Bronchiolite nei bimbi: mortalità, pericoli, complicazioni e durata

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Trasmissione

La trasmissione del virus respiratorio sinciziale avviene tipicamente per via aerea, ad esempio tramite colpi di tosse o particelle di saliva immessi nell’ambiente che vanno a finire su oggetti come asciugamani o giocattoli. Le due più comuni modalità di trasmissione della malattia sono:

  • attraverso gocce di saliva inalate per via aerosolica durante contatti interpersonali ravvicinati;
  • attraverso il contatto con secrezioni infette (ad esempio secrezioni nasali) che può avvenire tramite il contatto interpersonale oppure toccando del materiale infetto.

L’infezione si verifica solitamente quando il virus entra in contatto con la congiuntiva (il bianco dell’occhio) o le mucose attraverso particelle aeree oppure per contatto diretto. Sebbene il virus sia molto labile (fragile) esso resta potenzialmente infettivo sui vestiti e sulla carta per più di 30 minuti ed è ancora contagioso nelle secrezioni nasali dopo 6 ore.

Incubazione

L’incubazione è il tempo che passa tra il contagio e la comparsa dei sintomi dell’infezione. Nel caso del virus respiratorio sinciziale (RSV), il periodo di incubazione varia dai 2 agli 8 giorni, con una media di 4 giorni: ciò significa che dal momento in cui il bambino si contagia e quello in cui si sviluppano i primi sintomi, in genere passano circa quattro giorni.

Fattori di rischio

Il virus viene solitamente introdotto in un nucleo familiare dai compagni di scuola del bambino, o dai fratellini più grandi oppure da uno dei genitori che avvertono sintomi simil-influenzali. La giovane età rappresenta un importante fattore di rischio per la gravità: questa infezione comporta infatti maggiore rischio per i bambini più piccoli della famiglia. Sebbene le reinfezioni siano comuni sia negli adulti che nei bambini, la severità del quadro patologico in genere decresce con il recidivare delle stesse: in parole semplici il paziente – pur potendosi nuovamente ammalare dopo essere guarito – ha in genere una malattia più lieve la seconda volta ed ancora più lieve la terza e così via.

Prevenzione

La maggior parte dei casi di bronchiolite e polmonite non è facilmente prevenibile, perché i virus respiratori sinciziali sono diffusi nell’ambiente e facilmente trasmissibili, specie in ambienti dove sono contemporaneamente presenti molti bambini, come scuole, centri sportivi e parchi gioco. Porre molta attenzione nel lavare le mani ed il viso del bambino e nell’impedire che quest’ultimo si metta le dita in bocca dopo aver toccato oggetti di altri bambini, può aiutare a prevenire la diffusione dei virus che causano le malattie respiratorie. Soprattutto i membri della famiglia con un’infezione respiratoria dovrebbero stare molto attenti ad evitare il contagio (ad esempio fratelli e sorelle). Lavate spesso le mani, soprattutto prima di toccare il bambino. Il virus RSV può essere trasmesso facilmente a scuola, tra i vari bambini quindi è importante allontanare il bimbo infetto per evitare che passi l’infezione agli altri.

Vaccino

Allo stato attuale della ricerca, non è ancora disponibile un vaccino contro l’RSV.

Complicanze e rischi

In caso di polmonite o bronchiolite grave, specie in individuo debilitato e/o immunodeficiente e con cure inefficaci e/o intempestive, l’infezione da RSV può dar luogo a molte complicanze, anche gravi, come:

  • broncopolmonite;
  • polmonite recidivante;
  • cronicizzazione della broncopolmonite;
  • sepsi (setticemia);
  • pleurite;
  • ascesso polmonare;
  • cardiopatie;
  • perdita di coscienza;
  • coma;
  • insufficienza respiratoria;
  • decesso.

Durata delle bronchioliti

La durata è variabile in base a molti fattori come età del bambino, gravità della situazione, rapidità di intervento e presenza di altre patologie come immunodepressione. Di solito, i sintomi migliorano entro una settimana e le difficoltà respiratorie a partire dal terzo giorno.

Reinfezione dopo guarigione

Il bambino può infettarsi nuovamente dopo essere guarito? Si, può reinfettarsi. L’immunità acquisita dopo una infezione da hRSV è infatti incompleta e di breve durata. L’infezione con RSV di adulti volontari ha dimostrato che la reinfezione si verifica facilmente anche nei volontari che, della inoculazione del virus, avevano livelli di anticorpi neutralizzanti da moderati ad alti: in parole semplici, i bambini che hanno avuto bronchioliti e polmoniti da RSV e sono successivamente guariti, possono nuovamente infettarsi ed ammalarsi della stessa patologia. La severità del quadro patologico – tuttavia – in genere decresce con il recidivare delle stesse. Semplificando: il paziente – pur potendosi nuovamente ammalare dopo essere guarito – ha in genere una malattia più lieve la seconda volta ed ancora più lieve la terza e così via.

Prognosi e gravità

La prognosi/gravità di una bronchiolite determinata da virus respiratorio sinciziale è molto varia in base a molti fattori come età del paziente, presenza di eventuali altre malattie ed efficienza del sistema immunitario. Negli adulti, nei bambini più grandi e negli adolescenti, la malattia è solitamente leggera e può manifestarsi solamente come un comune raffreddore che si autolimita senza lasciare sequele. In pazienti adulti sani la malattia può essere addirittura asintomatica, cioè non determinare alcun sintomo, o si può presentare come un semplice malessere generale o come un raffreddore in assenza di febbre. Al contrario i bambini più piccoli tendono ad avere forme più severe di infezione e, se non trattati rapidamente, possono sviluppare distress respiratorio grave ed andare incontro a morte per insufficienza respiratoria. Fattori prognostici negativi per forme gravi di infezione da RSV, sono:

  • lattanti di età inferiore ai 3 mesi;
  • cardiopatia congenita;
  • displasia broncopolmonare (BPD);
  • fibrosi cistica;
  • prematurità;
  • immunodeficienza congenita o acquisita;
  • immunosoppressione;
  • chemioterapia in corso;
  • asma bronchiale;
  • allergie;
  • terapia iniziata tardivamente.

Mortalità

Il tasso di mortalità nelle bronchioliti pediatriche è meno dell’1%.

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Nel 2004 era il bambino più muscoloso al mondo, ecco com’è diventato ora

MEDICINA ONLINE RICHARD SANDRAK BODY BUILDING MUSCLE PICTURE PIC WALLPAPER HDRichard Sandrak nel 2004 era considerato il ragazzo più fortedel mondo.
Nato in Ucraina il 15 aprile 1992 dal padre Pavel, un campione di arti marziali, e Lena, un’ appassionata di aerobica, i genitori di Sandrak si trasferirono negli Stati Uniti in Pennsylvania nel 1994. Pavel ha introdotto immediatamente lsu figlio di 2 anni all’allenamento con i pesi.

Quasi subito il regime di esercizio di Sandrak era costituito da un programma completo di body building che ha segnato la sua infanzia. All’età di sei era capace di fare 600 flessioni, 600 sit-up e 300 squat ogni giorno, Sandrak era un giovane fenomeno muscoloso. I genitori speravano che sfondasse nel mondo dello spettacolo.
Si stabilirono nella California del Sud con il figlio che sembrava una versione in miniatura di Arnold Schwarzenegger.

Incontrarono l’allenatore delle celebrità Frank Giardina e sua moglie Sherry, un ex Miss Fitness America. Quando Frank vede Sandrak, che aveva solo 8 anni, “Questo è un nano? O si tratta di una specie di trucco fotografico? “Decise di occuparsi del suo allenamento
Sandrak cresce ancora più forte sotto la guida di Giardinas, trascorrendo i mesi successivi lavorando segretamente ad un nuovo regime di allenamento e di routine. Pronto a fare finalmente il suo debutto pubblico, Sandrak è salito sul palco per la prima volta ad un evento di bodybuilding come Little Hercules e ha trovato il successo immediato, quando è stato soprannominato il bambino più forte del mondo. Tuttavia, nemmeno la fama o il suo fisico potrebbe compensare il fatto che non era il bambino più felice del mondo.

Diventando una celebrità, spesso paragonato al compianto Elvis Presley con la gente in fila e ore in attesa di incontrarlo in occasione di eventi in tutto il mondo, Sandrak godrà di apparizioni televisive e copertine di riviste.
Il denaro ha iniziato ad arrivare per il giovane ragazzo e la sua famiglia. Nonostante apparisse come un bambino felice davanti alle telecamere, ciò non ha impedito il mondo da chiedersi se il Little Hercules in realtà avesse mai avuto un’infanzia al di fuori della palestra.

Ha dedicato tutta la sua infanzia alla formazione e non ha mai avuto il tempo di fare amicizia o andare alparco giochi, Sandrak ha detto che la scelta è stata per lo più la sua. “I miei genitori si allenavano tutto il tempo e ho voluto partecipare. E ‘stato in gran parte la mia scelta. Non sono mai stato costretto. Non è mai stato un problema. ” Inoltre, il padre di Sandrak gli faceva seguiva una dieta rigorosa e spesso mangiava una pizza di fronte a lui, lasciando il figlio solo con un cespo di lattuga da mangiare.
Non andava a scuola e veniva istruito a casa in modo da poter trascorrere più tempo ad allenarsi, i primi anni di vita di Sandrak come un bodybuilder sono stati segnati dalla fame di denaro e dalla violenza del padre Pavel.

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L’allenatore Giardina, trascorrendo sempre più tempo con Sandrak in palestra, scopre la violenza del padre. che costringeva spesso Sandrak a dormire sul pavimento come punizione o per migliorare la sua postura. E, se Sandrak faceva qualcosa di sbagliato durante il suo allenamento, Pavel lo costringeva a ripetere l’esercizio fino a farlo crollare per lo sfinimento.
Ma Sandrak non aveva la minima idea che la sua vita avrebbe avuto una brusca svolta.
La popolarità iniziava a calare durante l’adolescenza: molte persone avevano già dimenticato l’ex Little Hercules.

L’ex allenatore Giardina accusa il padre di abusi domestici. Durante un litigio tra la madre ed il padre, Sandrak chiama la polizia quando Pavel picchia la madre, lasciandola con un polso rotto e il naso.
Con suo padre dietro le sbarre, sotto osservazione psichiatrica, Sandrak con un nuovo talent manager, Marco Garcia, riprende l’allenamento in palestra, ma seguiva un programma regolare con la libertà di trascorrere del tempo con i suoi amici e mangiare quello che voleva tra cui la pizza e cibo spazzatura.

Garcia nel 2009, ha pubblicato il suo film d’esordio intitolato Little Hercules in 3-D con protagonista Sandrak, Hulk Hogan e Judd Nelson. Anche se il film non ebbe successo, Sandrak ha recitato in altri due film nel 2012, nessuno dei quali gli è valso molta fama.
Anche se la carriera cinematografica di Sandrak annaspava, questo non gli ha impedito di perseguire i suoi sogni. Andava in palestra cinque giorni a settimana per 90 minuti di allenamenti solo quando aveva bisogno di mettersi in forma per un ruolo. Sandrak ha poi trovato un luogo diverso per aumentare la sua popolarità quando è stato invitato a comparire in una serie di video di sensibilizzazione sanitaria per i bambini noto come allenamento Video for Kids. Consapevole delle pressioni che ha affrontato durante tutta la sua infanzia e l’aumento dell’obesità infantile, Sandrak ha accettato felicemente di partecipare.

L’ ex bodybuilder, orami 23enne, è oggi molto diverso da quello dei giorni in cui sembrava Schwarzenegger in miniatura. Dopo essere stato costretto ad allenarsi in palestra 40 ore a settimana da bambino, Sandrak ha ammesso, “Non faccio più pesi”.

Sandrak ha confessato che dopo che suo padre è andato in galera e lui e sua madre hanno tagliato tutti i legami con la relazione violenta, il bodybuilding è diventato rapidamente un ricordo del passato. Sandrak ha scoperto che era appassionato di scienza.

Alla domanda che lavoro faccia , Sandrak ha detto, “Mi sono dato alle fiamme!” Si scopre che l’ex bodybuilder è uno degli stuntmen degli Universal Studios. Sandrak è uno dei tanti attori stuntmen pregiati che vengono dati alle fiamme per la gioia del pubblico durante gli spettacoli di fuoco. Naturalmente, nessuno riconosce Sandrak come l’ex Little Hercules volare attraverso l’aria. Dopo tutto, sembra una persona completamente diversa con la barba, coda di cavallo e uno stomaco che nasconde la ex tartaruga
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Ha finalmente trovato la felicità lontano dagli occhi del pubblico ed è entusiasta di vivere una vita normale che non include apparizioni speciali, interviste o endorsement
Sul suo passato Sandrak ha detto, “Sono molto orgoglioso del mio passato. Non è qualcosa che voglio che la gente non sappia più, è solo che non ho intenzione di essere bloccato nel passato“.

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Terrore notturno: cause, sintomi, diagnosi e terapia

MEDICINA ONLINE SHINING KID SCARED CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA IRA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIADisturbo tipico dell’età pediatrica, il terrore notturno, (chiamato anche Pavor Nocturnus), si caratterizza per un parziale risveglio dal sonno profondo (fasi 3 e 4 Non REM), accompagnato, il più delle volte, da grida, agitazione intensa, pallore, sudorazione, tachicardia (cuore che batte molto veloce), tachipnea (respiro accelerato), aumento della pressione arteriosa e aumento del tono muscolare. Il bambino appare inconsolabile, poco responsivo agli stimoli ambientali e, se svegliato, è confuso, disorientato e non riconosce le persone vicine. A volte può scendere dal letto, camminare, e/o urlare per la casa terrorizzato. Infatti, spesso, le manifestazioni del terrore notturno si sovrappongono a quelle del sonnambulismo da cui si differenzia per l’attivazione del sistema nervoso autonomo (palpitazioni, sudorazione, tremore, rossore) e l’espressione di terrore. Una caratteristica fondamentale è la totale amnesia dell’episodio al mattino. Gli episodi, si verificano di solito nel primo terzo della notte, e la durata dell’episodio va dai 30 secondi ai 5 minuti. Il disturbo mostra una graduale e spontanea remissione nel tempo.

Quando esordisce e quanto è diffuso il disturbo?

L’età d’esordio oscilla tra i tre e i dieci anni senza differenze di sesso. La prevalenza è maggiore tra i 3 e i 10 anni (10-14%) mentre si riduce andando avanti con l’età (3% a 12 anni, 2% a 11 e 1% a 13 anni).

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Quali sono le cause?

Nell’esordio del disturbo si riconoscono alcuni fattori precipitanti come, asma notturna, reflusso gastroesofageo, apnee e deprivazione di sonno. La componente genetica nell’esordio di questo disturbo è molto elevata: c’è un rischio 10 volte maggiore di sviluppare terrori notturni se almeno uno dei parenti stretti ha sperimentato questo o altre parasonnie (es. sonnambulismo) nella propria vita.

Che rapporto c’è tra i terrori notturni e gli altri disturbi psicologici?

I bambini con terrori notturni in sonno non hanno una maggiore incidenza di disturbi mentali o di psicopatologia rispetto alla popolazione generale. Al contrario, in età adulta, è più elevata l’incidenza di problematiche psicopatologiche correlate quali il Disturbo Post-traumatico da Stress e soprattutto i Disturbi d’Ansia.

Come avviene la diagnosi?

L’esame strumentale (polisonnografia) è indicato nel caso in cui si renda necessaria una diagnosi differenziale con episodi di natura epilettica in sonno oppure si sospetti la presenza contemporanea di disturbi respiratori in sonno(che per definizione favoriscono l’insorgenza dei terrori notturni). Per il resto, la diagnosi sulla base della storia clinica può essere sufficiente. La diagnosi differenziale deve essere fatta anche con gli incubi, tipici della fase REM del sonno, da cui si differenziano per l’amnesia dell’episodio (gli incubi generalmente si ricordano) e anche per la fase del sonnointeressata (prima parte del sonno nel caso dei terrori notturni, fase centrale/ultima parte nel caso degli incubi). I terrori notturni, inoltre, devono essere distinti anche da episodi di attacchi di panico notturni che consistono in un risveglio associato a tachicardia, sudorazione e sensazione di soffocamento. Generalmente, a differenza dei terrori notturni, questi pazienti ricordano l’episodio al mattino e la durata dell’evento è compresa tra i 2 e gli 8 minuti.

In cosa consiste il trattamento?

Generalmente l’evoluzione del disturbo da terrore notturno ha un andamento benigno e tende ad andare incontro a remissione spontanea senza interventi mirati. Se i terrori notturni hanno una frequenza inferiore a 1 settimana e non mettono a rischio di incidenti il bambino, si possono adottare accorgimenti non farmacologici, tra cui:

  • Adottare misure di sicurezza in casa (es. bloccare porte e/o scale, rimuovere oggetti che possono costituire intralcio o possono essere dannosi se il bambino si alza)
  • Curare l’igiene del sonno (mantenere un regolare ritmo sonno veglia, evitare caffeina e coca-cola, ecc…)
  • Evitare di risvegliare il bambino durante l’episodio perché potrebbe aumentare l’agitazione e prolungare l’evento
  • Consigliare tecniche di rilassamento all’addormentamento
  • Minimizzare l’intervento dei genitori perché può portare ad aumentare l’agitazione e a prolungare gli episodi
  • Evitare di riferire al bambino il giorno seguente quanto avvenuto durante la notte poiché questo potrebbe causare disturbi d’ansia

Quando invece sono presenti le condizioni di seguito elencate, si rende necessario un intervento specialistico:

  • Diagnosi confermata attraverso uno studio del sonno completo del bambino
  • Presenza di parasonnia del sonno NREM caratterizzata da episodi di terrore notturno (pianto e grida, sintomi di iperattivazione, reazioni comportamentali di estrema paura)
  • Cronicità dei sintomi
  • Frequenza elevata degli episodi (ogni notte o più volte a settimana)
  • Gli episodi si manifestano in determinati periodi della notte

In questi casi, dopo una valutazione clinica approfondita (anamnesi dei disturbi del sonno, polisonnografia), un tipo di trattamento indicato consiste in un protocollo di risvegli notturni programmati per una o più settimane. I risvegli notturni, infatti, alterano i cicli del sonno del bambino, modificando il pattern elettrofisiologico che sottende al disturbo. Si tratta di una strategia comportamentale molto efficace, seppur faticosa, che consiste nel risvegliare il bambino prima dell’orario in cui di solito si verificano gli episodi e, in seguito, predisporlo nuovamente a dormire.

Il trattamento farmacologico, utilizzato soltanto in casi estremi (episodi frequenti o rischiosi per l’incolumità del bambino), prevede l’utilizzo di benzodiazepine o antidepressivi. Gli effetti collaterali, però, specialmente nei bambini, sono frequenti, e tra questi possono presentarsi: alterazioni comportamentali, disturbi dell’attenzione e della memoria, astenia e stadi allucinatori. Una valida scelta, utilizzata nei bambini (poiché ha ridottissimi effetti collaterali e non da assuefazione) è il L-5-idrossitriptofano, che determina una stabilizzazione del sonno, riducendo i fenomeni di terrori notturni.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Doping nei bambini: perché è così diffuso e quali farmaci vengono usati

MEDICINA ONLINE KIDS PLAY FOOTBALL CALCIO SOCCER ALLENAMENTO PALLONE SPORT DOPING ADOLESCENTE MIGLIORE PUBERTA SVILUPPO ETA EVOLUTIVA CONSIGLIO SQUADRA SALUTE FORZA MEDICO DELLO SPORT VISITA AGONISTICO.jpgDoping è un termine inglese che tradotto in italiano significa “fare uso di droghe o sostanze stupefacenti”. Nell’ambito sportivo significa usare sostanze o procedimenti destinati ad aumentare artificialmente il rendimento in occasione di una gara sportiva.I composti chimici utilizzati illecitamente nello sport sono molti, con diversi meccanismi d’azione e diverso grado di pericolosità.
Oggi il doping è diventato un fenomeno sociale preoccupante, non più circoscritto alla sola cerchia degli atleti professionisti e non più limitato al giorno prima della gara, ma esteso a vasti strati della popolazione sportiva con coinvolgimento dilagante dei più giovani e fin anche dei bambini.

Perché è così diffuso?

Per un giovane la ricerca del successo può essere così attraente e irresistibile che può perdere di vista che cosa sia giusto e cosa no ed essere più importante della prospettiva di seri danni alla salute da abuso di farmaci. Per qualcuno l’incentivo principale può essere quello economico.
Negli U.S.A. (Denver, Colorado) uno studio condotto nel 1995 ha evdenziato che l’età media in cui gli studenti iniziano ad usare steroidi anabolizzanti è di 14 anni (range 8-17 anni); un questionario somministrato in tale ambito rilevò l’assoluta mancanza di informazioni degli utilizzatori circa gli effetti dei farmaci da loro utilizzati e il desiderio di solo il 18% di ricevere qualche informazione dal medico di loro riferimento.
Nel 1993 il “Canadian Center for Drug-free Sport” ha stimato che il 2,8% di bambini/adolescenti con un’età compresa fra gli 11 e i 18 anni avevano usato steroidi anabolizzanti nei precedenti 12 mesi, stimando così la presenza di 83.000 utilizzatori fra gli scolari canadesi. Analogamente, in Europa venne condotto uno studio nel 1998 su 1.000 scolari inglesi. Emerse che gli steroidi anabolizzanti dopo i cannabinoidi e le amfetamine erano la droga più comunemente offerta; al 6,4% dei bambini e all’1,3% delle bambine era stato proposto l’uso degli steroidi anabolizzanti.

Quali sostanze vengono utilizzate e quali sono i rischi per la salute?

Il doping ormonale include l’ormone maschile testosterone ed i composti chimici a questo affine. I rischi per la salute legati all’abuso di questi farmaci sono molteplici. Oltre a difetti nella struttura del tessuto muscolare che predispongono a rottura dei tendini sotto sforzo, possono essere epatotossici; nei giovani in fase pre-pubere o appena post-pubere determinano un’accelerazione della maturazione scheletrica con arresto prematuro della crescita, nelle ragazze l’abuso di ormoni androgeni comporta irsutismo e irregolarità dei cicli mestruali o vera e propria virilizzazione a seconda della entità e della durata dell’abuso.
Determinano inoltre un aumento della pressione arteriosa, che si traduce in un aumentato rischio per eventi cardiovascolari (infarto miocardio, ictus cerebrale) e causano gravi sintomi psicotici quali stati maniaco-depressivipsicosi paranoidi e aggressività.
Vi sono inoltre segnalazioni di tumori al fegato e alla prostata in atleti che facevano uso indiscriminato di anabolizzanti. L’ormone della crescita è una proteina secreta in maniera pulsatile dall’ipofisi e viene utilizzato per la terapia dei bambini con deficit di tale ormone.
Oggi è un farmaco in gran voga fra coloro che abusano di sostanze per migliorare la propria performance atletica, non solo nelle specialità di potenza (velocità, lanci, sollevamento peso, ecc.) come nel caso degli steroidi anabolizzanti, ma anche in quelli a più alto impegno del metabolismo aerobico, quali per esempio gare di endurance.
Quando l’ormone della crescita viene somministrato a lungo termine in soggetti che non ne sono carenti provoca i segni ed una serie di patologie come gigantismo (se somministrazione avviene prima dello sviluppo) o acromegalia (se avviene al termine dello sviluppo). Il doping è un fenomeno dilagante non soltanto fra gli adulti: sempre più minorenni finiscono vittime del doping. La fascia di età a rischio si è abbassata progressivamente arrivando ad interessare i bambini/adolescenti di 8-17 anni.

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Il ruolo del medico

L’utilizzo di sostanze che migliorano la performance fisica da parte dei giovanissimi è un problema nuovo che non solo il pediatra, ma l’intera società si trova a dover affrontare per i notevoli risvolti morali che tale abuso comporta.  Il ruolo del pediatra e del medico sportivo in tal senso è “prezioso”: possono fornire informazioni reali sugli effetti positivi in termini di rendimento fisico e sulle conseguenze mediche derivanti dall’uso di sostanze “dopanti”, e possono consigliare come alternativa per raggiungere una performance atletica ottimale un “sano” allenamento e un’alimentazione bilanciata.
Il tentativo di scoraggiare il giovane tramite informazioni inesatte che sminuiscano la reale efficacia dei farmaci riduce soltanto la credibilità del medico e non aiuta nella lotta al doping. Un’azione contro il doping richiede necessariamente una comprensione delle motivazioni psicologiche e sociali che portano un bambino o un adolescente ad abusare di farmaci e dovrebbe essere rivolta anche agli adulti, allenatori, organizzatori di eventi sportivi, genitori di bambini/adolescenti sportivi.
La pratica del doping ha quindi pochi vantaggi e tantissimi rischi. È questa la ragione per cui in tutto il mondo si cerca di debellarla. Le metodiche punitive antidoping non hanno dato ad oggi i risultati attesi. Nell’ambito di un fenomeno endemico che affonda le sue radici nella società e che al momento non trova ostacoli al suo diffondersi, il ruolo del medico appare cruciale.
Come sottolineato dalla Società Americana di Pediatria, la prevenzione tramite l’istruzione appare il primo strumento da utilizzare. È compito poi del medico identificare i giovani a rischio, comprenderne le motivazioni e tentare di allontanarli dal doping; compito del medico è anche quello di seguire clinicamente colui che ha fatto uso di doping, prescindendo dai propri pregiudizi ed impostando un piano diagnostico e terapeutico come per qualunque altro paziente.

Come prevenire e contrastare il doping?

La società americana di pediatria ha emanato una serie di raccomandazioni per guidare il pediatra nei casi certi o sospetti per doping e soprattutto per prevenire l’avvicinamento dei giovanissimi a tale pratica:

– l’utilizzo delle sostanze volte a migliorare la performance fisica deve essere fortemente sconsigliato;
– i genitori devono assumere una posizione forte e convincente contro il doping e quando possibile devono richiedere che gi allenatori vengano adeguatamente informati circa gli eventi avversi del doping;
– la scuola, i comitati organizzativi sportivi devono scoraggiare attivamente il doping e provvedere a programmi educativi volti a formare gli allenatori, i genitori e gli atleti;
– programmi educativi che incoraggino una competizione agonistica senza doping devono essere propagandati. Tali programmi devono sottolineare la validità di una alimentazione corretta, di un allenamento sano rispetto ad un abuso di farmaci che comporta danni fisici ancora non completamente noti. Una formazione di tipo psicologico deve essere fornita al giovane per aiutarlo a non cedere alle pressioni che lo portano verso il doping;
– la scuola, le squadre devono promuovere la discussione aperta dell’utilizzo dei farmaci in ambito sportivo. Devono propagandare il concetto che il doping va evitato non per la paura di essere scoperti ai test antidoping, ma perché è immorale voler vincere a tutti costi sugli altri facendo il ricorso a farmaci;
– domande circa l’uso dei farmaci dopanti devono essere poste nel corso della visita medica, nello stesso modo con cui si chiede circa l’uso del tabacco e dell’alcol;
– coloro che ammettono di far ricorso al doping devono essere adeguatamente informati circa i benefici in ambito sportivo, gli effetti avversi noti e la mancanza attuale di dati sugli effetti a lungo termine nei giovani utilizzatori. Fondamentale è individuare la sostanza di cui il giovane abusa per poter instaurare se necessario un programma diagnostico e terapeutico;
– il pediatra che segue un giovane che ammette di utilizzare sostanze doping deve tentare di capirne le motivazioni, deve valutare la possibilità di abuso di altre sostanze illecite quali stupefacenti, e deve tentare di proporre come valide alternative salutari e moralmente corrette nel raggiungimento degli obiettivi sportivi;
– i non-utilizzatori di sostanze doping devono essere incoraggiati nella loro scelta, instaurando così con loro un dialogo aperto sull’argomento.
– I pediatri, infine, devono promuovere lo sport fra i giovanissimi, fornendo informazioni sugli effetti benefici dell’attività fisica in un organismo in crescita, sull’importanza di una sana alimentazione, su come mantenere un peso corporeo adeguato, su come prevenire le lesioni da sport.

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Il doping nei bambini e negli adolescenti: il ruolo dei genitori

MEDICINA ONLINE KIDS PLAY FOOTBALL CALCIO SOCCER ALLENAMENTO PALLONE SPORT DOPING ADOLESCENTE MIGLIORE PUBERTA SVILUPPO ETA EVOLUTIVA CONSIGLIO SQUADRA SALUTE FORZA MEDICO DELLO SPORT VISITA AGONISTICOSe ne parla ancora troppo poco, ma sono tantissimi i bambini e gli adolescenti che fanno uso di sostanze dopanti per migliorare le prestazioni sportive o, ancora più grave, sostenuti e incitati dai genitori a farne uso, pur di vincere. Questi aspetti sono estremamente dannosi per il fisico e per la psiche dei ragazzi coinvolti.

Con la parola doping si intendono tutte quelle sostanze che aumentano in maniera artificiale le prestazioni ed il rendimento fisico, muscolare, sia in termini di forza che di durata. Le sostanze dopanti aiutano a ridurre la percezione della fatica, migliorano le prestazioni sotto vari punti di vista, vanno ad intervenire sull’apparato cardiovascolare e respiratorio, sulla forza muscolare e anche sul peso corporeo. Il problema è che se somministrati in bambini e adolescenti in piena fase di sviluppo psico-fisico, si rischia di creare danni permanenti, come un arresto della crescita prematuro. Spesso vanno ad intaccare il ciclo mestruale nelle ragazze e i testicoli nei ragazzi, favorendo l’atrofizzazione, aumentando quindi il rischio di impotenza ed infertilità. Il doping ha effetti importanti anche da un punto di vista psicologico: la presenza di alcuni ormoni, aumenta l’aggressività e favorisce sbalzi dell’umore con presenza di sintomi depressivi. Un recente studio condotto su 2793 adolescenti di età media di 14,4 anni, ha rilevato che, gli adolescenti maschi del campione intervistato utilizzano per il 34,7% proteine in polvere, il 10% altre sostanze per accrescere la muscolatura e circa il 6% steroidi, mentre le femmine, il 21.2% proteine, il 5,5% altre sostanze e il 4,6% steroidi (Eisenberg et al. 2012).

Spesso sono gli stessi ragazzi che sfruttano la rete o conoscenze personali, per impossessarsi di queste sostanze; altre volte sono gli allenatori che stilano piani alimentari e consigliano quelli che chiamano “integratori”. In questi casi i genitori sono spesso assenti o poco presenti nella vita dei figli, non fanno caso ai loro cambiamenti di umore o li attribuiscono a problemi scolastici, o alla adolescenza stessa. Non si accorgono delle modificazioni corporee troppo repentine dei figli che non possono essere attribuite solo alla alimentazione. In questi casi è importante fare molta attenzione alla fissazione per il fisico e per il corpo del ragazzo, alla ossessione per l’alimentazione e alla eccessiva attività sportiva. Attenti anche alle amicizie, spesso, durante le fasi della crescita, queste cose si fanno in gruppo perché deresponsabilizza e facilita. È importante che parliate con loro, domandategli cosa sta succedendo e come mai stanno indirizzando tutta questa attenzione al corpo. Controllate se vi chiedono soldi per comprare integratori o quant’altro e chiedete di visionare i prodotti che acquistano. Se non siete sicuri rivolgetevi ad uno specialista.

Altre volte, però, sono gli stessi genitori che non concedono ai figli il diritto di NON essere campioni e vogliono che vincano a tutti i costi, mettendo a repentaglio anche la salute e il benessere psico-fisico. Nel febbraio 2014, il tribunale di Treviso, ha tolto la patria potestà ai genitori di un quattordicenne, affidando il minore ai servizi sociali, perché lo obbligavano a doparsi per vincere. In tal modo, per i genitori, la fissazione di voler trasformare il proprio figlio per forza in un campione li porta a perdere di vista il benessere del figlio, la salute e l’educazione. In questo modo si insegna al figlio che nella vita bisogna vincere per forza, che sei accettato solo se sei un vincente. Si trasmette al figlio una pesantezza psichica notevole, che trasforma lo sport da divertimento e scarico, a stress. Il figlio vive uno stato emotivo caratterizzato dalla paura di fallire, di non essere all’altezza, di deludere o, nel caso contrario, si rischia di stimolare talmente tanto la competitività che si apprende l’insegnamento sbagliato: “pur di vincere, si può anche annientare l’avversario”. La competizione diventa quindi prevaricazione e può dar luogo anche ad episodi di bullismo, che si possono riproporre anche in ambito scolastico e relazionale. In questo modo NON si vince, ma si perde il reale significato dello sport.

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Doping sempre più diffuso tra i giovani, anche sotto i 12 anni

MEDICINA ONLINE KIDS PLAY FOOTBALL CALCIO SOCCER ALLENAMENTO PALLONE SPORT DOPING ADOLESCENTE MIGLIORE PUBERTA SVILUPPO ETA EVOLUTIVA CONSIGLIO SQUADRA SALUTE FORZA MEDICO DELLO SPORT VISITA AGONISTICOIl doping si diffonde sempre più tra i giovani sportivi, addirittura sotto i dodici anni. E anche se questi ultimi non sono sottoposti a controlli, forse sono già  sottoposti a questo tipo di sollecitazioni.  A lanciare l’allarme è Francesco Botrè, direttore del Laboratorio antidoping della Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI).

Quanto è diffuso il fenomeno e quali sono le sue radici?
Purtroppo non ci sono dati sugli adolescenti, perché in laboratorio analizziamo i campioni in maniera assolutamente anonima, senza nemmeno sapere a quale sport si riferiscano. Però chiaramente il pericolo esiste. Nello sport agiscono le stesse sollecitazioni che si incontrano in altri campi: l’uso di sostanze e farmaci inizia come “aiutino” alla prestazione, per fare meglio, ma anche per essere “in” a scuola, con gli amici. È a rischio soprattutto chi non è in grado di raggiungere un livello che è considerato accettabile di prestazione con i propri mezzi. Dopodiché diventa indispensabile. I luoghi più a rischio (palestra,  piscine…) sono quelli nei quali la pratica sportiva diventa assidua e il bisogno di gareggiare e vincere ‒ ma anche di costruirsi un fisico “speciale” ‒ supera le altre motivazioni, quelle più sane e più corrette, basate sulla fiducia nei propri mezzi e sul confronto leale e aperto con gli avversari. Il punto è che però il doping non è una scorciatoia, è una deviazione. Se la società è basata solo sul risultato e non sul percorso che si fa per ottenerlo, è chiaro che qualsiasi strada lecita o illecita che permette di raggiungere l’obiettivo diventa appetibile.

Quali sono i rischi per la salute?
L’abuso prolungato, ad esempio degli anabolizzanti, comporta in un primo tempo alterazioni reversibili che si ripercuotono spesso anche sull’umore, ma che più avanti diventano irreversibili e mettono a dura prova il lavoro del fegato e dei reni i cui valori di funzionalità risultano alterati agli esami del sangue.

Servono più controlli?
Va tenuta alta la soglia di attenzione sulla necessità  di proteggere i giovani da una stimolazione eccessiva verso la prestazione. Non è però facendo tanti controlli sui ragazzi che si risolve la situazione: è soprattutto un problema di prevenzione e di educazione.

Cosa può fare il pediatra?
Il pediatra è un osservatore privilegiato, arriva dove l’allenatore, il genitore, l’insegnante o il parroco non possono arrivare. È essenziale che i pediatri siano sensibilizzati. Innanzitutto sui rischi sanitari, e poi su quelli etici. Intanto l’auto-somministrazione di sostanze dopanti, vietata per legge, provoca alterazioni che possono non essere così facilmente evidenti (stanchezza, irritabilità, disattenzione, calo dell’autostima, calo o aumento dell’appetito e del peso, aggressività, insonnia). Il pediatra ha un ruolo fondamentale perché è in grado di cogliere, se preparato, i cambiamenti del ragazzo, di parlare con lui e con i genitori, di correggere la situazione e di ristabilire una giusta scala di priorità nelle aspettative del ragazzo e dei suoi genitori, prima che sia troppo tardi.

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Differenze tra denti da latte (decidui) e permanenti

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE DENTI DA LATTE DECIDUI PERMANENTI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano.jpgNell’uomo esistono due ordini di denti:
  • i denti decidui (anche chiamati denti da latte);
  • i denti permanenti.

I denti decidui (da latte) spuntano tra i 6 ed i 33 mesi e cadono tra i 6 ed i 12 anni circa; i denti permanenti sostituiscono i denti permanenti a partire dai 6 anni.

MEDICINA ONLINE DENTI DECIDUI DA LATTE BAMBINI.

Denti da latte

I denti decidui sono 20 (10 superiori e 10 inferiori), mentre i permanenti sono 32 (16 superiori e 16 inferiori).

MEDICINA ONLINE DENTI PERMANENTI ADULTI DENTATURA BOCCA DENTISTA.

Denti permanenti

Rispetto ai denti permanenti, i denti di latte o decidui sono generalmente più piccoli, hanno un colore più chiaro e le cuspidi sono meno accentuate.

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Denti da latte (decidui) nei bambini: quando spuntano e cadono?

MEDICINA BIMBO BAMBINO BAMBINA FIGLIA KID BABY LITTLE GIRL NEONATO PEDIATRIA DENTI DA LATTE DECIDUI INFANZIA SCUOLA EDUCAZIONE BIMBA FELICE FELICITA FAMIGLIA PEDAGOGIALa dentatura da latte (anche chiamata “dentatura decidua”) è composta da venti denti (dieci superiori e dieci inferiori):

  • otto incisivi;
  • quattro canini;
  • otto molari;

Non esistono premolari decidui. I denti da latte sono anche chiamati “denti decidui”.

MEDICINA ONLINE DENTI DA LATTE BAMBINI.

A che età ai bambini spuntano i denti di latte?

I denti di latte iniziano in genere a crescere all’età di 8 mesi con notevoli differenze individuali. I primissimi denti che nascono sono quelli anteriori del mascellare inferiore. All’età di 18 mesi si vedono i primi molari.

A che età i bambini cambiano i denti di latte?

I denti cominciano ad essere sostituiti all’età di 6 anni e proseguono nel loro cambiamento fino a 13 anni, raggiungendo così il totale di 28 denti.

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