Antidepressivi triciclici: overdose, tossicità e trattamento

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACI EFFETTI COLLATERALI INDICAZIONI CONTROINDICAZIONI EFFETTO DOSE DOSAGGIO PILLOLE CREMA PASTIGLIE SUPPOSTE SIRINGA INIEZIONE EMIVITA FARMACOCINETICAI triciclici (TCA) sono una classe di farmaci antidepressivi che agiscono attraverso l’inibizione non selettiva (o, in alcuni casi selettiva per la noradrenalina) della ricaptazione dei neurotrasmettitori monoamine. Sono usati principalmente nel trattamento dei disturbi dell’umore come depressione maggiore, distimia e disturbi bipolari, in particolare nelle varianti resistenti al trattamento, in molti casi non sono più, infatti, i farmaci di prima scelta. Possono essere impiegati anche nel trattamento di numerosi disordini tra cui i casi di ansia, fobia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo, panico, disturbo post traumatico da stress, cefalea ed emicrania.

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Overdose

L’overdose da TCA costituisce una significativa causa di tossicità fatale da farmaci. La grave mortalità e morbilità associate all’uso di questa classe di farmaci è ben documentata e dipende dalla tossicità cardiovascolare e neuronale. Particolarmente problematico l’effetto della potenzial mortalità nella popolazione pediatrica in quanto i TCA possono essere presenti in casa in seguito a enuresi o depressione.

Diversi trattamenti possono essere efficaci nel caso di un’overdose da TCA. L’overdose da TCA è particolarmente fatale in quanto questi farmaci, grazie alla loro lipofilia, sono rapidamente assorbiti nel tratto gastrointestinale, in particolare in corrispondenza dei pH basici dell’intestino tenue. La tossicità può comparire, pertanto, anche nella prima ora successiva all’assunzione. I sintomi possono però comparire anche più tardivamente, in particolare se un’overdose mista (ovvero con l’assunzione contemporanea di più farmaci) ha causato un rallentamento dello svuotamento gastrico.

Molti dei sintomi iniziali sono associati agli effetti anticolinergici dei TCA, come secchezza delle fauci, visione disturbata, costipazione, ritenzione urinaria, nausea e vomito. A causa della localizzazione diffusa dei recettori noradrenergici si possono osservare anche molti sintomi fisici, tra cui:

  1. Effetti anticolinergici: stato mentale alterato (es. agitazione, confusione, letargia, ecc.) tachicardia a riposo, secchezza delle fauci, midriasi, febbre.
  2. Effetti cardiaci: ipertensione (breve e reversibile, non dovrebbe essere trattata), tachicardia, ipotensione ortostatica, aritmie (incluse tachicardia ventricolare e fibrillazione ventricolare, con conseguenze anche fatali) variazioni all’ECG(intervalli QRS, QT e PR prolungati).
  3. Effetti sul Sistema Nervoso Centrale (SNC): sincope, convulsioni, coma, mioclono, iperreflessia
  4. Effetti polmonari: ipoventilazione secondaria alla depressione del SNC.
  5. Effetti gastrointestinali: borborigmo ridotto o assente.

Trattamento

Il trattamento dipende dalla gravità dei sintomi. Se è presente acidosi metabolica può essere consigliata l’infusione di bicarbonato di sodio. Sono stati ipotizzati due possibili meccanismi d’azione. Per il primo il legame alle proteine seriche degli antidepressivi triciclici risente del pH, ed è minore a pH più acidi. Pertanto somministrando bicarbonato, con conseguente alcalosi sistemica, si aumenta il legame proteico dei TCA riducendone la concentrazione di farmaco libero. L’altro meccanismo d’azione proposto coinvolge il sodio, e suggerisce che l’aumentata concentrazione di Na+ aiuti a contrastare l’effetto antagonizzante dei TCA sui canali del sodio. In assenza di acidosi il trattamento è generalmente sintomatico.

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Ritardo mentale (disabilità intellettiva) nei bambini lieve, moderato, grave: si guarisce?

DOTT. EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO PSICHIATRIA MEDICINA DELLE DIPENDENZE DIRETTORE MEDICINA ONLINE RITARDO MENTALE DISABILITA INTELLETTIVA GRAVE GUARISCE BAMBINI NEONATI RAGAZZI GIOVANI QI INTELLIGENZA CERVELLO SCUOLAIl ritardo mentale (oggi chiamato più correttamente “disabilità intellettiva” come descritto nel DSM-5) è una malattia  cognitiva persistente data da un alterato funzionamento del sistema nervoso centrale. Rappresenta una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico, con compromissione delle abilità che solitamente si manifestano durante il periodo evolutivo (capacità cognitive, linguistiche, motorie, sociali). In sintesi esso risulta dall’insieme dei deficit dello sviluppo cognitivo e socio-relazionale.

Nello specifico, i termini della definizione diagnostica sono i seguenti:

  • un funzionamento intellettivo generale significativamente al di sotto della media (quoziente d’intelligenza pari o inferiore a 70 punti, ottenuto con un test standardizzato somministrato individualmente);
  • esordio prima dei 18 anni.
  • concomitanti limitazioni nell’adattamento in due o più aree tra:
    • comunicazione;
    • cura della persona;
    • vita in famiglia;
    • attività sociali;
    • capacità di usare le risorse della comunità;
    • autodeterminazione;
    • scuola;
    • lavoro;
    • tempo libero;
    • salute;
    • sicurezza.

Classificazione di ritardo intellettivo

Possono essere specificati 4 diversi gradi di ritardo intellettivo in base al QI (quoziente d’intelligenza):

  • lieve (85% dei casi), QI da 50-55 a 70
  • moderato (10%), QI da 35-40 a 50-55
  • grave (3-4%), QI da 20-25 a 35-40
  • gravissimo (1-2%), QI inferiore 20-25.

Si può parlare di ritardo mentale con gravità non specificata quando c’è un forte motivo di supporre ritardo mentale, ma non si ha modo di valutare l’intelligenza del soggetto attraverso test standardizzati (ad esempio in soggetti troppo compromessi o non collaborativi o nella prima infanzia). In genere si può definire il livello di gravità del ritardo mentale in alcuni casi già a partire dai 6-8 anni, mentre in altri solo verso i 14-16 anni.

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Ritardo mentale lieve

Una disabilità intellettiva lieve è difficilmente evidenziabile nei primi anni di vita, questo perché nei  bambini così piccoli le difficoltà motorie, prassiche e linguistiche non sono molto visibili, inoltre la compromissione in queste aree è lieve e non facilmente distinguibile dalle capacità dei bambini senza ritardo fino ad una età più avanzata. Il periodo iniziale in cui si nota il problema è quello  dell’inserimento nella frequenza scolastica, quando possono sopraggiungere difficoltà  nell’apprendimento. Infatti, spesso si consiglia la permanenza nella scuola dell’infanzia fino ai 6 anni perché questi bambini imparano a leggere e scrivere tardivamente rispetto alla norma e generalmente intorno all’età di 7-8 anni. Fino all’età di circa vent’anni i soggetti affetti dalla patologia necessitano di un sostegno nell’adattamento scolastico e sociale. Possono conseguire un’autonomia sociale e lavorativa adeguata per un livello minimo di autosostentamento, ma ugualmente necessiteranno di supporto. Spesso non è correlato a specifiche patologie sistemiche.

Ritardo mentale moderato

Gli individui affetti da disabilità intelletiva moderata, anche da adulti, difficilmente oltrepassano un’età mentale di 5-7 anni. Presentano discrete capacità comunicative e con supervisione possono provvedere alla cura della propria persona e allo svolgimento di lavori semplici. Hanno relativa autonomia nei luoghi familiari e possono discretamente adattarsi alla vita nel contesto sociale, imparando magari a spostarsi senza aiuto impiegando mezzi pubblici (ma solo se precedentemente abituati). Per quanto riguarda l’apprendimento scolastico, comprensione e uso del linguaggio, sono lenti in quanto acquisiscono la capacità di lettura e scrittura verso i 10-12 anni, il vocabolario appreso resta piuttosto limitato e manifestano difficoltà a cogliere i nessi logici. A scuola, inoltre, viene evidenziato lo sviluppo disarmonico delle discipline (possono, per esempio, acquisire maggiori competenze in campo matematico che in quello linguistico). Di fatto, anche nel calcolo in genere riescono a contare ma difficilmente a compiere operazioni. A livello sociale i bambini con ritardo moderato tendono a sentirsi alienati rispetto ai loro compagni poiché riescono ad acquisire consapevolezza della loro condizione. La Sindrome di Down e la Sindrome di Turner (anche la sclerosi tuberosa, così come i casi lievi della Sindrome di Rett) sono due cause piuttosto frequenti di ritardo mentale moderato.

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Ritardo mentale grave

In caso di disabilità intellettiva grave, l’età mentale dell’individuo in genere si ferma ai 2-3 anni. Lo sviluppo psico-motorio è acquisito con notevole ritardo e solitamente imparano a camminare verso o in seguito ai 24 mesi presentando anche durante la crescita goffagine motoria. Quindi, anche da adulti hanno difficoltà ad eseguire delle prestazioni motorie. I livelli del linguaggio sono minimi o assenti, per lo più presenta l’olofrase tipica del periodo sensomotorio ma durante il periodo scolastico possono imparare a parlare e ad acquisire capacità per riconoscere parole semplici per i bisogni primari. Se opportunamente supportato, l’individuo può acquisire una competenza basilare della cura di sé e le capacità di svolgere attività lavorative molto semplici in ambienti protetti e in presenza di personale specializzato. Il beneficio scolastico è limitato all’insegnamento di materie prescolastiche. Sentendosi incapace di far fronte agli eventi, il soggetto può soffrire di alcune forme di frustrazione. I casi gravi di autismo e la maggior parte dei malati di Sindrome di Rett sono cause non rare alla base di un ritardo mentale grave.

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Ritardo mentale gravissimo

Nel caso di disabilità intellettiva gravissima, il soggetto presenta una età mentale inferiore ai 2 anni e non è in grado di svolgere le principali funzioni della vita quotidiana. La vita di relazione è per lo più ridotta. Linguaggio per lo più assente o fortemente compromesso con non più di 10/20 parole comprensibili con difficoltà. La necessità di sostegno è pervasiva, occupa tutta la durata della vita e deve essere continua.

Cause di ritardo mentale

Le cause di disabilità intellettiva solitamente sono distinguibili in:

  • Cause prenatali: agiscono intorno alla 28ª settimana di gestazione interferendo con i processi di morfogenesi (si tratta ad esempio aberrazioni cromosomiche, anomalie genetiche, malformazioni cerebrali, disordini metabolici, ipossia).
  • Cause perinatali: agiscono a partire dalla 29ª settimana di vita intrauterina fino alla 1ª settimana di vita extrauterina (troviamo ad esempio patologie materne, encefaliti, meningiti, insufficienza placentare, prematurità, complicanze in itinere nella gravidanza o nel parto).
  • Cause postnatali: traumi, infezioni o disordini neurodegenerativi
  • Cause ignote: le più frequenti, soprattutto per il ritardo lieve.
  • Fattori genetici: presenti nel 25% dei casi.

Le malattie genetiche più frequentemente correlate a disabilità intellettiva, sono:

  • Sindrome di Down (o trisomia del cromosoma 21)
  • Sindrome dell’X Fragile
  • Sindrome di Angelman
  • Sindrome Prader – Willi
  • Sindrome di Rett

Al contrario di quanto è solito pensare, nella maggior parte dei casi il ritardo mentale appartiene ad una categoria definita “ritardo familiare”, ovvero non dipendente da deficit biologico ma bensì da una storia di ritardo in famiglia. In questi casi rimane impossibile determinare se la disabilità intellettiva sia dovuta a cause ambientali (per esempio una situazione di povertà continua che porta alla malnutrizione) oppure se dipenda da un vero e proprio fattore genetico o da entrambe le cause in modo multifattoriale.

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Definizione diagnostica secondo il DSM-IV ed il DSM-5

La quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV) aveva sostituito con “ritardo mentale” i precedenti lemmi, in uso per indicare questa malattia, ossia quelli di oligofrenia, frenastenia, ipofrenia, insufficienza mentale ed imbecillità. Successivamente la quinta e più aggiornata edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) ha sostituito l’espressione “ritardo mentale” con quello di “disabilità intellettiva”. Non si fa più riferimento al punteggio del QI per stabilire livelli di gravità del disturbo, ma questi sono definiti in base al funzionamento adattivo in tre diversi ambiti: concettuale, sociale e pratico. I criteri diagnostici dunque, pur rimanendo nella sostanza gli stessi, sono stati riformulati in questo modo:

  • Deficit delle funzioni intellettive, come ragionamento, problem solving, pianificazione, pensiero astratto, capacità di giudizio, apprendimento scolastico e apprendimento dall’esperienza, confermati sia da una valutazione clinica, sia da test standardizzati.
  • Deficit del funzionamento adattivo che porta al mancato raggiungimento degli standard di sviluppo e socioculturali di autonomia e di responsabilità sociale.
  • Esordio dei deficit intellettivi e adattivi durante il periodo dello sviluppo.

I livelli di gravità sono così definiti:

  • Lieve: difficoltà nell’apprendimento di abilità scolastiche come lettura, scrittura, calcolo, concetto del tempo e del denaro; negli adulti sono compromessi il pensiero astratto, la funzione esecutiva e la memoria a breve termine (ambito concettuale). L’individuo è immaturo nelle interazioni sociali; la comunicazione e il linguaggio sono più concreti rispetto a quanto atteso per l’età; la capacità di giudizio sociale è immatura e la persona è a rischio di essere manipolata (ambito sociale). L’individuo può avere maggior bisogno di supporto nelle attività complesse della vita quotidiana come il fare acquisti, utilizzo dei trasporti, la gestione della casa e dei bambini (ambito pratico).
  • Moderata: nei bambini in età prescolare il linguaggio e le abilità prescolastiche si sviluppano lentamente; i progressi nelle abilità scolastiche si verificano lentamente e sono limitati rispetto ai coetanei e negli adulti si fermano a livello elementare (ambito concettuale). La capacità di relazione è evidente, ma la capacità di giudizio sociale e di prendere decisioni è limitata e il personale di supporto deve assistere la persona nelle decisioni della vita (ambito sociale). L’individuo può prendersi cura dei bisogni personali, sebbene sia richiesto un lungo periodo di insegnamento affinché possa diventare indipendente; l’indipendenza lavorativa può essere raggiunta in lavori che richiedono limitate abilità concettuali, ma è necessario un notevole sostegno; possono essere sviluppate svariate capacità ricreative; in una minoranza significativa di individui è presente un comportamento disadattivo che causa problemi sociali (ambito pratico).
  • Grave: il raggiungimento di abilità concettuali è limitato; l’individuo in genere comprende poco il linguaggio scritto o i concetti che comportano numeri, quantità, tempo e denaro (ambito concettuale). Il linguaggio parlato limitato, l’eloquio può essere composto da singoli parole o frasi e può essere facilitato con l’aiuto di strumenti aumentativi; l’individuo comprende i discorsi templi e la comunicazione gestuale (ambito sociale). L’individuo richiede un sostegno in tutte le attività della vita quotidiana e non può prendere decisioni responsabili riguardo al proprio benessere; la partecipazione a compiti domestici, attività ricreative e lavoro richiede assistenza continuativa; in una minoranza significativa di casi è presente comportamento disadattivo, compreso autolesionismo (ambito pratico).
  • Estremo: l’individuo può usare oggetti in modo finalizzato; possono essere acquisite determinate abilità visto-spaziali, come il confronto e la classificazione basati su caratteristiche fisiche, tuttavia concomitanti compromissioni motorie e sensoriali possono impedire l’uso funzionale degli oggetti (ambito concettuale). L’individuo ha una comprensione molto limitata della comunicazione simbolica nell’eloquio o nella gestualità; può comprendere alcuni gesti o istruzioni semplici; esprime i propri desideri ed emozioni principalmente attraverso la comunicazione non verbale non simbolica; concomitanti compromissioni sensoriali e fisiche possono impedire molte attività sociali (ambito sociale). L’individuo è dipendente dagli altri in ogni aspetto della cura fisica, della salute e della sicurezza quotidiane, sebbene possa essere in grado di partecipare ad alcune di queste attività. Compromissioni fisiche e sensoriali rappresentano ostacoli frequenti alla partecipazione ad attività domestiche, ricreative e professionali; è presente comportamento disadattivo in una minoranza significativa di casi (ambito pratico).

Linee di intervento psicoterapeutico-riabilitativo

Ѐ consigliabile intervenire attraverso:

  • strategie di modellaggio, basate sull’uso sistematico del rinforzo;
  • lavori sulla motivazione e sull’autostima;
  • attività per sviluppare le capacità metacognitive;
  • programmi di potenziamento dell’autonomia;
  • processi di generalizzazione degli apprendimenti;
  • situazioni di collaborazione tra scuola e famiglia.

Pur non essendo possibile guarire completamente dal ritardo mentale, tramite queste metodiche è comunque possibile rendere la vita del paziente, migliore possibile, specie nei casi di ritardo mentale lieve e moderato.

Per approfondire, leggi:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Sindrome dell’idiota sapiente: cause, caratteristiche e sintomi

MEDICINA ONLINE STUDIO STUDIARE LIBRO LEGGERE LETTURA BIBLIOTECA BIBLIOGRA LIBRERIA QUI INTELLIGENTE NERD SECCHIONE ESAMI 30 LODE UNIVERSITA SCUOLA COMPITO VERIFICA INTERROGAZIONE ORALE SCRITTO Library PICTURE HD WALLPAPERLa Sindrome del savant (in lingua italiana resa con Sindrome dell’idiota sapiente dal francese idiot savant) indica una serie di ritardi cognitivi anche gravi che presenta una persona, accanto allo sviluppo di un’abilità particolare e sopra la norma in un settore specifico.
L’espressione fu introdotta nel 1887 da un medico londinese di nome John Langdon Down per riferirsi ai bambini deboli di mente che presentavano “facoltà” speciali e a volte eccezionali. Fra queste vi erano straordinarie capacità di calcolo e disegno, attitudini meccaniche e soprattutto capacità di memorizzare, suonare e a volte comporre musica.

Epidemiologia

Il rapporto maschi-femmine risulta essere di 4-1. È stata anche ipotizzata l’influenza del testosterone, che appunto è presente in quantità maggiori nei maschi, sul feto.

Sintomi

Queste abilità si possono riscontrare in diversi campi: arti visive, in particolare nel disegno, musica, specifiche abilità matematiche o meccaniche. Meno frequentemente sono state riscontrate abilità eccezionali in aree come quella del linguaggio. I dati a disposizione tendono a classificarla come una sindrome.

Patologie correlate

Si può manifestare in concomitanza con altre sindromi come quella di Tourette e quella di Asperger in area autistica.

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Cause possibili

Le cause non sono ancora note tuttavia si nota che spesso la sindrome colpisce degli individui con problemi all’emisfero sinistro. Una delle ipotesi è che la zona colpita abbia lo scopo di elaborare le informazioni allo stato ancora primitivo, trasformandole in operazioni elaborate che permettono un comportamento normale. Se questo filtro viene a mancare l’individuo perde parte delle capacità che per gli altri sembrano facili e naturali, ma riesce ad usare delle informazioni più primitive che gli permettono di svolgere con facilità o addirittura naturalezza dei compiti che per gli altri sono difficilissimi o impossibili. Questa teoria condivide con altre l’assunzione che ogni persona possieda queste caratteristiche, ma che siano in un certo senso inibite da una qualche area del cervello.

Ci sono inoltre casi di persone che dopo traumi cranici all’emisfero sinistro hanno manifestato delle abilità (matematiche, di disegno ecc.) prima assenti. Alcuni studi invece hanno ottenuto tali manifestazioni temporanee di abilità come il disegno “disturbando” delle aree della parte sinistra del cervello mediante stimolazione magnetica transcranica.

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Disturbo schizofreniforme ed evoluzione verso la schizofrenia

MEDICINA ONLINE TRISTE CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA DEPRESSIONE VERTIGINE DONNAIl disturbo schizofreniforme è un episodio acuto con insorgenza rapida. Sono assenti i criteri DSM IV per la schizofrenia B (deficit o disfunzione sociale e/o occupazionale) e C (persistenza dei sintomi “B” per almeno sei mesi, che includano almeno un mese di persistenza dei sintomi “A”). La durata dell’episodio supera il mese, ma è inferiore ai 6 mesi. Non c’è una grave disfunzione sociale e lavorativa, perché la durata del disturbo è ridotta.

Si può fare diagnosi solo a posteriori, cioè solo dopo la certezza che vi sia stata una remissione totale poiché la sintomatologia non differisce da quella di un episodio acuto di schizofrenia. Circa il 65% dei pazienti con disturbo schizofreniforme avranno un decorso che evolve verso la schizofrenia.

L’insorgenza acuta, la confusione o perplessità, il buon funzionamento sociale/lavorativo, il mancato appiattimento affettivo sono tutti segni prognostici favorevoli.

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Schizofrenia: come si cura

Cassazione conferma solo il medico può fare il dietologo no nutrizionista distista biologoLa schizofrenia è una psicosi cronica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività, da un decorso superiore ai sei mesi, con forte disadattamento della persona ovvero una gravità tale da limitare le normali attività di vita della persona.

Trattamento

Il trattamento primario della schizofrenia prevede l’uso di farmaci antipsicotici, spesso in combinazione con un supporto psicologico e sociale. L’ospedalizzazione può essere necessaria solo per gravi episodi e può essere decisa volontariamente o, se la legislazione lo permette, contro la volontà del paziente. L’ospedalizzazione a lungo termine è rara, soprattutto dal 1950 in poi, anche se si verifica ancora. Le terapie di supporto comprendono i centri di accoglienza, le visite routinarie da parte di sanitari dedicati alla salute mentale della comunità, il sostenimento dell’occupazione e la creazione di gruppi di sostegno. Alcune evidenze indicano che un regolare esercizio fisico comporti un effetto positivo sulla salute fisica e mentale delle persone con schizofrenia, così come la pratica musicale. Le terapie del passato, come le applicazioni elettroconvulsivanti e l’insulinoterapia, non hanno mai dato risultati apprezzabili e sono sempre meno impiegate. La TEC (terapia elettroconvulsivante) è tuttavia ancora utilizzata nelle forme particolarmente resistenti ai farmaci, sebbene in condizioni molto più controllate di quanto non si facesse in passato.

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Trattamento farmacologico

Il trattamento psichiatrico di prima linea per la schizofrenia è l’assunzione di farmaci antipsicotici in grado di ridurre i sintomi positivi della psicosi in circa 7-14 giorni. Gli antipsicotici, tuttavia, non riescono a migliorare significativamente i sintomi negativi e la disfunzione cognitiva. L’uso a lungo termine riduce il rischio di recidiva. La scelta di quale antipsicotico utilizzare si basa sulla valutazione dei benefici, dei rischi e dei costi. Si può discernere su quale classe di antipsicotici sia migliore, differenziando tra tipici o atipici. Entrambi hanno uguale frequenza di ricadute quando vengono utilizzati a basse dosi. Vi è una buona risposta nel 40-50% dei casi, una risposta parziale nel 30-40%, e una resistenza al trattamento (fallimento della risposta in termini sintomatologici dopo sei settimane di trattamento con due o tre antipsicotici diversi) nel 20% delle persone. La clozapina è un farmaco efficace per coloro che rispondono poco agli altri preparati, ma presenta un effetto collaterale potenzialmente grave: l’agranulocitosi (ridotto numero di globuli bianchi) nel 1-4% dei casi. Gli antipsicotici tipici presentano effetti collaterali più spesso riguardanti il sistema extrapiramidale, mentre gli atipici sono associati a un più alto grado di rischio di sviluppare obesità, diabete e sindrome metabolica. Alcuni atipici, come la quetiapina e il risperidone sono associati a un più alto rischio di morte rispetto all’antipsicotico tipico perfenazina, mentre la clozapina è associata con il più basso rischio di decesso tra tutti. Non è chiaro se gli antipsicotici più recenti riducano le possibilità di sviluppare la sindrome neurolettica maligna, una malattia neurologica rara ma molto grave. Per gli individui che non sono disposti, o non sono in grado, di assumere regolarmente farmaci, possono essere utilizzate preparazioni di antipsicotici a lunga durata d’azione, al fine di ottenere il controllo dei sintomi. Essi riducono il rischio di recidiva in misura maggiore dei farmaci assunti per via orale. Se ciò viene utilizzato in combinazione con gli interventi psicosociali, può migliorare a lungo termine l’adesione al trattamento. Tra le terapie farmacologiche di supporto, recenti lavori scientifici confermano un ruolo per l’assunzione di acido folicocome precursore chiave per la sintesi dei principali mediatori chimici della patologia psichiatrica; nonché come modulatore delle anormalità nella trasmissione glutaminergica, e nelle frequenti alterazioni della funzione mitocondriale presenti in corso di schizofrenia. Infine, è notoriamente usato per la correzione dei deficit dei folatipresenti in corso di schizofrenia. Anche l’acetilcisteina è stata sperimentata con risultati preliminari promettenti. La sarcosina (un derivato amminoacidico) ed il Tofisopam (una benzodiazepina atipica) hanno mostrato in diversi studi un effetto positivo nei confronti dei sintomi della malattia, in particolare i negativi.

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Intervento psicosociale

Un certo numero di interventi psicosociali possono risultare utili nel trattamento della schizofrenia, tra cui: la terapia familiare, il trattamento assertivo della comunità, l’occupazione assistita, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, interventi economici e psicosociali al fine di limitare l’uso di sostanze e per la gestione del peso. La terapia familiare o assertiva di comunità, che coinvolge l’intero sistema familiare dell’individuo, può ridurre le recidive e le ospedalizzazioni. Le prove che la terapia cognitivo-comportamentale sia efficace per prevenire le ricadute e ridurre i sintomi è minima. La teatroterapia e la terapia artistica non sono state ben studiate.

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Prognosi

La schizofrenia è una condizione che comporta elevati costi sia umani, sia economici. La condizione si traduce in un’aspettativa di vita ridotta di 12-15 anni rispetto alla popolazione generale, soprattutto a causa della sua associazione con l’obesità, a stili di vita sedentari, al tabagismo e a un aumento del tasso di suicidi che, tuttavia, riveste un ruolo minore. Questa differenza nella speranza di vita è aumentata tra gli anni settanta e anni novanta, e tra gli anni 1990 ed il primo decennio del XXI secolo non è sostanzialmente cambiata neppure in un sistema sanitario con accesso aperto alle cure (come in Finlandia). La schizofrenia è una delle principali cause di disabilità, con la psicosi attiva classificata come la terza condizione più invalidante dopo la tetraplegia e la demenza e davanti alla paraplegia e alla cecità. Circa tre quarti delle persone con schizofrenia hanno disabilità in corso con recidive e 16,7 milioni di persone nel mondo sono considerate con disabilità moderata o grave a causa di questa condizione. Alcune persone guariscono completamente e altre riescono comunque a integrarsi bene nella società. La maggior parte delle persone affette da schizofrenia riescono a vivere in modo indipendente con il sostegno della comunità. Nelle persone con un primo episodio di psicosi, un buon risultato a lungo termine si verifica nel 42% dei casi, un risultato intermedio nel 35% e un risultato scarso nel 27%. Il decorso per la schizofrenia appare migliore nei paesi in via di sviluppo rispetto al mondo sviluppato. Queste conclusioni, tuttavia, sono state messe in discussione. Si riscontra un tasso di suicidi maggiore associato alla schizofrenia, ritenuto essere del 10%; tuttavia un’analisi più recente su studi e statistiche ha rivisto al ribasso la stima portandola al 4,9%. Più spesso i suicidi si verificano nel periodo successivo all’insorgenza della condizione o con il primo ricovero ospedaliero. Spesso (dal 20 a 40% dei casi) vi è almeno un tentativo di suicidio. Vi sono una serie di fattori di rischio, tra cui il sesso maschile, la depressione e un elevato quoziente d’intelligenza. In studi effettuati in tutto il mondo, si è rilevata una forte associazione tra il tabagismo e la schizofrenia. L’uso di sigarette è particolarmente elevata nei soggetti con diagnosi di schizofrenia, con stime che vanno dall’80% al 90% di fumatori abituali tra i pazienti schizofrenici, rispetto al 20% nella popolazione generale. Coloro che fumano tendono a farlo molto e in aggiunta fumano sigarette ad alto contenuto di nicotina. Alcune evidenze suggeriscono che la schizofrenia paranoide possa avere una prospettiva migliore rispetto agli altri tipi di schizofrenia per la vita indipendente e per la vita lavorativa.

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Citalopram (Elopram): interruzione, astinenza, diabete e prolungamento QT

MEDICINA ONLINE DUODENO PANCREAS DIGESTIONE GLICEMIA DIABETE ANALISI INSULINA ZUCCHERO CARBOIDRATI CIBO MANGIARE DIETA MELLITO TIPO 1 2 CURA TERAPIA FARMACI STUDIO NUOVE TENOLOGIE TERAPIEIl citalopram è una molecola della famiglia degli SSRI (selective serotonin reuptake inhibitors) utilizzata per il trattamento della depressione maggiore e dei disturbi d’ansia (attacchi di panico, ansia generalizzata, disturbo ossessivo compulsivo). Al pari di altri SSRI ha anche utilizzi off-label come per il trattamento del disturbo disforico premestruale, neuropatia diabetica e dismorfofobia, per citarne alcuni. Ecco alcune avvertenze da tenere presente se assumente questo farmaco.

Interruzione del trattamento/sindrome da astinenza

La sospensione del trattamento con citalopram deve avvenire gradualmente per ridurre il rischio di sindrome da astinenza (nausea, capogiri, cefalea, vomito, dolori muscolari, acatisia, disturbi del sonno). Nella maggior parte dei pazienti i sintomi di astinenza si risolvono in 2-3 settimane ma in un numero limitato di pazienti si sono protratti per un periodo maggiore (2-3 mesi). I sintomi da astinenza si possono verificare, oltre che al termine del trattamento, alla variazione del dosaggio, al passaggio da un antidepressivo ad un altro oppure quando la dose non viene assunta. Non interrompere mai bruscamente la terapia con citalopram quando compaiono i sintomi d’astinenza. Nel database francese delle segnalazioni spontanee per le ADR, dall’introduzione in commercio dei vari SSRI fino al 2000, il citalopram è inserito al penultimo posto per la sindrome da astinenza (2 segnalazioni); la molecola meno segnalata è la sertralina (1 segnalazione) e la più segnalata è la paroxetina (29 segnalazioni).

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Prolungamento dell’intervallo QT

Poiché il citalopram può prolungare l’intervallo QT, si raccomanda cautela in caso di pazienti con prolungamento congenito dell’intervallo QT oppure in caso di associazioni farmacologiche con farmaci noti per prolungare l’intervallo QT. L’associazione degli antidepressivi con antipsicotici aumenta il rischio di prolungamento dell’intervallo QT.

Diabete

Nei pazienti con diabete la somministrazione di un SSRI può influenzare il controllo glicemico. L’aumento del tono serotoninergico indotto dall’antidepressivo, infatti, sembrerebbe aumentare la secrezione e la sensibilità all’insulina (Gulseren et al., 2005). Il dosaggio dei farmaci antidiabetici, ipoglicemizzanti orali e insulina, potrebbe richiedere quindi un aggiustamento.

Iponatremia

Gli SSRI possono indurre iponatremia (valore medio di 120 mmoli/L) con un aumento del rischio di 3,5 volte. Nella maggior parte dei pazienti questo effetto avverso si manifesta durante il primo mese di terapia; il rischio è maggiore nelle donne anziane e nei pazienti in terapia con diuretici. L’iponatremia si manifesta con confusione, convulsioni, senso di fatica, delirio, sincope, sonnolenza, agitazione, vertigini, allucinazioni; più raramente con aggressività, disturbi della personalità e depersonalizzazione. La comparsa quindi di sintomi neuropsichiatrici durante il primo mese di trattamento deve suggerire la misurazione degli elettroliti sierici.

Citalopram ed alcool

Non sono state osservate interazioni tra Citalopram e bevande alcoliche; tuttavia la loro associazione è sconsigliata.

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Come riconoscere uno schizofrenico: primi sintomi di schizofrenia

MEDICINA ONLINE CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA IRA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA PSICOSOMATICA PSICHIATRIA OSSESSIVOLa schizofrenia è una psicosi cronica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività, da un decorso superiore ai sei mesi, con forte disadattamento della persona ovvero una gravità tale da limitare le normali attività di vita della persona.

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Segni e sintomi iniziali e tardivi

In una persona con diagnosi di schizofrenia possono verificarsi allucinazioni uditive, deliri (generalmente di natura bizzarra o persecutoria), disordine nel pensiero e nel linguaggio. Queste ultime possono variare da perdita del filo logico di un discorso a frasi solo vagamente collegate nei casi più gravi. L’abbandono dalla vita sociale, la sciatteria nel vestire e nell’igiene personale, la perdita di motivazione e di giudizio sono tutti elementi comuni nella schizofrenia. Si osservano spesso difficoltà emotive, come la mancanza di reattività. Difficoltà nel lavoro, nella memoria a lungo termine, nell’attenzione e nella velocità di elaborazione anche delle pratiche comuni si verificano frequentemente. In alcuni casi non frequenti, la persona può smettere di parlare, rimanere immobile con strane posture o agitarsi senza uno scopo, tutti segni di catatonia. La tarda adolescenza e la prima età adulta sono i periodi in cui si manifestano i picchi d’insorgenza della schizofrenia, anni critici nello sviluppo sociale e professionale di un giovane adulto. Nel 40% degli uomini e nel 23% delle donne con diagnosi di schizofrenia, la condizione si è manifestata prima all’età di 19 anni. Per ridurre al minimo l’esacerbazione del quadro clinico, molto lavoro è stato fatto per identificare e trattare la fase prodromica (pre-insorgenza) della malattia, che può essere rilevata fino a 30 mesi prima della comparsa dei sintomi. Gli individui che incominciano a sviluppare la schizofrenia possono presentare, nella fase prodromica, sintomi psicotici transitori o auto-limitanti e non specifici, come ritiro sociale, irritabilità, disforia, e goffaggine.

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Classificazione standard

La classificazione tradizionale della schizofrenia considera quattro forme principali di schizofrenia: la “schizofrenia catatonica”; la “schizofrenia ebefrenica”; la “schizofrenia paranoide”, e la “schizofrenia semplice”. Il criterio DSM classifica cinque forme, indicate di seguito. È indicata a fianco la classificazione alfanumerica corrispondente nelle tabelle ICD-9 (a sinistra) e ICD-10 (a destra) dell’Organizzazione mondiale della sanità. Il criterio ICD-10 identifica invece 7 forme.

  • (295.2/F20.2) tipo catatonico: dove sono evidenti macroscopici disturbi psicomotori, come ad esempio lo stupore catatonico, rigidità o flessibilità anomale del tono muscolare
  • (295.1/F20.1) tipo disorganizzato (o ebefrenico): l’appiattimento affettivo (chiusura in sé, disinteresse ecc.) è presente insieme alla disorganizzazione del pensiero, eventuali disordini del comportamento
  • (295.3/F20.0) tipo paranoide: i sintomi principali sono idee fisse (deliri) che includono allucinazioni, ma possono essere assenti i disturbi/disorganizzazione del pensiero o comportamento e appiattimento affettivo. Esordio tardivo ma quasi sempre acuto.
  • (295.6/F20.5) tipo residuo: viene definita così una forma dove i sintomi positivi (psicotici ma non paranoidi) sono presenti ma hanno bassa intensità, mentre quelli negativi sono significativi. Spesso compare come esito di un disturbo psichico maggiore (es: episodio schizofrenico acuto, depressione maggiore)
  • (295.9/F20.3) tipo indifferenziato: presenza di sintomi positivi (psicosi) non strutturati secondo i criteri delle precedenti forme

I sintomi positivi e negativi

La schizofrenia è spesso descritta in termini di sintomi “positivi” e “negativi” (o deficit). I sintomi positivi sono quelli che non si verificano normalmente nelle persone sane, ma sono presenti nelle persone affette da schizofrenia. Possono includere deliri, pensieri disordinati e di parola e allucinazioni tattili, uditive, visive, olfattive e gustative, in genere considerate come manifestazioni di psicosi. Le allucinazioni sono in genere relative al contenuto del tema delirante. I sintomi positivi generalmente rispondono bene ai farmaci.

I sintomi negativi sono i deficit delle normali risposte emotive o di altri processi di pensiero. Questi rispondono meno bene ai farmaci. Essi solitamente comprendono una sfera affettiva piatta o poco accentuata, scarsità a provare emozioni, povertà del linguaggio (alogia), incapacità di provare piacere (anedonia), mancanza di desiderio di formare relazioni (asocialità) e la mancanza di motivazione (abulia). La ricerca suggerisce che i sintomi negativi contribuiscano maggiormente alla scarsa qualità di vita, alla disabilità funzionale e comportano un peso per gli altri più di quanto non facciano i sintomi positivi. Gli individui con importanti sintomi negativi spesso presentano una storia di scarso adattamento già prima della comparsa della malattia e la risposta alla terapia farmacologica è spesso limitata.

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Vertigine e perdita di equilibrio: tipi, cause, diagnosi e cure

MEDICINA ONLINE CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA DEPRLa vertigine è una distorsione della percezione sensoriale dell’individuo. Tale distorsione influisce sul movimento della persona dandogli un’errata percezione dello stesso, caratterizzato da perdita di equilibrio; frequentemente essa è di tipo rotatorio.

Tipologie

Esiste una classificazione a seconda della durata e dalle cause scatenanti:

Spesso le persone utilizzano il termine “vertigini” per descrivere una molteplice varietà di sensazioni provate, che vanno dal giramento di testa, allo stordimento, alla debolezza ed anche alla vera vertigine.

La vertigine può essere accompagnata da nausea, sincope, mal di testa e più raramente disturbi alla vista e vomito.

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Cause

A seconda della durata della vertigine si può comprendere quale sia la causa scatenante

  • Secondi: vertigine posizionale parossistica benigna;
  • Minuti/ore: Sindrome di Ménière, sifilide otica, Malattia di Cogan, labirintite;
  • Giorni: neuronite vestibolare, neurinoma dell’acustico;
  • Periodi più lunghi: disturbi della sfera psicologica.

Nella maggior parte dei casi, la malattia che induce la vertigine è localizzata nell’orecchio, dato che quest’ultimo è un organo anche impiegato al mantenimento dell’equilibrio. Il labirinto, infatti, è un organo sensoriale che, contemporaneamente da entrambi i lati, invia informazioni al cervello in risposta ad ogni movimento, e solo grazie a questi dati trasmessi l’essere umano è capace di capire in quale posizione si trovi. Quindi è sufficiente aver subito danni ad uno dei due labirinti per avere disturbi di equilibrio.

Posizionale parossistica benigna (cupolitiasi) 

È molto diffusa ed è causata da una alterazione labirintica, indotta da traumi alla testa (colpo di frusta, trauma cranico, ecc.), da malattie vascolari (diabete, ecc.), ipertensionee senilità. È caratterizzata da crisi di breve durata, non molto intense e solitamente non è associata a disturbi uditivi.

Neurite vestibolare

È piuttosto rara, è facilmente diagnosticabile da un medico specialista e procura episodi gravi di vertigine. Si tratta di un’infiammazione del nervo o dei nuclei nervosi, talvolta di natura virale.

Otite media cronica

Oltre all’otite e alle sue varianti, bisogna includere tutte quelle malattie dell’orecchio medio che possono danneggiare il labirinto. La colesteatomatosa erode e può danneggiare l’osso temporale che contiene il labirinto.

Sindrome di Ménière

È caratterizzata da vertigini, diminuzione dell’udito e ronzio auricolare (acufeni). Le crisi di vertigini sono molto intense ed è possibile arrivare alla perdita totale dell’udito, mentre allo stadio iniziale il calo uditivo si ha solo in corrispondenza delle crisi.

Neuronite vestibolare

A causa di questa malattia, il nervo vestibolare subisce allungamenti o compressioni. Le crisi di vertigine non sono molto gravi anche se persistono nel tempo e sono associabili a ronzii e a una diminuzione dell’udito.

Pseudovertigine (“vertigine psicogena”)

È una forma di vertigine di origine psicosomatica, di lunga durata, quasi totalmente soggettiva, che può accompagnare il paziente anche per periodi lunghissimi, nell’ordine di mesi o anni. È di pertinenza neuropsichiatrica in quanto difficilmente risponde alle cure tradizionali.

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Esami per la diagnosi

Oltre ai normali test dell’apparato uditivo interno (p.e. il Test di Fukuda e il Test di Romberg), altri esami coinvolgono la Risonanza magnetica nucleare e la tomografia computerizzata.

Terapia

Il trattamento, oltre che al riposo forzato a letto per i casi acuti, consiste nella somministrazione di farmaci soppressori vestibolari, fra cui:

Antistaminici con i principi attivi:

  • Meclizina
  • Dimenidrinato

Benzodiazepine con i principi attivi:

  • Diazepam
  • Clonazepam

Fenotiazine fra cui la procloperazina, 25 mg in supposta, oppure la prometazina o il trimetobenzamide. Se invece la vertigine risulta ricorrente nella persona è utile l’uso della scopolamina, antiemetici se vi sono sintomi di nausea. Anche con la fisioterapia e l’esercizio fisico si possono mostrare miglioramenti. In alcuni casi si ricorre alla microchirurgia otologica che tende a far scomparire la malattia e a migliorare la componente uditiva.

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