La proporzionalità diretta è una relazione tra due grandezze che assumono valori il cui rapporto è costante. In simboli diciamo che y è direttamente proporzionale a Continua a leggere
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Omeostasi in biologia e fisiologia: significato ed esempi
Il termine “omeostasi” (pronuncia “omeòstasi” con l’accento sulla seconda o) deriva da due parole greche ὅμοιος e στάσις che significano “posizione uguale”) è la tendenza naturale al mantenimento di un relativo stato di equilibrio interno delle proprietà chimico-fisiche di un qualsiasi Continua a leggere
Fotosintesi clorofilliana: riassunto, schema delle fasi, spiegazione semplice
La fotosintesi clorofilliana è un processo biochimico fondamentale per la sopravvivenza delle piante, poiché consente loro di convertire l’energia proveniente dal sole in Continua a leggere
Differenza tra recettori ionotropi e metabotropi
Con “recettore” in biochimica si intende una proteina che ha la capacità di legarsi con una molecola specifica, definita “ligando”. Il legame di un recettore col proprio ligando, causa nel recettore una variazione conformazionale in seguito alla quale si ha una cascata di reazioni (trasduzione del segnale) che portano all’insorgenza di una risposta cellulare o un effetto biologico specifici. Il farmacologia il recettore è una molecola che rappresenta il bersaglio specifico di un dato farmaco: la definizione di recettore assume quindi – in ambito farmacologico – un significato più ampio rispetto al campo biochimico, essendo definito “recettore” qualsiasi struttura biologica (proteine, enzimi, lipidi, acidi nucleici…) che diviene bersaglio del farmaco.
I recettori possono essere suddivisi in due grandi categorie, a seconda della loro localizzazione cellulare:
- recettori transmembrana (o più semplicemente “recettori di membrana“): sono recettori che possiedono domini extracellulari, transmembrana ed intracellulari;
- recettori intracellulari: sono localizzati all’interno della cellula, distinti in recettori citosolici o nucleari, in base alla loro localizzazione rispettivamente nel citosol o nel nucleo della cellula.
I recettori transmembrana sono suddivisibili in due differenti classi: ionotropi e metabotropici. I recettori ionotropi, definiti anche recettori-canale, sono recettori la cui apertura causa il flusso di ioni. Esistono sei tipi principali di recettori ionotropi:
- recettore colinergico nicotinico, che lega il neurotrasmettitore acetilcolina
- recettori sigma (δ)
- recettore della glicina
- recettore del GABA di tipo A e C
- recettore del glutammato
- recettore AMPA
- recettore NMDA
- recettori serotoninergici del tipo 5-HT3
I recettori metabotropici sono una classe di recettori che, in seguito all’interazione con lo specifico ligando, inducono una cascata di reazioni cellulari. Sono riconducibili a quattro tipologie recettoriali principali:
- recettori accoppiati a proteine G: strutture recettoriali transmembrana costituiti da sette domini transmembrana (TM) la cui risposta è modulata da una proteina G. Tra tali tipi di recettore possiamo trovare:
- recettore colinergico muscarinico, che lega il neurotrasmettitore acetilcolina
- recettori adrenergici, che lega le catecolammine (adrenalina e noradrenalina)
- recettore del GABA di tipo B
- recettore dell’angiotensina
- recettore dei cannabinoidi
- recettore della colecistochinina
- recettori della dopamina
- recettore dei leucotrieni
- recettori oppioidi
- recettore della rodopsina
- recettore della somatostatina
- recettori attivati da proteasi PAR
- probabilmente molti altri ancora non definiti
- recettori tirosin chinasici, tra cui:
- recettore dell’EGF (fattore di crescita epidermico)
- recettore dell’eritropoietina
- recettore dell’IGF-1
- recettori per le citochine, definiti anche recettori accoppiati a chinasi: sono recettori la cui struttura ed il meccanismo d’azione è simile a quello dei recettori tirosin chinasici. Al contrario di questi, i recettori per le citochine non hanno attività tirosin chinasica intrinseca, ma l’attività è mediata da una chinasi cellulare.
- recettori guanilil-ciclasi: sono recettori ad attività guailato-ciclasica, poco rappresentati negli organismi superiori. Si possono ricordare:
- recettore del peptide natriuretico
- recettore della guanilina
Differenza tra recettori ionotropi e metabotropi
Da quanto detto appare chiaro che i recettori ionotropici ed i recettori metabotropici hanno punti in comune ma anche differenze. Entrambi sono localizzati a livello della membrana citoplasmatica (e non nel nucleo o nel citosol) e sono perciò entrambi recettori transmembrana.
Nei recettori ionotropici il legame con il ligando causa l’apertura del canale racchiuso dal recettore stesso, invece il recettore metabotropico, al contrario del recettore ionotropico, una volta legato il ligando, avvia una serie di reazioni a cascata intracellulari mediata da un secondo messaggero ed alla base della trasduzione del segnale. Inoltre mentre il recettore ionotropo è un canale ionico, invece il recettore metabotropico non è un canale.
Leggi anche:
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Differenze tra monocotiledoni e dicotiledoni con esempi
Esistono circa 250.000 specie conosciute di piante a fiore che appartengono a due gruppi tassonomicamente distinti: Monocotiledoni e Dicotiledoni.
I loro nomi derivano dal numero di cotiledoni o foglie seminali (1 per le monocotiledoni e 2 per le dicotiledoni). Altri caratteri distintivi sono:
Monocotiledoni (54 famiglie):
– Sistema radicale fascicolato o fibroso;
– Lunghe venature parallele nelle foglie;
– Petali multipli di tre;
– Fasci vascolari disposti casualmente (B – Atactostele).
Esempi di monocotiledoni
- Poaceae ovvero graminacee (frumento, riso, mais);
- Palmaceae (palma da cocco, dattero);
- Musaceae (banano);
- Liliaceae (cipolla, porro, aglio).
Dicotiledoni (250 famiglie):
– Sistema radicale a fittone;
– Venature reticolate;
– 4 o 5 petali;
– Fasci vascolari a cerchio (A – Eustele).
Esempi di dicotiledoni
- Fabaceae (legumi);
- Solanaceae (pomodoro, patata, melanzana);
- Brassicaeae (cavolo, rapa, ravanello);
- Rosaceae (melo, susino, pesco, mirtillo);
- Compositae (lattuga, indivia, carciofi).
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Differenze tra DNA e RNA: che sono ed a che servono
Cos’è il DNA
Tutti quanti sappiamo che il DNA racchiude in sé le informazioni genetiche di ciascuno di noi. Come fosse una sorta di memoria fisica su cui sono iscritte le istruzioni di programmazione del software umano. Ma cosa vuol dire questo in termini scientifici? Il termine DNA nasconde la sua stessa natura, perché si traduce in acido deossiribonucleico, che è la composizione chimica di questo acido nucleico. In quanto acido nucleico, si tratta di un polimero formato da unità chiamate nucleotidi, che si organizzano in una struttura complessa. Ogni nucleotide è composto da tre elementi: un gruppo fosfato, uno zucchero (o deossiribosio) e una base azotata. E’ proprio da questa sua natura polinucleotide che deriva la caratteristica doppia elica utilizzata per raffigurare il DNA. Il DNA è, infatti, formato da due catene (conosciute anche come filamenti) di nucleotidi che si avvolgono a spirale l’una intorno all’altra. Grazie a studi effettuati negli anni ’50, sappiamo anche che le due catene sono orientate in senso opposto, ovvero i nucleotidi hanno opposta sequenza di atomi di carbonio del deossiribosio. Il DNA è presente nel nucleo di tutte le cellule di un organismo (che possono essere i cosiddetti cromosomi), sempre uguale a se stesso in quanto porta iscritta la sequenza genetica. Il codice genetico è dato, quindi, dalla peculiare disposizione in sequenza dei nucleotidi, sempre diversa tra gli esseri viventi.
Nel DNA si nasconde il segreto di quello che siamo, in un certo senso, perché è lì che si trovano le istruzioni genetiche che ci hanno fatto proprio come siamo. In concreto, cosa fa il DNA per consentire lo sviluppo di un organismo? Contenendo al suo interno le informazioni genetiche fondamentali, consente la biosintesi dell’RNA e poi delle proteine, che sono poi le molecole necessarie per ogni organismo.
Cos’è l’RNA
Il passaggio dalle informazioni contenute nel DNA alle proteine non è diretto. Esiste infatti un passaggio intermedio fondamentale che porta dagli amminoacidi alla proteina, attraverso un processo di traduzione genetica noto come sintesi proteica. Questo passaggio è la creazione di una nuova molecola intermedia, una sorta di duplicato del DNA (pur con qualche differenza strutturale). Questa molecola intermedia è, appunto, l’RNA, ovvero acido ribonucleico. Essendo generato per trascrizione dal DNA, dal punto di vista chimico l’RNA è molto simile, anche se consta di un singolo filamento di nucleotidi invece della doppia elica. Per dirla in parole semplici, l’RNA non è altro che il frutto della trascrizione di un filamento di DNA, in cui le informazioni genetiche vengono ricopiate in una nuova molecola (traduzione) per formare una nuova proteina. L’RNA funge da “stampo”. Pur essendo una copia ed essendo presente in ogni cellula, però, si tratta di una molecola molto complessa, che può assumere ruoli differenti nel corso della creazioni dell’organismo. Nel processo di trascrizione genetica, infatti, non vengono creati solo filamenti RNA per la traduzione del codice genetico, ma anche altri che svolgono funzioni biologiche (come i ribosomi). In generale possiamo distinguere tre tipologie di RNA:
- RNA messaggero: contiene l’informazione per la sintesi delle proteine (funge da stampo).
- RNA ribosomiale: che entra nella struttura dei ribosomi.
- RNA transfer: utilizzato per la traduzione nei ribosomi.
Grazie al polimero RNA, quindi, è reso possibile il processo di divisione cellulare e replicazione del DNA, senza che in questo percorso vada persa qualche fondamentale informazione genetica.
Quali sono le differenze?
Avendo descritto le caratteristiche chimiche e funzionali di DNA e RNA, le differenze tra i due dovrebbe essere abbastanza chiaro. Visto che ci troviamo in campi complessi come quelli della chimica e della genetica, però, forse è meglio un riassunto finale.
Partiamo dalle differenze strutturali:
- la composizione è molto simile, catena polinucleotidica contenente quattro nucleotidi diversi. Però il DNA è composto da due catene antiparallele che si avvolgono a elica (doppio filamento), mentre l’RNA è quasi sempre a un solo filamento.
- Nei nucleotidi che si nasconde la differenza chimica fondamentale tra le due molecole. L’RNA contiene uno zucchero diverso (ribosio al posto di deossiribosio) e anche una base diversa (uracile al posto di timina).
Differenza nella funzione:
- Il DNA contiene nel suo interno il codice genetico, ovvero tutte le informazioni necessarie per lo sviluppo delle proteine e, quindi, dell’organismo.
- L’RNA è il frutto di un processo di copia del DNA, così se il DNA resta stabile e immutato nel tempo, i filamenti di RNA hanno utilizzo immediato e svolgono, come abbiamo visto, diverse funzioni nello sviluppo concreto delle proteine. Possiamo dire, per concludere, che il DNA è il calco originale (o il master di un disco) e le molecole RNA che ne derivano sono le copie da utilizzare concretamente.
Leggi anche:
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Cos’è un vettore? Differenza tra vettore biologico e meccanico con esempi
Cos’è un vettore?
In biologia e microbiologia un vettore (in inglese “disease vector” o più semplicemente “vector”) è un oggetto, animato o inanimato, capace di trasporto e trasmissione di uno o più agenti patogeni da un organismo all’altro e quindi responsabile della diffusione della patologia provocata da quel patogeno.
Vettore animato o inanimato?
Il vettore può essere principalmente di tue tipi:
- vettore animato: è un organismo vivente, come ad esempio insetti, gatti, cani, maiali, polli, uccelli…
- vettore inanimato (anche chiamato “fomite“): come nel caso di virtualmente qualsiasi oggetto esistente sulla cui superficie possa risiedere un patogeno.
Alcune patologie infettive possono essere trasmesse da un organismo all’altro, sia tramite oggetti inanimati che animati, ad esempio nel diftero-vaiolo aviare (una malattia virale che colpisce numerose specie di uccelli, e sostenuta da virus appartenenti alla famiglia Poxviridae) possono essere considerati vettori:
- un pollo ammalato introdotto in un gruppo di recettivi (vettore animato);
- le croste provenienti dalle lesioni vaiolose (fomite);
- un automezzo che ha trasportato polli malati (fomite);
- un insetto che veicola materiale contaminato (vettore animato).
Vettore biologico o meccanico?
Un vettore animato è organismo vivente, spesso un artropode, che trasmette un agente infettivo da un animale infetto da patologia infettiva all’uomo od a un altro animale (zoonosi). I vettori sono spesso artropodi, vale a dire zanzare, zecche, mosche, pulci e pidocchi, che possono trasmettere una malattia infettiva attivamente o passivamente e -in base a ciò – sono distinti in vettori biologici e meccanici:
- vettore biologico (o attivo): è un organismo contagiato dal patogeno che trasmette. Il patogeno si moltiplica all’interno del vettore biologico e viene trasmesso al nuovo ospite in genere tramite morso o puntura. Il patogeno si replica – o compie una parte essenziale del suo ciclo vitale – nel vettore, prima di essere trasmesso. Tipici esempi di vettori biologici sono le zecche o le zanzare;
- vettore meccanico (o passivo): è un organismo che può trasportare l’agente infettivo sulla superficie del proprio corpo (ad esempio le zampe). L’agente infettivo non si replica, né compie alcuno sviluppo sulla superficie dell’ospite. L’agente infettivo viene trasmesso per contatto fisico, quando il vettore si posa sul nuovo ospite. Tipico esempio di vettore meccanico è la mosca.
In sintesi:
- il vettore biologico trasporta il patogeno al suo interno, permettendogli attivamente la replicazione ed una fase del ciclo vitale;
- il vettore meccanico lo trasporta passivamente all’esterno, dove il patogeno NON si replica, né si sviluppa, ma semplicemente sopravvive.
Sia vettore biologico che meccanico
Alcuni animali possono essere sia vettori biologici che meccanici, a seconda del patogeno che trasportano. Ad esempio le zanzare possono veicolare meccanicamente il virus del vaiolo aviare, e rappresentano pertanto dei vettori passivi di questa malattia; la zanzara però può anche trasportare al suo interno il plasmodio della malaria, rendono quindi la zanzara un vettore potenzialmente sia biologico che meccanico. L’altissima capacità delle zanzare di veicolare malattie, le rende gli animali più letali al mondo: sono ben 725 mila le morti umane causate ogni anno dalle zanzare. Le più temibili sono quelle del genere Anopheles, famose tra gli studenti di medicina del secondo anno che stanno studiando l’esame di microbiologia. Le Anopheles trasmettono il già citato plasmodio responsabile della malaria: un’epidemia che miete, in un anno, oltre 600 mila vittime, e debilita circa 200 milioni di persone. Ma sono veicolate dalle zanzare anche la febbre gialla, la dengue, l’encefalite
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Come fanno i vettori a coprire grandi distanze?
Alcuni vettori sono in grado di coprire distanze enormi, con conseguenti ripercussioni sul raggio d’azione delle zoonosi ad essi correlate. Le condizioni climatiche (specie temperatura ed umidità) possono influenzare positivamente o negativamente la diffusione e la persistenza in nuove aree del vettore biologico e meccanico. I vettori possono penetrare in nuove aree geografiche anche distanti, attraverso vari sistemi:
- i viaggi compiuti dall’uomo;
- il trasporto di animali, per esempio di bestiame;
- gli uccelli migratori;
- le pratiche agricole;
- il vento.
Malattie trasmesse da vettori
Una malattia veicolata mediante vettore biologico o meccanico, entra a far parte di un ampio gruppo di patologie denominate “malattie trasmesse da vettori”. Esempi di esse sono:
- la malattia di Lyme,
- l’encefalite trasmessa da zecche,
- il virus del Nilo occidentale,
- la Leishmaniosi,
- la febbre emorragica Congo-Crimea.
Per approfondire:
- Virus e virioni: cosa sono, come sono fatti, come funzionano e come si riproducono
- Vaccini: servono davvero? Tutte le verità scientifiche
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Differenza tra animale ed uomo
Tra l’uomo e gli animali la differenza è qualitativa e fondamentale. Sta nella ragione teoretica e nella volontà, che è libera e capace di amare. E che è solo dell’uomo. Secondo i sostenitori dell’animalismo riduzionista, tra l’uomo e l’animale non c’è una differenza qualitativa bensì solo quantitativa, dovuta ad uno sviluppo più avanzato dell’uomo.
In realtà, però, tra l’uomo e l’animale sussistono molte differenze qualitative. Ne focalizziamo solo due, che tuttavia sono cruciali: la ragione teoretica e la volontà libera.
La ragione teoretica
L’animalismo afferma che l’intelligenza non è una prerogativa esclusiva dell’uomo, bensì è una caratteristica anche degli animali superiori. Tuttavia, bisogna replicare – già con Aristotele (Politica, I, 1253 a 10-18) – che la «conoscenza » degli animali superiori è qualitativamente inferiore a quella dell’uomo. Infatti, l’animale:
1. si accorge solo di alcune cose, cioè si accorge solo delle cose utili/dannose, piacevoli/dolorose, pericolose/vantaggiose e le altre cose del mondo non le percepisce nemmeno (al riguardo cfr. anche altri pensatori come Plessner, Gehlen, Scheler e Cassirer);
2. in merito a queste cose di cui si accorge, si interroga solo sull’utilità/dannosità, piacevolezza/ dolorosità, si domanda soltanto: «mi serve/non mi serve?», «è utile/disutile? », «è piacevole/doloroso?», «è pericoloso/ vantaggioso?». Dunque, la conoscenza animale è esclusivamente pragmatica-utilitarista. Invece l’uomo:
1. si accorge di tutte le cose e non solo di quelle che gli possono essere utili/nocive;
2. si interroga non solo sull’utilità/nocività, ecc. delle cose, ma anche sulla loro natura, cioè si chiede: «che cos’è questa cosa?», perché vuole conoscerla anche a prescindere dalla sua eventuale utilità/dannosità, vuole conoscere anche la verità sulle cose, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, vuole distinguere il bello e il brutto.
Dunque, la conoscenza umana non è solo pragmatica-utilitarista, bensì anche teoretica. Questa differenza si manifesta nella comunicazione: mentre la comunicazione animale si esprime mediante i versi ed è esclusivamente pragmatica (segnala un pericolo, richiede cibo, richiama l’attenzione, ecc.) o espressiva delle proprie sensazioni piacevoli/spiacevoli, viceversa la comunicazione umana si esprime attraverso la parola, non è solo pragmatica, bensì anche teoretica, cioè comunica la verità, la bellezza, il bene, ecc.
Da notare che la connessione tra ragione umana e linguaggio umano è già indicata dalla duplice accezione del temine greco logos, che vuol dire sia ragione, sia parola: solo chi ha logos = ragione (teoretica) può comunicare attraverso il logos = parola.
Tale dimensione teoretico-concettuale della ragione umana differenzia anche la stessa conoscenza pragmatica dell’uomo rispetto a quella animale. Come scrive Paolo Pagani (in un eccellente articolo, pubblicato all’interno di un prezioso volume collettaneo, cfr. bibliografia), una cosa è usare oppure adattare qualcosa per farne uno strumento, come fanno sia l’uomo sia gli animali; un’altra è fabbricare strumenti, come fa solo l’uomo. Il Professor Washburn (Berkeley) ha approntato negli anni ’60 degli esperimenti per far capire ai suoi studenti quale notevole abilità e competenza siano state necessarie ai nostri lontani antenati del Paleolitico per produrre anche i più elementari manufatti.
Ad esempio, diede agli studenti un semestre di tempo per produrre un utensile come quelli usati nel paleolitico: essi dovevano adoperare solo i materiali di cui gli uomini di quell’epoca disponevano in natura. Questi studenti sapevano quali strumenti sono stati prodotti dagli antenati in quell’epoca, perciò avevano un notevole vantaggio rispetto ad essi, perché sapevano già che cosa cercare di realizzare, cioè non avevano bisogno di ideare quale strumento fosse necessario per ottenere certi scopi. Eppure, nessuno degli studenti ci riuscì e ciò vuol dire che la capacità critica e l’abilità tecnica degli antenati sono stati «frutto di parecchi tentativi, i cui esiti dovevano essere tramandati di generazione in generazione attraverso il linguaggio simbolico (quindi concettuale)» (Pagani, p. 154).
È vero che nel 2000 una scimmia è stata indotta, dopo un lungo addestramento, a scheggiare delle pietre, ma ciò non smentisce la differenza qualitativa dell’uomo, bensì è solo un esempio di comportamento imitativo, simile a quello del pappagallo, la cui abilità di riprodurre articolazioni fonetiche degli esseri umani e di combinare alcuni fonemi non è prova né di una sua capacità di ragionamento nè di un linguaggio simbolico- concettuale-teoretico (ibidem).
Anche i tentativi recenti di addestrare le scimmie all’uso del linguaggio concettuale sono falliti. Gli sperimentatori sono riusciti a indurre una qualche capacità di associare dei fonemi ad oggetti, ma non ad insegnare strutture sintattiche: per riuscire a compiere l’associazione di fonemi a cose è sufficiente la memoria associativa, ma per usare regole sintattiche bisogna disporre della capacità di riconoscere appunto delle regole e di questo gli animali non sono capaci, come dimostra un esperimento: nascondiamo del cioccolato dentro alcuni cassetti, mettendolo la prima volta nel primo cassetto, la seconda volta nel secondo cassetto e così via, cioè applichiamo la regola per cui ogni volta il cioccolato viene nascosto nel cassetto successivo rispetto a quello precedente. Gli esseri umani già a quattro anni scoprono ben presto questa regola; invece le scimmie, anche se le sottoponiamo ad un numero enorme di tentativi, non capiscono la regola e, alla luce della memoria associativa, si slanciano sempre verso il cassetto della volta precedente (ibid., p. 156).
La volontà libera e l’amore
Inoltre, l’animale si comporta secondo il meccanismo stimolo-risposta, reagisce agli stimoli assecondando necessariamente i propri istinti, è come una tessera di un domino che riceve uno stimolo e, talvolta, lo ritrasmette.
Viceversa, l’uomo non risponde agli stimoli in modo necessario, bensì è in grado di scegliere un’azione (o un omissione) al posto di un’altra, è capace di non assecondare i suoi istinti, è capace di iniziare nuove sequenze di azioni invece che reagire necessariamente agli stimoli. Come dice Hannah Arendt, «Agire […] significa prendere un’iniziativa, incominciare» e «perché ci fosse un inizio fu creato l’uomo […]. Questo inizio non è come l’inizio del mondo, non è l’inizio di qualcosa ma di qualcuno, che è a sua volta un iniziatore. Con la creazione dell’uomo, il principio del cominciamento entrò nel mondo stesso, e questo, naturalmente, è solo un altro modo di dire che il principio della libertà fu creato quando fu creato l’uomo, ma non prima. […] Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può aspettare l’inaspettato», (Vita activa, Bompiani, 1958, pp. 187-188).
E attraverso l’azione l’uomo può «rovesciare […] la logica entropica», cioè la tendenza della natura all’aumento necessario del disordine, che è affermata dal secondo principio della termodinamica (L. Alici, Azione e persona: le radici della prassi, Vita e Pensiero, 2002, p. 26).
Inoltre, dato che (come abbiamo detto) gli animali sono sempre pragmatici-utilitaristi, ne segue che essi non sono capaci di amore gratuito, reagiscono alle cose solo in relazione alla convenienza/mancanza di convenienza con le loro esigenze vitali, con i loro istinti. Invece, l’uomo, in quanto è capace di non essere utilitarista-autointeressato, è capace di amare l’altro volendo il suo bene e cercando di realizzarlo.
L’animalismo ribatte in proposito: ci sono alcuni animali che sacrificano per amore la propria vita per altri animali, dunque essi non sono autointeressati, non sono pragmatici- utilitaristi. In realtà, però, questi loro comportamenti non sono realmente espressioni di amore gratuito e sono pur sempre autointeressati. Infatti:
1. il loro comportamento non è frutto di una scelta, bensì dettato dall’istinto, mentre l’amore è un atto libero;
2. gli animali che sacrificano la propria vita per i cuccioli considerano il cucciolo come un prolungamento di sé, lo percepiscono come una parte di sé, mentre l’amore materno-paterno vede nel figlio un soggetto autonomo (ovviamente se tale amore è “sano”, perché ci sono genitori umani che vogliono che i figli siano una loro continuazione).
2.1. La riprova di questo modo di considerare i cuccioli da parte degli animali si vede nel fatto che la cura animale si esaurisce nel momento del distacco del cucciolo dai genitori, mentre l’amore umano è sollecito verso i figli anche quando sono adulti, anche quando sono completamente autonomi e magari distanti migliaia di chilometri.
Ora, è gratuito ciò che si fa non a proprio vantaggio, bensì degli altri. Così, se il cucciolo è sentito istintivamente dall’animale come un prolungamento di sé, vuol dire che ciò che l’animale fa per il cucciolo lo fa in modo autointeressato per sé.
Per saperne di più…
Paolo Pagani, Appunti sulla specificità dell’essere umano, in Luca Grion (a cura di), La differenza umana. Riduzionismo e antiumanesimo, La Scuola, 2009, pp. 147-161.
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