Differenze tra attacco cataplettico ed attacco epilettico

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE ATTACCO CATAPLETTICO EPILETTICO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari A Pene.jpgL’attacco cataplettico non deve essere confuso con un attacco epilettico:

  • Attacco cataplettico: si verifica rapidamente, durante periodi di stimolazione emotiva; il soggetto mantiene inalterato il proprio stato di coscienza e recupera quasi immediatamente;
  • Crisi epilettica: occorre durante periodi di quiete e di stimolazione; la persona si riprende più lentamente e può non ricordare quanto è successo.

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Cos’è un infarto e quanti tipi di infarto conosci?

MEDICINA ONLINE INFARTO DEL MIOCARDIO POLMONARE RENALE CEREBRALE CORONARIE ARTERIE TROMBO EMBOLO OSTRUZIONE DIFFERENZA ICTUS EMORRAGICO EMORRAGIA ISCHEMICO ISCHEMIA NECROSI MORTE PERICOLO SANGUE CIRCOLAZIONE.jpgMi capita spesso che i pazienti mi chiedano lumi riguardo la parola “infarto”. Tutti sanno cosa sia, ma quando gli chiedi cosa significa esattamente, non tutti… sanno cosa sia! Cerchiamo oggi di fare un po’ di chiarezza. Inizio col dire che quando comunemente si usa la parola “infarto”, nella maggior parte dei contesti è praticamente ovvio che ci stiamo riferendo all’infarto del miocardio. Ma in realtà tale parola può riferirsi a diverse patologie.

Ma quindi esistono diversi tipi di infarto, non solo quello “del cuore”?

Cominciamo con lo spiegare che la parola “infarto” significa necrosi tissutale (cioè morte delle cellule che compongono un dato tessuto) causata da ischemia (cioè diminuzione o assenza del flusso di sangue in quel tessuto). La diminuzione o assenza del flusso sanguigno è a sua volta causata da vari fattori, molto spesso da aterosclerosi  (cioè ostruzione del vaso sanguigno da parte di placche lipidiche) o da trombosi o da un embolo. Ricapitolando: l’ostruzione di un vaso sanguigno provoca il mancato afflusso di sangue ad un tessuto (ischemia) ed esso, se non viene ripristinato al più presto il flusso, andrà incontro a necrosi – cioè morirà – dal momento che le cellule che lo compongono sono rimaste senza sangue (e quindi senza ossigeno e nutrimento) troppo a lungo. Questo evento prende il nome di infarto. Dire “infarto” e dire “infarto del miocardio”, pur se usati spesso come sinonimi, non sono però la stessa cosa: è necessario chiarire che l’infarto del miocardio è una data tipologia di infarto, in cui l’ischemia, quasi sempre determinata da ostruzione delle arterie coronarie, colpisce il cuore.

Ischemia ed infarto sono sinonimi?

No, non lo sono. “Ischemia” indica diminuzione della perfusione ematica, mentre “infarto” indica la morte del tessuto provocata da una prolungata ischemia. E’ importante ricordare che non tutte le ischemie determinano necessariamente un infarto: se il flusso di sangue viene ripristinato molto rapidamente, il tessuto potrebbe non subire alcun danno permanente; se invece il flusso ematico NON viene ripristinato rapidamente o non viene ripristinato affatto, il danno tissutale sarà probabilmente permanente e, spesso, determinerà il decesso del paziente. Il tempo in cui il danno necrotico si instaura, dipende non solo dalla causa della mancata perfusione (ostruttiva o non ostruttiva, acuta o cronica) ma anche dal metabolismo soggettivo di ogni tessuto: più un organo ha bisogno di sangue per sopravvivere, più velocemente andrà in necrosi in caso di ischemia.

Vari tipi di infarto

A seconda del tessuto che rimane privo del necessario afflusso sanguigno, l’infarto prende un nome diverso. Se ad esempio è il tessuto intestinale ad andare incontro a necrosi, allora si parla di infarto intestinale; se invece vi è necrosi di tessuto cerebrale, si parlerà di infarto cerebrale (o ictus cerebrale). Quando ad essere ostruiti sono uno o più rami dell’arteria polmonare, si parlerà di infarto polmonare. Se l’interruzione del flusso arterioso avviene a livello dell’arteria renale, a rimanere senza nutrimento è il rene con conseguente ischemia renale ed infarto renale. Questi tipi di infarto sono tra i più diffusi (tranne quello renale, più raro), ma abbiamo dimenticato il più diffuso, cioè…

L’infarto del miocardio

Si parla di infarto del miocardio quando il tessuto interessato da necrosi è il miocardio. Cos’è il miocardio? E’ il muscolo cardiaco che in questo momento permette al vostro sangue di circolare nel vostro corpo. Il cuore è un muscolo, ricordiamocelo!
All’inizio dell’articolo dicevo che quando comunemente si usa la parola “infarto”, è praticamente ovvio che ci stiamo riferendo all’infarto del miocardio. Perché ciò avviene? Semplice: l’infarto del miocardio è l’infarto più diffuso, quindi ormai, nell’uso comune, “infarto” ed “infarto del miocardio” sono praticamente dei sinonimi.

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Sapresti riconoscere un infarto del miocardio? Impara ad identificarlo e salverai una vita (anche la tua)

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO CUORE DOLORE TORACE ADDOMEQuello che sto per dirvi oggi, dovrebbe essere insegnato almeno dalle scuole medie in poi, perché l’infarto del miocardio è una di quelle patologie in cui la velocità di diagnosi e di trattamento, può realmente fare la differenza tra la vita e la morte. Se voi od una persona di fronte a voi, ha un infarto cardiaco (più precisamente “infarto del miocardio”, cioè del muscolo del cuore), saperlo riconoscere in tempo, salva una vita.

Cos’è un infarto?

L’infarto miocardico acuto (IMA) è una necrosi dei miociti provocata da ischemia prolungata, susseguente a inadeguata perfusione del miocardio per squilibrio fra richiesta e offerta di ossigeno, spesso secondaria all’occlusione di una coronaria causata da un trombo. In parole semplici: non arriva abbastanza sangue al muscolo cardiaco (spesso a causa di un trombo che occlude le coronarie) e quest’ultimo muore e smette di funzionare.

Leggi anche: Com’è fatto il cuore, a che serve e come funziona?

I sintomi e segni tipici dell’infarto del miocardio

Vediamo ora una sintetica lista di sintomi tipicamente associati ad un infarto del miocardio:

  • pressione o dolore oppressivo al centro del petto, che si può irradiare su tutto il torace, sul braccio sinistro e sulla mandibola;
  • dispnea (difficoltà a respirare);
  • stanchezza;
  • nausea;
  • vomito;
  • sudorazione fredda;
  • cute umida;
  • agitazione e ansia;
  • pallore;
  • vana ricerca di una posizione capace di calmare il dolore;
  • vertigini;
  • svenimento;
  • senso di morte imminente.

Non necessariamente tali sintomi e segni indicano infarto, tuttavia in presenza di essi vi consigliamo di chiamare subito il 112.

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Fobie specifiche: quando un ragno o un ascensore ci mettono nel panico

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO UOMO TRISTE TRISTEZZA SUICIDIO DEPRESSIONE PAURA AIUTOIn psichiatria, con “fobie specifiche” (anche chiamate “fobie semplici“) si intende un gruppo variegato di patologie caratterizzate da una irrazionale e fortissima reazione di ansia, paura e di fuga che compare quando il soggetto è esposto (o sa che a breve sarà esposto) a specifici oggetti, fenomeni, animali, ambienti o situazioni reali o semplicemente immaginate o raccontate. Lo stato di estrema ansia generato da tale esposizione è assolutamente irragionevole e spropositato rispetto alla gravità e/o alla pericolosità dell’oggetto, del fenomeno, dell’animale o della situazione. Le fobie specifiche fanno parte del grande gruppo dei “disturbi d’ansia“, accomunati da uno stato mentale caratterizzato da diverse forme di paura e di ansia patologica che si accompagnano spesso a manifestazioni psicosomatiche e che creano notevole disagio all’individuo, andando ad interferire con la sua vita sociale, relazionale e/o professionale. I più comuni disturbi d’ansia sono il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da attacchi di panico e le fobie. In alcuni casi un disturbo d’ansia può associarsi ad un disturbo dell’umore, come la depressione.

Definizione di fobia specifica nel DSM-5

Il DSM-5 (l’ultima e più aggiornata versione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali) definisce la fobia specifica come una paura, spropositata rispetto alle comuni paure, che si manifesta in modo marcato e persistente in presenza di un oggetto o in relazione a specifiche situazioni.

Diffusione

L’incidenza delle fobie specifiche negli USA ed in Europa va dal 7 al 9%. L’età media di insorgenza è tra i 7 e gli 11 anni.

Cause e fattori di rischio

Le cause specifiche delle fobie specifiche e degli altri disturbi d’ansia, come avviene per numerose altre patologie di interesse psichiatrico, non sono ancora state comprese del tutto. Si ritiene che le fobie siano dovute ad una combinazione di fattori genetici, psicologici, fisici e ambientali. Alcune caratteristiche predisponenti (come la famigliarità con la malattia, cioè aver dei casi in famiglia di fobie o altro disturbo d’ansia) unite ad episodi particolarmente traumatici e stressanti (incontri ravvicinati con animali che si sono manifestati più aggressivi del solito, essere rimasti rinchiusi in spazi angusti e bui, lutti, licenziamenti, bullismo, abusi in tenera età, difficoltà economiche o famigliari, patologie croniche ed invalidanti, una diagnosi di malattia terminale…) possono innescare la fobia. Alcune patologie organiche, come l’ipertiroidismo o altri squilibri endocrini, sono note per causare sintomi di nervosismo cronico e di ansia, quindi potrebbero essere un fattore di rischio per i disturbi d’ansia in generale. Patologie psichiatriche (come la depressione) e neurologiche (soprattutto se croniche, invalidanti e/o incurabili) potrebbero rappresentare un altro fattore di rischio per i disturbi d’ansia in generale. La dipendenza da sostanze legali o illegali (alcol, caffeina, benzodiazepine, cannabis, cocaina, eroina ed altre sostanze psicotrope) e le dipendenze comportamentali (shopping compulsivodipendenza dal sessodisturbo da gioco d’azzardomasturbazione compulsivacleptomania, dipendenza da uso di doping, dipendenza dal lavoro, dipendenza dal cibo, piromaniadisturbo da interazione di più dipendenze…), potrebbero favorire o causare un disturbo d’ansia oppure aggravarne uno preesistente. Alcuni geni sembrerebbero essere collegati ad un maggior rischio di sviluppare i disturbi d’ansia. Alcuni farmaci antidepressivi (ad esempio gli SSRI), pur essendo spesso anche degli efficaci ansiolitici, possono causare in alcuni soggetti dei sintomi d’ansia che potrebbero essere confusi con un peggioramento della patologia iniziale. L’esposizione prolungata ad alcune sostanze chimiche, come i solventi industriali, possono favorire la comparsa di un disturbo d’ansia. Il mobbing ed il burn out sono possibili cause di un disturbo d’ansia. Un disturbo post-traumatico da stress), la dipendenza affettiva, la sindrome da abbandono, la dipendenza da un partner narcisista patologico, o la fine di una relazione possono innescare un disturbo d’ansia. Le “psico-tecnopatologie” (le malattie psicologiche causate da un abuso delle nuove tecnologie) come la dipendenza da smartphone, la dipendenza da notifiche, la dipendenza da internet e la dipendenza da social network possono causare o favorire una fobia o altro disturbo d’ansia.

Dall’evento traumatico alla fobia specifica

La fobia specifica si sviluppa in genere a causa del fatto che il paziente, in un certo momento della sua vita, ha vissuto personalmente un evento altamente traumatico, come ad esempio essere attaccati da un cane. Si possono generare le fobie più stravaganti: una persona per esempio potrebbe aver per sempre paura del colore giallo perché ad esempio al momento dell’attacco da parte del cane si trovava di fronte ad una parete gialla. Anche il solo osservare un evento traumatico senza provarlo direttamente su di sé può generare una fobia specifica: se da bambini si è visto ad esempio un cane attaccare un altro bimbo, si può generare una fobia. Non necessariamente da adulta la persona ricorda quale sia stato l’evento specifico scatenante la sua fobia, se esso è avvenuto molti anni prima, magari in tenerissima età. L’associazione evento traumatico/fobia è ancora più forte se durante l’esperienza traumatica si ha sofferto degli spiacevoli sintomi di un attacco di panico.

Caratteristiche

La fobia specifica è caratterizzata da una irrazionale e fortissima reazione di ansia, paura e di fuga (“crisi fobica“) che compare quando il soggetto è esposto (o sa che a breve sarà esposto) a specifici oggetti, fenomeni, animali, ambienti o situazioni reali o semplicemente immaginate o raccontate (“stimoli fobici” o “stimoli fobigenici“, cioè capaci di scatenare la fobia). Lo stato di estrema ansia generato da tale esposizione è assolutamente irragionevole e spropositato rispetto alla gravità e/o alla pericolosità dell’oggetto, del fenomeno, dell’animale o della situazione.
Il soggetto che soffre di grave fobia arriva al punto di organizzare la propria vita sociale e professionale in modo di evitare accuratamente il contatto diretto con gli oggetti o le situazioni che gli generano la crisi fobica. Il soggetto che ne soffre talvolta non è in grado di rappresentarsi e immaginare le situazioni o le cose temute se non per pochi attimi e può temere anche di nominarle. La paura può essere attivata sia dalla presenza reale dell’oggetto o animale o situazione, che da semplici tracce che anticipano la sua presenza o anche solo da un racconto che lo cita o dalla sua presenza in un film.
Gli adulti con fobia nella maggioranza dei casi sono in grado di riconoscere che tali reazioni non hanno una base razionale e che sono totalmente spropositate, ma non sono comunque in grado di controllarle. Una fobia può essere capace di interferire fortemente con la qualità della vita di un soggetto, sia da un punto di vista sociale, relazionale o professionale. Pensiamo ad esempio ad un soggetto che ha la fobia per i gatti: una eventuale relazione amorosa con un partner che possiede un gatto, sarebbe fortemente penalizzata e ostacolata.
La gravità del disturbo e il suo impatto sul benessere e la qualità di vita di chi ne soffre dipendono non soltanto da quanto è intensa la crisi fobica quando si è al cospetto dell’oggetto fobigenico, ma anche dall’effettiva probabilità che la persona interessata ha di venire a contatto con tale oggetto. Una persona potrebbe ad esempio aver timore di prendere un aeroplano, ma tale fobia non creerà alcun problema in persone che non devono viaggiare in aereo per lavoro e che non siano particolarmente appassionate di turismo in luoghi lontani.

Sintomi e segni associati

Oltre alle caratteristiche della crisi fobica precedentemente elencate, tipicamente chi soffre di fobia specifica tende ad avere una serie di altri sintomi e segni, tra cui:

  • stato di maggiore attivazione fisiologica e costante agitazione;
  • palpitazioni;
  • tremori;
  • sudorazione;
  • insonnia;
  • sonnolenza;
  • tachicardia (aumento della frequenza cardiaca);
  • aritmie (vari tipi di alterazione del normale ritmo cardiaco);
  • tachipnea (aumento della frequenza respiratoria);
  • ipertensione arteriosa (aumento della pressione sanguigna arteriosa);
  • dispnea (difficoltà a respirare, “fame d’aria”);
  • nausea;
  • vomito;
  • diarrea;
  • dispepsia (cattiva digestione);
  • dolori al torace e/o all’addome;
  • cefalea;
  • scatti d’ira;
  • incubi;
  • astenia (stanchezza psico-fisica);
  • difficoltà a concentrarsi;
  • vuoti di memoria;
  • allerta cronica;
  • svenimenti se posti obbligatoriamente di fronte allo stimolo fobico e senza possibilità di fuga.

Continua la lettura con: Fobie specifiche: tipi, diagnosi, terapie, farmaci, psicoterapia

Se pensi di soffrire di una fobia o o di altro disturbo d’ansia, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere definitivamente il tuo problema.

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Fobia sociale: aver paura del giudizio degli altri

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA TRISTE STANCA BIANCO E NERO DEPRESSIONE SUICIDIO DISTURBO PAURAEssere agitati e un po’ intimoriti quando si devono affrontare situazioni che espongono al giudizio di altre persone, come tenere una conferenza, intervenire in un dibattito, salire su un palcoscenico per recitare, danzare, cantare o suonare uno strumento musicale in pubblico è del tutto normale. Ma quando la preoccupazione e l’ansia per la situazione che si sta per affrontare è tale da suscitare desideri di fuga e da indurre a cercare scuse e stratagemmi per non trovarsi nuovamente nella stessa situazione, si è di fronte a una vera e propria patologia psichiatrica nota come “fobia sociale”. La fobia sociale è una condizione che, se non adeguatamente trattata, può interferire seriamente con le relazioni interpersonali, le prestazioni scolastiche e lavorative, determinando un significativo scadimento della qualità di vita. La fobia sociale può interessare chiunque, ma tende a insorgere più facilmente nell’infanzia/adolescenza. Le donne hanno maggiori probabilità di soffrirne rispetto agli uomini, ma questi ultimi tendono a sviluppare forme più gravi della malattia. Una volta instaurata, la fobia sociale non si risolve quasi mai spontaneamente, ma tende a mantenersi in modo cronico, peggiorando via via nel corso della vita. In genere, chi ne soffre è consapevole dell’insensatezza delle proprie reazioni emotive e comportamentali, soffrendo oltre che dei sintomi specifici anche di un notevole senso di colpa e inadeguatezza.

Sintomi emotivi e fisici

Sintomi EMOTIVI della Fobia sociale:

  • Intensa paura di interagire con persone estranee.
  • Nervosismo e apprensione verso situazioni in cui si può essere giudicati.
  • Senso di colpa per il proprio imbarazzo/timidezza.
  • Timore che gli altri si accorgano della propria paura. Impossibilità di controllare il terrore e l’ansia provata in contesti sociali.
  • Evitamento delle situazioni che causano disagio.
  • Interferenza della ansia provata con le attività quotidiane. Difficoltà a parlare in pubblico o con estranei.
  • Difficoltà a guardare negli occhi gli interlocutori.

Sintomi FISICI della Fobia sociale:

  • Rossori e vampate.
  • Tremori e movimenti involontari.
  • Accelerazione del battito cardiaco.
  • Difficoltà respiratorie.
  • Mal di stomaco.
  • Nausea.
  • Crampi intestinali e diarrea.
  • Alterazione del tono di voce.
  • Tensione muscolare.
  • Mani fredde e sudate.
  • Confusione mentale.

Quando sintomi di questo tipo si ripresentano costantemente con un’intensità tale da creare un significativo disagio, abbassare il benessere generale del paziente ed interferire con la sua vita sociale, relazione e/o professionale, è essenziale rivolgersi al medico e intraprendere un trattamento specifico.

Trattamento della Fobia sociale

Attenuare i sintomi della fobia sociale e recuperare una vita di relazione serena e soddisfacente è possibile grazie a interventi psicoterapici abbinati a una terapia farmacologica adeguata.

Terapia farmacologica della Fobia sociale

La terapia farmacologica della fobia sociale può avvalersi di diverse tipologie di farmaci. Di norma, quelli impiegati più frequentemente sono antidepressivi della classe degli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI). Si tratta di farmaci utilizzati anche nel trattamento di altri disturbi d’ansia e dei disturbi dell’umore che risultano efficaci anche nella fobia sociale poiché i sistemi neurobiologici coinvolti in queste diverse problematiche sono in parte sovrapponibili. SSRI e SNRI si sono dimostrati efficaci nell’alleviare tutti i principali sintomi ansiosi, determinando un significativo miglioramento già dopo 2-4 settimane dall’inizio della terapia. Per trarne i massimi benefici è importante assumerli regolarmente, seguendo le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi di assunzione. In relazione alle specifiche caratteristiche del paziente e del disturbo presente, il medico potrà decidere di proporre il ricorso occasionale ad altre tipologie di farmaci: in particolare, tranquillanti come le benzodiazepine oppure beta-bloccanti (farmaci antipertensivi utilizzati in cardiologia, che nel paziente con fobia sociale aiutano a prevenire l’insorgenza di tachicardia, alterazioni della voce e tremori). Anche in questo caso, per assicurarsi un’azione ottimale è indispensabile seguire attentamente le indicazioni del medico e rispettare i dosaggi e i tempi di trattamento prescritti.

Approccio psicoterapico nella Fobia sociale

La tipologia di supporto psicologico più usata ed efficace per superare la fobia sociale è la terapia cognitivo-comportamentale, che aiuta ad analizzare razionalmente le situazioni che generano ansia e a smitizzarle, slegandole da emozioni e presagi negativi. Nei pazienti con forme lievi può essere l’unico intervento necessario; nei casi di ansia sociale moderata-severa aiuta a ottimizzare e consolidare l’azione della terapia farmacologica. Sul piano pratico, l’approccio comportamentale prevede che la persona affetta da fobia sociale, anziché evitarle, si esponga gradualmente alle situazioni che creano disagio ed, elaborandole in chiave positiva, riesca a gestire meglio e ad adattarsi progressivamente allo stress associato. Oltre che attraverso esperienze della vita reale, questo percorso può prevedere giochi di ruolo nel contesto di terapie di gruppo che facilitano l’analisi degli elementi critici di specifiche situazioni e il confronto con altre persone che vivono un problema analogo.

Interventi di supporto nella Fobia sociale

Seguire ritmi di vita regolari. Dormire un numero sufficiente di ore per notte. Alimentarsi in modo sano. Praticare un’attività fisica moderata ogni giorno. Dedicarsi ad attività rilassanti e piacevoli con persone con cui si sente a proprio agio. Frequentare corsi indirizzati a migliorare la comunicazione in pubblico. Assumere tutte le terapie prescritte dal medico con regolarità, ai dosaggi indicati. Evitare di bere alcolici e bevande a base di caffeina. Non fumare o cercare di ridurre il numero di sigarette abituali. Frequentare gruppi di auto-mutuo aiuto e condividere la propria esperienza con altre persone affette da un problema analogo.

Se pensi di soffrire di una fobia o o di altro disturbo d’ansia, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere definitivamente il tuo problema.

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Disturbo post-traumatico da stress: rivivere ogni giorno una esperienza drammatica

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO RAGAZZA TRISTE DONNA DEPRESSIONE STANCA PAURA FOBIA PENSIERI SUICIDIO FIUMA PONTEIl disturbo post-traumatico da stress (o “disturbo da stress post-traumatico“, in inglese “post-traumatic stress disorder” da cui l’acronimo PTSD) è un disturbo psichiatrico transitorio che può insorgere in soggetti di qualunque età Continua a leggere

Disturbo ossessivo-compulsivo: ripetere all’infinito un gesto. Differenze col disturbo ossessivo-compulsivo di personalità

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA TRISTE DEPRESSIONE TRISTEZZA CAPELLI PENSIERI PAURA FOBIAIl disturbo ossessivo-compulsivo (da cui l’acronimo “DOC“), in inglese denominato “obsessive-compulsive disorder” (da cui l’acronimo “OCD“), chiamato anche nevrosi ossessiva o disturbo ossessivo-coattivo o sindrome ossessivo-coattiva o disturbo ossessivo o sindrome ossessiva o sindrome ossessivo-compulsiva (in inglese obsessive-compulsive syndrome o OCS), è una patologia psichiatrica (precedentemente appartenente al gruppo dei disturbo d’ansia) caratterizzata da pensieri ricorrenti (ossessioni) associati a timori e forti preoccupazioni che inducono chi ne soffre a ripetere in modo incessante e incontrollato (compulsioni) specifiche azioni o processi nel tentativo di placare l’ansia e tutelarsi da possibili eventi disastrosi, in realtà altamente improbabili e del tutto irragionevoli. Se non adeguatamente trattato, con il tempo, il disturbo porta a moltiplicare e intensificare i comportamenti ossessivi-compulsivi fino a determinare un serio scadimento della qualità di vita, il ritiro sociale e lavorativo e un serio deterioramento delle relazioni familiari. Il disturbo ossessivo-compulsivo si presenta frequentemente associato con altri disturbi di interesse psichiatrico, tra cui il disturbo evitante, la fobia sociale, il disturbo schizotipico, diversi tipi di fobie ed i disturbi dell’umore (soprattutto depressione). Analogamente alla depressione, la malattia appare legata a una riduzione dei livelli cerebrali di serotonina e migliora assumendo farmaci antidepressivi che agiscono a questo livello (SSRI), soprattutto se la terapia farmacologica viene associata a psicoterapia.

Disturbo ossessivo-compulsivo nel DSM-5

Precedentemente inserito nel capitolo dei disturbi d’ansia nel DSM-IV-TR e dall’ICD-10, nel DSM-5 (l’ultima versione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali), il DOC è stato inserito in una nuova categoria specifica, denominata Disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati che comprende (oltre al disturbo ossessivo-compulsivo) anche il disturbo da accumulo, il disturbo di dismorfismo corporeo, la tricotillomania, la dermatillomania (disturbo da escoriazione), la sindrome da acquisto compulsivo e tutti i disturbi da controllo degli impulsi

Esempi di comportamenti compulsivi caratteristici

Le azioni compiute dalla persona affetta da disturbo ossessivo-compulsivo possono essere di per sé assolutamente normali, ma assumono una valenza patologica in ragione dell’elevata ripetitività, dell’estrema ritualità e della concitazione con la quale vengono eseguite. Esempi caratteristici di comportamenti compulsivi sono il lavarsi continuamente le mani nel timore di contaminazioni, controllare ripetutamente di aver chiuso il gas prima di uscire di casa (ad esempio 3 o 5 o 10 o 20 volte), disporre in un ordine ben preciso i vestiti nell’armadio o i libri sugli scaffali della libreria, intravedendo catastrofi se questo ordine viene anche solo impercettibilmente modificato.

Leggi anche: Liberarsi dalla dipendenza affettiva e dalla paura dell’abbandono

A che età insorge il disturbo ossessivo-compulsivo?

Il disturbo ossessivo-compulsivo insorge prevalentemente in giovane età, di solito tra i 15 e i 25 anni, persistendo poi in modo cronico per tutta la vita.

Differenze tra il Disturbo ossessivo-compulsivo e il Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità

Molti, anche in ambiente sanitario, confondono il disturbo ossessivo-compulsivo con il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (anche chiamato disturbo di personalità ossessivo-compulsiva). Le differenze sono sfumate, eppure sono presenti, a partire dal fatto che mentre il disturbo ossessivo-compulsivo fa parte del gruppo dei disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati, invece il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità fa parte del gruppo dei disturbi di personalità.
Il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità si distingue dal disturbo ossessivo-compulsivo prevalentemente per due fattori:

  1. nel disturbo di personalità di solito vi è assenza di reali ossessioni e compulsioni (che invece sono presenti nel disturbo ossessivo-compulsivo);
  2. chi soffre di disturbo ossessivo-compulsivo è tormentato da pensieri ricorrenti dal contenuto spiacevole e spinto a mettere in atto comportamenti ritualistici: tale modo di vivere è riconosciuto dal soggetto stesso come problematico e desidera liberarsene (egodistonia); chi soffre di disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, invece, raramente prova disagio a causa delle proprie caratteristiche di personalità e, piuttosto, le considera come altamente adattive (egosintonia).

Per capire appieno le differenze tra queste due diverse patologie, vi invito a leggere questi miei articolo:

Quali sono le cause del disturbo ossessivo-compulsivo?

All’origine del disturbo si riconoscono una riduzione dei livelli cerebrali di serotonina e una base genetica, non ancora definita con precisione, ma chiaramente testimoniata dal tramandarsi del disturbo di generazione in generazione, a livelli di gravità via via crescenti. Questa predisposizione familiare tende a ritardare la diagnosi e a ostacolare il trattamento. Non è raro, infatti, che la madre di un ragazzo con l’ossessione dei lavaggi ripetuti ai limiti della sterilità abbia a sua volta la tendenza a lavarsi le mani spesso o a pulire la casa molto più di quanto non sia realmente necessario. Così, quando il figlio inizia a chiederle di aiutarlo a fare il bagno, di controllare se si è lavato a sufficienza o di cambiargli le lenzuola ogni giorno non arriva a rendersi subito conto della stranezza delle richieste. La decisione di rivolgersi allo specialista per cercare di capire che cosa stia accadendo, spesso, è presa quando la situazione diventa francamente patologica.

Leggi anche: Dipendenza affettiva: riconoscerla, affrontarla e superarla

Sintomi

I sindromi del disturbo ossessivo-compulsivi si dividono in sintomi di tipo ossessivo e sintomi di tipo compulsivo.

I sintomi OSSESSIVI del disturbo ossessivo-compulsivo, sono:

  1. Terrore di contaminarsi toccando oggetti e persone (es. stringere la mano).
  2. Paura di non ricordarsi di chiudere la porta, spegnere il gas ecc.
  3. Convinzione di aver ferito qualcuno in un incidente stradale.
  4. Intenso stress di fronte a oggetti non perfettamente allineati.
  5. Estrema paura di far del male al proprio figlio o a una persona cara.
  6. Evitamento delle situazioni che mettono a disagio (es. stringere la mano).
  7. Desiderio di urlare parole oscene in luoghi pubblici.
  8. Continui pensieri legati al sesso e visualizzazione di immagini pornografiche.
  9. Dermatiti derivanti dai lavaggi eccessivi. Ferite cutanee associate a sfregamento, graffi e pizzicotti continui.
  10. Perdita o deterioramento dei capelli a causa dell’attorcigliamento ossessivo.

I sintomi COMPULSIVI del disturbo ossessivo-compulsivo, sono:

  1. Ripetizione continua di un determinato gesto.
  2. Tendenza a contare (ed a ricontare varie volte) qualunque oggetto, pensiero o situazione.
  3. Bisogno costante di allineare e disporre simmetricamente gli oggetti.
  4. Verifica di aver effettivamente eseguito una certa azione un numero di volte francamente irragionevole.
  5. Continua richiesta di rassicurazione rispetto alla correttezza delle proprie azioni.
  6. Impossibilità di evitare la ripetizione di specifici comportamenti.

Diagnosi del disturbo ossessivo-compulsivo

La diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo è quasi sempre tardiva. In genere, il paziente arriva all’osservazione dello specialista dopo alcuni anni dall’esordio dei sintomi, quando la malattia è talmente avanzata da limitarlo fortemente nelle attività quotidiane e interferire pesantemente con le relazioni interpersonali. È un grosso errore, perché una valutazione psichiatrica accurata e l’individuazione precoce del trattamento più adatto nel caso specifico permettono di arrivare in tempi rapidi alla risoluzione del disturbo. Secondo il DSM-5 (l’ultima versione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali), per poter fare diagnosi è necessario che siano soddisfatti i seguenti criteri:

  • La presenza di ossessioni o compulsioni o entrambe.
  • Le ossessioni e le compulsioni sono causa di grave perdita di tempo durante la giornata e minano il normale funzionamento sociale, relazionale e psicologico dell’individuo.
  • I sintomi ossessivo-compulsivi non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza o di altra condizione medica.
  • Il disturbo non è meglio giustificato da sintomi di altri disturbi mentali.

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Trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo

Il disturbo ossessivo-compulsivo deve essere sempre trattato con l’aiuto di un medico, il più precocemente possibile e preferibilmente coinvolgendo l’intero nucleo familiare. In qualunque momento si riesca a intervenire, il primo passo è chiarire tanto al ragazzo quanto ai genitori la natura della malattia, per favorire la comprensione dei meccanismi che la sostengono e l’origine dei comportamenti del tutto irrazionali che ne conseguono, offrendo così una prima chiave per disinnescarli. Il concetto fondamentale da interiorizzare è che, analogamente a quanto avviene per tutte le patologie psichiatriche, i comportamenti associati al disturbo ossessivo-compulsivo non sono guidati dalla volontà e non possono essere evitati senza cure specifiche di tipo psico-comportamentale e/o farmacologico.

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Psicoterapia

Se la situazione non è particolarmente grave, il primo intervento proposto al paziente affetto da disturbo ossessivo-compulsivo è quasi sempre un intervento psicoterapico cognitivo-comportamentale teso al graduale decondizionamento dalle abitudini ossessivo-compulsive acquisite, partendo da quelle che lo coinvolgono in modo più lieve e che interferiscono meno con le attività quotidiane. Anche la psicodinamica può avere un ruolo importante nella terapia del disturbo ossessivo-compulsivo. Ottenuti i primi miglioramenti, si passa ad analizzare e rimuovere i comportamenti più invasivi e disturbanti, seguendo una logica graduale, fino alla completa risoluzione del disturbo. Nella maggior parte dei casi, il trattamento è effettuato con sedute periodiche individuali o di gruppo.

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Terapia farmacologica del disturbo ossessivo-compulsivo

Se il disturbo ossessivo-compulsivo è presente da diverso tempo o molto radicato per riuscire a ottenere un miglioramento significativo, è necessario intraprendere un trattamento farmacologico con antidepressivi, in grado di correggere la riduzione dei livelli cerebrali di serotonina. I composti più indicati a questo scopo sono gli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI). Si tratta di farmaci sicuri, efficaci e ben tollerati che nel disturbo ossessivo-compulsivo riescono a determinare un buon miglioramento dei sintomi dopo circa 2-4 settimane di assunzione regolare. In alcuni casi, in relazione alle caratteristiche del singolo paziente e delle manifestazioni specifiche del disturbo, il medico potrà proporre, in associazione agli antidepressivi, anche farmaci di altro tipo, come per esempio antipsicotici. Qualunque sia la terapia individuata, per ottenerne i massimi benefici è importante seguire attentamente le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi di assunzione, senza interrompere il trattamento farmacologico non appena ci si sente meglio.

Interventi di supporto

La famiglia, in particolare i genitori in particolare, può fare molto per agevolare il percorso terapeutico del paziente, assicurando un ambiente domestico capace di supportare e promuovere il recupero del figlio e cercando di ristabilire relazioni interpersonali positive. Tuttavia, in alcuni casi il clima familiare è talmente destabilizzato da arrivare a compromettere seriamente la possibilità di ottenere benefici dalle cure proposte. Quando ciò si verifica, di norma il medico consiglia di estendere l’intervento psicoterapico all’intera famiglia o di prevedere l’allontanamento temporaneo del paziente dall’ambiente abituale. Nei casi più gravi, può essere necessario il ricovero ospedaliero.

Se pensi di soffrire di disturbo ossessivo-compulsivo o di altro disturbo d’ansia o di disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere definitivamente il tuo problema.

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Disturbo da attacchi di panico: sensazione di morte imminente e angoscia

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Rughe Cavitazione Dieta Dimagrire Pancia Grasso Dietologo NutrizionistaDimagrire Sessuologo Aiuto Supporto psicologico Roma ATTACCHI DI PANICOCon disturbo d’ansia (in inglese “anxiety disorder”) in medicina ed in particolare in psichiatria, si identifica uno stato mentale caratterizzato da diverse forme di paura e di ansia patologica che si accompagnano spesso a manifestazioni psicosomatiche e che creano notevole disagio all’individuo, andando ad interferire con la sua vita sociale, relazionale e/o professionale. I più comuni disturbi d’ansia sono il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da attacchi di panico e le fobie. Il disturbo post-traumatico da stress, precedentemente inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito in una categoria denominata Disturbi correlati a trauma e stress. Il disturbo ossessivo-compulsivo, una volta inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito in una nuova categoria specifica, denominata Disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati. In alcuni casi un disturbo d’ansia può associarsi ad un disturbo dell’umore, come la depressione.

Differenza tra ansia e disturbo d’ansia

E’ importante ricordare che, nel linguaggio comune il termine “ansia” viene spesso usato in modo improprio, riferendosi a generiche condizioni di apprensione, nervosismo e stress, molto comuni nella vita quotidiana di ognuno di noi, che però nella maggioranza dei casi non hanno nulla a che vedere con il disturbo d’ansia, che è una patologia psichiatrica vera e propria. L’ansia presente nel disturbo d’ansia (“ansia patologica”) non è un semplice disagio transitorio e fisiologico che si verifica durante determinati episodi della nostra vita, bensì un sintomo abnorme che interferisce severamente con la nostra vita sotto diversi aspetti, da quello sociale e relazionale, fino a quello lavorativo.

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Disturbo da attacchi di panico

Il disturbo da attacchi di panico (da cui l’acronimo DAP), anche chiamato disturbo di panico, in inglese denominato panic attack o panic disorder (da cui gli acronimi PA e PD), è un tipo specifico di disturbo d’ansia caratterizzato da improvvisi ed intensi stati di fortissima ansia accompagnati da altri sintomi psicologici e fisici. Gli stati d’ansia, denominati “attacchi di panico“, si presentano in maniera imprevedibile, generalmente senza una causa scatenante razionale e specifica oppure, se presente, tale causa è rappresentata da un evento che, per la persona sana, non rappresenta fonte di timore. La terapia è di tipo psicoterapico con l’associazione, nei casi più gravi, dei farmaci. In alcuni casi un disturbo da attacchi di panico può associarsi ad una fobia.

Epidemiologia

Il disturbo da attacchi di panico rappresenta uno dei più comuni disturbi psicologici: si calcola che circa 10 milioni di italiani abbiano subito uno o più attacchi di panico nel corso della loro vita. Il disturbo di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta ed ha un’incidenza da due a tre volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini.

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Cause

Le cause specifiche del disturbo da attacchi di panico e degli altri disturbi d’ansia, come avviene per numerose altre patologie di interesse psichiatrico, non sono ancora state comprese del tutto. Si ritiene siano dovuti ad una combinazione di fattori genetici, psicologici, fisici e ambientali. Alcune caratteristiche predisponenti (come la famigliarità con la malattia, cioè aver dei casi in famiglia di disturbo da attacchi di panico o di altro disturbo d’ansia) unite ad episodi particolarmente traumatici e stressanti possono innescare un disturbo d’ansia. Eventi particolari capaci di tale innesco, sono ad esempio lutti, licenziamenti, difficoltà economiche o famigliari, patologie croniche ed invalidanti, una diagnosi di malattia terminale, violenza sessuale subita in tenera età, aver subito torture o aver vissuto un evento catastrofico come un incidente aereo o un terremoto. Alcune patologie organiche, come l’ipertiroidismo o altri squilibri endocrini, sono note per causare sintomi di nervosismo cronico e di ansia, quindi potrebbero essere un fattore di rischio per il disturbo da attacchi di panico. Patologie psichiatriche (come la depressione) e neurologiche (soprattutto se croniche, invalidanti e/o incurabili) potrebbero rappresentare un altro fattore di rischio per i disturbi d’ansia. La dipendenza da sostanze legali o illegali (alcol, caffeina, benzodiazepine, cannabis, cocaina, eroina ed altre sostanze psicotrope) e le dipendenze comportamentali (shopping compulsivodipendenza dal sessodisturbo da gioco d’azzardomasturbazione compulsivacleptomania, dipendenza da uso di doping, dipendenza dal lavoro, dipendenza dal cibo, piromaniadisturbo da interazione di più dipendenze…), potrebbero favorire o causare il disturbo da attacchi di panico o un altro disturbo d’ansia, oppure aggravare un disturbo preesistente. Gli studi sui possibili contributi genetici allo sviluppo del disturbo d’ansia generalizzato hanno esaminato le relazioni tra possibili geni implicati nelle strutture cerebrali coinvolte nell’identificazione di potenziali minacce (ad esempio, nell’amigdala) e anche implicati nei neurotrasmettitori e nei recettori dei neurotrasmettitori noti per essere coinvolti nei disturbi d’ansia. Alcuni farmaci antidepressivi (ad esempio gli SSRI), pur essendo spesso anche degli efficaci ansiolitici, possono causare in alcuni soggetti dei sintomi d’ansia che potrebbero essere confusi con un peggioramento della patologia iniziale. L’esposizione prolungata ad alcune sostanze chimiche, come i solventi industriali, possono favorire la comparsa di un disturbo d’ansia. Il mobbing ed il burn out sono possibili cause di un disturbo d’ansia. Un disturbo post-traumatico da stress), la dipendenza affettiva, la sindrome da abbandono, la dipendenza da un partner narcisista patologico, o la fine di una relazione possono innescare il disturbo da attacchi di panico o un disturbo d’ansia. Le “psico-tecnopatologie” (le malattie psicologiche causate da un abuso delle nuove tecnologie) come la dipendenza da smartphone, la dipendenza da notifiche, la dipendenza da internet e la dipendenza da social network possono causare o favorire il disturbo da attacchi di panico o altro disturbo d’ansia, o peggiorare un disturbo d’ansia già esistente nel paziente.

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Caratteristiche dell’attacco di panico

L’attacco di panico in genere è improvviso ed è caratterizzato da un intenso stato di ansia, paura, angoscia, desiderio di fuga immediata, paura di morte imminente. L’attacco si presenta in maniera imprevedibile, generalmente senza una causa scatenante razionale e specifica. Quando una causa specifica è presente, essa è rappresentata da eventi e circostanze assolutamente innocue e come tali percepite dalla maggioranza delle persone sane, eventi e circostante che invece vengono viste dal paziente come situazioni catastrofiche o realmente pericolose. L’attacco di panico può innescarsi anche in momenti assolutamente tranquilli e, apparentemente, senza alcuna circostanza specifica, ad esempio mentre il paziente sta tranquillamente seduto in poltrona a guardare la televisione o mentre legge un libro o nel sonno, mentre dorme.

Sintomi e segni associati

L’attacco di panico descritto nel paragrafo precedente, si può accompagnare a numerosi altri sintomi e segni, tra cui:

  • sensazione di asfissia o iperventilazione, con sindrome da iperventilazione psicogena;
  • tachipnea (aumento della frequenza respiratoria);
  • dispnea (“fame d’aria”);
  • tachicardia (aumento della frequenza cardiaca);
  • ipertensione arteriosa (aumento della pressione arteriosa);
  • tremori alle braccia e/o alle gambe;
  • vertigini;
  • pallore nel viso;
  • oppressione o fastidio al petto;
  • sensazioni di sbandamento, instabilità e svenimento;
  • ipotensione arteriosa (abbassamento della pressione arteriosa);
  • svenimento (sincope o lipotimia);
  • palpitazioni;
  • sensazioni di torpore;
  • paura di impazzire;
  • paura di perdere il controllo sulle proprie azioni;
  • nausea;
  • diarrea;
  • sensazioni di irrealtà, di stranezza, di distacco dall’ambiente e da sé stessi (derealizzazione e depersonalizzazione);
  • vampate o brividi di freddo;
  • paura di stare sempre peggio e di non riuscire a riprendersi;
  • sensazione di formicolio agli arti e alle mani (parestesia).

Conseguenze

Il disturbo da attacchi di panico, come gli altri disturbi d’ansia e le patologie psichiatriche in generale, è in grado di interferire severamente con la nostra vita sotto diversi aspetti, da quello sociale e relazionale, fino a quello lavorativo. Il paziente, per timore di avere un attacco di panico in pubblico, potrebbe ad esempio isolarsi e, nei casi più gravi, soffrire di depressione ed avere ideazioni suicidarie. Alcuni pazienti potrebbero, a causa della patologia, essere impossibilitati a svolgere un dato lavoro o essere licenziati per aver commesso azioni sconsiderate a lavoro a causa di un attacco di panico.

Durata dell’attacco di panico

Gli attacchi di panico possono avere una durata molto variabile: alcuni attacchi durano alcuni secondi, altri possono durare alcune ore. Nella maggioranza dei casi un attacco di panico non dura più di 30 minuti.

Diagnosi

La diagnosi di un disturbo da attacchi di panico si basa soprattutto sui suoi segni e sintomi caratteristici. Un’anamnesi familiare di disturbi d’ansia è d’aiuto, poiché la famigliarità (cioè, l’avere dei casi in famiglia di disturbo da attacchi di panico o altro disturbo d’ansia) sembra essere un importante fattore di rischio per il disturbo. E’ importante anche diagnosticare una eventuale altra patologia di interesse psichiatrico associata, come un disturbo dell’umore (ad esempio la depressione) o un disturbo da stress post-traumatico. All’insorgere delle prime crisi è frequente che tale disturbo non venga riconosciuto dal soggetto e di conseguenza non venga trattato e scambiato per altre patologie specialmente di natura cardiologica, polmonare o endocrina.

Disturbo di panico nel DSM-5

Secondo la quinta e più recente edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), per la diagnosi di disturbo di panico devono essere presenti entrambi i seguenti criteri diagnostici:

  • Presenza di attacchi di panico inaspettati ricorrenti (per la definizione di “attacco di panico”, vedi il prossimo paragrafo);
  • Almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese (o più) di uno (o più) dei seguenti sintomi:
    • preoccupazione persistente di avere altri attacchi;
    • preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”);
    • significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.

Se fossimo in presenza di agorafobia la diagnosi sarà di disturbo da attacchi di panico con agorafobia. Il medico deve valutare che gli attacchi non siano dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio una droga o un farmaco) o di una condizione medica generale (ad esempio ipertiroidismo) per questo tali condizioni dovranno essere escluse. Gli attacchi di panico non devono inoltre essere meglio giustificati da altro disturbo mentale, come fobia sociale, fobia specifica, disturbo ossessivo-compulsivo o disturbo post-traumatico da stress.

Attacco di panico nel DSM-5

La definizione di episodio di “attacco di panico” nel DSM-5 è un periodo preciso di intensa paura o disagio, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:

  • palpitazioni, cardiopalmo, o tachicardia;
  • sudorazione;
  • tremori fini o a grandi scosse;
  • dispnea o sensazione di soffocamento;
  • sensazione di asfissia (mancanza d’aria);
  • dolore o fastidio al petto;
  • nausea o disturbi addominali;
  • sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento;
  • derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi);
  • paura di perdere il controllo o di impazzire;
  • paura di morire;
  • parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio);
  • brividi o vampate di calore.

Ricordiamo che sono sufficienti quattro sintomi di quelli sopra descritti per essere in presenza di un attacco di panico.

Se pensi di soffrire di disturbo da attacchi di panico o di altro disturbo d’ansia, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere definitivamente il tuo problema.

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