Sangue occulto nelle feci: come interpretare il risultato dell’esame

MEDICINA ONLINE PRELIEVO VALORI ANEMIA DONAZIONE SANGUE ANALISI BLOOD LABORATORI VES FORMULA LEUCOCITARIA PLASMA FERESI SIERO FIBRINA FIBRINOGENO COAGULAZIONE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIASTRINE WALLPAPER HI RES PIC PICTURE PHOIn condizioni normali lo stomaco e l’intestino perdono una quantità di sangue minima durante la digestione, quindi la presenza nelle feci è trascurabile e non è rilevabile dall’esame del sangue occulto.

Quando sono presenti polipi, cioè le piccole sporgenze simili a dita all’interno dell’intestino o del retto, questi possono essere fragili e sanguinare, ad esempio quando vengono a contatto con i prodotti della digestione. Il sangue di solito non è visibile ad occhio nudo nelle feci, ma può essere individuato con l’esame del sangue occulto. I polipi benigni sono relativamente comuni dopo i 50 anni, ma possono diventare maligni e diffondersi anche in altre parti dell’organismo (tumore metastatico).

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La maggior parte dei casi di tumore del colon-retto ha infatti origine da polipi intestinali benigni che si trasformano in polipi maligni. Il sangue nelle feci, quindi, può indicare che il paziente ha dei polipi intestinali che, se non controllati, potrebbero trasformarsi in un tumore maligno. In molti casi le tracce di sangue sono il primo e unico segno del tumore al colon-retto, quindi l’esame del sangue occulto nelle feci è uno strumento di screening fondamentale per questo tipo di tumore. L’esame del sangue occulto nelle feci può essere eseguito con metodi diversi a seconda del laboratorio ma, indipendentemente dalla tecnica di analisi usata, è consigliabile eseguire l’esame su almeno tre campioni raccolti in giorni diversi, perché il sanguinamento, in particolare quello causato dai polipi e dai tumori, è intermittente. Con i test di ultimissima generazione potrebbe essere sufficiente, almeno a livello di screening, l’esecuzione su un unico campione.

In media, per ogni 100 persone che fanno l’esame, cinque risultano positive (fonte: AIRC). In caso di esito positivo saranno necessari ulteriori approfondimenti per capirne l’origine, in quanto l’esame permette solo di sapere se sia presente o meno, e distinguere così le diverse possibili spiegazioni (oltre al tumore il test potrebbe essere positivo a causa di emorroidi, ragadi, diverticolosi…). Il grande vantaggio di questo esame è che, a differenza della colonscopia, non è assolutamente invasivo e non richiede alcun tipo di preparazione. È inoltre economico e permette di mettere in atto programmi di screening a livello dell’intera popolazione (in base all’età, ovviamente).

I lati negativi sono invece i seguenti:

  • Potrebbe non rilevare un tumore che non sanguina,
  • Può essere causa di falsi positivi,
  • Richiede di essere fatto relativamente spesso (una volta all’anno secondo alcune società scientifiche),
  • La colonscopia è necessaria in caso di esito positivo.

Interpretazione

Un risultato negativo indica che non è presente sangue nelle feci e, anche se non consente di escludere con assoluta certezza la presenza di un tumore, permette una ragionevole tranquillità. Un esito positivo indica che c’è un sanguinamento anomalo nell’apparato digerente, la cui causa può essere per esempio:

  • ulcera,
  • diverticolite,
  • polipi,
  • malattia infiammatoria cronica intestinale,
  • emorroidi,
  • tumore.

Alcuni test di vecchia generazione potrebbero positivizzarsi anche in caso di sanguinamento presente a livello di gengive o naso, mentre nei test più recenti (immunochimici) viene individuato solo il sangue proveniente dal tratto digestivo inferiore. Se l’esito dell’esame è positivo, a prescindere dalla metodologia usata è necessario eseguire ulteriori accertamenti, ad esempio la sigmoidoscopia o la colonscopia.

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Valori Alti

  • Diverticolite
  • Emorroidi
  • Malattia infiammatoria intestinale
  • Polipi intestinali
  • Tumore al colon
  • Tumore al retto
  • Ulcera peptica.

Fattori che influenzano l’esame

L’esame può dare un esito falso positivo se:

  • le gengive sanguinano, perché si è andati dal dentista o si soffre di gengivite,
  • il paziente soffre di sanguinamento gastrico provocato dai FANS (antinfiammatori non steroidei), come l’aspirina, il naprossene e l’ibuprofene,
  • (per alcune metodologie) il paziente assume alimenti come la carne rossa, i broccoli, le rape, il cavolfiore, le mele, le arance, i funghi e il rafano, e farmaci come la colchicina, medicinali contenenti ferro e gli ossidanti (come lo iodio e l’acido borico).
  • L’esame può dare un esito falso negativo se il paziente assume integratori e alimenti contenenti la vitamina C.

I risultati possono essere falsati se il campione è contaminato da urine contenenti sangue o dal sangue mestruale.

Quando viene richiesto l’esame

L’esame del sangue occulto nelle feci viene quasi sempre eseguito insieme agli altri esami di routine ed è usato principalmente per la diagnosi precoce del tumore al colon. È uno strumento di screening, e non diagnostico. I medici del Ministero della Salute consigliano ai soggetti di età compresa tra i 50 e i 69 anni di sottoporsi all’esame ogni due anni, mentre l’American Cancer Society americana e altre organizzazioni consigliano di eseguirlo una volta all’anno a partire dai 50 anni di età, oppure seguendo la prescrizione medica basata sulla famigliarità del paziente. La maggior parte dei pazienti che si sottopone all’esame è asintomatica. In alcuni casi il medico può prescrivere la ricerca se il paziente soffre di un’anemia inspiegabile che potrebbe essere causata da sanguinamenti occulti nell’apparato digerente, oppure anche solo sintomi correlati: spossatezza, emoglobina ed ematocrito bassi, feci più scure del normale.

Preparazione richiesta

Prima di eseguire l’esame del sangue occulto nelle feci bisogna osservare diverse precauzioni e raccomandiamo di chiedere indicazioni in merito al medico od al laboratorio. Per gli esami eseguiti con i metodi immunochimici, i più recenti, non ci sono particolari necessità di preparazione, perché l’esame usa gli anticorpi che individuano soltanto il sangue proveniente dal colon. In caso di tecnologie meno recenti è invece possibile che vengano suggerite alcune avvertenze prima di sottoporsi al test:

  • Farmaci: Alcuni medicinali sono in grado di causare sanguinamenti e/o falsi positivi, verrà quindi valutato con il medico se e come sospenderli. Ricordiamo per esempio l’aspirina e gli antinfiammatori in genere, ma non solo. L’American Cancer Society ne raccomanda la sospensione a partire da una settimana prima.
  • Alcuni alimenti (ad esempio la carne rossa, i broccoli, le rape, il cavolfiore, le mele, le arance, i funghi e il rafano, …) possono reagire con il reagente del test ed essere causa di falsi positivi. Utile sospenderne il consumo da 3 giorni prima.
  • La vitamina C, al contrario, può inibire la reazione ed essere causa di falsi negativi; andranno quindi evitati gli integratori che la contengono, così come gli alimenti che ne sono ricchi (arance, limoni, kiwi, …) nei 3 giorni precedenti la raccolta.
  • La ricerca del sangue occulto potrebbe positivizzarsi anche in caso di sangue proveniente dalla bocca, il paziente deve quindi evitare gli interventi dentistici nei tre giorni precedenti la raccolta del campione perché, se le gengive sanguinano, l’esito dell’esame sarà positivo.

Quale contenitore sterile usare?

Per raccogliere e conservare correttamente il campione di feci da inviare in laboratorio, è necessario usare un contenitore sterile apposito, dotato di spatolina. Il prodotto di maggior qualità, che ci sentiamo di consigliare per raccogliere e conservare le feci, è il seguente: http://amzn.to/2C5kKig

Altre informazioni

Screening del tumore del colon-retto

La ricerca del sangue occulto può essere preceduta o seguita dall’esplorazione digitale del retto, che serve per individuare eventuali polipi rettali. Se la ricerca di sangue occulto dà esito positivo, possono essere seguiti da altri accertamenti, per individuare i polipi, rimuoverli e sottoporli alla biopsia. Questi altri accertamenti possono anche essere svolti in alternativa all’esame delle feci, se il medico lo ritiene opportuno. Tra di essi ricordiamo:

  • La rettosigmoidoscopia, che viene talvolta usata anche a livello di screening; è un esame simile alla colonscopia, ma che si limita alla valutazione del tratto terminale dell’intestino e richiede quindi una preparazione meglio tollerata dai pazienti. L’AIRC consiglia di effettuarla un’unica volta se l’obiettivo è lo screening, tra i 58 e i 60 anni.
  • La colonscopia è un esame più invasivo: il retto e il colon sono esaminati con un tubicino flessibile. Anche durante la colonscopia possono essere rimossi gli eventuali polipi. Questo esame viene consigliato in caso di precedente diagnosi di polipi (in genere ogni 5 anni) oppure nei soggetti con famigliarità per il tumore al colon. Se usata come screening è sicuramente l’esame più affidabile, la l’invasività la rende un’opzione poco pratica.
  • La colonscopia virtuale è un esame meno invasivo che usa la stessa tecnologia della TAC per visualizzare il colon, minimizzando così i disagi per il paziente rispetto all’esame classico. È molto più accurata rispetto alla ricerca del sangue occulto e, essendo meno invasiva, potrebbe permettere un’applicazione su vasta scala per individuare con largo anticipo la presenza di tumore, ma esistono alcuni dubbi che sono ad oggi ancora in fase di valutazione prima che possa essere proposta in sostituzione dell’esame del sangue.

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Quanto rimane la PCP in urine, sangue e capelli

MEDICINA ONLINE PRELIEVO VALORI ANEMIA DONAZIONE SANGUE ANALISI BLOOD LABORATORI VES FORMULA LEUCOCITARIA PLASMA FERESI SIERO FIBRINA FIBRINOGENO COAGULAZIONE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIASTRINE WALLPAPER HI RES PIC PICTURE PHOLa PCP (fenciclidina) è una sostanza allucinogena di sintesi a base di piperidina, il principale precursore di alcune droghe ad azione oppiomimetica particolarmente diffusa negli anni settanta e ottanta, soprattutto negli Stati Uniti. È in gergo chiamata “polvere d’angelo”.

PCP nelle urine

Con test del sangue specifici si è positivi tra 3 e 7 giorni dall’ultima assunzione.

PCP nel sangue

Con test delle urine specifici si è positivi tra 1 e 3 giorni dall’ultima assunzione.

Test antidroga da fare a casa

Nel caso in cui abbiate bisogno di ottenere rapidamente il risultato positivo o negativo del vostro test, potete usare uno di questi test antidroga da fare a casa, acquistabili online, ritirabili anche nei punti di ritiro, facili da fare e dai risultati attendibili. Tutti i prodotti sono stati accuratamente selezionati dal nostro Staff di esperti:

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  • Test antidroga tramite urina per 11 droghe contemporaneamente – anfetamina – arbiturici, buprenorfina, benzodiazepine, cocaina, ecstasy, metanfetamine, oppiacei/morfina, metadone, antidepressivi triciclici, annabinoidi (marijuana/hashish/cannabis): http://amzn.to/2AHsjP7

PCP nei capelli

Con test del capello si è positivi entro 4 mesi dall’ultima assunzione.

Dobbiamo ricordarvi che le variabili in gioco affinché il vostro test risulti negativo, sono molteplici e soprattutto sono assolutamente soggettive. Soprattutto c’è da tenere in considerazione l’uso che fate della sostanza: le quantità, da quanto tempo l’assumente, come l’assumete, la qualità, la vostra corporatura, la contemporanea assunzione di altre droghe, la vostra funzionalità epatica e renale, il vostro metabolismo, ed altri fattori assolutamente imprevedibili.

Il consiglio che noi riteniamo essere l’unico efficace per evitare la positività ai test, è smettere di assumere la sostanza. Solo in questo modo potrete avere la certezza di essere puliti e risultare negativi: la vostra salute vi ringrazierà per sempre.

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Quanto rimangono eroina ed oppiacei in urine, sangue e capelli

MEDICINA ONLINE PRELIEVO VALORI ANEMIA DONAZIONE SANGUE ANALISI BLOOD LABORATORI VES FORMULA LEUCOCITARIA PLASMA FERESI SIERO FIBRINA FIBRINOGENO COAGULAZIONE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIASTRINE WALLPAPER HI RES PIC PICTURE PHOL’eroina è un derivato della morfina, componente dell’oppio, nota anche come Diacetilmorfina o Diamorfina. È una sostanza semisintetica ottenuta per reazione della morfina con l’anidride acetica. La sostanza pura si può trovare di colore bianco cristallino, che sarebbe poi il sale cloridrato diamorfina, oppure marrone scuro e molto appiccicosa (brown sugar).

Eroina ed oppiacei nelle urine

Con test delle urine specifici si è positivi tra 1 e 4 giorni dall’ultima assunzione.

Eroina ed oppiacei nel sangue

Con test del sangue specifici si è positivi tra 1 e 3 giorni dall’ultima assunzione.

Eroina ed oppiacei nei capelli

Con test del capello si è positivi entro 4 mesi dall’ultima assunzione.

Dobbiamo ricordarvi che le variabili in gioco affinché il vostro test risulti negativo, sono molteplici e soprattutto sono assolutamente soggettive. Soprattutto c’è da tenere in considerazione l’uso che fate della sostanza: le quantità, da quanto tempo l’assumente, come l’assumete, la qualità, la vostra corporatura, la contemporanea assunzione di altre droghe, la vostra funzionalità epatica e renale, il vostro metabolismo, ed altri fattori assolutamente imprevedibili.

Il consiglio che noi riteniamo essere l’unico efficace per evitare la positività ai test, è smettere di assumere la sostanza. Solo in questo modo potrete avere la certezza di essere puliti e risultare negativi: la vostra salute vi ringrazierà per sempre.

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Quanto rimane la marijuana (THC) in urine e sangue

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Dieta Peso Dietologo Nutrizionista Roma Cellulite Sessuologia Ecografie DermatologiaSmettere fumare Cura Cannabis LeucemiaNessuno può prevedere con certezza quanto tempo sarà positivo il test per la marijuana, dal momento che il tasso di metabolismo del THC varia per ogni individuo. La quantità di marijuana consumata ed molti altri fattori individuali, possono alterare la finestra di tempo nella quale il vostro corpo conserva tracce di THC.

Marijuana nelle urine

I consumatori occasionali
Chi utilizza di tanto in tanto – o per la prima volta – cannabis, probabilmente avrà un test positivo da 1 a 3 giorni successivi, secondo una revisione effettuata da parte del National Drug Corte Institute (NDCI). Ma alla fine dei 4 giorni dovrebbero essere tranquillamente sotto la soglia di 50 ng / mL.

I consumatori frequenti
Gli studi suggeriscono che chi utilizza spesso cannabis può aspettarsi di essere positivo al test per circa una settimana dall’ultimo utilizzo. Secondo la NDCI, dopo 10 giorni, gli utenti più frequenti dovrebbero risultare negativi ad un test dell’urina alla soglia 50 ng/mL. Gli studi dimostrano però che è possibile per alcuni utenti restare positivi per un mese ed oltre dopo l’ultimo utilizzo.

Test antidroga da fare a casa

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  • Test antidroga tramite urina per 11 droghe contemporaneamente – anfetamina – arbiturici, buprenorfina, benzodiazepine, cocaina, ecstasy, metanfetamine, oppiacei/morfina, metadone, antidepressivi triciclici, annabinoidi (marijuana/hashish/cannabis): http://amzn.to/2AHsjP7

Marijuana nel sangue

Con test del sangue specifici si è positivi tra le 12 e le 24 ore in caso di consumo occasionale, mentre si è positivi tra 2 giorni ed una settimana in caso di consumo frequente. Dobbiamo ricordarvi che le variabili in gioco affinché il vostro test risulti negativo, sono molteplici e soprattutto sono assolutamente soggettive. Soprattutto c’è da tenere in considerazione l’uso che fate della sostanza: le quantità, da quanto tempo l’assumente, come l’assumete, la qualità, la vostra corporatura, la contemporanea assunzione di altre droghe, la vostra funzionalità epatica e renale, il vostro metabolismo, ed altri fattori assolutamente imprevedibili.

Il consiglio che noi riteniamo essere l’unico efficace per evitare la positività ai test, è smettere di assumere la sostanza. Solo in questo modo potrete avere la certezza di essere puliti e risultare negativi: la vostra salute vi ringrazierà per sempre.

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Quanto rimane la cocaina in urine, capelli e sangue?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma EFFETTI COCAINA SESSO SESSUALE ORGASMO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneLa permanenza della cocaina nel nostro organismo è variabile in base a molti fattori, valutiamoli insieme.

Metabolismo della cocaina

Dopo essere stata assunta per per via intranasale, per inalazione dopo pirolisi (fumo), per via orale o parenterale, la cocaina viene metabolizzata dalle colinesterasi plasmatiche ed epatiche, che la trasformano nei suoi metaboiti inattivi chiamati, rispettivamente benzoilecgonina e ecgonina metilestere. Possono inoltre essere prodotti lievi quantitativi di un metabolita attivo chiamato norcocaina.
L’emivita plasmatica della cocaina dopo somministrazione endovenosa è di circa un’ora (30-90 minuti), mentre è decisamente superiore per i suoi metaboliti (4-8 ore per la ecgonina metilestere e 3,5-6 ore per la benzoilecgonina). L’emivita dipende anche dalla modalità d’assunzione: generalmente è superiore se la cocaina viene assunta per via nasale e più breve se inalata (crack) o iniettata.
In media circa l’1-9% delle dose assunta viene escreta in forma non modificata nelle urine. L’escrezione dipende da vari fattori:

  • aumenta al diminuire del pH delle urine (acidità) e diminuisce quanto più queste sono basiche;
  • diminuisce in caso di assunzione cronica (pare che i consumatori abituali riescano a metabolizzarla in maniera più efficace).

Indipendentemente dalla via di somministrazione la maggior parte della droga e dei suoi metaboliti compare nelle urine entro le prime 24 ore. I metaboliti della cocaina possono comunque essere presenti nelle urine per 48-72 ore dopo la sua assunzione. In consumatori cronici di cocaina i metaboliti inattivi sono stati rinvenuti anche per periodi di settimane.

Cocaina nelle urine

Solitamente il metodo migliore per riscontare la cocaina nell’organismo è l’esame delle urine perché ha una finestra di rilevamento più ampia per la maggior parte delle droghe. A seconda del consumo che si è fatto della sostanza, questa può essere rilevata nelle urine dai 2 ai 4 giorni dopo l’assunzione. In realtà non è la cocaina ad essere riscontrata ma il suo sottoprodotto: la norcocaina. La maggior parte della cocaina assunta viene espulsa attraverso le urine ma è chiaro che nei consumatori cronici possono permanere dei metaboliti inattivi che sono rilevabili anche dopo alcune settimane. Inoltre c’è da considerare un’altra variabile, ovvero l’uso di alcool: se quando avete assunto cocaina, avete assunto anche degli alcolici,probabilmente la metabolizzazione risulterà più lenta e potreste risultare positivi anche dopo un lungo periodo di tempo.
Utilizzando metaboliti della cocaina, come la benzoilecgonina e il cocaetilene – la finestra di rintracciabilità non è più da 2 a 4 giorni, bensì si ampia. In particolare la rintracciabilità del consumo di cocaina tramite l’esame delle urine può arrivare a 20-30 giorni in questi casi:

  • se il soggetto è un consumatore abituale, anche con piccole dosi;
  • se il soggetto ha assunto ingenti quantità di cocaina;
  • se il soggetto consuma bevande alcoliche.

L’esame delle urine è quello più utilizzato perché meno dispendioso ed invasivo.

Cocaina con esame del sangue

Per rilevare la cocaina attraverso l’esame del sangue bisogna sottoporsi ad un esame specifico quindi se la vostra preoccupazione è focalizzata sui normali esami del sangue di routine, vi informiamo che la cocaina non viene rilevata. Facendo invece esami specifici, la sostanza – o meglio i suoi metaboliti – rimangono visibili nel sangue fino a 5 giorni dopo l’assunzione.

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Cocaina nei capelli

Le tracce di cocaina nel capello, a differenza delle altre vie di analisi come il sangue o l’urina, generalmente possono essere riscontrate fino a ben 6 mesi prima; questo però non rende il test del capello più affidabile in quanto il campione in esame, quindi i capelli, sono soggetti a variabili fisiche e ambientali che possono alterare i controlli, anche se c’è da dire che solitamente prima di effettuare il test su un campione di capelli o peli, gli operatori sottopongono il campione a lavaggi che lo rendano adatto all’analisi. Inoltre il test del capello è poco utilizzato anche perché molto costoso ma se il campione è ritenuto attendibile può arrivare a riscontrare anche consumi di sostanza fatti molti mesi prima, fino a sei mesi.

Dobbiamo ricordarvi che le variabili in gioco affinché il vostro test risulti negativo, sono molteplici e soprattutto sono assolutamente soggettive. Soprattutto c’è da tenere in considerazione l’uso che fate della sostanza: le quantità, da quanto tempo l’assumente, come l’assumete, la qualità, la vostra corporatura, la contemporanea assunzione di altre droghe, la vostra funzionalità epatica e renale, il vostro metabolismo, ed altri fattori assolutamente imprevedibili.

Il consiglio che noi riteniamo essere l’unico efficace per evitare la positività ai test, è smettere di assumere la sostanza. Solo in questo modo potrete avere la certezza di essere puliti e risultare negativi: la vostra salute vi ringrazierà per sempre.

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Test per la diagnosi di schizofrenia

MEDICINA ONLINE CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA DEPRESSIONE TRISTE STANCHEZZA PSICOSOMALa schizofrenia è una psicosi cronica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività, da un decorso superiore ai sei mesi, con forte disadattamento della persona ovvero una gravità tale da limitare le normali attività di vita della persona.

Test per la diagnosi di schizofrenia

Spesso si ritiene che possano essere configurati degli specifici test per la schizofrenia. In realtà, da questo punto di vista, bisogna fare una certa attenzione, perché la diagnosi della schizofrenia è molto complessa e non può essere affidata al fai da te. Online possono trovarsi dei quiz, che danno delle indicazioni molto spesso non attendibili. Un vero test psicologico deve obbedire a dei criteri ben precisi, come la standardizzazione, la validità del contenuto, l’efficacia rispetto ad un criterio esterno e la validità del costrutto. Solo in questo modo può essere considerato attendibile. Comunque, in senso generale, il disagio schizofrenico può essere riconosciuto solo ed esclusivamente da personale sanitario esperto, attraverso un’attenta e generale considerazione dell’anamnesi e del quadro sintomatologico del paziente.

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Quoziente d’intelligenza: valori, significato, test ed ereditarietà

MEDICINA ONLINE BRAIN CERVELLO ALLENAMENTO ALLENA INTEGRATORI STUDIO STUDIARE LIBRO LEGGERE LETTURA BIBLIOTECA BIBLIOGRA LIBRERIA QUI INTELLIGENTE ESAMI 30 LODE TEST INGRESSO MEDICINA UNIVERSITA SCUOLAIl quoziente d’intelligenza, o QI, è un punteggio, ottenuto tramite uno dei molti test standardizzati, che si prefigge lo scopo di misurare o valutare l’intelligenza, ovvero lo sviluppo cognitivo dell’individuo. Persone con QI basso sono a volte inserite in speciali progetti di istruzione.

Valori di QI

Punti Percentuale Classificazione Punteggio
40-57 0.2% Gravemente inferiore alla media
58-74 4.1% Molto inferiore alla media
75-91 24% Inferiore alla media
92-109 43.2% Normale
110-126 24% Dotato
127-143 4.1% Molto Dotato
144-160 0.2% Genio

Funzioni e uso

Oltre che dagli psicologi, il QI è usato anche dai sociologi, che ne studiano in particolare la distribuzione nelle popolazioni e le relazioni con altre variabili. È stata dimostrata in particolare una correlazione tra QI, morbosità e mortalità, e con lo stato sociale dei genitori. Sull’ereditarietà del QI, sebbene sia stata sotto esame per quasi un secolo, rimangono delle controversie legate a quanto esso sia ereditabile e ai meccanismi di trasmissione. Lo stesso studio suggerisce che la componente ereditabile del QI diventi più significativa con l’avanzare dell’età. Seguendo un fenomeno chiamato Effetto Flynn, il QI medio per molte popolazioni aumentava con una velocità media di 3 punti ogni decennio durante il XX secolo, prevalentemente nella parte bassa della scala. Non è chiaro se queste variazioni riflettano reali cambiamenti nelle abilità intellettuali, oppure se siano dovute soltanto a problemi di natura metodologica nei test passati. È importante notare che i test del QI non riportano una misura dell’intelligenza come se fosse una scala assoluta, ma offrono un risultato che va letto su una scala relativa al proprio gruppo di appartenenza (sesso, età). I risultati dei test del QI sono utilizzati per prevedere i risultati accademici, le prestazioni lavorative, lo status socioeconomico conseguibile e le cosiddette “patologie sociali”. A tale proposito, tuttavia, uno studio del 2015, relativo alle prestazioni lavorative, ha revocato in dubbio l’asserita validità predittiva del test in tema di future performance occupazionali e ha messo in guardia nei confronti dell’uso invalso in tal senso. Oggetto di dibattito è se i test del QI siano o no un metodo accurato per misurare l’intelligenza assoluta; si ritiene per lo più che i loro risultati siano collegabili solo a sotto-capacità specifiche dell’intelligenza.

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Struttura dei test del QI

I test del QI assumono varie forme: alcuni ad esempio utilizzano un solo tipo di elementi o domande, mentre altri sono divisi in più parti. La maggior parte di essi dà un punteggio totale e uno relativo alle singole parti del test. Tipicamente un test del QI richiede di risolvere sotto supervisione un certo numero di problemi in un tempo prestabilito. La maggior parte dei test è costituito da domande di vario argomento, come memoria a breve termine, conoscenza lessicale, visualizzazione spaziale e velocità di percezione. Alcuni hanno un tempo limite totale, altri ne hanno uno per ogni gruppo di problemi, e ve ne sono alcuni senza limiti di tempo e senza supervisione, adatti a misurare valori di QI elevati. La terza edizione della WAIS, (WAIS-III del 1997), consiste di 14 gruppi di problemi: 7 verbali (Informazione, Comprensione, Ragionamento aritmetico, Analogie, Vocabolario, Memoria di cifre e Ordinamento di numeri e lettere) e 7 di abilità (Codificazione di cifre e simboli, Completamento di immagini, Block Design, Matrici di Raven, Riordinamento di storie figurate, Ricerca di simboli e Assemblaggio di oggetti). Nel 2008 è uscita la WAIS-IV, quarta edizione del test. Per standardizzare un test del QI è necessario sottoporlo a un campione rappresentativo della popolazione, calibrandolo in modo da ottenere una distribuzione normale, o curva gaussiana; ogni test è comunque studiato e valido solo per un certo intervallo di valori del QI; poiché i soggetti che ottengono punteggi molto alti o molto bassi sono pochi, i test non sono in grado di misurare accuratamente quei valori. Alcuni Q.I. utilizzano deviazioni standard diverse da altri: per questo motivo relativamente ad un certo punteggio bisognerebbe specificare anche la deviazione standard. A seconda del test, il punteggio conseguito può anche cambiare nel corso della vita dell’individuo.

Il QI e il fattore di intelligenza generale

I moderni test del QI attribuiscono dei punteggi a diversi gruppi di problemi (fluidità di linguaggio, pensiero tridimensionale, etc.), e il punteggio riassuntivo viene calcolato a partire da questi risultati parziali. Il punteggio medio, come si evince dalla gaussiana, è 100. I punteggi parziali di ogni gruppo di problemi tendono ad essere collegati gli uni con gli altri, anche quando sembra che gli argomenti sui quali si concentrano siano i più disparati. Un’analisi matematica dei punteggi parziali di un singolo test del QI, o sui punteggi provenienti da una varietà di test differenti (come lo Stanford-Binet, WISC-R, Matrici di Raven, Cattell Culture Fair III, Universal Nonverbal Intelligence Test, Primary Test of Nonverbal Intelligence, e altri) dimostra che essi possono essere descritti matematicamente come la misura di un singolo fattore comune e di vari altri fattori specifici per ogni test. Questo tipo di analisi fattoriale ha portato alla teoria che a unificare i più disparati obiettivi che i vari test si prefiggono sia un singolo fattore, chiamato fattore di intelligenza generale (o g), che corrisponde al concetto popolare di intelligenza. Normalmente, g e il QI sono per il 90% circa correlati tra loro, e spesso vengono usati interscambiabilmente. I test differiscono tra loro su quanto essi riflettano g nel loro punteggio, piuttosto che un’abilità specifica o un “fattore di gruppo” (come abilità verbali, visualizzazione spaziale, o ragionamento matematico). La maggior parte dei test del QI deriva la propria validità prevalentemente o interamente da quanto essi coincidano con la misura del fattore g, come le Matrici di Raven.

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Ereditarietà

Il ruolo dei geni e dei fattori ambientali (naturali e relativi all’educazione) nel determinare il QI è stato rivisto da Plomin et al. Vari studi dimostrano che l’indice di ereditarietà del QI varia tra 0,4 e 0,8 negli Stati Uniti, il che significa che, stando agli studi, una parte che varia da poco meno di metà a sostanzialmente più di metà della variazione del QI calcolato per i bambini presi in considerazione era dovuto a differenze nei loro geni. Il resto era dunque imputabile a variazioni nei fattori ambientali e a margini di errore. Un indice di ereditarietà nell’intervallo da 0,4 a 0,8 significa che il QI è “sostanzialmente” ereditabile. L’effetto della restrizione dell’intervallo sul QI è stato esaminato da Matt McGue e i suoi colleghi: egli scrive che “il QI dei bambini adottati non è correlato con eventuali psicopatologie dei genitori”. D’altra parte, nel 2003 uno studio condotto da Eric Turkheimer, Andreana Haley, Mary Waldron, Brian D’Onofrio e Irving I. Gottesman dimostrò che la porzione di varianza del QI attribuibile ai geni e ai fattori ambientali dipende dallo status socioeconomico. Essi provarono che nelle famiglie poco abbienti il 60% della varianza del QI è rappresentata dai fattori ambientali condivisi, mentre il contributo dei geni è quasi zero. È ragionevole aspettarsi che le influenze genetiche in caratteristiche come il QI diventino meno significative quando l’individuo acquisisca esperienza con l’età. Sorprendentemente, accade l’opposto. L’indice di ereditarietà nell’infanzia è meno di 0,2, circa 0,4 nell’adolescenza e 0,8 nell’età adulta. La task force del 1995 dell’American Psychological Association, “Intelligence: Knowns and Unknowns”, concluse che nella popolazione di pelle chiara l’ereditarietà del QI è “circa 0,75”. Il Minnesota Study of Twins Reared Apart, un pluriennale studio su 100 coppie di gemelli cresciuti in famiglie diverse, iniziato nel 1979, stabilì che circa il 70% della varianza del QI deve essere associata a differenze genetiche. Alcune delle correlazioni tra i QI di gemelli potrebbero essere il risultato del periodo prima della nascita passato nel grembo materno, facendo luce sul perché i dati di questi gemelli siano così strettamente legati tra loro.

Vi sono alcuni punti da considerare per interpretare l’indice di ereditarietà:

  • Un errore comune è di pensare che se qualcosa è ereditabile allora necessariamente non può cambiare. Questo è sbagliato. L’ereditarietà non implica l’immutabilità. Come già detto, i tratti ereditabili possono dipendere dall’apprendimento o possono essere soggetti ad altri fattori ambientali. Il valore dell’ereditarietà può cambiare se la distribuzione dei fattori ambientali (o dei geni) nella popolazione viene alterata. Ad esempio, un contesto di povertà e repressione può impedire lo sviluppo di un certo tratto, e dunque restringere le possibilità di variazioni individuali. Alcune differenze nella variazione dell’ereditarietà sono state riscontrate tra le nazioni sviluppate e quelle in via di sviluppo; ciò può influire sulle stime dell’ereditarietà. Un altro esempio è la Phenylketonuria che precedentemente causava un ritardo mentale a coloro che soffrivano di questa malattia genetica. Oggi, può essere prevenuto seguendo una dieta modificata.
  • D’altra parte, ci possono effettivamente essere dei cambiamenti ambientali che non modificano affatto l’ereditarietà. Se un fattore ambientale relativo ad un certo tratto migliora in un modo che influenza tutta la popolazione in egual modo, il valore medio di quel tratto aumenterà, ma senza variazioni nella sua ereditarietà (perché le differenze tra gli individui nella popolazione rimarranno gli stessi). Questo accade in maniera evidente per l’altezza: l’indice di ereditarietà dell’altezza è alto, ma l’altezza media continua ad aumentare.
  • Anche nelle nazioni sviluppate, un alto indice di ereditarietà per un certo tratto all’interno di un gruppo di individui non è necessariamente la causa di differenze con un altro gruppo.

Fattori ambientali

I fattori ambientali hanno una loro influenza nel determinare il QI in situazioni estreme. Un’adeguata nutrizione durante l’infanzia diventa un fattore critico per lo sviluppo cognitivo; uno stato di malnutrizione può abbassare il QI di un individuo. Altre ricerche indicano come i fattori ambientali quali l’esposizione prenatale alle tossine, la durata dell’allattamento al seno, e deficienze di fattori micronutrienti possono influire sul QI. È risaputo che non è possibile aumentare il QI con l’allenamento. Ad esempio risolvere regolarmente dei puzzle, o giocare a giochi di strategia come gli scacchi aumenta solo abilità specifiche e non il QI inteso come la somma dell’insieme di capacità ed esperienze. Imparare a suonare uno strumento, nobile o popolare che sia, aiuta il cervello a crescere sia nelle dimensioni che nelle capacità. È quanto dimostra uno studio dell’università di Zurigo che ha preso in esame lo sviluppo cerebrale di un gruppo di individui giovani e adulti.

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Contesto familiare

Quasi tutti i tratti di personalità mostrano come, al contrario di quanto ci si possa aspettare, gli effetti dei fattori ambientali nei fratelli omozigoti allevati dalla stessa famiglia sono uguali a quelli di gemelli allevati in famiglie diverse. Ci sono alcune influenze di origine familiare sul QI dei bambini, che ammontano a circa un quarto della varianza. Comunque, con l’età adulta questa correlazione sparisce, così come due fratelli adottivi non hanno i QI più simili tra loro rispetto a due estranei (correlazione del QI quasi zero), mentre due fratelli di sangue mostrano una correlazione pari a circa 0,6. Gli studi sui gemelli danno credito a questo modello: i gemelli omozigoti cresciuti separatamente hanno un QI molto simile (0,86), più di quelli eterozigoti cresciuti insieme (0,6) e molto più dei figli adottivi (circa 0). Lo studio dell’American Psychological Association’s, Intelligence: Knowns and Unknowns (1995), afferma che non c’è dubbio che il normale sviluppo dei bambini richiede un certo livello minimo di attenzioni. Un ambiente familiare molto carente o negligente ha effetti negativi su un gran numero di aspetti dello sviluppo, inclusi quelli intellettuali. Oltre un certo livello minimo di questo contesto, l’influenza che ha l’esperienza familiare sul ragazzo è al centro di numerose dispute. Vi sono dubbi se differenze tra le famiglie dei bambini producano effettivamente differenze nei risultati dei loro test d’intelligenza. Il problema è il distinguere le cause dalle correlazioni. Non c’è dubbio che alcune variabili come le risorse della propria casa o il linguaggio usato dai genitori siano correlati con i punteggi del QI dei bambini, ma queste correlazioni potrebbero essere mediate dalla genetica così come (o al posto dei) fattori ambientali. Ma non vi sono certezze su quanta della varianza del QI derivi dalle differenze tra le famiglie, e quanta invece dalle varie esperienze di diversi bambini nella stessa famiglia. Recentemente studi sui gemelli e sulle adozioni suggeriscono che mentre l’effetto del contesto familiare è rilevante nella prima infanzia, diventa abbastanza limitato nella tarda adolescenza. Queste scoperte fanno pensare che le differenze nello stile di vita dei familiari, qualunque sia l’influenza che hanno su molti aspetti della vita dei bambini, producono piccole differenze a lungo termine nelle abilità misurate dai test d’intelligenza. La ricerca dell’American Psychologist Association afferma inoltre: “Dovremmo notare, comunque, che famiglie di pelle scura e a basso reddito sono poco rappresentate negli attuali studi sulle adozioni, così come nella maggior parte dei campioni di gemelli. Dunque non è ancora del tutto chiaro se questi studi si possano applicare alla popolazione intera. Rimane la possibilità che le differenze tra famiglie (stipendio ed etnia) abbiano conseguenze più durature per l’intelligenza psicometrica”. Uno studio di bambini francesi adottati tra i quattro e i sei anni mostra la continua influenza dell’ambiente e dell’educazione contemporaneamente. I bambini venivano da famiglie povere, la media dei loro QI era inizialmente 77, classificandoli quasi come bambini ritardati. Nove anni dopo l’adozione rifecero i test, e tutti migliorarono; il miglioramento era direttamente proporzionale allo status della famiglia adottiva. Bambini adottati da contadini e lavoratori avevano un QI medio di 85,5; coloro che erano stati affidati invece a famiglie della classe media avevano un punteggio medio di 92. Il QI medio dei giovanotti adottati da famiglie benestanti aumentò di più di 20 punti, arrivando a 98. D’altra parte, quanto questi miglioramenti persistano nell’età adulta non appare ancora chiaro dagli studi.

Il modello di Dickens e Flynn

Dickens e Flynn (2001) affermano che gli argomenti che riguardano la scomparsa di un contesto familiare condiviso nella vita dei bambini dovrebbe poter applicarsi ugualmente a gruppi di individui separati nel tempo. Questo è invece contraddetto dall’effetto Flynn. I cambiamenti in questo caso sono avvenuti troppo velocemente per poter essere spiegati da un adattamento dell’ereditarietà genetica. Questo paradosso può essere spiegato osservando che la misura dell’ereditarietà include sia un effetto diretto del genotipo sul QI, sia un effetto indiretto nel quale il genotipo cambia l’ambiente, che a sua volta influisce sul QI. Cioè, coloro che hanno un alto QI tendono a ricercare un contesto stimolante che possa aumentare ulteriormente il loro quoziente intellettivo. L’effetto diretto può inizialmente essere molto limitato, ma gli effetti di ritorno possono produrre molte variazioni sul QI. Nel loro modello uno stimolo ambientale può avere un effetto importante sul QI, anche sugli adulti, ma questo effetto decade nel tempo a meno che lo stimolo non persiste (il modello può essere adattato per includere possibili fattori, come la nutrizione nella prima infanzia, che può dar luogo ad effetti permanenti). L’effetto Flynn può essere spiegato da un ambiente generalmente stimolante per tutti gli individui. Gli autori suggeriscono che i programmi che mirano a incrementare il QI riuscirebbero a produrre aumenti a lungo termine del QI se insegnassero ai bambini come replicare fuori dal programma quel tipo di esperienze di richieste conoscitive che aumentano il QI, e li motivassero a persistere in questa riproposizione per molto tempo dopo la fine del programma.

Il cervello ed il QI

Nel 2004 Richard Haier, professore di psicologia al Dipartimento di Pediatria della University of California, Irvine, con alcuni suoi colleghi alla University of Nuovo Messico, fece una risonanza magnetica per ottenere immagini strutturali del cervello di 47 uomini che avevano sostenuto il test del QI. Gli studi dimostrarono che l’intelligenza umana generale risulta essere basata sul volume e la dislocazione del tessuto di materia grigia nel cervello. La distribuzione della materia grigia nel cervello umano è altamente ereditaria. Gli studi mostrano inoltre che solo il 6% della materia grigia sembra essere collegata al quoziente intellettivo. Diverse fonti di informazioni concordano sull’idea che i lobi frontali siano di fondamentale importanza per l’intelligenza fluida. I pazienti con danni al lobo frontale rispondono in misura ridotta nei test di intelligenza fluida (Duncan et al 1995). Il volume di materia grigia frontale (Thompson et al 2001) e della sostanza bianca (Schoenemann et al 2005) sono stati anche associati con l’intelligenza generale. Inoltre, recenti studi hanno osservato questa associazione con la tecnica del neuroimaging per la corteccia prefrontale laterale. Duncan e colleghi (2000) hanno dimostrato mediante tomografia ad emissione di positroni che la soluzione di problemi sono i compiti maggiormente correlati al QI, dato il coinvolgimento della corteccia prefrontale laterale. Più di recente, Gray e colleghi (2003) hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per dimostrare che le persone che erano più abili nel resistere alle distrazioni durante un impegnativo compito di memoria avevano un QI superiore e una maggiore attività prefrontale. Per una vasta revisione di questo argomento, vedere Gray e Thompson (2004). È stato condotto uno studio che coinvolge 307 giovanissimi (di età compresa tra i sei e i diciannove anni): sono state misurate le dimensioni del cervello, utilizzando la risonanza magnetica strutturale (MRI) e una misurazione di abilità verbale e non verbale. Lo studio ha indicato che non vi è un rapporto diretto tra il QI e lo spessore della corteccia, ma piuttosto tale legame c’è con i cambiamenti di spessore nel tempo. I bambini più intelligenti sviluppano subito una corteccia spessa inizialmente e dopo subiscono un processo di assottigliamento più consistente. Garlick ha supposto che questa riduzione in spessore riflette un processo di “potatura” delle connessioni neurali e questo processo di “potatura” porta ad una miglior abilità di identificare le astrazioni nell’ambiente. Lesioni isolate ad un lato del cervello, anche a quelli che si verificano in giovane età, sembra non incidano in maniera significativa sul QI. Diversi studi giungono a conclusioni discordanti per quanto riguarda la controversa idea che il cervello sia correlato positivamente con il QI. Jensen e Reed (1993) sostengono che non esiste una correlazione diretta e non patologica dei soggetti. Tuttavia una più recente meta-analisi suggerisce altrimenti. Un approccio alternativo ha cercato di collegare le differenze di plasticità neurale con intelligenza (Garlick, 2002), e questo punto di vista ha recentemente ricevuto qualche sostegno empirico.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Test di Romberg: cos’è, a che serve, come si esegue

MEDICINA ONLINE Test di Romberg cos'è, a che serve, come si esegue

Il Test di Romberg è un esame diagnostico comunemente adoperato in Neurologia e Otorinolaringoiatria su pazienti che lamentano disordini dell’equilibrio o instabilità (atassia).

Come si esegue il Test di Romberg e cosa indica?

Il medico chiede al paziente di stare in piedi a talloni uniti, con le braccia distese ai fianchi o distese di fronte a se. La posizione deve essere mantenuta per 30 secondi a occhi aperti. Se il paziente riesce a mantenere la posizione e l’equilibrio con gli occhi aperti, si esclude l’atassia cerebellare. Successivamente il paziente deve mantenere la stessa postura per altri 30 secondi, questa volta con gli occhi chiusi. Nel caso in cui il paziente tendesse a barcollare fortemente o cadere nei primi 30 secondi, il test è da intendersi positivo ed indirizza l’esaminatore verso una diagnosi di ATASSIA DI INFORMAZIONE (presenza di deficit di informazione sensitiva propriocettiva e labirintica). Il test sarà invece negativo in caso di ATASSIA CEREBELLARE, in quanto la mancanza di equilibrio non deriva dalla deprivazione del senso della vista (chiusura occhi), in presenza di turbe della sensibilità propriocettiva e labirintica, ma da turbe della funzione cerebellare (il paziente barcolla già ad occhi aperti).

Una lieve oscillazione non è da considerarsi patologica. Non è infrequente il cosiddetto falso positivo, ossia la perdita di equilibrio in pazienti sani ma affetti da disturbi psicologici (ansia, stress). In tali casi il medico, che riconosce facilmente un soggetto ansioso, propone, durante il test, piccoli diversivi o distrazioni, come tracciare dei segni col dito sulla fronte del paziente, oppure fargli tastare coi pollici le altre 4 dita.

Una variante o controprova del test consiste nel far osservare al paziente, sempre in piedi in posizione “d’attenti”, il dito del medico fatto passare velocemente davanti agli occhi, da un lato all’altro. Questo senza che il paziente muova la testa, ma solo gli occhi.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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