Differenza tra calcoli biliari e renali

MEDICINA ONLINE BILE DOTTO EPATICO COMUNE CISTICO COLEDOCO CISTIFELLEA COLECISTI FEGATO DIGESTIONE ANATOMIA SCHEMA SISTEMA BILIARE SINTESI IMMAGINEPrima di trattare l’argomento dobbiamo capire che cosa si intenda in medicina con il termine “calcoli”.

Cos’è un “calcolo”?

In ambito medico il calcolo è una concrezione (cioè un aggregato) di sali minerali associati o meno a sostanze organiche che si forma nell’organismo, specialmente dentro condotti ghiandolari ed in alcuni organi cavi per precipitazione e successiva aggregazione di sostanze prima disciolte nei relativi secreti. Pur potendo esistere molti tipi di calcoli, in genere in medicina si fa riferimento a due tipologie specifiche di calcoli clinicamente rilevanti:

  • calcoli renali: quelli che si formano nelle vie urinarie e determinano calcolosi renale;
  • calcoli biliari: che si formano nella cistifellea e nei dotti biliari e determinano colelitiasi (calcolosi delle colecisti).

Calcoli renali

I calcoli renali possono variare da pochi millimetri ad alcuni centimetri. A seconda della loro composizione abbiamo quattro tipi di calcoli renali: ossalato e fosfato di calcio (80%), acido urico (15%), magnesio-ammonio-fosfato – detto anche struvite – (5%) e cistina (molto raramente). I calcoli renali si formano a causa di ipersaturazione delle urine da parte delle stesse sostanze che compongono i calcoli, che a loro volta precipitano dando luogo alla formazione di cristalli che pian piano si accumulano stratificandosi e dando luogo al calcolo.

  • per esempio l’iperuricemia (dando luogo poi alla gotta),
  • oppure problemi endocrini (l’iperparatiroidismo),
  • la dieta errata (ricca in proteine ed ossalati),
  • problematiche di tipo infettivo (infezioni urinarie da parte di germi gram-negativi che alcalinizzano le urine),
  • oppure ancora in anomalie ereditarie (calcolosi cistinica).

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Calcoli biliari

Anche in questo caso i calcoli possono presentare una dimensione che va da pochi millimetri a qualche centimetro. Si presentano come formazioni dure simili a sassi. Colpisce circa il 10 – 15% della popolazione e sembra avere una preferenza per il sesso femminile (soprattutto dovuto a gravidanze multiple, obesità o dimagrimenti rapidi). I calcoli biliari sono essenzialmente di due tipi: i calcoli di colesterolo e i calcoli pigmentati, a loro volta distinti in bruni e neri. Le cause di formazione di questi calcoli sono differenti a seconda del tipo di calcolo.
I calcoli di colesterolo rappresentano il 70% circa dei calcoli nei paesi occidentali. In questi casi il fegato produce una bile satura in colesterolo (a causa del mancato equilibrio, per esempio, con i sali biliari e i fosfolipidi). Questo mancato equilibrio porterà ad un’emissione di bile satura in colesterolo che favorirà la formazione di calcoli.
Nei calcoli pigmentati troveremo invece della bilirubina non coniugata che si combinerà e precipiterà col calcio, in modo da formare bilirubinati di calcio. I calcoli pigmentati bruni si associano normalmente ad infezioni (si riscontrano più che altro in Asia), mentre quelli neri sono normalmente concomitanti a malattie del sangue o si riscontrano in pazienti cirrotici:  si riscontrano solo nella colecisti.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Dieta chetogenica: cosa mangiare, controindicazioni e rischi

MEDICINA ONLINE SOCIAL EATING GNAMMO FENOMENO WEB MANGIARE PRANZO CIBO CENA INSIEME AMICI RISTORANTEDieta chetogenica: come funziona? Cosa mangiare?

Si tratta di un’alimentazione ad alto contenuto di grassi, di proteine e povera di carboidrati. In questo modo il corpo può essere indotto maggiormente a bruciare i grassi e a dimagrire. Per svolgere le sue funzioni il corpo necessita di apporto di glucosio. Quando vengono meno le fonti degli zuccheri, che sono principalmente costituite da carboidrati, l’organismo inizia a scomporre le proteine e i grassi. Questo lavoro di scomposizione stimola anche la formazione di corpi chetonici, da cui deriva il nome stesso della dieta. Vediamo meglio come funziona questo tipo di alimentazione e qual è il menu che si può seguire.

Come funziona?

La dieta chetogenica si basa su alcuni principi fondamentali, come la riduzione dei carboidrati, perché in questo modo l’organismo viene stimolato a smaltire efficacemente le riserve di grasso in eccesso. Non si fa altro che accelerare il metabolismo, perché si possa dimagrire in fretta e perdere peso in poco tempo. Parallelamente si cerca di aumentare il consumo di proteine e di grassi, per dare all’organismo l’energia di cui ha bisogno. L’ossidazione dei grassi provoca l’accumulo di molecole intermedie, che sono chiamati corpi chetonici. Come effetto si ha anche un calo della sensazione dell’appetito.

Cosa mangiare?

Le proteine che possono essere assunte nella dieta chetogenica possono derivare dalle uova, dalla carne e dal pesce. Sono ammessi tutti i tipi di carne e il pesce può comprendere anche i crostacei. I grassi ammessi sono quelli previsti sotto forma di condimenti, come olio d’oliva, burro, strutto, olio di sesamo e di soia. Sono importanti anche i grassi che derivano dai formaggi, anche se andrebbero esclusi quei derivati del latte, che, oltre ad essere ricchi di grassi e proteine, sono ricchi anche di carboidrati. Nella dieta sono comprese anche le verdure, soprattutto asparagi, funghi e broccoli. Da evitare cibi vegetali, come patate, cereali, carote e piselli. La quantità di frutta prevista è di massimo 2 frutti al giorno. E’ consigliato bere 2 litri di acqua durante la giornata o comunque liquidi non zuccherati, anche tè e caffè senza zucchero. E’ ammessa la frutta secca, come, ad esempio, noci e arachidi.

Il menu

Vediamo il menu della dieta chetogenica, uno schema preciso su che cosa orientativamente mangiare durante il giorno.

Colazione: 2 uova fritte e 2 fette di pancetta oppure 2 uova strapazzate con erba cipollina.

Spuntino: un frutto a piacere.

Pranzo: 2 salsicce o 2 hamburger con insalata verde.

Merenda: un frutto a piacere.

Cena: una fetta di tonno con verdure al vapore o 100 grammi di pollo arrosto con broccoli oppure una bistecca di manzo con spinaci al vapore.

I rischi e le controindicazioni

La dieta chetogenica può essere anche rischiosa per la salute, perché, a causa del taglio dei carboidrati, può determinare vertigini, debolezza, ipoglicemia e disturbi gastrointestinali. Questi problemi possono manifestarsi soprattutto nelle prime 2 settimane dall’inizio della dieta, quando l’organismo non si è ancora abituato al cambiamento. Un altro problema potrebbe essere quello dell’aumento del colesterolo, dovuto al fatto che si ingeriscono grandi quantità di grassi. Inoltre questa dieta potrebbe anche affaticare i reni. Chi volesse seguire questa dieta deve sempre chiedere il parere di un dietologo.

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Vomitare sangue ed ematemesi: cos’è, cosa fare, cause e terapie

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Cause

Le cause dell’ematemesi sono da ricercarsi in problemi gastrointestinali. Una possibile causa potrebbe essere un’ulcera gastrica o duodenale. Infatti, la metà dei pazienti affetti da queste patologie presenta ematemesi. L’ulcera è una lesione della mucosa che può essere causata da diversi fattori, tra cui l’assunzione di farmaci antiinfiammatori non steroidei che provocano una gastrite erosiva. L’ematemesi si verifica anche in seguito a un trauma fisico, come potrebbe succedere dopo un incidente stradale o dopo un allenamento sportivo che porta alla rottura di vasi sanguini del tratta gastrointestinale. Una causa simile a questa appena descritta è la angiodisplasia gastrica che porta alla rottura dei vasi sanguini a causa di una loro malformazione. Altra causa dell’ematemesi potrebbero essere le varici esofagee che sono delle dilatazioni dei vasi dell’esofago che hanno luogo in seguito a ipertensione venosa, cioè quando aumenta la pressione del sangue. Questo genere di ipertensione con la formazioni di varici è anch’essa un sintomi di una patologia: la cirrosi epatica. Anche tumori a stomaco, intestino, pancreas, fegato e esofago possono avere come sintomo l’ematemesi. La sindrome di Mallory – Weiss è una patologia che non ha ancora individuato con precisione la sua causa ma pare certo che è indicata dalla presenza di ematemesi. Pare che frequenti episodi di vomito a causa di abuso di alcol portino alla lacerazione dello sfintere che provoca una piccola emorragia. Infine, l’ematemesi può essere sintomo della malattia emorragica del neonato. Si tratta di una patologia che colpisce i bambini e i neonati, come si può capire dal suo nome. In corrispondenza a una mancanza totale di vitamina K, il sangue non è coagulato per una mancata formazione del fegato e così il neonato presenta ematemesi.

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Terapia

Come già detto, l’ematemesi è il sintomo di altre patologie, quindi è possibile curarla solo diagnosticando le cause a monte ed intervenendo su di esse. Quando si presenta l’ematemesi, si deve correre all’ospedale, dove il paziente è sottoposto a misurazione della pressione sanguigna per verificare che non sia in atto una grave emorragia. Con una perdita di sangue, i medici immettono subito per via endovenosa altri liquidi, perché il volume ematico si riduce con l’ematemesi. Si procede, inoltre, con esami del sangue per contare globuli rossi, elettroliti e concentrazione di emoglobina. Con perdite di sangue ingenti, si deve ricorre anche a delle trasfusioni. Per trovare l’origine dell’ematemesi è eseguita una gastroscopia che individua la presenza di ulcere gastriche o duodenali da dove potrebbe provenire il sangue. Sono prescritti farmaci anti emorragici per fermare la fuoriuscita di sangue. Una volta individuata la causa, si può cauterizzare i vasi che provocano il sanguinamento. Nei casi più gravi, si deve intervenire chirurgicamente; l’intervento dipende dalla patologia in corso. Dopo aver avuto l’ematemesi, è sempre consigliabile restare a digiuno per un paio di giorni e, in quelli successivi, seguire una dieta a base di liquidi evitando i cibi solidi.

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Differenza tra colecisti e cistifellea

MEDICINA ONLINE BILE DOTTO EPATICO COMUNE CISTICO COLEDOCO CISTIFELLEA COLECISTI FEGATO DIGESTIONE ANATOMIA SCHEMA SISTEMA BILIARE SINTESI IMMAGINEPotrebbe sembrare una domanda banale ma, dal momento che il paziente non è quasi mai un “addetto ai lavori”, è importante fare chiarezza: qual è la differenza tra “colecisti” e “cistifellea”? Non c’è alcuna differenza: i due termini sono infatti sinonimi ed indicano il medesimo organo del corpo umano; a tal proposito leggi: Cistifellea: cos’è, a cosa serve e dove si trova

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Differenza tra cirrosi e fibrosi

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-cistifellea-cose-cosa-serve-dove-si-trovariabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenza-ecoLa cirrosi epatica è l’espressione di una tappa terminale di danno cronico del fegato indotto da fattori lesivi di diversa origine. Al danno cronico il fegato ripara compensando attraverso la formazione di “cicatrici” costituite da tessuto fibroso e attraverso la rigenerazione delle cellule perdute. L’espressione esasperata di tali processi porta ad una estesa fibrosi e ai noduli di rigenerazione; a lungo andare ne consegue una progressiva riduzione della massa funzionante epatica (causa di insufficienza dell’organo nelle fasi di malattia avanzata), fenomeni infiammatori e necrotici ed un sovvertimento della architettura vascolare intraepatica con conseguente ipertensione portale e cirrosi conclamata.

La differenza tra fibrosi e cirrosi consiste quindi nel fatto che la fibrosi è una fase pre-cirrotica. Per alcuni soggetti la progressione tra fibrosi epatica e cirrosi è molto lenta, anche decine di anni, per altri invece è più rapida.

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Epatiti croniche: cosa sono, sintomi, diagnosi e cura

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Sono provocate da infezione cronica da parte dei virus dell’epatite B o C, a seguito di epatite acuta non guarita. In casi più rari possono avere origine autoimmune o accompagnare malattie autoimmuni (ad es. lupus eritematoso sistemico) o essere indotte da farmaci. L’infiammazione cronica può sviluppare cirrosi epatica; il tempo necessario affinché avvenga questo processo è variabile, dipendendo dal grado di attività infiammatoria presente. Se l’attività infiammatoria è minima o assente l’evoluzione verso la cirrosi non avverrà mai; se è presente attività infiammatoria la velocità di evoluzione dipenderà dal grado dell’infiammazione.

COME SI RICONOSCONO?

I sintomi sono assenti nella maggior parte dei casi. Quando presenti, i sintomi più frequenti sono: astenia e facile affaticabilità, malessere generale, inappetenza, nausea, dolori articolari e perdita di peso.
Il riscontro della malattia è spesso del tutto casuale, in occasione di esami di laboratorio eseguiti magari per tutt’altro motivo. Infatti, l’epatite acuta, specie nel caso dell’epatite C, spesso decorre senza provocare alcun sintomo. Le epatiti croniche sono a loro volta asintomatiche. Vi è un aumento dei valori di alcuni esami di funzione epatica (transaminasi, gamma-gt) e gli esami di laboratorio mostrano positività dei cosiddetti markers per epatite B o C. L’ecografia epatica è per lo più nei limiti di norma. La diagnosi viene confermata dalla biopsia epatica.

COME SI CURANO?

Le terapie di cui si dispone (interferone o, nel caso della epatite C, interferone più ribavirina) sono in grado di curare solo una percentuale di pazienti con epatite cronica attiva, ma un tentativo terapeutico, se non vi sono controindicazioni, è sempre doveroso per cercare di evitare o rallentare l’evoluzione della malattia verso la cirrosi epatica. In presenza di epatite autoimmune, l’unica terapia efficace sarà il cortisone. Non esistono altre terapie efficaci.

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Legatura/sclerosi delle varici esofagee: perché si esegue, quali sono i rischi?

MEDICINA ONLINE SURGERY SURGEON RECOVERY TAGLIO ANESTESIA GENERALE REGIONALE LOCALE EPIDURALE SPINALE SNC BISTURI PUNTI SUTURA COSCIENTE PROFONDA MINIMA ANSIOLISI ANESTHETIC AWARENESS WALLPAPER PICS PHOTO HD HI RES PICTURESL’emorragia delle vene dell’esofago (varici) è una delle complicanze più gravi che può verificarsi in un paziente affetto da una malattia cronica del fegato, come la cirrosi epatica. Può avvenire perché proprio a causa della malattia che interessa il fegato, parte del sangue proveniente dall’intestino non riesce a passare attraverso il fegato (dove viene filtrato), ma viene deviato lungo le vene dello stomaco e dell’esofago.
L’afflusso di maggiori quantità di sangue attraverso queste vene ne provoca una dilatazione (varice) simile a quanto avviene nelle vene delle gambe. Le vene dell’esofago, divenute gonfie e tortuose, sono soggette a rottura con comparsa di emorragia, che può fuoriuscire dalla bocca (ematemesi) o essere eliminata attraverso l’intestino, con riscontro di feci nerastre (melena), a tal proposito leggi: Feci nere e melena: cause e cure in adulti e neonati

COME SI CURANO?

Le varici dell’esofago possono essere viste con una sonda, il gastroscopio, di diametro di poco superiore al centimetro, con una telecamera in punta o delle lenti (fibre ottiche) e dotato di luce propria, che viene introdotto delicatamente dalla bocca. Attraverso il canale che esiste all’interno del gastroscopio è possibile fare passare un ago sottile, che consente di iniettare un liquido nelle varici che sanguinano o nelle loro immediate vicinanze, provocando l’arresto dell’emorragia. L’emorragia può essere arrestata anche strozzando alla base la varice con un piccolo anello elastico (legatura). L’iniezione di questo liquido o il posizionamento di un anello elastico provocano una trombosi della varice che conduce poi alla sua occlusione e scomparsa. Per ottenere una completa scomparsa di tutte le varici sono necessari più esami endoscopici (generalmente da 3 a 5), che vengono effettuati settimanalmente o ogni 2 settimane. La completa scomparsa di tutte le varici è importante per prevenire ulteriori emorragie.
I pazienti vengono in seguito sottoposti a controlli periodici (6 mesi o un anno) durante i quali vengono trattate eventuali varici riformate.

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PERCHÉ SI TRATTANO?

L’emorragia delle varici dell’esofago richiede un intervento immediato per i rischi che ne possono derivare. Dopo un episodio di sanguinamento, è inoltre necessario chiudere tutte le varici per prevenire altre emorragie.
La terapia endoscopica è attualmente quella che consente, in un’elevata percentuale di casi, un rapido arresto dell’emorragia da varici e la loro successiva occlusione (già durante l’esame che deve accertare la sede dell’emorragia), senza dover ricorrere ad anestesia generale.
Per tale motivo quella endoscopica è preferita alla terapia chirurgica e a quella radiologica, che sono oggi riservate ai casi in cui la terapia endoscopica fallisce.

COME SI ESEGUE L’ESAME?

Prima dell’esame può essere qualche volta necessario posizionare un sondino che, attraverso il naso, viene fatto procedere fino allo stomaco, per rimuovere il sangue e i residui alimentari presenti nello stomaco.
L’esame non produce dolore ma solo modesto fastidio all’introduzione dello strumento; per tale motivo può essere somministrato un farmaco sedativo e un liquido o una compressa per l’anestesia in gola. Durante l’esame il paziente viene costantemente monitorato (saturazione, battito cardiaco ecc.). Ai fini dell’esame è importante che il paziente si mantenga rilassato, respirando lentamente e profondamente, per prevenire l’eventuale sensazione di vomito e tollerare meglio la procedura. Dopo l’esame è necessario rimanere sotto controllo per qualche ora, in alcuni casi rimanere ricoverati per 24 ore. Ovviamente, se l’esame è stato effettuato per un’emorragia, il ricovero potrà protrarsi per più giorni.
L’alimentazione dovrà essere liquida per le prime 24 ore e semiliquida per uno o più giorni.

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QUALI SONO LE COMPLICANZE?

Dopo la sclerosi o la legatura delle varici esofagee possono insorgere febbre e/o modesti dolori al torace e alla parte superiore dell’addome che si risolvono spontaneamente e che devono destare apprensione solo quando persistono.
L’eventuale comparsa di difficoltà alla deglutizione è legata all’infiammazione della mucosa dell’esofago, conseguente all’iniezione del liquido che occlude le varici. Inoltre, sia l’iniezione di liquido nelle varici sia la legatura provocano delle ulcere della mucosa dell’esofago. La caduta dopo qualche giorno delle piccole croste che le ricoprono (escare) può essere causa di un nuovo sanguinamento che generalmente si arresta spontaneamente.
La difficoltà alla deglutizione tende a scomparire dopo alcuni giorni e solo la sua persistenza per tempi lunghi può indicare la presenza di un restringimento dell’esofago conseguente al trattamento. A questa complicanza si può facilmente porre rimedio per via endoscopica.
Complicanze più gravi, come la perforazione, sono molto più rare.

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Bile: dove si trova, a che serve e da cosa è composta?

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