testa dell’omero. La testa è delimitata, sul suo contorno, da un leggero restringimento, il collo anatomico, che la individua rispetto a due rilievi situati nelle sue vicinanze; questi sono la grande tuberosità e la piccola tuberosità.
  • Estremità distale. L’estremità distale è slargata e appiattita dall’avanti in dietro. Su ciascuno dei lati di questa estremità si trovano due rilievi rugosi; quello mediale è detto epitroclea e quello laterale è detto epicondilo. Sulla faccia anteriore dell’estremità distale si trova la fossa coronoidea nella quale, durante la flessione dell’avambraccio sul braccio, si pone il processo coronoideo dell’ulna. Sulla faccia posteriore della stessa estremità si trova la fossa olecranica che accoglie l’olecrano ulnare durante l’estensione dell’avambraccio.

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Trovato morto in casa dopo 5 anni ormai ridotto a scheletro: nel frigo la spesa del 2011

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO POLIZIA CARABINIERI FORZE ORDINE REATO LEGGE ARRESTO ARRESTATO (4)E’ stato scoperto dai vigili del fuoco in una abitazione di San Gavino, in provincia di Cagliari, il corpo ridotto a scheletro di Marcello Putzu, di 57 anni. Quanto alle cause si ipotizza una morte naturale. Il decesso dovrebbe risalire ad almeno cinque anni fa. A far scattare l’intervento dei vigili è stata la segnalazione dei vicini che hanno notato una perdita d’acqua provenire dall’appartamento della vittima. Quando i pompieri hanno aperto la porta, hanno scoperto il cadavere in stato di scheletrizzazione. Nel frigorifero buste di latte e altri alimenti con scadenza 2011, sul tavolo scontrini e ricette mediche con la stessa data, poco distante sul pavimento il corpo dell’uomo decomposto, ridotto quasi a uno scheletro. La morte dell’uomo risale a cinque anni fa, ma nessuno ne aveva denunciato la scomparsa: era separato e viveva da solo. Aveva lavorato come macchinista prima di essere licenziato.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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