Il fegato è una ghiandola extramurale anficrina (a secrezione endocrina ed esocrina) annessa all’apparato digerente dalla particolare forma a cuneo, forma letteralmente modellata dai numerosi rapporti che sviluppa con gli organi ed i muscoli adiacenti. E’ situato al di sotto del diaframma, sul lato destro e svolge numerose funzioni Continua a leggere
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Dove si trova il fegato ed a che serve?
Il fegato è una ghiandola annessa all’apparato digerente dalla particolare forma a cuneo, forma letteralmente modellata dai numerosi rapporti che sviluppa con gli organi ed i muscoli adiacenti. E situato al di sotto del diaframma e svolge numerose funzioni nell’organismo.
Il fegato si trova a destra o sinistra?
Manovra e segno di Murphy positivo o negativo: cos’è e cosa indica
La manovra di Murphy è una manovra utilizzata dal medico in semeiotica per indagare la presenza di un dolore che ha origine nella colecisti (anche chiamata cistifellea). Il suo nome trae origine dal celebre chirurgo statunitense John Benjamin Murphy.
Come si esegue la manovra di Murphy?
- Il paziente giace steso in posizione supina (con la pancia verso l’alto);
- il medico si dispone in piedi sul lato destro del paziente;
- il medico poggia la mano destra a piatto sul quadrante superiore destro dell’addome;
- il medico preme le punte dell’indice e del medio sul punto colecistico (situato sotto la decima costa di destra, a livello della sua estremità anteriore);
- si fa inspirare profondamente il paziente, sempre comprimendo il punto cistico: in questo modo la colecisti viene spinta in basso e in avanti dal diaframma fino a toccare la parete anteriore dell’addome.
- se il tocco dell’organo da parte delle due dita esacerberà il dolore, per cui il paziente smetterà bruscamente di inspirare, il segno di Murphy è positivo, indice della probabile presenza di una colecistite o di una calcolosi, in caso contrario il segno di Murphy è negativo.
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Cosa indica il segno di Murphy positivo?
Come appena accennato, il segno di Murphy positivo è indice della probabile presenza di una colecistite o di una calcolosi. La patologia per cui più frequentemente si osserva la positività della manovra di Murphy è la colecistite acuta, cioè l’infiammazione acuta della cistifellea; se invece sono presenti una colecistite cronica o una calcolosi, il segno sarà più sfumato o si dovrà esercitare una pressione maggiore per ottenere una franca positività.
Il segno di Murphy è sufficiente per fare diagnosi?
No. Come sovente accade in semeiotica, il segno di Murphy positivo rappresenta una indicazione di diagnosi e NON è sufficiente da solo per fare alcuna diagnosi precisa: quest’ultima va infatti indagata proseguendo con esami diagnostici di laboratorio (esami ematochimici) e di diagnostica per immagini (ecografia, RX…) che possono evitare falsi positivi e negativi.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Colecistite acuta e cronica litiasica e alitiasica: cause, terapia, dieta e rimedi naturali
La colecistite è una patologia caratterizzata da infiammazione della colecisti (chiamata anche cistifellea, in inglese “gallbladder“) causata frequentemente dalla presenza di un calcolo incuneato nell’infundibolo della colecisti: il calcolo ostruendo il deflusso della bile oltre a dare colica biliare, infiamma la colecisti colecistite litiasica. La colecistite può anche essere alitiasica, cioè non provocata da calcoli della colecisti. La colecistite può essere distinta anche in acuta o cronica.
Cause
La causa più frequente che blocca lo scorrimento della bile è la calcolosi biliare, ma anche la discinesia biliare può causare la colecistite. I calcoli della colecisti (o litiasi della colecisti) rappresentano una situazione caratterizzata dalla presenza di formazioni dure simili a sassi, di dimensioni variabili da pochi millimetri a qualche centimetro, all’interno della colecisti (o cistifellea). È una malattia assai frequente, presente nel 10-15% della popolazione adulta con maggiore diffusione nel sesso femminile. Il sovrappeso, il diabete di tipo 2, la stipsi, ma anche il rapido calo ponderale dovuto a diete fortemente ipocaloriche, possono predisporre alla formazione di calcoli.
Molti dei pazienti con litiasi biliare rimangono senza sintomi per molti anni (circa il 50-70%) e possono anche non svilupparne mai alcuno. In altri casi, con una frequenza difficilmente stimabile, i calcoli possono causare sintomi o complicanze anche severe, come la colecistite acuta, l’empiema della colecisti, le angiocoliti o la pancreatite acuta. Esistono diversi tipi di calcoli della cistifellea (colecisti); quelli più frequenti in occidente sono costituiti da colesterolo. Una corretta alimentazione può prevenire la formazione di calcoli o, se già presenti e sintomatici, ridurre gli episodi di coliche biliari e, se indicata, migliorare l’efficacia della terapia medica con acidi biliari.
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Segni e sintomi
Una colecistite sia di origine litiasica che alitiasica, determina dolore addominale generalizzato, vomito, indigestione, ittero e febbre. Il sintomo più comune riferibile con certezza ai calcoli della colecisti è la colica biliare postprandiale, un dolore acuto ed intermittente che interviene dopo mangiato, che corrisponde al tentativo di spostamento dei calcoli nel condotto biliare ostruito.
Diagnosi
Alla diagnosi si arriva con l’ecografia dell’addome ed esami del sangue. Gli esami ematochimici possono essere alterati con i globuli bianchi e il fibrinogeno che si alzano e può comparire febbre. All’ecografia addominale la colecisti appare ispessita rispetto al normale e all’esame obiettivo appare spesso il segno di Murphy (brusca interruzione di una inspirazione profonda a seguito di pressione bidigitale sul punto colecistico). Può comparire il Segno di Blumberg in caso di irritazione peritoneale.
Complicanze
La colecistite è una complicanza frequente della colelitiasi e se non trattata può portare a perforazione della colecisti stessa e peritonite. La colecisti è seguita da neoplasie del pancreas, colangiocarcinoma e pancreatiti.
Trattamento
Per calcoli di dimensione minore di 10 mm ci si avvale della somministrazione di acidi biliari 10-15 mg/kg/die. La metodica di elezione consiste nella colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP). L’uso della litotrissia extracorporea ad onde d’urto è indicato in combinazione con il trattamento endoscopico o nei casi in cui quest’ultimo non abbia avuto successo. In caso di litiasi biliare sintomatica si procede alla colecistectomia laparoscopica o laparotomica.
Consigli dietologici e comportamentali in caso di colecistite
- bere molta acqua;
- preferire pasti piccoli e frazionati nel corso della giornata per migliorare la motilità della colecisti e ridurre il rischio di sovrasaturazione in colesterolo della bile;
- prediligere preparazioni semplici come la cottura al vapore, ai ferri, alla griglia, alla piastra, al forno, al cartoccio;
- evitare un’alimentazione sbilanciata, troppo ricca di grassi;
- consumare cibi che aiutano a normalizzare il transito gastrico e intestinale;
- seguire le raccomandazioni per una corretta alimentazione nella popolazione generale in merito alla riduzione di grassi soprattutto di origine animale, di bevande ed alimenti ricchi di zuccheri e all’assunzione di adeguate porzioni di frutta e verdura;
- In caso di sovrappeso o obesità si raccomanda la riduzione del peso e del “giro vita” ossia la circonferenza addominale, indicatore della quantità di grasso depositata a livello viscerale. Valori di circonferenza vita superiori a 94 cm nell’uomo e ad 80 cm nella donna si associano ad un rischio cardiovascolare “moderato”, valori superiori a 102 cm nell’uomo e ad 88 cm nella donna sono associati ad un “rischio elevato”. Tornare ad un peso normale permette di ridurre il rischio di calcolosi della colecisti, ma anche di ridurre gli altri fattori di rischio cardiovascolare (come ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, insulino-resistenza);
- evitare le diete fai da te! Un calo di peso troppo veloce può determinare la comparsa di calcoli biliari e inoltre un regime dietetico troppo ristretto impedisce una buona compliance ed aumenta il rischio di recuperare il peso perso con gli interessi;
- rendere lo stile di vita più attivo (abbandona la sedentarietà! Vai al lavoro a piedi, in bicicletta o parcheggia lontano, se puoi evita l’uso dell’ascensore e fai le scale a piedi);
- praticare attività fisica almeno tre volte alla settimana. La scelta va sempre effettuata nell’ambito degli sport con caratteristiche aerobiche, moderata intensità e lunga durata, come, ciclismo, ginnastica aerobica, cammino a 4 km ora, nuoto, più efficaci per eliminare il grasso in eccesso e prevenire la colelitiasi;
- non fumare.
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Alimenti sconsigliati
- Alcolici e superalcolici.
- Grassi animali: burro, lardo, strutto, panna.
- Salse con panna, sughi cotti con abbondanti quantità di olio, margarina.
- Maionese e altre salse elaborate.
- Brodo di carne, estratti per brodo, estratti di carne, minestre già pronte con tali ingredienti.
- Insaccati: mortadella, salame, salsiccia, pancetta, coppa, ciccioli, cotechino, zampone, ecc.
- Pesci grassi e frutti di mare.
- Carni grasse, affumicate, marinate e salate. Selvaggina e frattaglie.
- Formaggi piccanti e fermentati.
- Latte intero.
- Grasso visibile di carni e affettati.
- Cibi da fast-food ricchi di grassi idrogenati (trans), presenti anche in molti prodotti preparati industrialmente, e piatti già pronti.
- Dolci quali torte, pasticcini, gelati, budini. In particolar modo quelli farciti con creme.
- Bevande zuccherate.
Alimenti consentiti ma con moderazione
- Sale. È buona regola ridurre quello aggiunto alle pietanze durante e dopo la cottura e limitare il consumo di alimenti che naturalmente ne contengono elevate quantità (alimenti in scatola o salamoia, dadi ed estratti di carne, salse tipo soia).
- Olii vegetali polinsaturi o monoinsaturi come l’olio extravergine d’oliva, l’olio di riso o gli oli monoseme: soia, girasole, mais, arachidi (per il loro potere calorico controllare il consumo dosandoli con il cucchiaio).
- Uova.
- Frutta secca.
Alimenti consigliati
- Pane, fette biscottate, cereali per la prima colazione, biscotti secchi, pasta, riso, polenta, orzo, farro possibilmente integrali.
- Frutta matura e verdura di stagione (variando i colori per favorire un idoneo introito di vitamine e sali minerali).
- Carni sia rosse che bianche, magre e private dal grasso visibile.
- Affettati, prosciutto crudo, cotto, speck, bresaola, affettato di tacchino/pollo, privati del grasso visibile (1-2 volta a settimana).
- Pesce, fresco e surgelato.
- Latte e yogurt parzialmente scremati.
- Formaggi freschi e stagionati un paio di volte a settimana in sostituzione di un secondo piatto di carne o uova, come 50 grammi di Grana Padano, consigliabile anche come sostituto del sale per insaporire i primi (un cucchiaio 10 grammi). Grana Padano è un concentrato di latte, ma meno grasso del latte intero perché parzialmente decremato durante la lavorazione, il suo consumo incrementa l’apporto proteico ai pasti e favorisce il raggiungimento del fabbisogno giornaliero di calcio e vitamine come la B12 e la A.
- Acqua, almeno 1,5 litri al giorno da distribuire durante l’arco della giornata.
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Ittero emolitico, colestatico, ostruttivo, neonatale: significato, occhi, cura
Con “ittero” in medicina si intende un segno caratterizzato da colorazione giallastra della pelle, delle sclere e delle mucose causata dall’eccessivo innalzamento dei livelli di bilirubinemia, cioè della bilirubina nel sangue. Affinché l’ittero sia visibile il livello di bilirubina deve superare 2,5 mg/dL. Un ittero lieve (sub-ittero), osservabile esaminando le sclere alla luce naturale, è di solito evidenziabile quando i valori della bilirubina sierica sono compresi tra 1,5 – 2,5 mg/dl. L’ittero è una condizione parafisiologica nel neonato, mentre è frequentemente segno di patologia nell’adulto. La bilirubina deriva dal catabolismo dell’eme (molecola contenuta nell’emoglobina), ed è presente nel corpo umano in due forme: forma indiretta, che si trova normalmente in circolo ed è veicolata dall’albumina plasmatica; forma diretta, in cui la bilirubina è coniugata con l’acido glucuronico, indice che è stata glucoronoconiugata dal fegato e resa idrofila, adatta ad essere eliminata con la bile. L’identificazione di quale delle due forme di bilirubina è presente in eccesso dà un’indicazione sulle cause dell’ittero.
L’ittero non deve essere confuso con una forma di colorazione giallastra della cute simile, denominata “carotenodermia” o “pseudo-ittero“. Per approfondire: Pelle gialla: differenza tra ittero e carotenodermia
Ittero emolitico (con iperbilirubinemia non coniugata o indiretta)
È dovuto a un’aumentata produzione di bilirubina e/o ad un’impossibilità da parte del fegato di effettuare il processo di coniugazione con acido glucuronico. La produzione di bilirubina aumenta in corso di emolisi, cioè a un’aumentata distruzione di globuli rossi. Questo avviene in alcune malattie del sangue:
- aumentato stress ossidativo in concomitanza di deficit enzimatici dei globuli rossi (come il deficit di G6P-DH, glucosio-6-fosfato deidrogenasi, volgarmente noto come “favismo”);
- trasfusione di sangue non compatibile;
- anemia emolitica autoimmune;
- Emolisi neonatale per immunizzazione nella prima gravidanza di madri Rh- che concepiscano nuovamente figli Rh+;
- sindrome di Gilbert o sindrome di Crigler-Najjar.
Leggi anche: Bilirubina diretta e indiretta: ittero, significato, patologie collegate
Ittero colestatico (con iperbilirubinemia coniugata o diretta)
È dovuto a colestasi, una condizione in cui la bilirubina viene normalmente prodotta e va a costituire la bile, ma questa incontra un ostacolo e non può percorrere il normale tragitto che la porterebbe nell’intestino e quindi a essere eliminata con le feci.
Questo porta ad altri sintomi e segni che coesistono in questi tipi di ittero:
- urine color marsala (o color coca-cola); questo è dovuto al fatto che la bilirubina diretta, essendo idrosolubile (a differenza di quella indiretta), una volta in circolo può essere eliminata con le urine, conferendogli il caratteristico colore
- feci ipocoliche o acoliche. Dovute al fatto che il colore delle feci è normalmente dato proprio dai pigmenti biliari, che in questa situazione non raggiungono l’intestino
- prurito. Infatti nella bile sono presenti anche i sali biliari, che quando vanno in circolo tendono a depositarsi a livello cutaneo, dando appunto un intenso prurito
La cause di ittero colestatico di gran lunga più frequente è la calcolosi della colecisti, quando un calcolo si incunea nel dotto biliare causa un ostacolo al deflusso della bile, e quindi ittero. Per quanto feci ipocoliche e bilirubinuria siano caratteristiche nell’ittero colestatico possono presentarsi anche in altre patologie intra-epatiche non ostruttive, non sono dunque segni bastevoli per una diagnosi.
Le principali cause di ittero ostruttivo sono:
- neoplasie delle vie biliari e dell’intestino;
- calcolosi;
- papilliti;
- odditi;
- pancreatiti croniche;
- cisti;
- neoplasie via biliare extraepatica;
- compressioni da masse anomale esterne, come il carcinoma testa del pancreas;
- sindrome di Dubin-Johnson;
- sindrome di Rotor.
Leggi anche: Tumore al pancreas: aspettativa di vita, sopravvivenza, guarigione
Ittero neonatale
L’ittero neonatale solitamente viene considerato fisiologico ed è causato da aumentata emocateresi, ovvero distruzione di emazie, tale da non essere supportato dalle capacità epatiche, essendo il fegato ancora immaturo. Si osserva in circa il 50% dei neonati a termine e nell’80% dei neonati pretermine. Si presenta in seconda/terza giornata e può durare fino a 8 giorni nei neonati a termine e fino a 14 nei pretermine. I livelli di bilirubina solitamente si assestano senza alcun intervento. I neonati con l’ittero neonatale vengono trattati con l’esposizione ad una intensa luce blu (fototerapia). L’ittero neonatale può provocare danni permanenti quando la sua concentrazione supera i 20–25 mg/dl, ovvero in caso di Kernicterus in quanto la bilirubina ha degli effetti tossici sul sistema nervoso centrale.
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Terapia dell’ittero
Se l’ittero neonatale viene considerato una forma pseudo-fisiologica e reversibile dopo pochi giorni dalla nascita, quindi non una condizione particolarmente pericolosa, al contrario l’ittero che si manifesta durante l’età adulta è invece più allarmante ed è in genere la spia di una patologia in atto che può essere più o meno grave e curabile. I neonati che manifestano ittero non vengono generalmente sottoposti ad alcun trattamento; solo in alcuni casi, i piccoli pazienti sono esposti alla fototerapia. Solo in rare circostanze, l’ittero neonatale viene considerato patologico; ad esempio, quando compare già dal primo giorno di vita, quando la concentrazione di bilirubina diretta supera il valore di 1,5-2 mg/dl o quando la condizione persiste per oltre due settimane. Nei casi problematici, è possibile somministrare per via endovenosa dosi di albumina, utili per impedire il deposito di bilirubina nei tessuti e, talvolta, fenobarbital.
L’ittero che si manifesta durante l’età adulta – come prima accennato – è più problematico. In caso di ittero si raccomanda di sottoporsi a tutti gli accertamenti utili per isolare la causa scatenante: dal momento che l’eziologia può essere molto varia, non esiste una cura unica per tutti gli itteri e solo dopo aver individuato la causa a monte è possibile procedere con una terapia specifica. Le terapie possono essere molto varie ed includere una attesa vigile, un cambio delle abitudini alimentari (in caso di calcoli biliari o in caso di pseudo-ittero), uno o più farmaci e la chirurgia (ad esempio in caso di tumore del pancreas).
Di seguito sono riportate le classi di farmaci maggiormente impiegate nella terapia contro l’ittero:
- Fenobarbital (es. Luminale, Gardenale, Fenoba FN): il farmaco appartiene alla classe degli anticonvulsivanti e viene utilizzato anche per il trattamento dell’ittero patologico nei neonati e nei bambini di età inferiore ai 12 anni. Indicativamente, si consiglia di assumere una dose di farmaco pari a 3-8 mg/kg al giorno, possibilmente frazionati in 2-3 dosi. Non superare i 12 mg/kg al giorno. Consultare il medico.
- Albumina (es. Album.Um.Immuno, Albutein, Albital): disponibile in soluzione da iniettare per via endovenosa, l’albumina è utilizzata in terapia per la cura dell’ittero, specie per quello neonatale. Il farmaco è indicato per ostacolare l’accumulo di bilirubina nei tessuti. Il dosaggio e la durata del trattamento sono di competenza esclusivamente medica.
Farmaci utilizzati in terapia per curare l’ittero dipendente da calcoli alla cistifellea:
- Acido chenodesossicolico: è il più importante acido biliare prodotto dal fegato. Il principio attivo viene utilizzato in terapia per aiutare a sciogliere i calcoli della cistifellea, anche nel contesto dell’ittero; il trattamento con questo farmaco è in grado di dissolvere, parzialmente o totalmente, i calcoli della cistifellea (costituiti da colesterolo), risolvendo pertanto l’ittero dipendente da calcoli alla colecisti. Consultare il medico per la posologia e la modalità di somministrazione.
- Acido ursodesossicolico o ursodiolo (es. Ursobil HT, Acido Ursodes AGE, Litursol): la somministrazione di questi farmaci si è rivelata particolarmente indicata per la dissoluzione dei calcoli di colesterolo della cistifellea, anche nel contesto dell’ittero. La posologia raccomandata è la seguente: 8-12 mg/kg per os al dì, in dose unica, la sera o in due dosi frazionate; prolungare la terapia fino a due anni (terapia di mantenimento: 250 mg al dì). Il rispetto della modalità d’assunzione del farmaco è indispensabile per la guarigione della malattia (calcoli) e per cancellare gli effetti secondari (in questo caso, ittero).
Leggi anche: Calcolosi colecisti: sintomi, dieta e terapie dei calcoli biliari
Farmaci utilizzati in terapia per la cura dell’ittero dipendente da mononucleosi:
- Aciclovir (es. Aciclovir, Xerese, Zovirax): in alcuni casi di mononucleosi, eventualmente associata all’ittero, il medico prescrive questa sostanza, farmaco d’elezione per la cura dell’Herpes simplex.
- Ibuprofene (es. Brufen, Moment, Subitene) il farmaco è un antinfiammatorio/analgesico (FANS): si raccomanda di assumere per os da 200 a 400 mg di principio attivo (compresse, bustine effervescenti) ogni 4-6 ore, al bisogno. In alcuni casi, l’analgesico può essere somministrato anche per via e.v. (da 400 a 800 mg ogni 6 ore, al bisogno).
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Colangiopancreatografia retrograda (ERCP): cos’è, preparazione, è dolorosa o pericolosa?
La colangiopancreatografia retrograda perendoscopica (o ERCP) è una procedura utilizzata nella diagnosi e nella cura di alcune malattie dei dotti biliari (canali che portano la bile e la secrezione del pancreas nell’intestino per i processi digestivi), della cistifellea e del pancreas.
COME SI ESEGUE?
Questa metodica consiste nell’introduzione di un tubo particolare (endoscopio), del diametro di poco superiore al centimetro, attraverso la bocca e lungo l’esofago e lo stomaco fino a raggiungere l’intestino (duodeno) dove sboccano i dotti che portano le secrezioni dal fegato e dal pancreas.
Per evitare il fastidio e la sensazione di vomito che il passaggio dell’endoscopio attraverso la gola può provocare, prima dell’esame viene spruzzato un anestetico in gola, o è somministrata una compressa anestetica. Viene inoltre somministrato un sedativo o un anestetico, per rendere la procedura meglio tollerata.
Attraverso lo sbocco dei dotti biliari e pancreatico nel duodeno (chiamato papilla di Vater) viene iniettato del mezzo di contrasto per visualizzare le vie biliari e il pancreas. Per tale motivo il paziente viene fatto sdraiare su un tavolo radiologico che consentirà di scattare delle radiografie dei dotti biliari e di quelli pancreatici. Nel caso le radiografie mostrano dei calcoli, il medico può allargare lo sbocco in duodeno della via biliare con un particolare bisturi elettrico senza che questo provochi alcun fastidio o dolore. Il calcolo o i calcoli vengono estratti con un particolare cestello o con un palloncino. Dall’intestino i calcoli verranno eliminati spontaneamente, senza alcun ulteriore fastidio. Qualche volta può essere necessario lasciare all’interno dei dotti biliari un piccolo sondino, poi viene fatto uscire dal naso, che può servire per effettuare lavaggi della via biliare o controlli radiologici, senza ulteriori fastidi. Nel caso la radiografia dimostri un restringimento dei dotti, causa dei disturbi lamentati dal paziente, può essere lasciato all’interno dei dotti biliari un piccolo tubo di plastica o metallico (endoprotesi), che permette un costante passaggio della bile nell’intestino.
Qualche volta questo piccolo tubo deve essere rimosso o sostituito qualche mese più tardi.
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A COSA SERVE?
È una delle procedure più precise per lo studio delle malattie che interessano i dotti biliari e pancreatici, in quanto consente una visualizzazione diretta, attraverso l’introduzione di mezzo di contrasto nella papilla di Vater (sbocco dei dotti nell’intestino). Le immagini radiologiche che si ottengono sono di maggior qualità e più dettagliate di quanto è possibile avere con altre metodiche.
L’ERCP consente di diagnosticare e distinguere le cause dell’ittero (colorazione gialla della pelle e degli occhi), evidenziando eventuali ostruzioni delle vie biliari e pancreatiche che possono richiedere un trattamento diverso (per esempio un intervento chirurgico) rispetto ad altre, come l’epatite, che può essere curata con terapie mediche.
L’ERCP è utile anche in un paziente che non è itterico, ma i cui sintomi o gli esami di laboratorio e radiologici suggeriscano la possibilità di una patologia dei dotti biliari e del pancreas.
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QUALI SONO LE COMPLICANZE?
L’ERCP è una procedura generalmente ben tollerata, ma come per tutte le procedure esistono dei limiti e alcune complicanze. In circa il 5-15% dei casi l’esame può non riuscire per situazioni anatomiche che non consentono all’endoscopio di raggiungere il duodeno, e/o di visualizzare i dotti biliari e pancreatici.
Le complicanze più frequenti sono la pancreatite, l’infezione delle vie biliari, l’emorragia della papilla e la perforazione dell’intestino, rare (meno dell’1%) quando la procedura viene fatta solo per diagnosi, un po’ più frequenti quando l’esame ha anche scopo terapeutico (taglio della papilla con estrazione di calcoli, dilatazione di un restringimento con eventuale posizionamento di un’endoprotesi). Esiste poi un rischio potenziale, anch’esso piuttosto basso, di reazioni avverse alla somministrazione dei sedativi. Questi rischi vengono ovviamente soppesati con i benefici che ci si attende dalla procedura e comunque sono generalmente inferiori, quando si effettui l’ERCP a scopo terapeutico, ai rischi dell’intervento chirurgico.
La maggior parte di queste complicanze non richiedono un intervento chirurgico, a cui si ricorre raramente.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Differenza tra fegato, pancreas e cistifellea
La fegato è la ghiandola più voluminosa del corpo e pesa circa 1500 gr. E’ collocata a destra sotto la cupola del diaframma ed è coperta dalle ultime costole. Esso è fatto da una quantità enorme di lobuli risultanti da colonne cellulari disposte come tanti raggi. Tra un lobulo e l’altro è il connettivo interstiziale.
Visto in sezione, mostra una ricchissima rete di vasi sanguigni. Infatti riceve una grande quantità di sangue sia dall’arteria epatica (un ramo della aorta) che lo nutre, sia dalla vena porta che conduce sangue refluo dall’intestino, dallo stomaco e dalla milza. Dal fegato, il sangue torna alla circolazione generale attraverso la vena cava inferiore. In una struttura del fegato detta acino, costituita da cellule di forma poliedrica viene fabbricata la bile che si raccoglie nella cistifellea e viene versata nel duodeno. La cistifellea è quindi il serbatoio della bile che, prodotta dal fegato vi affluisce attraverso il dotto epatico e cistico, si concentra e ne defluisce tramite il dotto cistico e coledoco per versarsi quindi nel duodeno. La cistifellea, lunga circa 10 centimetri, ha un diametro massimo di 3,5 centimetri e una capacità di 30÷40 centimetri cubi. E’ dotata di una tunica muscolare che, per azione di stimoli nervosi e umorali, le consente di contrarsi e di spremere la bile quando gli alimenti, ridotti a chimo dallo stomaco, passano poi nel duodeno.
Leggi anche: Dove si trova il fegato ed a che serve?
Le funzioni della bile sono molteplici. Per la maggior parte sono svolte dai sali biliari sintetizzati dal fegato che favoriscono l’emulsione dei grassi nel succo duodenale e rendono solubili in acqua sostanze normalmente insolubili. La bile, inoltre, facilita l’azione di alcuni elementi digestivi, frena la moltiplicazione dei batteri nell’intestino, stimola la peristalsi intestinale e agisce sull’acidità del chimo rendendolo alcalino. Quando ricompare l’acidità del contenuto la neutralizza recando in sé una forte quantità di carbonato sodico. Nella bile sono presenti quantità notevoli di pigmenti biliari (la bilirubina, la biliverdina) che le conferiscono la sua intensa colorazione giallo-oro. Essi derivano dalla demolizione della molecola dell’emoglobina che avviene quasi totalmente nel fegato. L’emoglobina, infatti, giunge al fegato attraverso il sangue della milza che è l’organo principale dell’emocateresi, cioè della distruzione dei globuli rossi invecchiati. I pigmenti biliari e i sali biliari vengono riassorbiti nell’intestino per poi tornare al fegato dove sono nuovamente utilizzati (una delle caratteristiche del fegato è che la corrente biliare e quella sanguigna hanno direzione contraria). Di essi, una minima parte viene eliminata con l’urina sotto forma di urobilina. I sali biliari hanno una funzione precisa perché intervengono intimamente nell’emulsionamento (suddivisione in goccioline ognuna delle quali viene circondata da una membranella che ne impedisce la reciproca fusione), nella digestione e nell’assorbimento dei grassi. La secrezione della bile, importante per la digestione, è però solo una delle tante funzioni del fegato. Il fegato regola il glucosio nel sangue e lo immagazzina sotto forma di glicogeno; trasforma i grassi per renderli accettabili alle cellule; cattura gli aminoacidi con i quali fabbrica proteine semplici, urea e nucleoproteine.
Leggi anche: Cistifellea: cos’è, a cosa serve e dove si trova
Il fegato è il deposito di gran parte del ferro, il metallo che ha importanza essenziale per la fabbricazione dell’emoglobina nel midollo osseo; immagazzina vitamine tra cui la K con la quale produce la protrombina, una sostanza che svolge una funzione essenziale nella coagulazione del sangue. Inoltre regola il ricambio dell’acqua e rende innocue molte sostanze tossiche. E’ la principale fonte di calore per l’organismo a causa degli intensi processi ossidativi di cui è sede. Il fegato, insomma, si può considerare come il più complesso laboratorio chimico dell’organismo.
Il pancreas (parola che vuol dire: tutto carne) è una grossa ghiandola di colore grigio roseo e di forma irregolare, paragonabile a un martello appiattito, situata nella parte superiore della cavità addominale, sul davanti della colonna vertebrale lombare e dietro lo stomaco. Esso ha una struttura che ricorda da vicino quella delle ghiandole salivari, tanto da essere chiamato la ghiandola salivare dell’addome. Il pancreas è costituito da un’estremità destra rigonfia chiamata testa, dal corpo e da un’estremità sinistra assottigliata chiamata coda. Ha un aspetto lobulato e pesa 70÷100 grammi. Le cellule dei tubi terminali e delle dilatazioni degli stessi forniscono gli elementi della secrezione e costituiscono i così detti lobuli. Ai tubi terminali seguono i tubi collettori che confluiscono nei due condotti escretori. Tra i lobuli, qua e là, si notano isolati ammassi epiteliali che sono le isole di Langerhans.
Leggi anche: Dove si trova il pancreas ed a che serve?
Ha una forma a grappolo, e i suoi acini sono forniti di sottili canali dentro i quali versano il prodotto della loro attività che è appunto il succo pancreatico. Tali canalini confluiscono in condotti di calibro sempre maggiore fino ad arrivare alla formazione del dotto pancreatico principale che si estende dall’estremità sinistra all’estremità destra del pancreas, percorrendone l’asse. Questo condotto, insieme ad un altro detto “accessorio”, esce alfine dalla testa del pancreas, si avvicina al coledoco e con esso penetra nel duodeno sboccano nell’ampolla di Vater. La secrezione pancreatica è un atto riflesso che si determina per il contatto della mucosa duodenale con l’acido cloridrico gastrico, attraverso l’azione intermediaria della “secretina”, una sostanza di natura ormonale che eccita la secrezione del pancreas dopo aver attivato quella gastrica. Il succo pancreatico ha l’azione più energica di ogni altra nel processo digestivo e agisce su tutti i princìpi alimentari. Contiene tre importanti enzimi: la tripsina, la steapsina e l’amilopsina. La tripsina completa la trasformazione delle sostanze proteiche già iniziata nello stomaco dalla pepsina; la steapsina attacca con maggiore energia i grassi già preparati dall’azione della lipasi nello stomaco e della bile nel duodeno; l’amilopsina completa la scissione degli amidi cominciata dalla ptialina nella bocca.
Leggi anche: Bile: dove si trova, a che serve e da cosa è composta?
La tripsina è presente nel pancreas sotto forma di “prezimogeno”, inattivo, che viene attivato dalla “enterochinasi”, un fattore elaborato dalla mucosa duodenale. Se la tripsina fosse già attiva all’interno del pancreas, inizierebbe la sua azione digestiva a danno del pancreas medesimo, che andrebbe incontro ad auto digestione (autolisi). Tra gli enzimi che demoliscono i grassi alimentari nello stomaco, nel duodeno e nell’intestino, la steapsina ha l’azione più forte. E ciò avviene anche perché nel duodeno l’acidità del chimo è neutralizzata a opera di sostanze alcaline (bile e succo pancreatico). Infatti solo in ambiente alcalino può avvenire la scissione dei grassi in acidi grassi e glicerina. Nella costituzione del pancreas entrano però altri elementi ghiandolari che, sforniti di dotti escretori versano il loro prodotto direttamente nel sangue. Sono piccoli ammassi di cellule disseminati nella compagine del tessuto ghiandolare acinoso. Si chiamano isole di Langerhans e nel loro complesso formano una ghiandola a secrezione interna la quale produce un ormone detto insulina, che regola il ricambio degli zuccheri, favorendo l’accumulo di glicogeno nel fegato e nei muscoli e la combustione del glucosio a livello delle cellule.
Il pancreas è dunque una ghiandola con doppia funzione: una secrezione esterna, il succo pancreatico, prodotta dagli acini e versata nel duodeno; una secrezione interna, l’insulina, prodotta dalle così dette isole di Langerhans e versata nel sangue. Appare chiaro che nella funzione digestiva l’aspetto chimico prevale su quello meccanico della masticazione e della peristalsi. Infatti la digestione è più che altro una sequenza di reazioni chimiche di progressiva semplificazione delle sostanze alimentari per renderle accettabili alle cellule. E i grandi protagonisti di tale semplificazione sono gli enzimi, ognuno dei quali ha un’azione specifica su una determinata sostanza.
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Empiema pleurico, subdurale, della colecisti: cause e cure
Per empiema in campo medico, si intende una raccolta di pus in una qualunque cavità corporea già presente nell’organismo. Esistono varie forme di empiema a seconda del luogo dove si manifesta la raccolta di pus, fra le più studiate in letteratura ritroviamo:
- Empiema pleurico, la forma più diffusa, infiammazione dello spazio pleurico
- Empiema subdurale, infiammazione delle meningi
- Empiema colecistico, raccolta di pus nella colecisti
Cause
Gli agenti batterici che comportano tale infiammazione sono diversi, tra i più importanti ritroviamo lo Staphilococcus Aureus.
Terapia
Il trattamento solitamente è chirurgico, ma accompagnato da farmaci per contrastare l’infiammazione.
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