Diminuisce il dolore, combatte l’epilessia, fa addirittura dimagrire: è davvero utile la marijuana in medicina?

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Charlotte Figi col padre Matt nella piantagione di cannabis di famiglia

Il giorno da ricordare è il 7 marzo 2014. E quello sull’uso terapeutico della cannabis sembra quasi il primo segno forte del governo Renzi. Perché, per la prima volta, il consiglio dei ministri non ha impugnato e portato al giudizio della Corte Costituzionale la legge della Regione Abruzzo che consente la preparazione galenica e l’utilizzo all’interno del servizio sanitario regionale della cannabis per uso terapeutico. La decisione del governo è il punto di arrivo di una marea montante di pazienti e medici che si chiedono perché se questa pianta può essere usata per preparare farmaci e terapie non la si possa usare. Sulla rete e nel passaparola fioriscono ricette e leggende: è utile contro la sclerosi, contro il cancro, contro i dolori più debilitanti. Ma è vero? Di certo che proibirne, per dettato morale, l’utilizzo rallenta di molto la ricerca scientifica che, invece, può fare molto per capire a cosa serva davvero la cannabis. E, non da ultimo, a quali dosi e in quali situazioni debba essere usata in ospedale. Insomma, sulla marjuana pesa un discorso pubblico che non ha niente a che fare con la medicina. E, se da oggi, le regioni italiane possono dare il via ai preparati che la contengono senza temere l’altolà del governo, resta il dubbio di cosa cosa c’è di vero sulle sue magnificate virtù terapeutiche. Lo abbiamo chiesto agli scienziati che ci lavorano, cercando di non cadere nell’ideologia né nell’aneddotica miracolistica. Ma per capirlo bisogna partire da Charlotte.

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L’inulina favorisce la flora intestinale e riduce il gonfiore della pancia

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DIMAGRIRE GRASSO DIETA DIETOLOGIA CALORIE IPOCALORICA OBESO OBESITA SOVRAPPESO KGL’inulina è una fibra solubile, presente naturalmente in numerosi alimenti tra cui carciofi, cipolle, banane ed aglio. Industrialmente, l’inulina viene di solito estratta dalla radice della Cicoria (Cichorium intybus) oppure ottenuta tramite processi di sintesi, e si presenta come una polvere di colore bianco-giallastro. Appartiene alla classe dei prebiotici, componenti alimentari non digeribili che stimolano la proliferazione di numerosi batteri del colon.

Importante per la nostra digestione

L’inulina è un polisaccaride molto importante, l’interesse nei suoi confronti è andato aumentando negli ultimi anni anche a causa di una serie di ricerche che ne hanno decantato numerose proprietà benefiche. Fra le proprietà che le vengono attribuite c’è quella di facilitare la digestione e di ridurre la formazione di gas intestinali: l’assunzione di inulina infatti aumenterebbe in modo spiccato nel tratto intestinale la presenza di Bifidobatteri e Lattobacilli (fermenti lattici importantissimi per una corretta digestione e per la salute del colon) e comporterebbe una diminuzione del numero dei batteri ritenuti nocivi. Per questo motivo molti prodotti a base di fermenti lattici, compresi i prodotti probiotici, contengono anche inulina, utilizzata per migliorare la sopravvivenza dei fermenti lattici stessi e fornire un substrato ben specifico alla flora batterica intestinale.

Quando la consiglio

L’inulina favorisce il riequilibrio della flora intestinale, potenziandone l’attività e migliorando il metabolismo. Per i suoi effetti regolarizzanti io la consiglio spesso ai miei pazienti che soffrono di stipsi e diarrea. Altri risultati di alcuni recenti studi indicherebbero che l’inulina riduce il colesterolo e i trigliceridi, quindi in alcuni casi può essere assunta anche per migliorare le condizioni dei pazienti con colesterolo e trigliceridi alti. La sua dose giornaliera raccomandata, secondo le ultime linee guida, va da 4 grammi a 8 grammi.

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L’eccesso di inulina è dannoso

Le quantità di inulina consigliate non vanno superate. A tal proposito è interessante l’ipotesi della dottoressa Joanne Slavin pubblicata sul Journal of the American Dietetic Associationil consumo di grandi quantità di cibi industriali e la presenza di disturbi gastrointestinali potrebbero essere collegati dal fatto che negli ultimi anni l’industria alimentare utilizza sempre di più l’inulina come additivo addensante nella preparazione dei prodotti alimentari industriali.
Secondo i risultati di questo studio, questi sarebbero i limiti di tollerabilità: 10 grammi di inulina o 5 di oligofruttosio al giorno. Oltre questa soglia, i disturbi gastrointestinali diventano probabili.
Tuttavia, restare nei limiti non è sempre facile: come detto, l’inulina viene utilizzata nella produzione di numerosi alimenti, dalle barrette al cioccolato alle bevande, perchè il suo impiego oltre a consentire un’ampia combinazione di vantaggi tecnologici e nutrizionali, permette di migliorare l’aspetto e la consistenza di un vasto gruppo di categorie di prodotti.
Purtroppo a confondere il consumatore è il fatto che la presenza di inulina viene indicata nell’etichetta dei preparati alimentari in svariati modi:

  • inulina;
  • estratto di radice di cicoria;
  • oligosaccaridi;
  • oligofruttosio.

E’ quindi molto facile ritrovarsi a superare le dosi senza neanche immaginarlo.

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Grey’s Anatomy: Arizona e la sindrome dell’arto fantasma

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ARIZONA SINDROME ARTO FANTASMA AMPUTATA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgNella nona stagione del telefilm Grey’s Anatomy, la dottoressa Arizona Robbins – interpretata da Jessica Capshaw – si trova a fare i conti con l’amputazione di una gamba (in seguito ad i severi traumi riportati in un incidente aereo) ed a tutti i disagi che ne conseguono, tra cui il soffrire della “sindrome dell’arto fantasma”. Esiste davvero questa sindrome? Di cosa si tratta esattamente?

La sensazione di un arto che non esiste più

La Sindrome dell’arto fantasma (in inglese: phantom limb syndrome) esiste davvero ed è caratterizzata dalla sensazione di persistenza di un arto (braccio o gamba) dopo che esso sia stato amputato o dopo che – a causa di altre patologie o condizioni – esso sia diventato insensibile: il paziente affetto da questa patologia avverte l’esistenza e la posizione dell’arto fino ad arrivare ad avvertirne addirittura sensazioni dolorose, a volte addirittura di movimenti come se questo fosse ancora presente, anche se ciò è ovviamente solo nella mente del paziente e non nella realtà.
Questa sensazione colpisce praticamente tutti i pazienti che hanno subito amputazione, è assolutamente normale e non rientra in nessun tipo di problema psichiatrico. E’ la dimostrazione più evidente dell’esistenza del fisiologico schema corporeo, che persiste, nonostante dall’arto amputato non giungano impulsi nervosi ai centri corticali.

Spiegazioni neurologiche e psichiatriche

La spiegazione classica del fenomeno ipotizza che la causa diretta della sindrome dell’arto fantasma sia l’attività elettrica aberrante proveniente del neuroma, la formazione tumorale benigna che va a formarsi nel moncone in seguito alla rescissione del nervo. La terapia applicata per lenire il dolore riferito all’arto fantasma era la rimozione chirurgica della terminazione nervosa. I risultati di questa procedura chirurgica sono ambigui, in quanto il dolore tende a ripresentarsi in molti casi poco tempo dopo l’intervento.
In ambito psichiatrico soprattutto di orientamento dinamico si è a volte identificata la sindrome come un disturbo psichico innescato dalla non accettazione della perdita, tracciando un parallelismo con le visioni di congiunti o cari deceduti. Queste spiegazioni hanno uno scarso valore euristico e sono oggi quasi totalmente abbandonate.

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Spiegazioni neurofisiologiche delle sensazioni somatosensitive

Una delle possibili spiegazioni del fenomeno è che le aree della corteccia somatosensoriale ancora attive stringano connessioni con l’area deafferentata dalla rescissione del nervo, facendo quindi avvertire al soggetto sensazioni tattili e termiche riferite all’arto fantasma in seguito alla stimolazione delle aree topograficamente contigue nella rappresentazione corticale. Infatti nell’encefalo umano e in particolare nella neocorteccia post-centrale sono presenti diverse mappe corporee organizzate topograficamente e sensibile alla stimolazione tattile, termica, cinestatica e dolorifica. L’estensione della rappresentazione neurale delle diverse parti del corpo non è proporzionale alla loro dimensione relativa ma piuttosto alla densità dei loro recettori periferici, ed è soggetta a variazioni anche nel soggetto sano in seguito ad un addestramento specifico. In caso di deafferentazione due fenomeni possono spiegare interessamento verso la corteccia rimasta inattiva da parte di quelle circostanti: innanzitutto connessioni transcorticali già presenti ma rese silenti dalla normale attività funzionale possono emergere in seguito alla destimolazione e rafforzarsi per un processo di feedback; È inoltre possibile la formazioni di nuove collaterali assoniche dalle cortecce adiacenti e quindi la genesi di nuove sinapsi funzionali, fenomeno denominato sprouting. Studi recenti indicano il coinvolgimento di entrambi questi processi nell’insorgere del fenomeno dell’arto fantasma.

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Spiegazioni neurofisiologiche delle sensazioni motorie

Il fenomeno della plasticità corticale è di grande aiuto nel chiarire la componente sensoriale della sindrome dell’arto fantasma, ma non sembra sufficiente a spiegare il motivo per cui alcuni soggetti affermino di poter avvertire chiaramente il movimento dell’arto amputato. Il fenomeno può essere chiarito se si considerano gli abbondanti collegamenti tra la corteccia motoria e premotoria (Area 4 e 6 di brodmann) e quella somatosensitiva del lobo parietale. Il lobo parietale è infatti la struttura principalmente responsabile della percezione del proprio movimento corporeo, la deafferentazione della corteccia somatosensitiva dagli input sensoriali fa sì che il segnale di feedforward inviato dalla corteccia motoria venga percepito come movimento anche in assenza del feedback proveniente degli organi tendinei del golgi e dai fusi neuromuscolari. Ovviamente questo è possibile perché la corteccia motoria continua ad inviare segnali all’arto mancante spesso per molto tempo dopo l’amputazione.

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Fenomenologia della sindrome

La sindrome dell’arto fantasma è un fenomeno abbastanza comune e può manifestarsi in svariati modi diversi. Le sensazioni riferite possono essere di natura tattile, dolorifica e motoria, inoltre l’arto può apparire al soggetto mobile o immobilizzato in una posizione fissa, solitamente quella precedente all’amputazione. I casi di dolore all’arto fantasma sono particolarmente difficili da combattere e sono particolarmente opprimenti dal punto di vista psicologico. La natura dell’arto fantasma non è sempre fedele a quella di quello posseduto prima dell’amputazione, a volte ad esempio viene percepita solo la mano direttamente attaccata alla spalla o possono essere percepiti arti sdoppiati o multipli. È possibile che anche soggetti nati senza arti presentino la sindrome, prova di una certa determinazione genetica delle mappe corporee al livello corticale. Sono anche riferiti in bibliografia molti casi di seno fantasma in seguito a mastectomia e persino di peni fantasma con tanto di erezione. Nell’uso delle protesi la presenza dell’arto fantasma può essere particolarmente utile alla riabilitazione del paziente.

Mirror box

Per quanto possa sembrare sorprendente, il semplice utilizzo di una scatola dotata di uno specchio, in grado di dare al soggetto l’impressione di vedere il proprio arto fantasma nell’immagine riflessa dell’arto sano, sembra aver portato numerosi benefici ai pazienti afflitti da paralisi e dolori all’arto illusorio. Il fatto stesso di fornire un feedback visivo dell’arto in movimento sembra poter agire sui circuiti cerebrali tanto da variare la mappa corporea. L’uso di questo metodo è stato introdotto in via sperimentale dal neurologo indiano, V.S. Ramachadran, uno dei massimi esperti della sindrome.

Terapia del dolore da arto fantasma

Si tratta di una capitolo molto importante e difficile all’interno della medicina del dolore e in continua espansione; ad ogni modo questo tipo di dolore nella maggior parte dei casi non presenta una univoca via di trattamento.  Si può ricorrere alla farmacologia classica con analgesici maggiori o antiepilettici oppure utilizzare metodiche che portano alla riduzione dello stimolo doloroso al cervello, come ad esempio la radiofrequenza pulsata centrale, fino ad arrivare a tecniche di rieducazione funzionale come la mirror therapy o le terapie cognitivo comportamentali.

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Suicidarsi a causa del Minority Stress: minoranza, discriminazione e sofferenza

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Proprio ieri Roma è stata scossa dal suicidio di Simone, un giovane 21enne omosessuale:

“Sono gay. L’Italia è un Paese libero ma esiste l’omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza”

Queste le parole che il giovane ha lasciato prima di gettarsi nel vuoto, dall’altissimo palazzo Pantanella, famoso specialmente tra i romani che come me si recano spesso in zona San Giovanni passando dalla Tangenziale Est. Si tratta purtroppo della terza tragedia, in appena dodici mesi, che vede come protagonista un giovane omosessuale nella Capitale. Purtroppo il tasso di suicidi tra le persone omosessuali è circa tre volte più alto rispetto alla popolazione eterosessuale, questo perché l’appartenenza ad una minoranza – in questo caso riguardante l’orientamento sessuale ma potrebbe riferirsi ad una minoranza etnica o religiosa – è essa stessa fonte di stress a causa dei pregiudizi e delle discriminazioni compiuti dal resto della popolazione. Tale stress, di cui oggi vi parlo, in ambienti anglosassoni prende il nome di Minority Stress.

Il “Minority stress” è un importante settore di ricerca in psichiatria e psicologia portato avanti in particolar modo dal Dr. Meyer (Ilan H. Meyer, Ph.D., Professore di Scienze Cliniche Socio-sanitarie e Vice Presidente per i programmi MPH presso il Dipartimento di Scienze medico-sociale a Mailman School of Public Health della Columbia University).

“Minority stress” (stress delle minoranze) è il nome che la psichiatria americana dà al disagio psichico che deriva dalla discriminazione e dalla stigmatizzazione sociale di una minoranza. Nello sviluppo psicologico, il riconoscimento sociale ha grande importanza perché permette a una rappresentazione interna di consolidarsi nella mente come legittima e convalidata. Questa stabilizzazione assume a sua volta importanza perché, nel costituirsi come «possibile» e «legittima», perde il suo contenuto «minaccioso» e quindi disincentiva le azioni violente e persecutorie nei suoi confronti (come per esempio bullismo, omofobia sociale). Le sue aree di ricerca includono lo stress e la malattia nelle popolazioni di minoranza, e in particolare il rapporto tra status di minoranza e l‘identità di minoranza, il pregiudizio e la discriminazione; si interroga su quali siano i risultati in fatto di salute mentale in minoranze sessuali e quale l’intersezione di fattori di stress di minoranza relative ad un orientamento sessuale, alla razza/etnia, all’età e al sesso.

Sul libro “Disgusto e umanità” (Nussbaum Martha C.) è anche ben descritto come le situazioni di stress si possano verificare a livello inconsapevole e ci sono infiniti motivi di stress inconscio nella vita quotidiana di tutti noi. E’ vero però che anche per chi si sente pienamente accettato, queste situazioni di forzatura a lungo andare possano causare comunque condizioni di stress, infatti pare che a lungo termine volenti o nolenti queste piccole gocce di stress quotidiano tocchino quasi tutti.

Lo stress, è generalmente concepito come una condizione avente il potenziale di suscitare il meccanismo adattivo dell’individuo. La risposta allo stress può verificarsi a fronte di eventi di vita minori o maggiori. Il Dott. Meyer ha sottolineato che lo stress non è l’ unico per gli individui appartenenti ad una qualsivoglia minoranza: il “minority stress” viene da svantaggi, da stigmi e pregiudizi che le persone incontrano. Questo tipo di stress richiede perciò risposte adattative speciali. A tale proposito, spesso le minoranze traggono dai propri meccanismi personali e comunitari a livello di coping, le risorse per sviluppare la resilienza e la robustezza. Allo stesso modo, le persone che adottano una forte identità di minoranza possono essere in grado di gestire nel modo migliore questi fattori di stress, come anche allontanamenti e licenziamenti, oppure affrontare discriminazioni e atteggiamenti pregiudicanti nei loro confronti affermando un’ autovalutazione positiva.

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Farmaci per curare le mestruazioni dolorose e terapia non farmacologica

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO RAGAZZA TRISTE DONNA DEPRESSIONE STANCA PAURA FOBIA PENSIERI SUICIDIO FIUMA PONTEConsiglio di leggere prima questo articolo: Dismenorrea: quando le mestruazioni sono dolorose

Il trattamento farmacologico di prima linea per la cura del dolore associato alla dismenorrea consiste nella somministrazione di FANS, farmaci antinfiammatori non steroidei utili per mascherare il dolore. Questi medicinali esercitano la propria attività terapeutica anche bloccando le COX 1 e 2 (enzimi ciclossigenasi responsabili della formazione di prostaglandine, trombossano e prostacicline, mediatori chimici del dolore).  Quando il dolore è così intenso da generare nausea e vomito, si consiglia la somministrazione di un antiemetico, oltre chiaramente ai FANS. Discussa risulta invece la cura con l’alverina citrato, un farmaco antispastico che esercita la propria attività terapeutica solo in alcune donne.
Da ultimo, ma non per importanza, l’assunzione regolare di un contraccettivo ormonale è indicata per le donne con forti dolori mestruali: la pillola anticoncezionale, infatti, contiene ormoni che bloccano l’ovulazione, riducendo pertanto anche il dolore associato ai crampi mestruali.  Qualora le mestruazioni dolorose dipendano da una patologia di fondo, come l’endometriosi o la presenza di fibromi, la soluzione più appropriata risulta essere la chirurgia (ablazione chirurgica del tessuto anomalo).
Di seguito sono riportate le classi di farmaci maggiormente impiegate nella terapia contro le mestruazioni dolorose, ed alcuni esempi di specialità farmacologiche; spetta al medico scegliere il principio attivo e la posologia più indicati per il paziente, in base alla gravità della malattia, allo stato di salute del malato ed alla sua risposta alla cura.

FANS

Per alcune donne che riferiscono di avere delle mestruazioni veramente molto dolorose, in alcuni casi la somministrazione di FANS nella dismenorrea dovrebbe iniziare addirittura il giorno prima dell’arrivo delle mestruazioni, a scopo preventivo.

Ibuprofene (es. Brufen, Moment, Subitene): per il dolore medio-moderato alla gola, si consiglia di assumere per os una dose di attivo pari a 200-400 mg (compresse, bustine effervescenti), ogni 4-6 ore dopo i pasti, al bisogno. Non assumere oltre 2,4 grammi al dì. La somministrazione endovenosa per placare il dolore da dismenorrea non è indicata. Naproxene (es. Aleve, Naprorex): si consiglia di assumere una capsula da 550 mg due volte al dì (ogni 12 ore, salvo ulteriori indicazioni del medico), al bisogno.

Flurbiprofene (es. Froben): la dose raccomandata per il controllo del dolore associato alla dismenorrea è 50 mg, da assumere per bocca 4 volte al giorno, al bisogno. Non superare le dosi indicate.

Valdecoxib (es. Bextra): farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS) appartenente al gruppo dei medicinali denominati “inibitori della ciclossigenasi-2 (COX-2)”. Il principio attivo, bloccando l’enzima COX-2, inibisce il rilascio di prostaglandine, i mediatori del dolore che favoriscono l’infiammazione e la percezione dolorosa. Indicativamente, assumere il farmaco alla dose di 20 mg, due volte al giorno. Il farmaco non è attualmente commercializzato in Italia.

Acido mefenamico (es Lysalgo): la dose raccomandata per le mestruazioni dolorose suggerisce di assumere 500 mg di farmaco per via orale, seguiti da 250 mg ogni 6 ore, a partire dal momento in cui sopraggiunge la mestruazione.

Somministrazione di ormoni estro-progestinici per il controllo delle mestruazioni dolorose

Etinilestradiolo/Levonorgestrel (es. Loette, Microgynon, Miranova, Egogyn): si tratta di pillole contraccettive, indicate in primis per bloccare l’ovulazione (effetto contraccettivo) ed in secondo luogo per il controllo del dolore nel contesto delle dismenorrea. Questi farmaci sono reperibili in confezioni da 21-28 compresse: ogni compressa è costituita da 0,02 mg di etinilestradiolo e 0.1 mg di levonorgestrel. La cura farmacologica prevede l’assunzione di una compressa al dì, per 21 giorni, possibilmente circa alla medesima ora ogni giorno, seguita da un intervallo libero di una settimana.

Desogestrel/Etinilestradiolo (es. Gracial, Novynette, Lucille, Dueva, Securgin): si tratta di compresse rivestite da 20 mcg di etnilestradiolo e 150 mcg di desogestrel. La posologia di questi farmaci rispecchia quella sopradescritta: la corretta modalità d’assunzione di questi attivi garantisce una significativa riduzione del dolore associato alla dismenorrea.

Terapia non farmacologica e consigli per il controllo delle mestruazioni dolorose

Applicare una borsa dell’acqua calda a livello del basso ventre. Bere liquidi caldi e consumare pasti leggeri e frequenti (dilazionare i pasti in tanti piccoli spuntini). Praticare tecniche di rilassamento, come yoga o meditazione. Può essere utile anche assumere integratori minerali e vitaminici (calcio, magnesio, vitamina B6) e, nel caso l’alimentazione risulti carente, integrare la dieta con supplementi a base di omega tre (ricchi di EPA e DHA, come l’olio di pesce). Ovviamente un consiglio che va bene anche per migliorare la nostra salute è perdere peso, se necessario, e seguire un programma di regolare esercizio fisico. Le mie pazienti riferiscono che, quando il dolore non è particolarmente eccessivo, può bastare anche soltanto stendersi sul letto, rilassarsi con un bel film con Meg Ryan e praticare un massaggio a livello del basso ventre, per alleviare il dolore mestruale.

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Dismenorrea: quando le mestruazioni sono dolorose

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA TRISTE DEPRESSIONE TRISTEZZA CAPELLI PENSIERI PAURA FOBIAI dolori mestruali affliggono, in maniera più o meno importante, donne fertili di tutte le civiltà e di ogni rango sociale. Non a caso, quindi, la dismenorrea (altro nome per indicare il forte dolore mestruale) è una delle più comuni condizioni di interesse ginecologico. La mestruazione dolorosa affligge approssimativamente l’80% delle donne in fase di ciclo mestruale e nel 30% circa dei casi può impedire le normali attività quotidiane, costringendo a letto per più ore o giorni le persone interessate.

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Cause

La causa di una dismenorrea è spesso difficile da definire, data anche la notevole soggettività dei sintomi, tuttavia può essere ricondotta o ad alterata funzione ovarica o ad altre alterazioni a carico dell’utero o infine a motivi non chiaramente patologici, di origine nervosa e ormonale. Vi sono due diverse forme di dismenorrea: quella primitiva (che appare nelle donne che non hanno mai partorito) e una forma secondaria (frequente nelle donne che hanno già partorito).

Fattori di rischio

I fattori di rischio sono:

  • giovane età (meno di 20 anni),
  • menarca precoce,
  • non aver mai partorito (nulliparità),
  • familiarità per il disturbo,
  • menorragia (flusso mestruale abbondante),
  • abusi sessuali,
  • basso o eccessivo Indice di Massa Corporea.

Sintomi

Il dolore può precedere la mestruazione di alcuni giorni o può accompagnare il ciclo, e generalmente si affievolisce con la fine della mestruazione. In alcuni casi la dismenorrea può essere accompagnata da perdite ematiche consistenti (menorragia).

Diagnosi

La diagnosi di dismenorrea si serve di anamnesi, esame obiettivo e, in alcuni casi, di esami come:

  • esame delle urine,
  • ecografia pelvica,
  • tomografia computerizzata,
  • risonanza magnetica,
  • isteroscopia,
  • laparoscopia.

Leggi anche: Perché viene la diarrea prima e durante il ciclo mestruale e cure

Terapia

Si possono usare farmaci analgesici e antinfiammatori non steroidei, inibitori della sintesi delle prostaglandine, principali responsabili del dolore. Per chi fosse allergico ai principi contenuti negli antidolorifici, è possibile ricorrere all’uso di paracetamolo o farmaci equivalenti ad esso. Spesso utilizzata per il trattamento della dismenorrea è anche la pillola anticoncezionale.

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Filler di acido ialuronico per eliminare il dolore dei tacchi alti

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO PIEDI GAMBE PASSEGGIATA PAUSA RELAX SCARPA SCARPE TACCHI TACCO PUNTA POLPACCI TALLONEQualche tempo fa Sarah Jessica Parker, praticamente identificata a vita con il personaggio che l’ha resa celebre, la giornalista Carrie Bradshaw di Sex and the City, aveva pubblicamente detto addio ai tacchi che le avevano letteralmente rovinato i piedi. E dire che Carrie Bradshaw-Sarah Jessica Parker sbandierava una vera e propria adorazione nei confronti dei celeberrimi stiletti Manolo Blahnik o Jimmy Choo: quando l’attrice ha dichiarato al magazine americano Net-A-Porter che i suoi piedi non le consentivano più di indossare i tacchi alti che l’hanno resa famosa, è stato quasi uno choc.

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Dolore muscolare il giorno dopo l’allenamento: cause, cure e prevenzione

MEDICINA ONLINE PALESTRA ALLENAMENTO UOMO MUSCOLI PESI BELLEZZA GINNASTICA PESISTICATi sei svegliato questa mattina con tutti i muscoli indolenziti? La prima cosa che ti viene in mente è “ma ieri in palestra non avrò esagerato coi pesi?”. Quasi sicuramente si tratta di DOMS  acronimo di Delayed Onset Muscle Soreness cioè indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata“. Il DOMS descrive un fenomeno di dolore muscolare o rigidità muscolare che si verifica solitamente il giorno dopo l’allenamento e nei casi più gravi può durare anche 4/5 giorni.

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In quali casi si verifica il dolore muscolare dopo l’allenamento?
Anche se può essere allarmante, l’indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata è una risposta normale allo sforzo inusuale e fa parte di un processo di adattamento che porta il nostro corpo ad una maggiore capacità di resistenza e forza, e i nostri muscoli a costruire ipertrofia. Lo sforzo inusuale può verificarsi principalmente in tre casi:

  1. Quando si è smesso di allenarsi per un periodo medio/lungo (anche se per alcuni può bastare interrompere per pochi giorni) per poi riprendere all’improvviso magari senza gradualità, rimettendo subito mano sui pesi più grandi. Il caso classico è il mese di agosto, tanto temuto dagli assidui frequentatori di palestre: la palestra rimane chiusa e quando si riprende a settembre i muscoli sono impreparati.
  2. Quando si inizia un programma di esercizio completamente nuovo, inserendo ad esempio dei muscoli che non venivano sollecitati nel programma precedente.
  3. Quando modificate il vostro normale programma di esercizio, cambiandone la routine o – soprattutto – aumentandone notevolmente la durata o l’intensità.

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Qual è la causa fisiologica del dolore dopo l’allenamento?
La risposta a questa domanda non è stata ancora del tutto chiarita, tuttavia gli ultimi studi indicano che insorgenza del DOMS sia il risultato di una microscopica lacerazione delle fibre muscolari, necessaria per una costruzione muscolare maggiore di quella precedente alla lacerazione. Un po’ come dire che è necessario “distruggere per ricostruire meglio”. La quantità di lacerazione (e dolore) dipende da quanto e per quanto tempo ci si allena e dal tipo di esercizio che fate.

Differenza tra dolore durante l’allenamento e dolore DOPO l’allenamento
Il DOMS non è lo stesso tipo di dolore muscolare che si verifica durante l’esercizio fisico. Il dolore durante l’esercizio è di norma acuto, più intenso, di breve durata e tende a sparire poco dopo che si è smesso di fare gli esercizi.
Il DOMS è invece lieve/moderato, dura più a lungo, non scompare col riposo, è generalmente più acuto entro i primi 2 giorni a seguito di una nuova, intensa attività e lentamente scompare nel corso dei giorni seguenti.

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Quali esercizi aumentano le possibilità di provare dolore dopo l’allenamento?
Come abbiamo visto, virtualmente qualsiasi movimento ed esercizio, se inusuale o di intensità maggiore rispetto al solito, può portare al DOMS, tuttavia le contrazioni muscolari eccentriche (movimenti che inducono il muscolo a contrarsi con forza mentre si allunga) sembrano provocare più dolore.
Esempi di contrazioni muscolari eccentriche includono scendere le scale, abbassare i pesi e il movimento verso il basso di squat e push-up.

Quando andare dal medico?
Il dolore muscolare dopo l’allenamento è, generalmente normale e non deve allarmare, tuttavia questa non deve essere la scusa per sottovalutare il problema: alcuni dolori muscolari possono essere un segno di un infortunio anche grave. Se il dolore non diminuisce di intensità, sono presenti gonfiori e arrossamenti importanti e soprattutto se continua oltre i 6 o 7 giorni è il caso di non sottovalutare il problema e di consultare il vostro medico di fiducia.

Come faccio a far diminuire il dolore dopo l’allenamento?
Per far diminuire il dolore dopo l’allenamento, leggi anche: DOMS: come faccio a far diminuire il dolore dopo l’allenamento?

Come faccio a prevenire il dolore dopo l’allenamento?
Per prevenire il dolore dopo l’allenamento, leggi anche: DOMS: come faccio a prevenire il dolore tipico del dopo allenamento?

I migliori prodotti per la cura delle ossa e dei dolori articolari 
Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche per il benessere di ossa, legamenti, cartilagini e tendini e la cura dei dolori articolari. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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