Macrosomia, distocico, episiotomia, indice di Bishop… Il vocabolario del parto

MEDICINA ONLINE PARTO GRAVIDANZA BAMBINO PREGNANCY NEW BORN HI RES PICTURE WALLPAPER PANCIONE PANCIA MOTHER MAMMA MADRE CESAREO NATURALEDisimpegno, amnioressi, episiotomia, indice di Bishop: sono solo alcune delle espressioni impiegate in medicina per descrivere lo svolgimento del parto , ma possono risultare un po’ difficili ai “non addetti ai lavori”. E talvolta, per imbarazzo, si evita di chiedere spiegazioni. Per risolvere tutti i tuoi dubbi, ecco un piccolo glossario, che spiega in modo chiaro e semplice alcune delle parole-chiave legate alla nascita.

Amnioressi

E’ la rottura delle membrane, provocata artificialmente con l’aiuto di una piccola sonda, chiamata amniotomo. Viene di solito praticata durante il travaglio (sarebbe meglio non effettuarla prima che la dilatazione del collo dell’utero abbia raggiunto almeno 4-5 cm) per facilitare l’inizio della fase espulsiva.

Canale del parto

Comprende canale cervicale (ultima parte dell’utero) e vagina; è il “tragitto” che il piccolo percorre per nascere.

Disimpegno

Indica l’insieme dei movimenti che il bimbo compie nel corso del parto per permettere alla testa e alle spalle di uscire dall’ultimo tratto del canale del parto .

Episiotomia

Piccola incisione della vagina e della cute del perineo (fascia muscolare compresa tra la vagina e l’ano), che può essere praticata nelle ultime fasi del parto , per facilitare l’uscita del bimbo, evitando possibili lacerazioni spontanee dei tessuti. Viene praticata soprattutto se il bimbo è troppo grosso per poter uscire dalla vagina o se lo spazio disponibile è un po’ esiguo per il bambino. Viene eseguita in anestesia locale.

Episiorrafia

Si tratta dell’intervento di sutura che viene effettuato dall’ostetrico per ricucire il taglio provocato dall’episiotomia.

Impegno fetale

Movimento con cui il bimbo entra nel canale del parto per prepararsi all’espulsione dall’utero. La parte del feto che normalmente viene “impegnata” è la testa. Quando il feto si presenta di podice (piedi o sedere) oppure di spalla, si esegue il taglio cesareo.

Indice (o punteggio pelvico) di Bishop

Calcolo che permette di valutare se ci sono i presupposti per procedere alla stimolazione del parto . In particolare, si controllano le condizioni del collo dell’utero e i rapporti tra la testa del bambino e il canale del parto che dovrà attraversare.

Macrosomia

E’ una condizione che si verifica spesso nei figli di donne diabetiche. Non si tratta di una malattia e nemmeno di un’anomalia genetica, ma del semplice fatto che il neonato è un po’ più grande della media. In genere, si parla di macrosomia se il bambino pesa più di 4,5 chili al momento della nascita.

Manovra di Kristeller

In caso di parto spontaneo, l’ostetrica può aiutare la nascita mediante una spinta sul fondo dell’utero, che si effettua premendo l’addome della donna per favorire l’uscita del neonato. Questa manovra va però praticata soltanto nei casi in cui il bambino ha difficoltà a uscire dal canale del parto , e le spinte non dovrebbero essere più di tre, in modo da non arrecare danno né alla mamma (come la frattura di una costola) né al bambino (diminuizione improvvisa dell’ossigeno).

Ossitocina

E’ l’ormone che stimola la muscolatura dell’utero, aumentando l’intensità e la frequenza delle contrazioni. Per questo, spesso, durante il travaglio viene utilizzata una sostanza chimica simile per indurre l’utero a contrarsi maggiormente e accelerare, così, il parto .

Parto a termine

E’ il parto che si verifica tra la 37ª e la fine della 41ª settimana di gravidanza, cioè tra 259 e 294 giorni dall’ultima mestruazione.

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Parto distocico

Così si definisce la nascita che non si svolge in maniera naturale e che, per essere portata a termine, richiede l’intervento dell’ostetrico, che utilizza forcipe e ventosa oppure effettua il cesareo. Le cause possono essere diverse: difficoltà dell’utero a contrarsi (distocia dinamica) o disturbi dovuti alla dilatazione del canale cervicale (distocia meccanica), una conformazione del bacino che rende difficile la fuoriuscita del bimbo oppure anomalie nella presentazione o posizione del piccolo, o, ancora, un suo peso eccessivo.

Parto eutocico

E’ la nascita che si svolge per le vie naturali e che non richiede alcun intervento ostetrico. Il termine eutocico è usato anche come sinonimo di parto spontaneo (indica, cioè, l’evento che inizia in modo del tutto naturale, senza dover ricorrere a farmaci).

Partogramma

Scheda simile a un grafico, compilata nel corso del parto per registrarne gli avvenimenti più importanti. Permette di avere una visione complessiva dell’evoluzione del travaglio e di capire se tutto procede nel modo migliore.
Fra le annotazioni principali:

  • rottura spontanea o provocata delle membrane,
  • esito delle registrazioni dell’attività cardiaca del feto,
  • caratteristiche del liquido amniotico,
  • impiego di farmaci, come l’ossitocina o antidolorifici,
  • ricorso a tecniche di anestesia,
  • progressione della dilatazione del collo dell’utero.

Parto indotto

Avviene quando, in assenza totale di contrazioni, il travaglio viene provocato artificialmente con l’uso di farmaci. Questi vengono somministrati per fleboclisi (ossitocina) oppure introdotti in vagina con gel (prostaglandine) e provocano le contrazioni. Talvolta è sufficiente la semplice rottura artificiale delle membrane (amnioressi).
Le cause più frequenti sono:

  • diabete, ipertensione o altre malattie che possono provocare alterazioni alla placenta,
  • un’eccessiva riduzione del liquido amniotico rilevata prima della fine della gravidanza,
  • il bimbo troppo grosso (feto detto “macrosomico”),
  • il travaglio che non inizia in modo spontaneo, anche se è già avvenuta la rottura delle acque,
  • la gravidanza che si protrae oltre il termine (fine della 41ª settimana).

Parto operativo

Viene definito in questo modo il parto che avviene grazie a un intervento chirurgico (cesareo) o con strumenti (forcipe e ventosa) usati per favorire la nascita del bambino.

Parto pilotato

Un parto viene pilotato quando il travaglio comincia spontaneamente ma, poi, le contrazioni sono troppo deboli oppure non si susseguono in modo regolare. Vengono allora somministrati farmaci, come l’ossitocina, che stimolano la muscolatura dell’utero e abbreviano i tempi della nascita. È un metodo consigliato quando il travaglio si prolunga e la donna non ha più la forza sufficiente per assecondare le spinte.

Rottura delle membrane

Lacerazione del sacco amniotico, che comporta la fuoriuscita di liquido amniotico in vagina. La donna che sta per partorire, infatti, avverte improvvisamente una sensazione di bagnato, provocata dalla perdita di liquido chiaro e inodore. Se si verifica prima dell’inizio del travaglio viene definita “prematura”, perché avviene prima delle contrazioni.

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Differenza tra vomito e rigurgito nel neonato

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Il rigurgito consiste nell’emissione di una piccola quantità di latte, che in genere cola dalla bocca e sporca il bavaglino o il vestitino.

Il vomito è l’emissione violenta, spesso rumorosa, con getto a distanza di una notevole quantità di latte.

Sia il rigurgito che il vomito non sono, se non in rarissimi casi, causati da cattiva digestione oppure intolleranza al latte, ma si riconoscono altre cause: nervose, anatomiche.

Con il rigurgito vengono emesse piccole quantità di latte. Tale emissione può avvenire subito dopo il pasto oppure durante il periodo che intercorre fra un pasto e l’altro o addirittura poco prima del pasto successivo. Le mamme si preoccupano in modo particolare per i rigurgiti che avvengono a distanza dal pasto, e ancor di più per quelli che precedono il pasto successivo. In realtà non c’è nessuna differenza tra il rigurgito che avviene subito dopo il pasto e quello che avviene a distanza. L’unica diversità è rappresentata dal fatto che nel rigurgito subito dopo il pasto viene emesso un latte pressoché inalterato, mentre più il pasto è lontano, più il latte presenta un processo avanzato di digestione. Non bisogna preoccuparsi dei rigurgiti se il bambino cresce regolarmente. Può essere utile, quando è nel lettino, tenerlo in posizione non completamente orizzontale (si parla di terapia posturale). Può servire anche la somministrazione di latti ispessiti con l’aggiunta di farine.
Se invece sono presenti agitazione e crisi di pianto allora è probabile che ci sia un problema importante di reflusso gastroesofageo. In questo caso è opportuno consultare il pediatra, ma anche questo problema deve essere affrontato con buon senso ed equilibrio e non si deve aggredire subito il bambino con esami diagnostici invasivi (ad esempio Ph-metria), ma bisogna ricorrere prima a farmaci specifici. Del resto dopo l’eventuale effettuazione di esami invasivi, si arriva spesso alla conclusione di somministrare gli stessi farmaci! È sbagliato cambiare il latte con altri uguali ma di altre marche. Ricorrete eventualmente ai moderni latti antirigurgito. Non tanto il vomito saltuario che si può avere in occasione di piccole indigestioni, quanto il vomito abituale e frequente.

Aspetti su cui puntare l’attenzione:

  • Crescita: se, nonostante il vomito relativamente frequente, il bambino cresce regolarmente, in genere non ci sono problemi gravi. Se non cresce: sicuramente ve ne sono.
  • Frequenza: il vomito che deve destare preoccupazione è presente in quasi tutti i pasti, è totale, con l’emissione di grandi quantità di latte, e soprattutto impedisce la crescita del bambino.
  • Epoca di comparsa: in linea di massima è meno grave un vomito che compare subito dopo la nascita rispetto a quello che compare intorno al 15°-20° giorno di vita. In ogni caso, quando compare un vomito ripetuto bisogna subito rivolgersi al medico.

In caso di vomito abituale e ripetuto, il comportamento da tenere può essere riassunto nel seguente schema:

  • Vomito saltuario associato a crescita normale: probabilmente nessun problema.
  • Vomito frequente e crescita normale (evento raro) = attendere con attenzione, ma rivolgersi al medico.
  • Vomito frequente con nessuna crescita: probabilmente sono presenti dei problemi, mantenendo la calma rivolgetevi subito al pediatra.

Fate molta attenzione ai lattanti che nel primo mese di vita presentano: vomito frequente, stitichezza ostinata, scarsa emissione di urine e arresto della crescita.
In questi casi rivolgetevi subito al medico!

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Le 10 frasi da non dire mai ad una mamma single

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COSE DA NON DIRE DONNA PARTORITO Medicina Estetica Riabilitazione Nutrizionist Dieta Grasso Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Seno Luce Pulsata Macchie Cutanee Pene Pressoterapia MassaggioEssere mamma è di per sé una bella responsabilità, ma essere allo stesso tempo single può complicare le cose in quanto manca la cosiddetta “spalla maschile” a gestire le questioni scomode.
Ma tante volte sono proprio i figli che alcune volte aumentano il peso delle circostanze.
Per tale motivo questa lista di 10 frasi da non dire ad una mamma single, vuole essere un aiuto ad evitare di aprire bocca a sproposito, e ferire inutilmente l’orgoglio di una mamma che con tanto amore vi vuole bene.
È importante per una mamma essere considerata tale in ogni circostanza, ma allo stesso tempo è nella natura dell’essere donna che risiede quel desiderio di avere al fianco un uomo.

1) Mamma, ma quel tipo non ti piace?

Dire ad una mamma questo tipo di frase significa comunicarle che ti stai preoccupando per la sua sfera sentimentale.
Una mamma generalmente tende a nascondere il proprio lato di “Donna” ai figli.
Per tale motivo questo genere di frasi solitamente mettono in imbarazzo le mamme.

2) Mamma, ieri ho fatto sesso con un tipo, è stato uno sballo!

Per una ragazza che comunque ha un rapporto anche amichevole con la mamma è comunque sconsigliabile parlare della propria sfera sessuale, semplicemente per non farla sentire a disagio o ancor peggio scatenare dei piccoli sensi d’invidia, che seppur ridicoli, fanno male al cuore.

3) Mamma, è colpa tua che sei sola!

Non ha nessuna importanza per un figlio se la colpa di un eventuale divorzio sia da accreditarsi a gesti del padre o della madre. Tu come figlio/a non devi sindacare scelte che hanno fatto i tuoi genitori. Possono esserci elementi a te oscuri che potrebbero ribaltare tutti i tuoi giudizi, o elementi che ti sono tenuti nascosti perché potrebbero darti fastidio.
In ogni caso non dare mai colpe dirette a mamma, anche se possono apparire evidenti, tante volte sono travestite da stupide menzogne a fin di bene.

4) Mamma, mi manca papà!

Questa frase è particolare, è bisogna stare attenti più che altro al contesto nella quale viene detta. In un contesto affettuoso è comprensibile che un figlio/a contribuisca allo stato d’animo della famiglia, richiamandola come forma di desiderio. Ma utilizzare questa frase al termine di un litigio con mamma, nella quale non si ha ottenuto quello che si voleva, significa quasi voler dire “sei cattiva! Se c’era papà sarebbe stato tutto diverso e avrei avuto ragione io!”

5) Mamma, ma quando sarò grande e mi sposerò, tu cosa farai?

Ciò significa preoccuparsi del tempo. E la mamma sa che il tempo non è infinito e che dovrà un giorno fare i conti anche con la vecchiaia, magari senza un compagno.
È inutile ricordarglielo, dicendogli che anche tu ti stai preoccupando.
Quasi a sottolineare involontariamente che non sarai tu a prenderti cura di lei un giorno.

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6) Mamma, mi sono innamorato di una della tua età!

Può apparire una frase sciocca, e tanti si chiederanno cosa può esserci di strano nel non dire una cosa del genere, nel caso dovesse accadere.
Beh, per una mamma avere in casa la fidanzata del proprio figlio che ha la sua età può essere molto difficile da accettare.
Immaginate soltanto cosa potrebbe provare mentre pensa: “mio figlio che fa sesso con una donna che potrei essere io”.

7) Mamma, vado via di casa, o me o lui!

Nel caso della mamma single che inizia a frequentare un tipo, senza stringere nessun legame, questa frase può essere la più sbagliata da pronunciare, se la mamma vede in quel tipo il suo futuro. Già! Sta giostrando i suoi sentimenti per cercare di far collimare i sentimenti dei figli e quelli del futuro partner; se ci mettete un carico da 90 togliete a lei ogni speranza di un futuro di coppia. Provate invece a conoscere il tipo. Forse non è tanto male…

8) Mamma, andiamo via, qui non sto bene!

Ovviamente, questa frase dipende dalla situazione di malessere che stai vivendo. Ma se il vostro deve essere solo un capriccio cercate prima di osservare come sta la mamma. Se lei è felice non rovinategli questi attimi. Se poi è insieme ad un uomo, cercate di mostrarvi indifferente ma felice. Servirà a renderla più sicura.

9) Mamma, sto male! (…e non è vero!)

Mai dire ad una mamma che state male senza che sia vero. Magari solo per attirare attenzione. Rischiate solamente di generare panico all’interno di lei facendola preoccupare inutilmente.
Ma la cosa più grave è se prendete l’abitudine; alla fine non vi crederà più e la volta che magari state male davvero rischiate di non avere alcun aiuto da lei.

10) Mamma, sei poco seria!

Questa frase o simili possono scappare in eta adolescenziali durante i litigi magari più serrati. Per quanto possa essere serrato il dialogo, oppure vera l’affermazione; non dite mai una frase del genere a vostra madre perché è proprio quello che lei cerca di insegnare a voi di non essere.
Se voi fate un affermazione del genere è come dirgli che l’educazione che vi ha dato è stata un disastro.

 

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Allattamento materno, artificiale e misto: quale latte per il bambino?

MEDICINA ONLINE NEONATO BIMBO BAMBINO PIANTO CONGENITO LATTE ALLATTAMENTO SEN MADRE FIGLIO GENITORE BIMBI LATTANTE MATERNO ARTIFICIALE DIFFERENZA PICCOLO PARTO CESAREO NATURALE PIANGEREIl latte materno è sicuramente l’alimento più idoneo per il bebè, anche se a volte ci possono essere degli impedimenti o delle controindicazioni che spingono a ricorrere al latte artificiale. In ogni caso, se la mamma non può allattare il bambino al seno, si può ricorrere al latte artificiale scegliendo quello che per composizione è più simile al latte materno (che rimane comunque l’alimento ideale per il bambino). Si deve quindi ricorrere ad altri tipi di latte solo nei casi in cui non sia possibile avere adeguata quantità di latte materno (allattamento misto) o quando questo venga a mancare del tutto (allattamento artificiale). Un numero sempre crescente di indagini, mostrano che l’allattamento materno è particolarmente adatto per soddisfare i bisogni alimentari ed emotivi del bambino. Oltre alle proprietà nutritive e protettive del latte, l’allattamento al seno permette, infatti, di stabilire un contatto importante fra madre e figlio. A questo si uniscono crescenti evidenze di vantaggi in termini di salute anche per la madre che allatta al seno il proprio bambino. È quindi compito del medico informare, indirizzare, incoraggiare ed aiutare tale metodica considerandola un diritto sia per la mamma che per il figlio. Il latte materno adeguatamente trattato e conservato in particolari “banche” collocate nei reparti di neonatologia può essere anche donato per alimentare altri neonati che non possono ricevere quello della propria madre.

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Il latte e il peso del bambino
Ciò che fa latte è la richiesta di un bambino sano e che ha fame. Se il bambino è debole o prematuro o malato, o semplicemente dorme troppo, la sua richiesta di latte sarà minore, di conseguenza le ghiandole mammarie si metteranno a riposo: in altre parole l’organismo, anche se molto efficiente perché produce latte col minimo dispendio calorico, tende a risparmiare fatica.
Durante le prime 6 settimane circa d’allattamento le ghiandole mammarie si saranno “calibrate” sull’esigenza del bambino, in base al sesso, all’età gestazionale e al peso. È però fondamentale che durante tale periodo il bambino abbia avuto libero accesso al seno della mamma, senza restrizioni d’orario e durata delle poppate, né di giorno né di notte. Alla fine delle sei settimane si raggiunge di solito l’apice della produzione, che aumenterà di pochissimo nei 5-6 mesi successivi, mentre il bambino continuerà a crescere. Nel primo mese il piccolo può andare al seno 8-12 volte per 24 ore, se lo desidera, a patto che si attacchi bene.

Il bambino alla nascita ha un peso variabile che va dai 2,5 ai 4,5 chili. Un peso che tende a diminuire nei primi giorni di vita del bambino fino a circa il 10 per cento, quindi un bambino che appena nato pesa 3 chili può calare e raggiungere 2 chili e 700 grammi. Si tratta di un evento naturale dovuto all’emissione di urine e delle prime feci del bebè, all’essiccamento del cordone ombelicale e alla perdita d’acqua con la traspirazione cutanea: non dipende quindi dall’assenza del latte materno. In ogni caso quanto più rapidamente si instaura la montata lattea, tanto più veloce è il recupero del peso della nascita: quindi le perdite vengono compensate dall’assunzione di latte materno. Alcuni bambini iniziano a crescere subito (già dal terzo giorno di vita), altri, avendo avuto alcune difficoltà nell’avvio all’allattamento, stentano un po’ a prendere peso e mettono su qualche grammo solo dopo qualche giorno. L’importante è che alla fine della terza settimana di vita il bebè abbia ripreso il peso della nascita.

Le feci sono spesso fonte di preoccupazione per la mamma, ma è bene sapere che il loro colorito nero-verdastro e la loro vischiosità sono caratteristiche del tutto normali. Le prime feci (meconio) continueranno ad essere eliminate dal bambino nei primi 3-4 giorni di vita per poi far posto gradualmente alle “normali” feci del lattante. Un bambino che al quinto giorno di vita scarichi ancora meconio con tutta probabilità non riceve latte a sufficienza! Il latte materno, infatti, stimola i movimenti intestinali per cui il bambino, di solito, evacua dopo ogni pasto. La consistenza delle feci è di solito cremosa, ma trovare le feci semiliquide non deve spaventare la mamma: non si tratta assolutamente di diarrea. Il colore di solito è giallo-ocra, simile alla senape, ma alcune volte può essere verdastro. La dieta della mamma, se da un lato influenza scarsamente la composizione del latte, può invece modificare molto sia la consistenza, sia la frequenza, sia il colore delle scariche. Le sostanze chimiche che di solito sono responsabili del sapore forte dei cibi (per esempio quelle nella cipolla) possono passare nel latte materno e cambiare le caratteristiche delle feci, ma senza apportare conseguenze per la salute del bebè.

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I vantaggi del latte materno
Il latte materno è l’alimento ideale per la crescita e la salute del bambino durante il suo primo anno di vita. È composto, infatti, da nutrienti fondamentali e nessun altro alimento è così adatto a far crescere bene un bambino, proteggendolo dalle malattie più comuni dell’infanzia (diarree, infezioni respiratorie ed urinarie, allergie, malattie infettive) e svolgendo un’importante azione protettiva nei confronti di obesità, ipertensione arteriosa, aterosclerosi, anemia, carie dentaria. Il latte materno è un alimento facilmente digeribile, per questo i bambini allattati al seno non soffrono quasi mai di stitichezza! Inoltre, soddisfa velocemente la fame e la sete del bambino e soprattutto è sempre pronto e alla giusta temperatura.

Composizione ed effetti
La composizione del latte materno varia in base a diversi fattori per rispondere il più possibile alle diverse esigenze del bebè. Alla fine della poppata, per esempio, il latte contiene un numero di proteine e grassi maggiore rispetto all’inizio, quindi il latte da acquoso diventa più denso e cremoso (più saziante). Naturalmente il cambiamento del latte avviene diversamente da mamma a mamma e quindi si può verificare che alcuni bambini ricevano quello di cui hanno bisogno in cinque minuti, altri in dieci minuti o più. Il bambino può passare da una mammella all’altra per soddisfare il senso di sete perché al latte concentrato di una mammella corrisponde il latte più acquoso dell’altra. Questa variabilità è un “optional” originale del latte materno differente in questo dal latte artificiale (sempre invariato nel gusto e nella concentrazione).

I nutrienti principali del latte materno sono:

  • le proteine: sono meglio digerite, di maggiore valore nutritivo, più adatte allo sviluppo, meno allergizzanti e con una funzione antinfettiva maggiore rispetto agli altri latti
  • gli zuccheri: per la maggior parte lattosio, che rappresenta un’ottima fonte di energia e inibisce la crescita di germi cattivi nell’intestino
  • i grassi: sono ben digeriti e per la maggior parte essenziali
  • i minerali: il latte umano è povero di minerali, ragion per cui al sesto mese di vita del bambino si suggerisce di integrare la sua alimentazione cominciando a svezzarlo; il contenuto in ferro, nonostante sia basso, è ben assorbito dall’intestino dei bambini
  • le vitamine: se la mamma esegue una dieta bilanciata il suo latte è in grado di soddisfare il fabbisogno del bambino per tutti i tipi di vitamine.

Lo sviluppo intellettivo del bambino
Nel latte materno c’è una maggiore concentrazione di acido docosaesanoico rispetto al latte artificiale. A questa sostanza lipidica è stato attribuito l’effetto di potenziare la funzionalità delle vie nervose. Quindi il sistema nervoso centrale dei bambini allattati al seno dovrebbe essere più ricco di acido docosaesanoico rispetto a quello dei bambini che sono allattati artificialmente. I primi, secondo alcuni studi, avranno una vista migliore e un quoziente intellettivo superiore. A questi studi è legato però un po’ di scetticismo: sarebbe, infatti, l’ambiente e non solo la dieta a far sviluppare differenze tra il bambino allattato al seno e quello allattato con latte in polvere.

Risparmio
Allattare artificialmente comporta una spesa per la famiglia che si aggira intorno ai 900 euro nel corso del primo anno di vita del bambino. Oltre all’acquisto del latte, poi, ci sono da considerare le spese per acquistare gli accessori utili per allattare. L’allattamento al seno, invece, comporta una spesa inferiore che è sintetizzabile nelle aumentate esigenze alimentari della donna. Un altro punto a favore dell’allattamento al seno è la prevenzione “naturale” delle malattie materne e infantili: un risparmio notevole per la società e i servizi sanitari. Ma non sono solo gli aspetti economici dalla parte dell’allattamento al seno. Si pensi solo alla sua fruibilità del latte materno da parte del bambino: disponibilità a qualsiasi ora del giorno e della notte, sempre alla temperatura ideale, in casa e fuori.

La salute della mamma
Allattare al seno fa perdere i chili presi durante la gravidanza: i grassi accumulati durante la gestazione, infatti, sono utilizzati per produrre il latte. Alcuni studi, poi, documentano come l’allattamento al seno prevenga il tumore della mammella: il benefico effetto, però, è debole e si limita al tumore che insorge prima della menopausa. E ancora, l’allattamento al seno protegge la donna dall’osteoporosi della vecchiaia e in particolare da una sua complicanza: la frattura del collo del femore. Lo scheletro della donna si impoverisce durante l’allattamento per l’aumentato fabbisogno di calcio, tuttavia, a distanza di tempo dalla sospensione dell’allattamento al seno, la mineralizzazione ossea viene reintegrata.

Allattamento artificiale
Per allattamento artificiale si intende l’alimentazione del bambino con latte alternativo a quello materno. Oggi si riconosce che il latte umano è l’alimento ideale per il bambino nel suo primo anno di vita, quindi un latte non vale l’altro. Quando il latte materno, per qualche motivo, non è disponibile, si dovrà scegliere un latte la cui composizione è più vicina a quella del latte umano. Non è possibile riprodurre nel latte in polvere le caratteristiche di quello materno (dalle proprietà antiallergiche a quelle antinfettive), ma si può esigere che siano rispettati i requisiti nutrizionali fondamentali del latte materno.

Solo i latti che rispondono a questi requisiti, definiti “adattati”, possono essere utilizzati per la nutrizione del bambino nei primi 4-6 mesi di vita, in assenza del latte materno. Il latte di latteria (intero o diluito), per esempio, non è adatto per tutto il primo anno di vita del bambino perché comporta una serie di svantaggi: un carico di sali minerali eccessivo, un maggiore apporto di acidi grassi saturi (possibili responsabili di aterosclerosi), un maggiore rischio di anemia da carenza di ferro. Lo stesso dicasi per il latte di mucca. Dopo i sei mesi e fino alla fine del primo anno di vita del bambino, in assenza di latte materno, si utilizzeranno i cosiddetti “latti di proseguimento” che, a differenza di quelli utilizzati nei primi mesi, sono meno elaborati da punto di vista nutrizionale (la loro produzione quindi costa meno).

Preparazione ed offerta
Latti artificiali in polvere o liquidi? Entrambi sono validi. I primi durano a lungo e ingombrano poco, con i secondi si evitano eventuali errori di preparazione. In Italia sono più diffusi i latti in polvere, mentre quelli liquidi sono utilizzati soprattutto dagli ospedali. Il latte in polvere va sciolto in acqua tiepida (in precedenza bollita) in modo che ogni 100 millilitri di latte contengano 13 grammi di sostanze disciolte. Questa concentrazione è l’ideale per una crescita ottimale: il latte non va addensato arbitrariamente nella convinzione di far crescere meglio il bambino (o più in fretta!). Quello che conta è di non lasciar cadere sistematicamente nel biberon un misurino più del dovuto. Se si ha l’impressione che il bambino mangerebbe di più, non si deve modificare la composizione del latte quanto piuttosto offrire al bebè poppate più abbondanti. Nell’allattamento artificiale, infatti, è compito della mamma incrementare gradualmente la quantità di latte quando nota che quello preparato fino a quel momento diventa insufficiente (se il bebè lo richiede vuol dire che ne ha bisogno). Se la concentrazione è esatta non ci saranno problemi di digestione. Anche l’orario della poppata deve essere elastico, quindi no agli orari rigidi. Per stare più tranquilla la mamma può preparare i biberon di latte un’unica volta al giorno, calcolando orientativamente le quantità che saranno necessarie: questi biberon possono essere conservati nel frigo anche 24 ore.

Dal latte materno al latte artificiale
Quando il passaggio dal seno al biberon si rende necessario, ma è sgradito, può essere utile che sia qualcun altro, e non la mamma, ad offrire il biberon al bambino (per esempio una nonna o il papà). Il cambiamento così è completo: del latte e di chi lo offre al bambino. Il rifiuto del biberon, comunque, non è un evento comune: capita spesso, infatti, che il bambino passi dal seno al biberon con facilità e rapidità proprio per la minor fatica nella suzione.

Allattamento misto
Se nelle prime settimane di vita del lattante la madre non ha latte a sufficienza o se questa situazione avviene a causa di brevi malattie o stress psichici, si completa la poppata carente al seno con quantità superiori di latte artificiale, ma solo se la carenza di latte è momentanea. Nel caso di una riduzione temporanea della portata lattea è utile aumentare il numero dei pasti, perché la suzione del bambino è un’eccellente stimolante della secrezione lattea, e assumere qualche medicamento che favorisce la produzione di latte. Ecco un esempio per chiarire: la madre di un lattante di 3 mesi che pesa 5 chili e 600 grammi si accorge che il bebè alla fine del pasto piange dimostrando chiaramente di avere ancora fame. Dalla doppia pesata, eseguita almeno per un paio di giorni, risulta che la quantità di latte introdotto è in media 500 grammi al giorno. Il fabbisogno alimentare è invece 160 grammi x 5,6 chilogrammi, pari cioè a 900 grammi al giorno. La madre quindi alla fine di ogni pasto darà al proprio piccolo una quantità di latte in polvere tale da compensare il difetto del latte materno. In pratica il bambino dovrebbe introdurre 180 grammi per pasto, quindi 180 grammi per 5 pasti: quello che manca deve essere coperto da latte in polvere adattato. Diverso il discorso quando si parla di bambini prematuri o neonati di peso molto basso. L'”unicità” del latte materno, l’immaturità funzionale dell’apparato digerente in questi bambini, la loro facilità alle infezioni intestinali, rendono particolarmente preziosa l’alimentazione naturale. Quindi anche se il bambino prematuro è assistito in ospedale la madre deve fare il possibile per mantenere viva la lattazione, estraendo meccanicamente il latte almeno 4 volte al giorno con un tiralatte. Avvicinare il bambino e stabilire un contatto precoce e molto utile: quando il bambino è portato al seno della madre la lattazione aumenta immediatamente.

Quando iniziare lo svezzamento 
Lo svezzamento consiste nell’introduzione nell’alimentazione del bambino di pasti diversi dal latte. È un momento delicato perché il bambino dovrà abituarsi a staccarsi gradualmente dal seno materno, a non considerarlo più un’abitudine. Il periodo ideale per iniziare lo svezzamento è il periodo intorno al sesto mese di vita del bambino per motivi sia fisiologici sia psicologici. A questa età il bambino ha raggiunto la maturità delle funzioni digestive, è curioso e disponibile alle novità, mentre in seguito comincerà a diventare più diffidente, meno incline ad esperienze gustative nuove. I cibi solidi, per esempio i cereali, la carne e il formaggio non sono adatti alla sua funzione renale ancora immatura. Inoltre, possono rappresentare una fonte di sostanze allergizzanti che potrebbero passare attraverso la parete intestinale, che nei primi mesi di vita del bambino è particolarmente permeabile, col rischio di scatenare allergie nel bambino. Inoltre i cibi solidi sono poveri di grassi, di cui il lattante ha invece molto bisogno. In una minestrina, per esempio, si trova solo il 30 per cento delle calorie sotto forma di grassi, mentre nel latte materno ben il 54 per cento. I cibi solidi, essendo a più alta densità energetica, possono, se messi nel biberon, determinare un’iperalimentazione del bambino e un eccessivo aumento di peso, che nei soggetti predisposti può rappresentare un fattore di rischio di diventare obesi nelle età successive. Naturalmente i tempi e i modi dello svezzamento dipendono dagli usi e dai costumi della popolazione e dalle caratteristiche culturali del nucleo familiare, quindi meglio non attenersi a schemi rigidi o a tabelle obbligate, ma è opportuno tenere in considerazione le norme generali per evitare alcuni errori:

  • non iniziare lo svezzamento prima del quarto-sesto mese del piccolo
  • l’accettazione e la tolleranza di un alimento da parte del bambino non è sinonimo di salute (anche in assenza di disturbi evidenti)
  • se il bambino rifiuta il cibo è meglio non insistere troppo e riprovare più avanti (lo svezzamento deve essere un motivo di piacere!)

Non esiste un momento preciso per smettere di allattare. Oggi molte donne portano avanti un allattamento di lunga durata, fino alla fine del secondo anno di vita e oltre: una scelta che, nel rispetto delle esigenze individuali e sociali della mamma e del piccolo, può avere implicazioni psicologiche positive sullo sviluppo di alcuni bambini. Comunque mamma e bambino dovrebbero decidere in libertà, senza volere stabilire a priori dei tempi per smettere di allattare e allo stesso tempo senza essere condizionati da pregiudizi diffusi ma privi di fondamento sui limiti dell’allattamento.

La relazione madre figlio
Come il bambino prova piacere nel succhiare il seno materno, così la mamma prova piacere ad essere fonte di gratificazione per il figlio e avverte una sensazione di benessere fisico. La mamma inizia a conoscere il neonato, toccandolo, tenendolo vicino, guardandolo e rivolgendosi a lui con voce dolce; il bambino si calma quando viene appoggiato sulla spalla per effetto del calore del corpo e del rassicurante battito del cuore. Inoltre il piccolo oltre a seguire con lo sguardo i movimenti della mamma, è capace fin dal primo giorno di rispondere alla voce dell’adulto, anche senza vederlo, esprimendosi con i propri movimenti o con il pianto (la mamma inizia a capire se il piccolo piange per rabbia o per fame, per frustrazione o per dolore). Di richiamo per l’adulto è poi lo stesso aspetto fisico del bambino, occhi e testa grandi, guance rotonde e in evidenza, alta fronte sporgente.

Latte umano e contatto
La specie umana è “una specie a contatto continuo”, ossia una specie il cui piccolo, completamente dipendente dalla mamma, rimane vicino a lei per frequenti poppate rese necessarie dal contenuto relativamente basso di proteine (ma anche di grassi e di sali) del latte di donna. Ecco dunque spiegata “biologicamente” la vicinanza continua tra madre e bambino, a prescindere dalle implicazioni di ordine psicologico. Quanto frequenti debbano essere le poppate nessuno può dirlo con esattezza, sono troppi infatti gli elementi che mascherano i ritmi naturali. La cultura, le convenzioni sociali e la famiglia hanno il loro peso. Le madri dei paesi in via di sviluppo, per esempio, che dormono accanto ai loro bambini e li portano al collo durante i loro spostamenti, forse rappresentano il modello per eccellenza della specie umana intesa come specie a contatti continui. Queste donne non consentono ai loro bambini di piangere e li attaccano al seno ogni volta che i loro piccoli ne manifestano il desiderio. La donna italiana, per esempio, anche se non può comportarsi come la donna del terzo mondo, può comunque capire l’importanza di sincronizzare i propri ritmi sociali a quelli del bambino, lasciando la precedenza alla natura piuttosto che all’applicazione di rigidi schemi di interazione e nutrizione.

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Perché un neonato piange sempre? 8 sistemi per calmarlo

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RAFFREDDORE NEONATO CURA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina Glutei PressoPerché il neonato piange così spesso? Le principali ragioni sono:

  • ha fame;
  • il pannolino è sporco;
  • è stanco;
  • è malato;
  • ha una colica;
  • ha sete;
  • ha caldo o freddo;
  • si sente solo;
  • sta crescendo un dentino attraverso la gengiva.

Cercare di capire il motivo del pianto da parte dei genitori nasconde un processo molto importante: vuol dire mettersi al posto del bambino e capire le sue necessità. Questo è fondamentale per rispondere correttamente ai segnali del bambino. Così egli sente di esistere e che mamma e papà tengono conto delle sue necessità. Dalla nascita il bambino capisce abbastanza velocemente che il suo pianto richiama la mamma o il papà, che vengono a soddisfare i suoi bisogni. Questa esperienza è necessaria alla sua sopravvivenza e lo segnerà per sempre. Inizierà ad avere fiducia in se stesso e nelle proprie competenze, perché riuscirà a esprimersi e ad agire sull’ambiente esterno. Per quanto piccolo possa essere.

1 Avvolgilo in una coperta. Non troppo caldo però

Avvolgi il bimbo in una coperta (occhio a non tenerlo troppo caldo però), meglio se in posizione fetale. Questo è un trucco che può aiutare a calmarlo purché il pianto non sia dovuto a frame, sete o dolore. Ci sono bambini però che non sopportano di essere fasciati troppo stretti. In questo caso allora meglio avvolgerlo in un cuscino da allattamento.

2 Tienilo vicino a te

Nei primi mesi di vita i bimbi soffrono spesso di problemi di digestione. Non esitare a tenere il piccolo stretto a te e a fargli fare un po’ di nanna in braccio. Ricordati però di trovare una posizione confortevole anche per te. Se dopo pranzo lo mettete nella culla dove dorme solo mezz’ora e poi ricomincia a piangere, può essere che tenendolo poggiato a voi dorma anche una o due ore consecutive e quando si risveglierà sarà di buon umore. Non preoccupatevi, non dovete farlo per molto tempo: verso il sesto mese riuscirà a fare il sonnellino nel suo lettino.

3 Vuoi uscire? Mettilo nel marsupio

Devi fare delle commissioni o uscire? Un buon trucco consiste nell’usare una fascia o un marsupio. Il bimbo cullato dal tuo passo farà un bel riposino.

4 Anche il papà può calmare il bambino. Ricordatelo

Chiedi a persone di fiducia (tuo marito, la nonna, una zia …) di aiutarti a calmare il bimbo. Quando si è stanchi è difficile essere calmi e rassicuranti; il bimbo percepirà il tuo stress e si agiterà a sua volta.

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5 Sei in difficoltà? Chiedi un aiuto concreto a chi ti sta vicino

Non aver paura a chiedere un aiuto concreto e a dire che sei in difficoltà. Ti stupirai della sensibilità delle persone attorno a te. “Spesso – dice Valentin – gli altri non si accorgono che siamo in difficoltà, proprio perché ci teniamo tutto dentro”.

6 Trova un piccolo rito. Lo rassicura

Prova a stabilire un metodo efficace per calmare tuo figlio e poi attieniti a questo metodo anche quando il bimbo non smette di piangere. “Sperimentando mezzi diversi, il piccolo percepirà la vostra insicurezza e non riuscirà a sentirsi rassicurato – dice Valentin – Un unico metodo può diventare quasi un rituale, cosa che lo calmerà”.

7 Togli carillon e peluche dal lettino

Controlla il letto del bimbo e togli tutto quello che potrebbe svegliarlo, come il carillon e i peluche nei quali i bambini sembrano affondare.

8 Non perdere la fiducia

Se le risposte del tuo pediatra non ti soddisfano, consulta una puericultrice o una specialista della prima infanzia. A volte basta poco per arrivare a una soluzione.

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Differenze tra bambini nati con cesareo e quelli con parto naturale

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Leggi anche: Parto cesareo programmato: i rischi e i vantaggi

Chi nasce da parto naturale raggiunge, innanzitutto, una maturità che fisiologicamente e in maniera quasi automatica porta all’inizio delle contrazioni che conducono, a loro volta pian piano, al travaglio attivo e poi al parto. Il cesareo, a meno che non sia dovuto all’insorgenza di sofferenza fetale nel corso del travaglio, generalmente viene eseguito secondo tempi prestabiliti (cesareo elettivi) e sicuramente viene meno il rispetto dei tempi fisiologici in cui deve avvenire la nascita del bambino. Inoltre, i bambini nati da cesareo presentano una costituzione del microbioma differente rispetto a chi nasce da parto naturale. Il microbioma è l’insieme dei miliardi di batteri che vivono nel nostro organismo e che sono fondamentali per la difesa di quest’ultimo. Sono diverse le ricerche scientifiche che evidenziano come il parto naturale insieme al contatto immediato con la madre subito dopo la nascita e all’allattamento al seno, diano al bambino maggiori possibilità di sviluppare un sistema immunitario sano, ed efficiente. È chiaro dunque che dover fare a meno di determinati passaggi naturali a cominciare dalla nascita, fino all’attaccamento al seno materno il più precocemente possibile, lascia il sistema immunitario del bambino nato con cesareo, debole e compromesso rispetto ad un bambino nato da parto naturale. In questi due casi, come detto prima, il microbiota intestinale sviluppato dal bambino nato da cesareo risulta diverso diverso da quello di un bambino nato mediante parto naturale, ed il motivo è essenzialmente il mancato contatto con il microbiota vaginale.

Leggi anche: Differenza tra parto cesareo e naturale: vantaggi e svantaggi

Di conseguenza i bambini nati da cesareo hanno un sistema immunitario differente nella sua composizione, e ciò li rende più suscettibili ad alcuni agenti patogeni, e considerando anche il fatto che un sistema immunitario è una barriera considerata tanto forte ed invalicabile, quanto il numero di patogeni con cui è venuto a contatto, possiamo capire quanto questo mancato contatto con i batteri vaginali alla nascita e la mancata colonizzazione da parte dei batteri materni durante il contatto immediato dopo il parto con la pelle ed il seno materno (cosa che durante il parto cesareo non avviene) differenzi sostanzialmente l’efficienza del sistema immunitario dei bambini a seconda della modalità di nascita con cui vengono al mondo. Ecco il motivo per cui, i bambini nati da cesareo così come quelli allattati artificialmente sono maggiormente portati ad essere soggetti allergici o intolleranti ad alcune sostanze, ed è molto più frequente che soffrano di patologie o alterazioni di funzionalità a livello gastrointestinale. È importante precisare che questo non significa che chi nasce da cesareo non è un bambino sano, semplicemente avrà un sistema immunitario meno efficiente.

Leggi anche: Parto naturale: dopo quanto si possono avere rapporti sessuali?

Ma partendo dalla premessa fatta prima e considerando il fatto che il parto cesareo viene praticato solo nel caso in cui il bambino o la mamma sono a rischio della propria vita è meglio accettare di avere un deficit di questo tipo piuttosto che problemi ben più gravi. E’ proprio per questo che gli operatori sanitari devono impegnarsi a far riconoscere di nuovo tutta la fisiologia della gravidanza e del parto, evitando di sostituire una nascita naturale con un taglio cesareo che si potrebbe tranquillamente non fare. Questa eccessiva medicalizzazione rischia di non far conoscere alle donne quanto sia importante un parto naturale per loro e per il proprio bambino. Rivolgersi a un’ostetrica per prepararsi al parto mediante i corsi di accompagnamento alla nascita favorisce la conoscenza e la consapevolezza delle proprie capacità e della corretta gestione del travaglio e del parto. È bene informarsi consultando l’ostetrica, in modo tale da poter vivere questo momento attivamente, partecipando in maniera naturale e consapevole al parto, e compiendo il primo grande gesto di una mamma, che consiste nell’aiutare il proprio bambino a nascere.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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“Se lo fai ancora, mamma si arrabbia”: il senso di colpa nei bambini

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo ARRABBIARSI MALE SALUTE CUORE INFARTO ICTUS Dieta Chirurgia Estetica Roma Cavitazione Pressoterapia Grasso Massaggio Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Peso Sessuologia Pene HD Filler Rughe BotulinoQuesta frase è la tipica espressione utilizzata dai genitori quando il loro bambino sta facendo qualcosa che loro non condividono. Ma è anche la frase che i genitori solitamente utilizzano quando non hanno altre risorse da mettere in atto per gestire alcune situazioni che riguardano il comportamento dei propri figli. Frasi come questa, e più avanti proveremo ad metterne in evidenza altre, sono le tipiche espressioni che producono e in qualche modo instillano il senso di colpa nei propri figli.

Le origini del senso di colpa

Il meccanismo del senso di colpa funziona più o meno così: qualcuno, per es. un genitore, invia un messaggio, destinato a ricordarti che, facendo o non facendo, dicendo o non dicendo una certa cosa, sei stato cattivo. Tu rispondi a quel messaggio, naturalmente, deprimendoti e il meccanismo del senso di colpa ecco qui che si è attivat0. Il senso di colpa viene così a far parte della tua struttura emotiva. Ma come mai da bambini non si è riusciti a respingere i messaggi di colpa che ci sono stati inviati? Probabilmente perché i messaggi provenivano da chi ci stava particolarmente a cuore, come i nostri genitori e non si poteva deluderli. Se qualcuno ci sta veramente a cuore, lo dimostriamo sentendoci in colpa per le cose orribili che pensiamo  aver commesso. Il senso di colpa viene appreso in tenerissima età e persiste nell’adulto come modalità reattiva infantile. Le frasi che lo producono sono innumerevoli: hanno inciso nel bambino e questi, divenuto adulto, ancora se le porta dentro. Le implicazioni contenute in queste frasi possono quindi ancora ferire l’adulto che per esempio delude il capoufficio o persone nella quali egli ravvisi quasi dei genitori. Perciò sentirsi in colpa non significa soltanto crucciarsi per il passato; significa anche essere immobilizzati nel presente a cagione di un evento passato. Inutilmente infatti si continua a consumare energia nel presente, a sentirsi offesi, irritati, depressi per una cosa già successa.

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Frasi che producono senso di colpa

Vediamo alcune tipiche frasi che miranoad aiutare un figlio o una figlia a scegliere il senso di colpa come prezzo dell’appartenenza a quella famiglia:

  • Io mi sono sacrificato per te!: un genitore con essa ti richiama alla memoria tutte le volte che ha dovuto rinunciare alla propria felicità perché tu avessi una data cosa. E tu allora ti domandi come hai potuto essere tanto egoista dopo che ti era stato ricordato di quanto sei debitore.
  • Quindici ore di parto solo per metterti al mondo!: anche qui, ti senti colpevole per aver inflitto tanto dolore alla persona che conta di più, tua madre.
  • Sono rimasto con tua madre solo per amor tuo!: questa frase mira a farti sentire colpevole del brutto matrimonio di tuo padre.
  • Va bene, noi restiamo soli. Tu divertiti pure, come d’altronde hai sempre fatto. Non darti pensiero per noi…: frasi come queste servono ad ottenere che tu ti faccia vivo più spesso, che telefoni o che vai a trovare i tuoi con più regolarità.
  • Ci hai fatto fare una brutta figura! oppure Che penserà la gente di noi?”: forze esterne vengono chiamate in causa perché tu senta il rimorso di ciò che hai fatto e per impedirti di farlo ancora. Anche espressioni come Se ti bocciano ad un esame ci farai fare una pessima figura! potrebbero renderti quasi insopportabile la vita con te stesso dopo un esame andato male.
  • Mi farai morire! oppure Mi farai venire un infarto: in questo caso la malattia di uno dei genitori è una fabbrica che produce un senso di colpa di primissima qualità. Frasi così accollano la responsabilità  di praticamente tutte le malattie tipiche di chi sta invecchiando. Si ha bisogno di spalle ben salde per portare questo senso di colpa perché, potresti averlo tutta la vita e, se sei particolarmente vulnerabile, potresti addirittura sentirti colpevole della morte di uno dei tuoi genitori.
  • Dovresti vergognarti! Leggere riviste simili! Non dovrebbero nemmeno venirti certi pensieri! oppure Non ti stavi mica masturbando? Lo sai che non si fa, è male!: esempi tipici del senso di colpa instillato dai genitori relativamente al sesso.
  • Ti sei dimenticato di dire grazie! Vuoi proprio che i nostri amici pensino che io non ti ho insegnato nulla? oppure Metterti le dita nel naso davanti all’amico di papà! Mi hai messo in imbarazzo!: senso di colpa legato a comportamenti sociali. È possibile però insegnare ad un bambino a comportarsi in maniera accettabile senza instillargli alcun senso di colpa e spiegandogli invece i motivi per cui un dato comportamento è magari socialmente indesiderabile.

Il senso di colpa può alla lunga determinare alcuni disturbi di carattere psicologico come: indecisione, insicurezza, ipocondria e paure di diverso tipo, bassa stima di sé, enorme bisogno di essere considerati e amati.
Per risolvere i disagi psicologici collegati al senso di colpa è necessario certamente un lavoro su di sé, attraverso una psicoterapia mirata a conoscere i propri conflitti e a imparare a gestirli nel migliore dei modi attraverso lo sviluppo di nuove consapevolezze, nuove risorse e nuove competenze.

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Differenza dei capezzoli e del seno in gravidanza

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO GRAVIDANZA MATERNITA FIGLIO MAMMA MADRE GENITORI CONCEPIMENTO PARTO FETO EMBRIONE (7)In gravidanza il corpo della donna cambia radicalmente; una delle zone dove i cambiamenti si fanno anche molto evidenti sono il seno, l’areola  (la zona circolare intorno al capezzolo) ed il capezzolo.

FOTO DEL SENO DI UNA DONNA DURANTE LA GRAVIDANZA

Seno più gonfio

Le mammelle tendono ad apparire più gonfie e piene, spesso ciò si associa a dolore. La sensazione di indolenzimento al seno è un sintomo comune sia alla sindrome premestruale, sia alla gravidanza. Infatti, subito dopo il periodo ovulatorio il corpo inizia a produrre più progesterone. Quest’ultimo provoca tensione mammaria, dunque il seno appare più gonfio, teso e duro al tatto. Ma ciò accade anche se vi è una gravidanza in corso. Con la sostanziale differenza che, non appena compare il flusso mestruale, il seno si “sgonfia” e diventa più morbido.

Leggi anche: Mastodinia: quando il seno è gonfio e dolorante

Vene

Già dopo pochi giorni dall’impianto dell’ovulo possono cominciare a vedersi i primi segni sul seno, tanto per cominciare le vene diventano più evidenti, queste vene sono dette anche “vene del latte” e si espandono per tre motivi:

  1. poter portare più sangue sia alla mamma che al feto;
  2. i dotti galattofori che porteranno il latte ai capezzoli cominciano a gonfiarsi ed a prepararsi per la montata lattea che arriverà dopo il parto e premono sotto le vene, avvicinandole alla cute;
  3. man mano che il seno cresce di volume per prepararsi all’allattamento la cute si tende sempre più, diventando più sottile e trasparente, evidenziando le vene ulteriormente.

Leggi anche: Storia di un seno: dall’embrione alla menopausa

Tubercoli del Montgomery

Insieme alle “vene del latte” avvengono modificazioni anche ai capezzoli ed all’areola mammaria, i capezzoli diventano più larghi e scuri e tutto intorno diventano evidenti dei piccoli “rilievi”: si chiamano “tubercoli del Montgomery” ed avranno il compito di produrre una sostanza lubrificante e disinfettante durante l’allattamento. Questi tubercoli sono delle piccole ghiandole che aumentano di dimensione e sono più evidenti verso la sedicesima settimana di gravidanza. L’attività dei tubercoli di Montgomery è fondamentale e legata alla migliore lubrificazione dei capezzoli per migliorare l’allattamento del bambino che si porta in grembo. I tubercoli di Montgomery possono rimanere nel loro volume più consistente anche dopo il parto, ma ciò non necessariamente deve essere considerato come un pericolo. Un controllo medico può togliere ogni dubbio e timore. Qualora ci fosse un eccessivo sversamento di lubrificante da parte del tubercolo bisogna rivolgersi immediatamente al proprio medico per diagnosticare la situazione ed escludere e scongiurare la presenza di un cancro al seno. Questo fenomeno, infatti, è uno dei sintomi che deve allarmare chi ne ha a che fare.

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