Deficit di attenzione: quando un bambino è iperattivo, che fare?

MEDICINA ONLINE ADH DEFICIT ATTENZIONEBIMBO IPERATTIVO SVEZZAMENTO LATTE ARTIFICIALE ALLATTAMENTO SENO BAMBINO NEWBORN BABY NEONATO LATTANTE PARLARE BENE PRIMA PAROLA SCALCIARE  PARLARE MASCHIO FEMMINA.jpg“Non si ferma mai un minuto. Non posso togliergli gli occhi di dosso senza che combini guai. Tocca tutto quanto mettendo sottosopra la casa. Corre e si arrampica dappertutto e quando gli parlo mi sembra di parlare al muro, proprio non ascolta. Le maestre si lamentano in continuazione per il suo comportamento e quasi ogni giorno torna da scuola con una nota sul quaderno. Non so proprio come comportarmi, ho provato con le buone e con la cattive. Non ne posso proprio più”.

La madre in questione ha trascorso anni veramente difficili prima che il problema del bambino venisse chiaramente identificato. Una volta bambini come quello sopra descritto erano etichettati come “caratteriali”, oppure come affetti da “disarmonia evolutiva”. Nel nostro Paese siamo arrivati con un certo ritardo a capire che tali problematiche vanno inquadrate secondo un’ottica ben diversa. L’espressione “bambino iperattivo” è ultimamente diventata sempre più di uso comune. Ma quando possiamo dire che un bambino è veramente iperattivo e quando invece si tratta di un bambino solo vivace, disobbediente o semplicemente maleducato? La linea di demarcazione non sempre è ben delineata ed occorre il parere di un esperto per poter identificare quando il comportamento del bambino è veramente problematico. I termini più usati per identificare quei bambini il cui comportamento è eccezionalmente iperattivo sono quello di sindrome ipercinetica oppure di disturbo da deficit d’attenzione e iperattività. In realtà alcuni psicologi ritengono che non sia sempre corretto parlare di “disturbo” riferendosi a tali problematiche. Molti tra i soggetti identificati come iperattivi presentano infatti numerose caratteristiche positive oltre all’iperattività. Spesso sono ben dotati dal punto di vista intellettivo, sono molto intuitivi e abbastanza creativi. Di solito però l’ambiente circostante (la famiglia, la scuola, il gruppo dei coetanei) non è pronto ad accogliere individui che presentano tali caratteristiche di iperattività e impulsività. Il disturbo si crea spesso dall’incontro-scontro tra un bambino che assume determinate modalità di comportamento e un ambiente impreparato a reagire nel modo più adatto.

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E’ un bambino “cattivo”?

Frequentemente i familiari e gli insegnanti si preoccupano perché il bambino sembra non ubbidire mai quando gli si chiede di fare qualcosa e si trovano senza voce a forza di urlare di non fare questo o quello. Alcuni genitori sperano che col tempo le cose si sistemino da sole, con la crescita del figlio. Purtroppo invece ciò non accade, anzi spesso si arriva ad un deterioramento della relazione tra genitori e bambino e questo è uno dei motivi per cui risulta opportuno ricorrere quanto prima alla consulenza di un esperto per evitare anni di tensione e di stress.

I bambini diagnosticati come iperattivi presentano un livello di attività diversa da quella dei bambini semplicemente molto vivaci. La differenza principale sta nella capacità di attenzione e concentrazione. La maggior parte dei bambini veramente iperattivi sono affetti da turbe dell’attenzione. Ciò significa che la loro capacità di applicarsi ad un dato compito è minore rispetto a quella della maggior parte dei bambini della stessa età. La loro limitata capacità di prestare attenzione li porta ad essere particolarmente impulsivi e incontrollati. Si tratta di bambini estremamente irrequieti che passano da un’occupazione all’altra e non riescono mai a concentrarsi abbastanza per divertirsi con un gioco o portare a termine un compito, per quanto semplice possa essere. A scuola le maestre si lamentano del fatto che non solo non stanno mai fermi, ma spesso non portano a termine i vari esercizi, dimenticano il materiale necessario e soprattutto appaiono sempre distratti. Non è comunque questione di “cattiveria” o di mancanza di volontà. Questi bambini trovano veramente molto difficile esercitare un controllo consapevole sul proprio comportamento.

Circa quattro o cinque bambini su cento presentano tali difficoltà e tra questi circa un terzo va incontro a notevoli problemi scolastici a causa della limitata capacità a prestare attenzione. Alcuni di essi sono particolarmente a rischio di sviluppare seri problemi di comportamento e disadattamento sociale durante l’adolescenza.

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Di chi è la “colpa”?

Un’altra domanda che molti genitori si pongono è se il comportamento iperattivo del bambino sia dovuto ad errori che essi hanno commesso e se c’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui lo stanno educando. Rispetto alle cause dell’iperattività è stato ormai dimostrato che esiste sia una predisposizione ereditaria, sia un anomalo funzionamento del sistema nervoso centrale. Nella maggior parte dei casi, quando un bambino è iperattivo c’è qualcun altro in famiglia (ad esempio, uno dei genitori o uno zio) che da piccolo presentava caratteristiche simili anche se magari in modo meno accentuato. La causa dell’iperattività non è da cercare nel modo in cui i genitori hanno educato il figlio, anche se va precisato che alcuni errori educativi possono peggiorare notevolmente la situazione. Tra i fattori aggravanti possiamo citare la mancanza di autocontrollo del genitore (con tendenza ad urlare o a dare sberle), una scarsa coerenza e un clima familiare caratterizzato da tensioni, stress e mancanza di rispetto tra genitori.

Cosa fare?

Per prima cosa quando si sospetta che sussista un problema di iperattività il bambino va sottoposto ad un’accurata valutazione psicologica. I normali test d’intelligenza non sono sufficienti e la semplice interpretazione dei disegni del bambino non è certo uno strumento diagnostico adeguato. Sono necessari complessi test neuropsicologici adatti ad indagare sulle cosiddette “funzioni esecutive”, cioè sul funzionamento del bambino al livello di attenzione, memoria, riflessività, pianificazione, integrazione percettiva.

Un errore da evitare assolutamente è quello di “sedare” il bambino ricorrendo a qualche tranquillante, per quanto blando possa essere. E’ stato dimostrato che la somministrazione di tranquillanti peggiora la condizione del bambino iperattivo, rendendo il suo comportamento ancora più incontrollato e disorganizzato.

In realtà non esiste una cura per l’iperattività, ma esistono efficaci tecniche comportamentali che possono migliorare notevolmentela situazione del bambino in famiglia e a scuola.

E’ necessario quindi che genitori ed insegnanti si avvalgano di una consulenza psicologica sistematica per apprendere i metodi da applicare, tenendo comunque presente che per poter conseguire risultati concreti sono indispensabili costanza e sistematicità nell’uso di tali procedure. Per quanto riguarda l’intervento sul bambino, le psicoterapia di impostazione psicodinamica risultano scarsamente utili, mentre sembra dare buoni risultati una terapia comportamentale attraverso cui il bambino possa apprendere come lavorare sulle proprie emozioni e come mettere in pratica strategie di autocontrollo.

Anche ricorrendo a questi metodi i risultati non saranno certo immediati e a volte si avrà l’impressione di non approdare a niente. Ma se si persevera e se si riesce a mantenere un buon rapporto di collaborazione tra la famiglia e la scuola, si potrà ottenere un graduale e sostanziale miglioramento del bambino. Questo non significherà la scomparsa definitiva di tutti i comportamenti problematici, ma è senza dubbio una condizione di maggior benessere per il bambino e per coloro che gli sono attorno.

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INDICAZIONI PER I GENITORI DI BAMBINI CHE PRESENTANO IPERATTIVITA’

  • Cercate il più possibile di mantenere la calma. Un bambino iperattivo può far sentire impotente e frustrato anche il più disponibile dei genitori, ma di solito arrabbiarsi non fa che peggiorare la situazione.
  • Organizzate il più possibile la giornata con routine fisse. Stabilite in anticipo l’orario per i compiti, la TV, il gioco e le varie attività. Il bambino iperattivo ha bisogno di situazioni ben strutturate. Non modificate la routine stabilita senza prima avvisare vostro figlio.
  • Adottate due o tre regole ben precise per indicare quello che vi aspettate dal bambino in certe situazioni. Scrivete tali regole e stabilite in anticipo anche le conseguenze cui il bambino andrà incontro per ogni infrazione.
  • Date al bambino la possibilità di muoversi liberamente in un spazio sufficiente in diversi momenti della giornata.
  • Limitate i rimproveri all’essenziale ed aumentate gli incoraggiamenti per i comportamenti desiderabili. Inoltre evitate di dire al bambino che cosa non deve fare, piuttosto ditegli che cosa desiderate che faccia e spiegategli perché.
  • Quando fate qualche richiesta al bambino o gli date alcune istruzioni, siate molto chiari. Non date mai più di una o due istruzioni per volta. Chiedete al bambino di ripetere quello che gli avete spiegato prima che inizi a fare qualcosa.
  • Limitate l’esposizione del bambino alla TV e ai videogiochi (anche senza eliminarli del tutto). Abituatelo ad usare il computer piuttosto che la Play Station.
  • Fornite a vostro figlio esperienze positive di socializzazione in un ambiente in cui possa più facilmente essere accettato e interagire con altri bambini divertendosi.
  • Come genitori cercate di ricavare alcuni momenti di “tregua”, in modo che quando il bambino è impegnato fuori casa o è affidato a qualcun altro possiate dedicare un po’ di tempo a voi stessi. Ne avete bisogno.

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Quando il bambino inizia a sentire e vedere nella pancia della madre?

MEDICINA ONLINE VAGINA DONNA BACIO SESSULITA GRAVIDANZA INCINTA SESSO COPPIA AMORE TRISTE GAY OMOSESSUAANSIA DA PRESTAZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE FRIGIDA PAURA FOBIA TRADIMENTOGià nelle prime settimane gravidanza cominciano a svilupparsi gli organi di senso del bambino (o meglio del “feto”) – quelli per vista, udito, olfatto, gusto e tatto – anche se completeranno lo sviluppo e funzioneranno a pieno solo più avanti. Vediamo allora quando e come si sviluppano i vari organi di senso.

Il tatto

Dopo le 12 settimane il feto comincia a possedere i “sensori” per sentire le carezze dei genitori: il primo dei cinque sensi a svilupparsi è proprio il tatto; tuttavia perché le sollecitazioni tattili siano realmente percepite dal bambino, è necessario che maturino anche le vie nervose, che hanno il compito di trasportare gli stimoli al cervello: il loro sviluppo inizia sin dalle prime settimane, ma per la completa maturazione bisognerà aspettare la 30esima settimana, momento in cui il piccolo sarà capace di provare la sensazione tattile.

L’udito

Già a 30 settimane il feto può sentire la voce di mamma e papà. Le percezioni uditive vere e proprie sono legate allo sviluppo dell’orecchio medio, che inizia nel secondo mese di gravidanza ma giunge a maturazione solo nell’ottavo. Si può dire che l’udito del bambino sia quasi normale intorno alla 35ma settimana, ma già diverse settimane prima è in grado di reagire ad alcuni stimoli sonori come la voce della madre: sin da 28-30 settimane è importante cominciare a parlare al bambino, così ha tutto il tempo per memorizzare i suoni a lui cari e riconoscerli dopo la nascita; al tempo stesso, è bene evitare di esporre il feto a stimoli sonori troppo intensi, perché il piccolo ne sarebbe disturbato.

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Il gusto e l’olfatto

Le papille gustative sulla lingua cominciano a formarsi intorno alle 8 settimane, e continuano il loro sviluppo fino alla nascita. Anche i recettori dell’olfatto iniziano a svilupparsi presto, intorno alle 8-9 settimane, quando cominciano a formarsi i nervi e i bulbi olfattivi, tuttavia non sappiamo esattamente quando tutti questi recettori comincino effettivamente a funzionare, e quindi da che epoca precisa il bambino percepisca i sapori e gli odori, probabilmente tutto ciò avviene in qualche momento nel secondo trimestre. Quello che è sicuro è che il regime alimentare della mamma influisce sulla composizione del liquido amniotico, nel quale passano le molecole aromatiche dei cibi, di conseguenza inalando e deglutendo il liquido, un po’ per volta il feto impara a conoscere gli odori e i sapori della cultura alimentare materna, che dopo la nascita ritroverà nel latte prima e nei cibi che assumerà con lo svezzamento poi.

La vista

La vista è l’ultimo senso a svilupparsi: le palpebre infatti restano chiuse fino alla 26esima settimana, per consentire il corretto sviluppo della retina. Dopo quest’epoca, il feto riesce a percepire la luce che filtra attraverso il pancione, soprattutto se viene esposto a una fonte di luce intensa come quando si sta al sole con la pancia scoperta; in effetti, l’utero non è un ambiente buio come si potrebbe credere, ma attraverso la pelle la luce filtra, sia pure poco intensamente. Intorno alle 30 settimane, inoltre, le pupille sono in grado di restringersi o dilatarsi a seconda dell’intensità della luce, mentre se il pancione viene esposto ad un fascio luminoso, il bebè gira istintivamente la testa dall’altro lato e le pulsazioni cardiache tendono ad aumentare. La vista del bambino, insomma, si sviluppa già nel pancione, anche se ci vorrà ancora qualche mese dopo la nascita perché i centri nervosi dell’occhio giungano a maturazione e il piccolo riesca a mettere a fuoco perfettamente le immagini. Il bimbo con pochi giorni di vita è comunque in grado di riconoscere grossolanamente i contorni del volto della mamma a circa 20 centimetri di distanza, dato non casuale visto che 20 centimetri è proprio la distanza alla quale si trova mentre assume il latte dal seno materno.

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Quando il bambino inizia dire le prime parole? Come aiutarlo a parlare?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SINDROME DI ASPERGER BAMBINI ADULTI SINTOMI CURE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie CapillariCi sono alcune tappe base di sviluppo del linguaggio bimbi, che sono le seguenti:

  • a 6 mesi di età , il bambino sa ripetere suoni come  “la, la”, “ba , ba” o ” da, da ” (tale emissione di suoni prende il nome onomatopeico di “lallazione”;
  • entro i 12 mesi (primo anno di età) il bambino sa dire alcune parole semplici;
  • all’età di 18 mesi (un anno e mezzo di vita) il bambino sa pronunciare numerose parole;
  • entro i 2 anni il bambino inizia a mettere insieme le parole in modo da esprimere un senso compiuto, spesso legato all’alimentazione, ad esempio ” basta pappa”, “acqua mamma”, “ancora latte”;
  • entro  i 3 anni , il bambino sa parlare usando 2-3 frasi alla volta.

Tali limiti temporali sono però assolutamente variabili: ogni bambino ha tempi diversi che non necessariamente indicano una patologia.

Come fanno i bambini ad imparare a parlare?

I bambini imparano a parlare guardando, ascoltando e rispondendo alle persone che li circondano.Sono attorniati da mille stimoli e assorbono informazioni in ogni istante. Nei primi mesi, il bambino ascolta la  voce della mamma e del papà o comunque delle persone che vivono attorno a lui quotidianamente, e cerca di ripetere gli stessi suoni che emettono gli adulti. Quando voi gli rispondete  e cercate di “conversare” con lui, il bambino  di conseguenza si sentirà ulteriormente incoraggiato e stimolato a continuare nei suoi esperimenti comunicativi. E così mano a mano che cresce imparerà nuovi suoni, nuove sillabe e parole.

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Quando un bambino non parla: cosa può impedire a mio figlio di imparare a parlare?

Ci sono diverse situazioni che possono causare un ritardo nel parlare. Ad esempio:

  • problemi di udito;
  • problemi con il movimento della lingua;
  • problemi al palato o alle corde vocali;
  • problemi relativi alla zona cerebrale deputata al linguaggio.

Il modo migliore per aiutare il bambino che presenta un ritardo nel linguaggio è quello capire precocemente quale potrebbe essere l’eventuale problema ed affrontarlo. Con la maggioranza delle patologie, un trattamento precoce determina buone probabilità che la capacità linguistica del vostro bambino possa migliorare e/o risolversi.

Cosa fare se mio figlio non sta parlando nei tempi previsti?

I tempi di apprendimento del linguaggio sono estremamente variabili, tuttavia, se pensate che il vostro bambino abbia qualche problema di linguaggio parlatene con il pediatra di fiducia, che eventualmente potrà inviarvi da uno specialista per una consulenza.

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Come posso aiutare il mio bambino ad imparare a parlare?

Innanzitutto parlate con lui, fin da quando è nel pancione. Dalla nascita continuate a farlo, parlategli, raccontategli storie, cantate con lui delle canzoni. Tutto questo aiuterà il vostro bimbo ad imparare ad emettere suoni e a comunicare. Rispondete con parole ai suoni del vostro bambino. Se per esempio il bambino vi indica una banana e dice  “ee – ee” voi rispondetegli con un  “Vuoi mangiare la banana?”. In questo modo inzierà ad associare il nome e il suono corretto alle cose. Altri consigli sono:

  • Insieme alla voce usate anche segnali con la mano e gesti per aiutarlo a capire cosa state dicendo.
  • Parlate con il vostro bambino per tutta la giornata. Mentre siete in passeggiata ad esempio o mentre fate la spesa con lui: date sempre uno nome alle cose e descrivete quello che state facendo.
  • Rispondete sempre alle domande del vostro bambino perché per lui ricevere delle risposte è importantissimo.
  • Non fate l’errore di parlare con il linguaggio dei bambini (il cosiddetto “bimbese“), ma usate sempre e solo parole reali.
  • Leggetegli delle fiabe, ogni giorno a partire dai 6 mesi di età, ma anche da prima se volete.
  • Ascoltare i grandi che leggono ad alta voce, aiuta il bambino ad imparare i suoni. La lettura può anche aiutare a capire la lingua e imparare nuove parole.
  • Scegliete libri con grandi immagini con colori vivaci e con storie semplici. vanno benissimo anche testi che contengono numeri, le lettere dell’alfabeto, forme e rime.
  • Per coinvolgere di più il vostro bambino  indicate le immagini e date il nome alle cose raffigurate, e poi  chiedete al bambino di indicare gli oggetti rappresentati nella pagina. Mano a mano che cresce potete fargli domande sulla storia. Questa interazione  stimola il bambino all’apprendimento. Non dimenticate mai di incoraggiarlo e di trasmettergli fiducia in quello che fa o impara a fare.

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Potremo decidere altezza, colore degli occhi e quoziente intellettivo di nostro figlio?

MEDICINA ONLINE LABORATORIO MICROSCOPIO ANATOMO PATOLOGO AGO ASPIRATO BIOPSIA CHIRURGICA CITOLOGIA ISTOLOGIA ESAME ISTOLOGICO LINFONODO LAB CHIMICA FISICA SANGUE ANALISI FECI URINA GLICEMIA AZOTEMIA DENSITA CHEMISTRYIl momento in cui sarà possibile scegliere l’altezza, il colore degli occhi o il quoziente intellettivo di un figlio è davvero molto vicino, almeno in base ad un articolo pubblicato sulla rivista del MIT, Technology Review, in cui viene citata una compagnia statunitense che pianifica di fornire una analisi genetica preimpianto sugli embrioni che vada oltre le malattie.

Il servizio offerto dalla “Genomic Prediction“, questo il nome della compagnia, si fonda su un combinazione di modelli matematici e di test del DNA sviluppati dalla compagnia, che dà vita a un ‘punteggio statistico’ che indica la probabilità che l’embrione possa avere malattie complesse, come il diabete di tipo 1, la schizofrenia o l’osteoporosi. Finora questa diagnosi preimpianto viene fatta invece su malattie come la fibrosi cistica che dipendono da un singolo gene, per cui si ha una certezza e non una probabilità, ma in futuro le possibilità saranno senza dubbio aumentate.

Laurent Tellier della Genomic Prediction: “Crediamo che test come il nostro diventeranno una parte integrante della fecondazione assistita, così come quello per la sindrome di Down sia uno standard per la gravidanza”. Dalle malattie ad altre caratteristiche, come l’intelligenza o l’altezza, il passo potrebbe essere molto breve.

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Differenze latte 1 (di inizio) e 2 (di proseguimento): quando cambiare?

MEDICINA ONLINE NEONATO BAMBINO BIMBO FECI VOMITO BOCCA VOMITO FECALOIDE CAUSE COLORE VERDE GIALLO ROSSO MARRONE BILIARE CAFFEANO CIBO ALIMENTARE DIGESTIONE NAUSEA STOMACO MAL DI PANCIA ACQUA NON DIGERITO PEZZI COLITE COLONLe formule di inizio (latte 2)
Le formule di inizio del latte artificiale sono contrassegnate con il numero 1 (perciò vengono dette di “tipo 1” o starting formula) e sono state studiate proprio per nutrire i neonati da zero fino a quattro mesi di vita.
Ecco le caratteristiche principali di questo tipo di latte:

  • hanno un valore energetico tra 64 e 72 calorie circa per ogni 100 centimetri cubi;
  • il loro contenuto di zuccheri è costituito dal solo lattosio (lo zucchero presente nel latte) o anche da maltodestrine (zuccheri che, oltre a fornire un buon contenuto energetico, vengono assorbiti rapidamente da parte del-l’organismo);
  • contengono nelle giuste proporzioni gli acidi grassi essenziali Omega 6 e Omega 3, molto importanti in quanto l’organismo umano non è in grado di produrli da solo;
  • contengono 1,2-1,9 grammi di proteine ogni 100 millilitri: fino a qualche anno fa questa percentuale era quasi doppia, ma recenti studi hanno dimostrato che, per rispondere ai fabbisogni di un bambino di questa età, non è necessario sovraccaricare il lavoro dei reni.
Le formule di proseguimento (tipo 2)

Le formule di proseguimento del latte artificiale sono contrassegnate con il numero 2 (perciò vengono dette di “tipo 2”) e possono venire offerte ai bimbi a partire dai 4-5 mesi fino all’anno di vita. Intorno a questa età, infatti, il piccolo ha raggiunto una maggiore maturità dell’apparato digestivo e ha esigenze nutrizionali diverse rispetto a prima: comincia, infatti, anche lo svezzamento, cioè il passaggio graduale dal solo latte a un’alimentazione che comprende anche i primi cibi solidi.

No al latte di mucca

Le formule di proseguimento del latte artificiale rappresentano il miglior sostituto del latte di mucca, la cui introduzione è sconsigliata prima dell’anno, in quanto troppo povero di ferro o molto ricco di proteine. Rispetto al latte vaccino, queste formule hanno, infatti, un maggior contenuto di ferro, zuccheri, vitamine e acido linoleico (un acido grasso essenziale per l’organismo). Il contenuto di proteine è di poco superiore a quello delle formule di inizio, mentre la presenza di grassi è minore.

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In polvere o diluito

In commercio esistono formule in polvere, che vanno diluite prima del consumo, e latti invece già diluiti, quindi pronti per l’uso. I tipi più diffusi in Italia sono comunque quelli in polvere che hanno il vantaggio di durare a lungo e di avere un ingombro limitato. Quelli diluiti, invece, danno più problemi di “scorta”, ma hanno il vantaggio di non lasciare margini di errore durante la diluizione: non si rischia, cioè, di preparare un latte troppo denso o, al contrario, troppo leggero.

Latte per allergia o rigurgito

Esistono alcuni tipi di latte adatti ai bambini che hanno sviluppato un’allergia a questo alimento (che si manifesta con eruzioni cutanee, vomito e diarrea) o che presentano alcuni problemi della prima infanzia, come il rigurgito. In questo caso il pediatra potrà consigliare tipi speciali di latte (i delattosati, gli idrolisati, il latte di soia, gli antirigurgito).

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La vita è preziosa

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma LA VITA E' PREZIOSA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpg

“La nostra prima figlia a cinque giorni: pesava solo 1,7 chili, ma era così contenta di essere viva! Ho guardato questa foto spesso per farmi forza, tra alti e bassi, nei giorni trascorsi in terapia intensiva. La vita è preziosa”.

E’ la lezione che Lauren Vinje, una mamma americana, ha voluto condividere con il web pubblicando su Facebook il sorriso contagioso rivoltole dalla sua prima figlia, nata prematura dopo appena qualche giorno di vita.

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Aborto spontaneo: quali sono le cause ed i sintomi precoci?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PERDITE BIANCHE GIALLE GRAVIDANZA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina AnoLa maternità è uno dei momenti più belli della vita di una donna. Spesso, però, capita che il sogno possa diventare un incubo a causa della perdita del bambino per un aborto spontaneo. Il rischio c’è in tutte le gravidanze, ma, nonostante tutto, quando avviene è sempre una doccia fredda e porta con sé tanto dolore e amarezza. Il periodo della gestazione in cui si presentano più aborti è concentrato nei primi tre mesi di gravidanza, cioè quando il feto è molto delicato e fragile.

Ma come avviene un aborto spontaneo? I dati sono abbastanza allarmanti: circa il 15% delle gravidanze termina con un aborto prima della tredicesima settimana. Esistono vari tipi di interruzione di gravidanza spontanea: c’è l’aborto incompleto o inevitabile, che si presenta con mal di pancia o mal di schiena che si accompagnano al sanguinamento. In questo caso avviene che il collo dell’utero appare aperto e, nell’aborto inevitabile, c’è una dilatazione o un accorciamento della cervice; ci troviamo di fronte ad un aborto completo quando l’embrione si è già impiantato nell’utero, il sanguinamento e i crampi sono di breve durata.

L’aborto interno o ritenuto, è difficilmente individuabile infatti l’embrione non viene espulso naturalmente fuori dal corpo e lo si può capire tramite un’assenza dei sintomi della gravidanza e del battito fetale; si parla di aborto ricorrente quando la donna è vittima di tre o più aborti spontanei durante il primo trimestre di gravidanza; l’aborto da uovo bianco/cieco (o gravidanza anembrionica) avviene quando l’ovulo fecondato si impianta nelle pareti uterine ma non cresce il feto. Poi l’aborto può avvenire anche nel caso di gravidanza ectopica (o extrauterina), cioè quando l’ovocita fecondato non si attacca alle pareti dell’utero ma alle tube; l’intervento deve essere immediato anche per salvaguardare la vita della madre.

Ma anche la gravidanza molare porta all’aborto spontaneo, questo tipo di gravidanza avviene quando la fecondazione provoca la crescita di tessuti anomali nell’utero che possono far pensare ad una gravidanza ma spesso non si ha nemmeno lo sviluppo di un embrione.

LE CAUSE

Quali sono le cause dell’aborto spontaneo e quali i fattori di rischio? L’elenco delle cause di un aborto spontaneo sono tante: problemi ormonali, infezioni o malattie della madre; lo stile di vita non correttoche vede la madre fumare, assumere droghe, non mangiare correttamente; problemi nell’impianto dell’ovulo nell’utero; traumi vissuti dalla madre; l’età avanzata della madre e più avanti con l’età si decide di concepire più rischi ci sono di essere vittima di un aborto.

I SINTOMI

Per accorgersi se si è vittima di un aborto spontaneo seguite l’elenco dei sintomi caratteristici di questo stato per potere agire velocemente per cercare di salvare il bambino:

  • mal di schiena la cui intensità varia in base alla gravità della situazione,
  • rapido dimagrimento,
  • viene espulso un muco di colore bianco rosato,
  • si avvertono delle vere e proprie contrazioni,
  • ci sono perdite marroni o di colore rosso vivo simili a mestruazioni con sangue coagulato,
  • diminuzione dei segni della gravidanza.

Ovviamente, vista l’importanza della situazione, non affidatevi a rimedi fai da te ma rivolgetevi al vostro ginecologo che potrà consigliarvi su come evitare il rischio di incorrere in un aborto spontaneo, o nel caso di un aborto già avvenuto, saprà far sì che non ci siano conseguenze per una futura gravidanza.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Andare al mare con neonati e bambini senza stress: tutti i consigli

MEDICINA ONLINE SABBIA MARE VACANZE STRESS INFEZIONI ACQUA SABBIA CONSIGLI BAMBINO NEONATO BIMBO GENITORI ACQUA BAGNASCIUGA NUOTAREAndare al mare con i bambini richiede pazienza e un’attenzione sempre vigile, soprattutto con i piccolissimi. È importante però che troviate il giusto equilibrio perché, ricordate, in vacanza si va per rilassarci, anche quando ci sono i figli piccoli. Come fare quindi a non stressarsi e godersi le tanto sospirate ferie estive? Molto dipende anche dai vostri gusti personali è vero, ma probabilmente potrebbe tornarvi più comoda una meta non troppo distante da casa,capace di offrirvi tutti gli agi necessari. Più vostro figlio è piccolo, più si farà sentire il bisogno di avere a portata di mano tutto ciò che vi serve per il suo benessere.

Scegliere la spiaggia o località turistica

Per prima cosa la scelta della spiaggia. Visto che andate al mare con i figli, sono da preferire i bagni privati a quelli pubblici perché vi offrono molte più comodità, come ad esempio un bar/ristorante a portata di mano, le docce, i bagni, una cabina, ombrelloni e una bella spiaggia dove far giocare il bambino. Non dimentcatevi poi del lato “sicurezza”, una spiaggia privata mette a disposizione anche bagnini esperti che vigilano sui bambini (e gli adulti).
Se la vostra città non vi offre mare e spiaggia, approfittate delle ferie estive e andate in qualche posto vicino a casa. In questo caso potrebbe far a caso vostro una località turistica, un albergo o un residence. Ne trovate molti che offrono anche dei veri e propri servizi per preparare il cibo ai bambini, scaldare i biberon ecc. L’ideale è trovare un villaggio turistico dove ci sono animatori che badano ai piccoli al posto vostro per alcune ore. Andare al mare con i bambini infatti, non significa occuparsi di loro tutto il giorno. Le famiglie che trascorrono le ferie al mare sono tante e gli alberghi e le località turistiche cercano sempre di offrire il miglior servizio possibile offrendo un buon intrattenimento per i figli, oltre che personale esperto e qualificato per badare a loro.

Attenzione alle distanze

Fate particolare attenzione al discorso “lontananza”. Se volete allontanarvi dalla città e stare per qualche giorno in albergo, assicuratevi che sia vicino a una spiaggia, così che possiate raggiungerla in tutta comodità e senza dover camminare a lungo. L’ideale quindi è una lontananza di massimo 100 metri. Oltre ai bambini per mano o nel passeggino, dovete portarvi dietro anche tutto il necessario. Dai giochi alle creme solari. Assicuratevi sempre che nella spiaggia dove andate noleggino gli ombrelloni così che i piccoli si riparino nelle ore più calde dai raggi solari.

A che ora andare al mare con i bambini?

Andare al mare con i bambini è sempre un pensiero. Qual è l’orario migliore? E la crema adatta? Come convincerli a stare sotto l’ombrellone di tanto in tanto? Ricordatevi che è importante tanto la loro sicurezza quanto il divertimento, quindi non teneteli troppo “stretti”, non più del necessario almeno. Per evitare insolazioni, portateli al mare la mattina presto o dopo le 16, quando il sole non è più tanto forte. Proteggete anche la pelle con una crema adatta con elevata protezione, magari acquistata in farmacia sotto consiglio del medico. Fate indossare ai bambini una bandana o un cappellino e le scarpette da spiaggia.
Non dimenticatevi l’ombrellone, per convincere i bambini a stare nelle ore più calde all’ombra, portate dietro alcuni giochi da spiaggia. Quando invece fanno il bagno o giocano distanti da voi, rilassatevi al sole ma sempre con un occhio vigile su di loro!

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