Dotto epatico comune, cistico e coledoco: anatomia del sistema biliare

MEDICINA ONLINE BILE DOTTO EPATICO COMUNE CISTICO COLEDOCO CISTIFELLEA COLECISTI FEGATO DIGESTIONE ANATOMIA SCHEMA SISTEMA BILIARE SINTESI IMMAGINE.jpgIl “sistema biliare” (in inglese “bile duct”) è un insieme di strutture anatomiche che hanno il compito di drenare la bile prodotta nel fegato dagli epatociti ed indirizzarla:

  • verso la cistifellea, per l’immagazzinamento e la concentrazione;
  • verso il duodeno, per la secrezione intestinale, quando il cibo fuoriesce dallo stomaco e si immette appunto nel duodeno.

Il sistema biliare è costituito da vasi che si possono dividere in:

  • vasi biliari intraepatici;
  • vasi biliari extraepatici.

Le vie biliari extraepatiche incominciano con i dotti epatici destro e sinistro che si uniscono nel dotto epatico comune. Quest’ultimo si connette al dotto cistico formando il coledoco che sbocca in duodeno. Essi traggono la loro origine a livello dell’ilo (porta) del fegato, luogo nel quale tutti i vasi e i dotti penetrano nell’organo; si formano dalla coalescenza di capillari e dotti biliari intraepatici che finiscono col formare due radici biliari nell’ilo, quella di destra e quella di sinistra, e quindi il dotto epatico comune lungo 2–3 cm e del diametro di circa 5 mm. Questo condotto appena emerso dal fegato si unisce al dotto cistico, che drena la cistifellea, e forma un unico dotto escretore, il coledoco.

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Il coledoco che raccoglie tutte le vie biliari (epatica e cistica) è lungo circa 4–5 cm e di 6 mm di calibro, esso corre nel legamento duodenoepatico, passa dietro la testa del pancreas e davanti la vena cava, poi attraversa trasversalmente lo spessore della parete duodenale dove si unisce con il dotto pancreatico e sbocca nella papilla duodenale maggiore, piccola rilevazione con foro centrale della mucosa del duodeno discendente. Nel tratto terminale si affianca al coledoco il dotto pancreatico, col quale può riunirsi a breve distanza dallo sbocco, ma numerose sono le varianti anatomiche:

  • unico sfintere, unica papilla, unico dotto (ampolla epatopancreatica)
  • unico sfintere, unica papilla, unico dotto sepimentato
  • unico sfintere, unica papilla, due dotti (ampolla bipartita)
  • unico sfintere, due papille (papilla bipartita)
  • doppio sfintere.

La papilla e l’ampolla son dette “del Vater“; avremo quindi l’ampolla del Vater e la papilla del Vater, tubercolo raccolto in una borsa della mucosa duodenale detta tubercolo del Vater. Lo sfintere è invece chiamato sfintere di Oddi o del Glisson.

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Dieta ipoproteica ed aproteica: cosa mangiare e chi la deve seguire

MEDICINA ONLINE SOCIAL EATING GNAMMO FENOMENO WEB MANGIARE PRANZO CIBO CENA INSIEME AMICI RISTORANTEDieta ipoproteica ed aproteica: cosa mangiare e chi la deve seguire?

Questo tipo di alimentazione prevede la diminuzione delle proteine rispetto agli altri nutrienti assunti. Di solito si mette in atto in presenza di alcune patologie, come l’insufficienza renale o quando sono presenti delle disfunzioni epatiche. Si tratta di prevedere un ridotto consumo di proteine, tenendo conto che normalmente il loro apporto deve essere compreso fra 0,9 e 1,1 grammi per kg di peso. Con la dieta aproteica non si dovrebbe superare l’intervallo compreso fra i valori 0,5 e 0,8 g/kg. Vediamo quali sono tutte le informazioni da sapere riguardo a questo tipo di dieta e specialmente per chi è indicata.

Cosa mangiare?

Nella dieta aproteica in generale vengono ridotte le proteine sia di origine animale che vegetale. Si dà, quindi, meno spazio alla carne, alle uova, al pesce e ai latticini, ma anche ai legumi, che sono fra gli alimenti più ricchi di proteine. Ci sono alcuni particolari alimenti che sono stati studiati appositamente per essere consumati dalle persone che soffrono di alcune patologie. Ad esempio, esistono in farmacia il pane aproteico, la pasta aproteica e i biscotti aproteici. Vediamo nello specifico un menu tipo adatto per la dieta aproteica.

Colazione: yogurt magro alla frutta oppure macedonia con caffè o 2 fette biscottate aproteiche con marmellata.

Spuntino: un frutto.

Pranzo: 70 grammi di pasta aproteica con pomodoro o 130 grammi di minestrone di verdure. Come secondo si può scegliere non la carne rossa, più proteica, ma quella bianca, come il tacchino, il pollo o il coniglio.

Merenda: un frutto.

Cena: mozzarella senza sale con verdure miste.

Chi la deve seguire?

La dieta aproteica, caratterizzata da un ridotto apporto di proteine, deve essere seguita da chi soffre di disfunzioni epatiche o renali. Questi organi, infatti, sono coinvolti direttamente nel metabolismo delle proteine. Il fegato interviene nella disgregazione degli amminoacidi, producendo una molecola di rifiuto chiamata urea. Questo prodotto del metabolismo viene poi eliminato attraverso le urine, grazie all’azione dei reni. Se questi non funzionano bene o viene prodotta troppa urea, in seguito ad un eccessivo apporto proteico della dieta, si verifica un aumento della concentrazione di sostanze azotate nel sangue. E’ quella che viene chiamata uremia. Nei casi più gravi si può arrivare anche all’insufficienza renale. Anche il fegato può funzionare male, nei casi di insufficienza epatica. E in questo caso si ha l’accumulo di ammoniaca nel sangue, che può condurre anche all’epatite virale o alla cirrosi epatica. La dieta aproteica serve proprio a ridurre il lavoro a carico di fegato e reni e a prevenire la comparsa di disturbi particolarmente complicati.

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Differenza tra intestino tenue e crasso (anatomia e funzioni)

MEDICINA ONLINE INTESTINO COLON TENUE CRASSO APPENDICE TRASVERSO ASCENDENTE DISCENDENTE RETTO ANO COLECISTI STOMACO DUODENO ILEO PARALITICO ADINAMICO MECCANICO OSTRUZIONE OCCLUSIONE SUBOL’intestino è l’ultima parte dell’apparato digerente ed è un tubo di diametro variabile con pareti flessibili, ripiegato più volte su se stesso e lungo circa 8 metri in tutto.

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L’intestino è distinto in due parti principali:

  • intestino tenue;
  • intestino crasso.

L’intestino tenue (o piccolo intestino) è la prima parte dell’intestino dopo lo stomaco, è lungo circa 5 metri ed è composto da:

  • duodeno;
  • digiuno;
  • ileo.

Digiuno ed ileo insieme formano l’intestino tenue mesenteriale. L’ileo si continua con l’intestino crasso tramite la valvola ileo-cecale. L’intestino crasso (o grande intestino) è lungo mediamente 170 cm, con un diametro di circa 7 cm. Il punto di collegamento tra l’intestino tenue e quello crasso sono l’ileo (ultimo tratto del tenue) ed il cieco del crasso (primo tratto). Anatomicamente viene suddiviso in tre tratti che vengono rispettivamente chiamati:

  • cieco;
  • colon (ulteriormente diviso in ascendente, trasverso, discendente e sigmoideo o ileopelvico);
  • retto.

Differenze nella morfologia (in sintesi)
L’intestino crasso si differenzia fisicamente dal piccolo intestino, in quanto il primo risulta essere molto più ampio. La parete del grosso intestino è rivestita da epitelio colonnare semplice; invece di avere le evaginazioni dell’intestino tenue (villi intestinali), l’intestino crasso ha invaginazioni (le ghiandole intestinali). Anche se sia l’intestino tenue che quello crasso hanno cellule caliciformi, queste sono più abbondanti nel secondo.

Differenze nelle funzioni

  • All’interno del duodeno (la prima porzione del tenue) si portano a termine la maggior parte dei processi digestivi (digestione chimica). Infatti la bile proveniente dal pancreas attraverso il coledoco serve a emulsionare (ridurre a piccole goccioline) i grassi e renderli digeribili. Inoltre il succo pancreatico serve a digerire carboidrati,proteine e lipidi – in compartecipazione con la bile – grazie al cocktail di enzimi prodotti dalla sua porzione esocrina, quali proteasi, lipasi e amilasi pancreatica. Inoltre gli stessi enterociti partecipano attivamente alla digestione chimica grazie ad alcuni enzimi presenti al loro interno che hanno a che fare sopratutto con la digestione di carboidrati e proteine. Contengono infatti esopeptidasi (per le proteine), lattasi, saccarasi e maltasi per i glucidi, dato che possono essere assorbiti solo sotto forma di monosaccaridi.
  • L’intestino tenue mesenteriale (cioè digiuno ed ileo) è invece in particolar modo il teatro dell’assorbimento delle sostanze nutritizie. Il processo è favorito dalla vasta superficie di assorbimento partecipata da villi, microvilli e pliche circolari.
  • Il compito dell’intestino crasso è assorbire acqua ed elettroliti, pari a circa 1,5 litri al giorno, che passano attraverso la valvola ileocecale. Il colon assorbe vitamine che vengono create dai batteri del colon, come la vitamina B, vitamina K, cobalamina, tiamina e riboflavina. Inoltre compatta le feci e mantiene la materia fecale nel retto fino a quando può essere scaricata attraverso l’ano durante la defecazione.

Per approfondire: Differenza tra intestino, duodeno, digiuno, ileo, tenue, crasso, retto, ano

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Pancreas: anatomia e funzioni in sintesi

MEDICINA ONLINE PANCREAS ADDOME TUBO DIGERENTE INTESTINO DUODENO DIABETE INSULINA GLUCAGONE SOMATOSTATINA POLIPEPTIDE PANCREATICO GHIANDOLA ENDOCRINA ESOCRINA ANFICRINA DOVE SI TROVA FUNZIONI DESTRA SINISTRAIl pancreas è una grande ghiandola annessa all’apparato digerente, lunga e piatta, situata trasversalmente nella parte superiore e posteriore della cavità addominale. Il pancreas è formato da una parte esocrina e una endocrina. La sua principale funzione è quella di produrre succo pancreatico (prodotto dalla parte esocrina), insulina e glucagone (entrambi prodotti dalla parte endocrina). Il succo pancreatico ha la funzione di digerire alcune sostanze nell’intestino tenue, mentre l’insulina ed il glucagone hanno come principale funzione quella di controllare la concentrazione di glucosio nel sangue.

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Anatomia del pancreas
Il pancreas è una grossa ghiandola di forma allungata, rassomigliante ad una lingua più spessa nella sua porzione mediale, accolta nella concavità del duodeno, e più sottile e schiacciata nella sua porzione laterale che si spinge fino all’ilo della milza, in direzione antero-superiore rispetto alla testa. Si trova compreso tra L1 e L2 (prime due vertebre lombari) la coda risale sino alla 7ª costa, ed è un organo retroperitoneale. Anteriormente al pancreas vi è lo stomaco, che lo copre completamente, le arterie e le vene gastroepiploiche, la prima porzione del duodeno (presso la testa), l’arteria gastroduodenale, medialmente la seconda e terza porzione del duodeno che lo separano dal rene destro, lateralmente la milza, i vasi splenici, le arterie gastriche brevi, posteriormente il condotto coledoco, l’aorta, la vena cava inferiore, i vasi genitali e i vasi mesenterici superiori (a livello della testa e del collo), il rene sinistro (presso la coda), superiormente l’arteria splenica (che vi è incorporata) e il tronco celiaco con i suoi rami, inferiormente la quarta porzione del duodeno e il mesocolon trasverso e che lo unisce al colon trasverso. Nei soggetti giovani raggiunge un peso di circa 80-100 grammi, e misura circa 12–15 cm dalla testa alla coda in età adulta, anche se il suo tessuto esocrino tende a diminuire con l’avanzare dell’età diventando atrofico, è largo 4 cm e spesso 2 cm. È di colore rosa salmone, e una consistenza piuttosto dura e mostra una superficie lobulata. Il parenchima del pancreas è distinto in quattro parti che prendono il nome di testa, collo, corpo e coda, cui si deve aggiungere il processo uncinato, che ha una differente origine embriologica rispetto alle altre porzioni. Il pancreas è mantenuto stabile nella sua posizione dal duodeno, che ne accoglie la testa, dal peritoneo parietale posteriore, che lo riveste, e dal “legamento pacreaticolienale”, che ne fissa la coda all’ilo della milza.

  • La testa del pancreas è la porzione più spessa e voluminosa della ghiandola, schiacciata antero-posteriormente come il resto dell’organo, si trova accolta nella concavità duodenale, è in rapporto anteriormente con il canale pilorico e la prima porzione del duodeno, il mesocolon trasverso che la separa dal colon trasverso e talvolta alcune anse ileali, medialmente con la seconda e terza porzione del duodeno, inferiormente con la quarta porzione, lateralmente con la vena mesenterica superiore, posteriormente con il condotto coledoco, la vena cava inferiore, la vena lienale, l’aorta, l’arteria e la vena genitale destra. In alcuni casi parte della testa del pancreas è letteralmente incorporata nella parete duodenale. Inferiormente e lateralmente la testa si continua con un processo a forma di uncino, che prende proprio il nome di processo uncinato, mentre superiormente e lateralmente il parenchima si restringe e diventa più sottile, questa porzione è detta collo. È quasi completamente ricoperta dal peritoneo.
  • Il collo (o istmo) è la prosecuzione laterale della testa, è più stretto e sottile di questa e si continua lateralmente con il corpo. Si considera facente parte del corpo una regione molto stretta del pancreas, di circa due centimetri, definita come la porzione del parenchima pancreatico anteriore alla vena porta (la confluenza tra vena mesenterica superiore e vena lienale è proprio posteriore a questa porzione). Superiormente è in rapporto con il tronco celiaco e con la vena porta, posteriormente con la vena porta, la vena mesenterica superiore (talvolta anche l’arteria mesenterica superiore) e la vena lienale, anteriormente con il piloro e i vasi gastroduodenali, inferiormente con il mesocolon trasverso. È ricoperto dal peritoneo.
  • Il corpo è una porzione allungata e appiattita della ghiandola che ne forma gran parte del suo prolungamento laterale, è lungo infatti 8–10 cm. La sua forma triangolare in sezione ne fa distingue tre facce (antero-superiore, antero-inferiore e posteriore) e tre margini (superiore, anteriore e inferiore). La faccia antero-superiore forma la metà superiore della porzione anteriore della ghiandola ed è divisa dalla antero-inferiore dal margine superiore; è quasi completamente ricoperta dal peritoneo. È separata dallo stomaco dalla borsa omentale. La faccia antero-inferiore forma la metà inferiore della porzione anteriore, è completamente rivestita dal peritoneo e si continua con il mesocolon trasverso che prende inserzione sul margine superiore. La faccia posteriore non è rivestita dal peritoneo. Il corpo del pancreas è in rapporto superiormente con l’arteria splenica, posteriormente con il rene sinistro e la vena splenica, inferiormente con il digiuno e si continua lateralmente con la coda del pancreas.
  • La coda è l’estremità laterale della ghiandola e ne forma solo una piccola porzione, lunga mediamente 2,5 cm. Presenta un margine laterale arrotondato ed è situata tra i due foglietti del legamento lieno-renale. È in rapporto posteriormente con la vena splenica, superiormente o posteriormente con l’arteria splenica, posteriormente con il rene sinistro, lateralmente con l’ilo della milza, anteriormente con il colon trasverso. Non è ricoperta dal peritoneo.
  • Il processo uncinato si estende lateralmente ed inferiormente alla testa del pancreas. È collocato posteriormente alla vena mesenterica superiore, qualche volta all’arteria mesenterica superiore, è anteriore all’aorta, superiore alla terza o quarta porzione del duodeno.

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Dotti pancreatici
Il pancreas esocrino è costituito da gruppi di cellule acinose, a loro volta costituenti lobuli i quali sono separati tra loro da esili setti connettivali derivanti da una sottile capsula. Il secreto è riversato all’interno di un sistema di condotti pancreatici che poi si svuotano nel duodeno. Il condotto pancreatico principale (o condotto di Wirsung) scorre all’interno del pancreas, centralmente, più vicino alla faccia posteriore che a quella anteriore, seguendo la forma della ghiandola e dirigendosi dalla coda verso la testa con un percorso leggermente sinuoso. Dei dotti lobulari lo raggiungono formando con esso angoli acuti e così la struttura dei dotti pancreatici del corpo e della coda rassomiglia a quella di una lisca di pesce.

Il calibro del condotto pancreatico principale cresce dalla coda verso la testa passando da 1 mm nella coda a 3 mm nella testa, in virtù della necessità di accogliere quantità sempre maggiori di succo pancreatico. Giunto presso la testa il condotto pancreatico principale piega inferiormente per poi curvare di nuovo verso destra e collegarsi con il condotto coledoco, formando una struttura più espansa detta ampolla epatopancreatica comune (del Vater). Anche nella testa il condotto pancreatico comune riceve condotti lobulari, di calibro maggiore rispetto a quelli di corpo e coda, che lo raggiungono con una disposizione quasi radiale. A sua volta l’ampolla del Vater sbocca nella parete postero-mediale della seconda porzione del duodeno, rappresentando lo sbocco comune della bile e del succo pancreatico nell’intestino. Un secondo dotto pancreatico accessorio (del Santorini) è quasi sempre presente, raccoglie il succo pancreatico della porzione anteriore della testa del pancreas, ed è di calibro decisamente inferiore rispetto al condotto principale, con cui è collegato da condotti secondari di piccolo calibro.

Il succo pancreatico raccolto dal dotto pancreatico accessorio può sboccare nel condotto principale qualora non vi sia sbocco nel duodeno, ma di norma presenta uno sbocco separato costituito da una papilla arrotondata posta un paio di centimetri superiormente ed anteriormente rispetto all’ampolla di Vater. In generale, però, entrambi i dotti presentano notevole variabilità anatomica. Il succo pancreatico, secreto dal pancreas esocrino è basico a causa dell’elevato contenuto in ioni bicarbonato e contiene enzimi proteolitici (tripsina, chimotripsina, elastasi), enzimi glicolitici (amilasi), enzimi lipolitici (lipasi pancreatiche), nucleasi, ribonucleasi e desossiribonucleasi.

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Vasi e nervi del pancreas

  • Arterie del pancreas. Le arterie principali che irrorano il pancreas sono: l’arteria pancreaticoduodenale superiore e l’arteria pancreaticoduodenale inferiore, a queste si aggiungono rami dell’arteria splenica.
    • L’arteria pancreaticoduodenale superiore è un ramo di piccolo calibro dell’arteria gastroduodenale, che subito dopo essere emersa dalla precedente si divide in un ramo anteriore e in uno posteriore. Il ramo anteriore si dirige a destra passando anterioremente ed inferiormente tra la testa del pancreas e il margine mediale della seconda porzione del duodeno, fornisce numerosi rami con la testa del pancreas i quali si anastomizzano con i corrispondenti dell’arteria pancreaticoduodenale inferiore, la stessa cosa fa il posteriore passando però dietro la testa del pancreas. Entrambi i rami confluiscono inferiormente con i corrispondenti dell’arteria pancreaticoduodenale inferiore.
    • L’arteria pancreaticoduodenale inferiore è un ramo dell’arteria mesenterica superiore, nasce al di sotto del corpo del pancreas, subito si biforca in un ramo anteriore e in uno posteriore che si portano a destra e superiormente (anteriormente e posteriormente alla testa del pancreas), descrivendo una curva con la concavità rivolta verso sinistra, dopodiché si anastomizzano con i rami corrispondenti dell’arteria pancreaticoduodenale superiore. È la principale arteria responsabile della vascolarizzazione del processo uncinato.
    • L’arteria pancreatica dorsale è costituita da due rami dell’arteria splenica, uno si porta a destra posteriormente al corpo del pancreas che irrora, per confluire nell’arteria pancreaticoduodenale superiore (ramo posteriore), l’altra si porta inferiormente e a sinistra prima posteriormente al corpo, poi lungo il margine inferiore ed infine nella porzione inferiore della faccia antero-inferiore della ghiandola, irrorando la porzione inferiore del corpo ed anastomizzandosi con l’arteria pancreatica maggiore.
    • L’arteria pancreatica maggiore è un ramo dell’arteria splenica che si porta a sinistra e posteriormente al corpo del pancreas, che irrora emettendo numerosi rami. Prosegue verso la coda costituendo l’arteria della coda del pancreas che invece irrora la parte della ghiandola da cui prende il nome.
    • L’arteria mesenterica superiore, che nasce dall’ aorta addominale sotto il tronco celiaco, oltre all’ intestino tenue mesenteriale e la metà destra dell’ intestino crasso irrora anche il pancreas.
  • Vene del pancreas. La testa, il collo e il processo uncinato del pancreas sono drenati da piccole vene, rami delle vene pancreaticoduodenali superiori ed inferiori, che decorrono nella faccia antero-superiore del pancreas decorrendo insieme ai rami anteriore e posteriore dell’arteria pancreaticoduodenale superiore. La vena pancreaticoduodenale inferiore sbocca nella vena mesenterica superiore che a sua volta drena nella vena porta dietro il collo del pancreas, mentre la vena pancreaticoduodenale superiore sbocca direttamente nella vena porta. Alcune piccole vene non sboccano nelle vene pancreaticoduodenali ma direttamente nella vena porta e vengono dette vene della testa e del collo del pancreas. Il corpo e la coda del pancreas sono drenate da numerose vene minori (vene del corpo e della coda del pancreas) che drenano direttamente nella vena lienale, che decorre posteriormente al corpo, oppure nella vena mesenterica inferiore, che subito dopo però sbocca di nuovo nella vena lienale. Alcuni vasi venosi formano anastomosi con le vene lombari.
  • Linfatici. Il pancreas possiede un complesso sistema di vasi linfatici. I capillari linfatici originano attorno agli acini della sua porzione esocrina, mentre sono assenti all’interno delle isole di Langerhans, poi drenano in vasi di calibro sempre maggiore seguendo il decorso arterioso e sboccando infine nei molteplici gruppi linfonodali vicini all’organo. In particolare, in vasi linfatici del processo uncinato, della testa e del collo drenano nei linfonodi collocati presso l’arteria mesenterica superiore, le arterie pancreaticoduodenali e l’arteria epatica e in misura minore i linfonodi celiaci e preaortici. I vasi linfatici di corpo e coda drenano nei linfonodi pancreaticolienali e in misura minore nei preaortici.
  • Innervazione. Il pancreas è innervato dal sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico. Le fibre simpatiche pregangliari originano nei mielomeri toracici T5-T10, penetrano nei gangli della catena del simpatico e da qui discendono attraverso il nervo grande splancnico toracico nel plesso celiaco e nel plesso pancreaticoduodenale dove sinaptano nei gangli nervosi. Le fibre nervose postgangliari di questi due plessi seguono il decorso dei vasi arteriosi (arterie pancreaticoduodenali, arteria lienale) che irrorano il pancreas per innervarlo penetrando sin tra gli acini. Le fibre simpatiche hanno azione vasocostrittrice e in parte secretomotoria. Le fibre parasimpatiche derivano dal nervo vago posteriore e dai nervi parasimpatici del plesso celiaco ed hanno funzione vasodilatatrice e secretomotoria. Le fibre pregangliari provenienti dal vago sinaptano a direttamente nel parenchima pancreatico dove sono presenti gangli nervosi, le fibre postgangliari terminano sugli acini, per cui ciascun lobulo è innervato da una rete di fibre simpatiche e parasimpatiche e così ogni acino. La sensibilità dolorifica (o di altro tipo) pancreatica ha afferenze simpatiche e parasimpatiche.

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Anatomia microscopica
Il pancreas è funzionalmente suddiviso in una parte esocrina (lat. pars esocrina), preponderante (97-99% del totale) formata dagli acini pancreatici e in una endocrina (1-3%) costituita dalle isole di Langerhans (lat. pars endocrina).

  • Esocrino. Il pancreas esocrino è una ghiandola tubuloacinosa composta, suddivisa in due lobuli da sepimenti connettivali lassi che si dipartono dalla sua capsula e in cui decorrono i vasi sanguigni, i vasi linfatici e i nervi. Ciascun lobulo pancreatico è suddiviso in centinaia di acini, raggruppamenti cellulari sferici e unità secernenti della ghiandola. Da ciascun acino parte un dotto preterminale che confluisce in un dotto intralobulare e molti dotti intralobulari confluiscono a formare un dotto intercalare che a sua volta si getta in dotti di calibro sempre maggiore sino a sboccare nel condotto pancreatico principale o in quello accessorio. Le cellule acinose pancreatiche hanno forma piramidale con la base spesso a contatto con sottili capillari, da cui è separata dall’endotelio e da una lamina basale, e con apici rivolti verso il dotto intralobulare. Possiedono un nucleo tondeggiante in cui è comune reperire due nucleoli, circondato ai lati e alla base da un reticolo endoplasmatico rugoso particolarmente sviluppato data la loro funzione secretoria, un reticolo endoplasmatico liscio discretamente sviluppato, molti mitocondri, soprattutto nella regione basale, numerosi i ribosomi, piuttosto sviluppato l’apparato di Golgi e in posizione centrale, mentre nella porzione apicale della cellula si riscontrano quasi sempre grandi granuli sferici contenenti sostanze elettrondense, i granuli di zimogeno, con dimensioni alquanto variabili. Lo zimogeno in questo caso è un cocktail di numerosi proenzimi, in forma inattiva che costituiscono il succo pancreatico. Le sue proteine sono sintetizzate nel reticolo endoplasmatico ruvido, processate nel Golgi ed escrete nel lume del dotto intralobulare all’apice della cellula. Ciascuna cellula acinosa è collegata con le adiacenti da numerose giunzioni specializzate collocate sulla membrana plasmatica laterale, mentre sulla sua porzione basale spesso si riscontrano terminazioni nervose colinergiche (eccitosecretorie e parasimpatiche). La porzione apicale della membrana è provvista di numerose estroflessioni. Colorate con ematossilina-eosina le cellule acinose sono fortemente basofile a causa del loro reticolo endoplasmatico rugoso, del nucleo e dei ribosomi. La stimolazione ormonale di queste cellule avviene con il rilascio di colecistochinina duodenale (CKK) da parte del duodeno. Le cellule centroacinose, poste per l’appunto al centro dell’acino, sono adiacenti ai dotti intralobulari e vi si affacciano. La loro funzione concerne la produzione di ioni bicarbonato e il trasporto dell’acqua. Questi aspetti sono regolati neuralmente dal nervo vago posteriore mediante terminazioni colinergiche ed ormonalmente mediante la secretina da parte del duodeno e del digiuno. Le cellule che delimitano i dotti intralobulari sono inizialmente appiattite, man mano che il calibro del dotto aumenta diventano prima cubiche ed infine cilindriche. Disperse tra le cellule degli acini e dei dotti pancreatici si riscontrano occasionali cellule neuroendocrine. Le cellule stellate sono cellule simili a miofibroblasti con un corpo centrale e lunghi processi citoplasmatici che abbracciano una porzione o un intero acino, anche se si riscontrano anche presso il sistema duttale. La loro funzione, non del tutto compresa, sembrerebbe quella di facilitare lo svuotamento della secrezione nei dotti. Sono regolate da stimolazione ormonale. L’azione secernente del pancreas è continua, ma si svolge a un livello modesto; essa aumenta però considerevolmente sotto lo stimolo neuroendocrino della secretina e della pancreozimina, prodotti nel duodeno che raggiungono il pancreas attraverso il circolo sanguigno. Il succo pancreatico viene immesso nel duodeno non in modo episodico, come la bile: al momento della digestione avviene un rilascio massivo e rapido di succo pancreatico. La mancanza di un serbatoio per il succo pancreatico rende necessaria l’esistenza di altri meccanismi di regolazione, in primo luogo le formazioni sfinteriche della “papilla duodenale“, che occludono parzialmente il condotto pancreatico principale: ciò tuttavia non spiega il rilascio massivo nella fase digestiva. La secrezione pancreatica viene resa notevolmente attiva da stimolazioni di natura nervosa ed endocrina (pancreozimina e secretina). Questa stimolazione determina uno svuotamento massivo delle cellule sierose, i granuli di “zimogeno” si fondono tra loro e si ha lo svuotamento massivo.
  • Endocrino. Il pancreas endocrino è costituito da circa 1 milione di isole di Langerhans, ammassi cellulari (diametro: 100 micrometri) di forma tondeggiante costituiti da cordoni, distribuiti in particolare nella coda e nel corpo della ghiandola. In ematossilina-eosina appaiono come aggregati cellulari poco colorati in mezzo al parenchima esocrino fortemente basofilo. Non possiedono vasi linfatici ma sono percorse da un fitto plesso di capillari fenestrati in cui riversano i loro ormoni e possiedono una ricca innervazione tanto che quasi tutte le cellule sono a contatto con un capillare e molte con terminazioni nervose. Sono stati identificati cinque tipi cellulari all’interno di ciascuna isola di Langerhans. Le cellule α sono disposte alla periferia dell’isola, sono piuttosto numerose (15-20% del totale) e secernono glucagone, le cellule β sono le più numerose (65-80%), poste perlopiù centralmente nelle isole e secernono insulina e amilina, le cellule δ sono rare (3-10%), distribuite uniformemente e secernono somatostatina, le cellule F (o cellule PP) sono molto rare (1-2%) spesso sono quasi tutte raggruppate in una singola zona periferica dell’isola e secernono il polipeptide pancreatico (PP) ed infine le cellule ε sono rarissime (meno dell’1%) e secernono grelina. Una cellula β ha forma piramidale, un nucleo basale con un singolo nucleolo, un reticolo endoplasmatico liscio e rugoso sviluppato attorno al nucleo, apparato di Golgi sviluppato e in posizione centrale, pochi mitocondri in posizione basale, numerose vescicole secretorie nella porzione apicale che si affaccia all’endotelio fenestrato di un capillare. È stato in realtà provato con tecniche di fluorescenza che il modello sopra descritto è quello comune del pancreas di topo; nel pancreas umano, i capillari e le venule post-capillari anastomizzandosi formano dei compartimenti deputati ai singoli citotipi, in modo tale che cellule alfa e beta (e gamma) si trovino sia alla periferia che profondamente nelle isole di Langerhans. Le membrane plasmatiche laterali possiedono giunzioni serrate nella parte superiore e numerose giunzioni comunicanti in quella inferiore, mentre le terminazioni nervose sono a contatto con la base della cellula. Le cellule α hanno forma romboidale, le cellule δ sono spesso tondeggianti con un unico prolungamento citoplasmatico mentre le F sono tendenzialmente piramidali. Le terminazioni nervose presenti alla base della membrana plasmatica delle cellule delle isola di Langerhans possono essere colinergiche, adrenergiche o noradrenergiche. Le terminazioni adrenergiche stimolano la secrezione di glucagone ed insulina, quelle noradrenergiche inibiscono il rilascio di insulina, mentre possono agire coordinatamente per regolare il rilascio di somatostatina e polipeptide pancreatico. Queste fibre sono quasi tutte parasimpatiche. Ciascuna terminazione può essere distinta al microscopio elettronico in base al diametro delle vescicole, piccole nelle adrenergiche, più grandi nelle colinergiche, ve n’è infine un terzo tipo con vescicole molto grandi. Nessuna tipologia di cellule ha una tipologia di terminazione nervosa preferenziale.

Funzioni del Pancreas
Il pancreas è dotato di una duplice funzione, endocrina da un lato ed esocrina dall’altro. Il primo termine fa riferimento alla sua capacità di secernere nel circolo sanguigno gli ormoni che sintetizza, mentre la funzione esocrina consiste nella produzione di enzimi digestivi da immettere nel tubo digerente.

Pancreas Esocrino
Gli acini pancreatici rappresentano le aree anatomiche deputate alla secrezione esocrina; al loro interno troviamo particolari cellule, dette acinose, che producono enzimi digestivi in forma inattiva, per poi riversarli, sotto l’influenza di determinati stimoli fisiologici, nel duodeno. Giunti in questa sede, dopo aver percorso un albero di canali convergenti nei dotti pancreatico principale (dotto di Wirsung) e pancreatico accessorio (dotto di Santorini), tali enzimi vengono attivati da altre proteine e possono finalmente svolgere la loro azione chimica. I vari enzimi digestivi prodotti dal pancreas possono essere classificati, in base alla loro attività, in differenti categorie, che nel complesso danno origine al cosiddetto succo pancreatico:

  • AMILASI: trasformano l’amido alimentare in una miscela di zuccheri semplici (disaccaridi, maltosio, glucosio) che verrà poi assorbita a livello della mucosa intestinale.
  • CHIMOTRIPSINA, TRIPSINA, CARBOSSIPEPTIDASI: idrolizzano i legami peptidici presenti all’interno delle strutture proteiche, frammentandole nei singoli aminoacidi che le compongono.
  • LIPASI: coadiuvate dalla bile e dagli enzimi colipasi, catalizzano l’idrolisi dei trigliceridi scindendoli nei loro componenti più elementari (glicerolo ed acidi grassi).
  • RIBONUCLEASI e DESOSSIRIBONUCLEASI: demoliscono, rispettivamente, gli acidi ribonucleici (RNA) e desossiribonucleici (DNA).

Oltre a questi enzimi digestivi, il succo pancreatico è ricco di ioni bicarbonato fondamentali per tamponare l’acidità del chimo proveniente dallo stomaco e garantire un ambiente leggermente alcalino favorevole all’attività degli stessi enzimi digestivi.

Pancreas Endocrino
La secrezione endocrina del pancreas è svolta dalle isole del Langerhans, che ricoprono un ruolo di primo piano nel controllo del metabolismo degli zuccheri, dei grassi e delle proteine. La porzione endocrina del pancreas produce due ormoni importantissimi per regolare il livello di glucosio nel sangue:

  • insulina: viene prodotta dalle cellule beta che rappresentano, quantitativamente, circa 3/4 delle isole del Langehrans;
  • glucagone: viene prodotto dalle cellule alfa (20% della massa complessiva degli isolotti del Langehrans).

L’insulina viene rilasciata quando c’è un picco glicemico nel sangue (ad esempio dopo un pasto abbondante in carboidrati) con lo scopo di abbassare la glicemia, mentre il glucagone viene rilasciato quando la glicemia è troppo bassa, con l’obiettivo di innalzarla.

Somatostatina e polipeptide pancreatico
La parte endocrina del pancreas secerne anche somatostatina polipeptide pancreatico. La somatostatina ha molti scopi, tra cui quello di inibire:

  • il rilascio di insulina;
  • il rilascio di glucagone;
  • il rilascio di acido cloridrico nello stomaco;
  • la produzione esocrina del pancreas.

Il polipeptide pancreatico viene invece rilasciato con lo scopo di:

  • ridurre la motilità intestinale;
  • ridurre lo svuotamento gastrico;
  • aumentare la durata del transito intestinale;
  • inibire la secrezione acida gastrica indotta dalla gastrina;
  • inibire la secrezione esocrina del pancreas tramite una via mediata dal nervo vago.

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Duodeno: anatomia e funzioni in sintesi

MEDICINA ONLINE PANCREAS ADDOME TUBO DIGERENTE INTESTINO DUODENO DIABETE INSULINA GLUCAGONE SOMATOSTATINA POLIPEPTIDE PANCREATICO GHIANDOLA ENDOCRINA ESOCRINA ANFICRINA DOVE SI TROVA FUNZIONI DESTRA SINISTRAIl duodeno (duodenum in inglese) è un canale che fa parte dell’apparato digerente umano, in cui è preceduto dallo stomaco e precede il digiuno. Il duodeno è il primo dei tre segmenti in cui viene suddiviso l’intestino tenue, un lungo canale che si estende dal piloro (tratto conclusivo dello stomaco) fino allo sfintere ileocecale (tratto iniziale dell’intestino crasso). L’intestino tenue, oltre al duodeno è composto dal digiuno e dall’ileo. Il duodeno è anche detto intestino tenue fisso per distinguerlo dalle altre due porzioni, definite invece mesenteriali. Infatti per merito del mesentere, le due porzioni più distali dell’intestino tenue, hanno una mobilità notevolmente maggiore del duodeno che è invece molto più statico. Il duodeno riceve la bile, portata dal dotto coledoco, e il succo pancreatico, che giunge dal condotto del pancreas. Questi due prodotti di secrezione di fegato e pancreas, sfociano in duodeno tramite la papilla maggiore, la quale è munita di uno sfintere (anello di muscolatura liscia) detto sfintere coledocico di Oddi. Un’altra fondamentale funzione del duodeno è quella di neutralizzare l’acidità del chimo gastrico mediante la secrezione alcalina delle ghiandole del Brunner, ghiandole che ne differenziano la struttura rispetto al resto dell’intestino tenue.

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Disposizione e rapporti
Il duodeno rappresenta la prima porzione dell’intestino tenue, nonché quella con calibro, fissità maggiore e lunghezza minore, mediamente 20–25 cm. Origina dal canale pilorico dello stomaco e possiede una forma a “C”, la cui concavità abbraccia la testa del pancreas, continuando, poi, nel digiuno. Si tratta di un organo retroperitoneale (eccetto i primi 2,5 cm, che sono intraperitoneali), essendo accollato alla parete posteriore della cavità addominale, dietro il peritoneo parietale, ed è formato da quattro porzioni: superiore, discendente, orizzontale e ascendente, che possono essere anche nominate prima, seconda, terza e quarta porzione del duodeno.

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Le 4 porzioni del duodeno

  1. Porzione superiore del duodeno (o prima porzione, o bulbo). La porzione superiore o prima parte del duodeno, è costituita da un tubo di forma cilindrica che origina dal piloro, a destra della linea mediana, e si dirige postero-lateralmente per un tratto con una lunghezza media di circa 5 cm, terminando con la flessura duodenale superiore. È la porzione più mobile di questo tratto dell’intestino. Il peritoneo viscerale ne ricopre la faccia anteriore e la parte superiore della faccia posteriore, contribuendo alla formazione della parete anteriore del foro epiploico. Il margine superiore del duodeno fornisce inserzione per i due foglietti del piccolo omento (legamento epato-duodenale) che ne rappresenta la pars tensa, mentre il margine inferiore per una parte del margine superiore del grande omento. Negli ultimi centimetri della prima porzione il peritoneo ricopre solo la faccia anteriore. La prima parte del duodeno ha rapporto anteriormente con il lobo destro del fegato e il corpo della cistifellea, inferiormente con la testa del pancreas, posteriormente con la parete addominale posteriore e il margine mediale del rene di destra. A sinistra continua nello stomaco attraverso il piloro, a destra si continua con la seconda parte del duodeno attraverso una curva ad angolo retto denominata flessura duodenale superiore. La porzione superiore del duodeno è la sede più frequente di ulcere duodenali, cioè erosioni della parete intestinale provocate dall’eccessiva acidità del chimo proveniente dallo stomaco. Essendo leggermente dilatata, questa regione è nota anche come ampolla duodenale.
  2. Porzione discendente del duodeno (o seconda porzione). La porzione discendente o seconda parte del duodeno si presenta come un condotto cilindrico a direzione verticale che si estende nello spazio sottomesocolico. È diretta continuazione della porzione superiore attraverso la flessura duodenale superiore e si continua con la parte orizzontale attraverso la flessura duodenale destra (o flessura duodenale inferiore). La seconda parte del duodeno è in rapporto anteriormente con il colon ed il mesocolon trasversi, con le anse dell’intestino tenue mesenteriale e con il mesentere, posteriormente con la parete addominale posteriore, il margine mediale del rene di destra, lateralmente a destra con la faccia viscerale del lobo destro del fegato, medialmente a sinistra con la testa del pancreas. Qui vi si trova l’ampolla del Vater, dove sfocia la via biliare extraepatica principale (o dotto Coledoco) e il dotto pancreatico maggiore di Wirsung.
  3. Porzione orizzontale del duodeno (o seconda porzione). La porzione orizzontale o terza parte del duodeno è orientata sul piano orizzontale; origina a destra della linea mediale dalla flessura duodenale destra, oltrepassa la linea mediale e raggiunge a sinistra della stessa la flessura duodenale sinistra, dove si continua con la porzione ascendente. È in rapporto in alto con la testa del pancreas, in basso con la radice del mesentere, anteriormente con le anse del tenue mesenteriale, posteriormente con la parete addominale posteriore.
  4. Porzione ascendente del duodeno (o quarta porzione). La porzione ascendente o quarta parte del duodeno è posta a sinistra della linea mediana; origina dalla flessura duodenale sinistra e si dirige in basso fino a continuarsi nel digiuno attraverso la flessura duodenodigiunale. Ha rapporto anteriormente con il colon ed il mesocolon trasversi e le prime anse del digiuno, posteriormente con il corpo del pancreas, medialmente con la testa del pancreas.

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Vasi e nervi del duodeno

  • Le arterie del duodeno provengono da due vie. La prima è dal tronco celiaco, che, tramite l’arteria pancreatico-duodenale superiore (ramo della arteria gastroduodenale), serve il primo e il secondo duodeno fino all’altezza della papilla maggiore. La seconda è dall’arteria mesenterica superiore da cui giunge invece l’arteria pancreatico-duodenale inferiore, questa irrora il terzo e quarto duodeno.
  • Le vene del duodeno si aprono tutte, direttamente o indirettamente, nella vena porta.
  • I linfatici del duodeno originano da una rete in sede sottomucosa cui affluiscono anche i linfatici della mucosa e della muscolare. Da questa rete si dipartono dei collettori linfatici che si dirigono verso i linfonodi della regione gastrica.
  • I nervi del duodeno provengono dal plesso celiaco e attraverso questo dal nervo vago, per quanto riguarda l’innervazione parasimpatica, e dalla catena dell’ortosimpatico.

Struttura microscopica
Il duodeno presenta una tonaca mucosa, una tonaca sottomucosa, una tonaca muscolare ed una tonaca sierosa, limitata al solo tratto superiore e sostituita da una avventizia nei restanti tratti. Visto internamente il duodeno presenta una tonaca mucosa sollevata nelle cosiddette pieghe circolari. Tali pieghe sono costituite sia da mucosa che dalla tonaca sottomucosa, che si solleva spingendo in alto anche la mucosa stessa. Unica eccezione è la porzione superiore che si presenta invece liscia. Sulla parete mediale della porzione discendente si nota inoltre una piega longitudinale che si estende nel terzo medio di questa parete. Tale piega corrisponde allo sbocco in duodeno dell’ampolla duodenale di Vater e dell’ampolla duodenale minore. La prima rappresenta il tratto intramurale comune al coledoco ed al dotto pancreatico maggiore di Wirsung, mentre la seconda rappresenta lo sbocco in duodeno del dotto pancreatico minore.

  • Tonaca mucosa. La tonaca mucosa è costituita da epitelio semplice batiprismatico, intercalato da elementi mucipari. Le cellule epiteliali sono del tipo degli enterociti, e pertanto presentano un orletto striato costituito dai microvilli e vescicole di pinocitosi, in ragione della funzione di assorbimento, che nel duodeno si associa a quella di digestione. Inoltre si notano gli sbocchi delle ghiandole duodenali, localizzate nella tonaca sottomucosa. Sulla mucosa del duodeno si possono osservare numerosi noduli linfatici, che però non aggregano mai in veri e propri ammassi, come invece accade nelle altre due porzioni dell’intestino tenue mesenteriale, dove si osservano le placche di Peyer.
  • Tonaca sottomucosa. La tonaca sottomucosa è costituita prevalentemente di tessuto connettivo lasso, con abbondanti fibre elastiche e fibre collagene, oltre a macrofagi, granulociti eosinofili, linfociti e plasmacellule. Nella tonaca sottomucosa sono ospitate le ghiandole del Brunner, di tipo tubulare composto, che secernono soprattutto un muco alcalino protettivo. Il muco secreto neutralizza l’acidità del chimo proveniente dallo stomaco permettendo di proteggere la mucosa, di inattivare alcuni enzimi gastrici come la pepsina e di creare le condizioni per l’ottimale funzionamento degli enzimi delle successive fasi digestive. Tuttavia sono presenti in queste ghiandole anche le cellule G. Queste cellule sono di tipo endocrino e producono l’ormone gastrina, che ha il compito di stimolare la secrezione di HCl da parte delle cellule delomorfe delle ghiandole gastriche propriamente dette.
  • Tonaca muscolare. La tonaca muscolare si presenta costituita da fibrocellule muscolari lisce disposte su due strati:
    • lo strato esterno costituito da fibre a disposizione longitudinale;
    • lo strato interno costituito da fibre a disposizione circolare.
  • Tonaca sierosa.
  • Tonaca avventizia. La tonaca avventizia è costituita prevalentemente di tessuto connettivo denso con numerosi fibroblasti e fibre collagene a disposizione reticolare.

Funzioni del duodeno
Il duodeno prepara, tramite enzimi, gli alimenti che verranno poi assorbiti nella restante parte dell’intestino tenue. Le ghiandole del Brunner, che qui si trovano, secernono muco alcalino. Nel duodeno si versa la bile, prodotta dal fegato, che serve per emulsionare i grassi. Inoltre, il pancreas vi secerne enzimi digestivi, come tripsina, amilasi e lipasi. Il duodeno regola anche la velocità di svuotamento dello stomaco attraverso vie ormonali. La secretina e la colecistochinina vengono rilasciate dalle cellule nell’epitelio duodenale in risposta agli stimoli e agli acidi grassi presenti quando il piloro si apre e rilascia il chimo gastrico nel duodeno. Il duodeno è sede di movimenti peristaltici atti a mescolare il materiale alimentare con i succhi digestivi, facendoli progredire lungo l’intestino. Nel duodeno, inoltre, compaiono i villi, caratteristici di tutto il tenue e deputati all’assorbimento dei nutrienti (grazie alle cellule dell’orletto a spazzola che li ricoprono). Oltre alla funzione digestiva, il duodeno presenta anche attività:

  • I succhi digestivi hanno lo scopo di neutralizzare l’acidità del chimo gastrico e completarne la digestione;
  • Il duodeno secerne vari ormoni con azione endocrina e paracrina, come secretina, colecistochinina, gastrina, GIP, VIP, somatostatina ed altri ancora (tutti importanti per adeguare le funzioni digestive alla quantità e alla qualità del cibo contenuto nel tubo digerente, ma anche allo stato di salute dell’organismo);
  • Attività immunitaria: il tessuto linfoide GALT presente nella mucosa del duodeno, costituisce la prima barriera contro eventuali patogeni.

Chirurgia del duodeno
Tra gli interventi chirurgici che interessano il duodeno vi è la duodenocefalopancresectomia, che consiste nell’asportare la testa del pancreas, il duodeno, la colecisti e talvolta parte dello stomaco. Si compie quando questi organi vengono colpiti da un tumore. La complessa operazione viene anche chiamata “procedura di Whipple”.

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Cistifellea: cos’è, a cosa serve e dove si trova

MEDICINA ONLINE ANATOMIA CISTIFELLEA COLECISTI COSE A COSA SERVE BILE GRASSI DIGESTIONE FISIOLOGIA ANATOMY OF THE BILE DUCT SYSTEM GALLBLADDER DOTTO CISTICO COLEDOCO COMUNE FEGATO PANCREAS DUODENO DIGESTIONE DIGERENTE APPAR.jpgLa cistifellea (chiamata anche colecisti o vescicola biliare, oppure gallbladder in inglese) è un organo sito nell’addome, al di sotto del fegato, di modeste dimensioni che supporta la digestione immagazzinando la bile prodotta dal fegato.

Dove si trova la cistifellea?
È localizzata sotto il fegato, nella zona superiore destra dell’addome, più in particolare nella porzione anteriore del solco sagittale destro (fossa cistica) della faccia inferiore del fegato. Corrisponde sulla parete addominale al punto di Murphy (detto anche punto cistico), ossia il punto di incrocio della linea tangente al margine laterale del muscolo retto dell’addome e la linea orizzontale tangente al punto più declive dell’arcata costale. Si pone a livello della 9ª e 10ª costa e tra la 12ª vertebra toracica e la 2ª vertebra lombare.

Quanto è grande la cistifellea?
La cistifellea è un organo piriforme lungo 7-10 cm e con una capacità di 50 ml, di colore grigio o verde; la cistifellea ha una forma simile a una pera rovesciata.

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A che serve la cistifellea?
Il suo compito è quello di immagazzinare e concentrare la bile (un liquido giallo-verdastro prodotto dagli epatociti del fegato) durante il digiuno. La bile verrà poi utilizzata durante i processi digestivi allo scopo di facilitare la digestione e l’assorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili, e neutralizzare l’acidità del chimo proveniente dallo stomaco.

Si può vivere senza cistifellea?
E’ possibile una vita senza cistifellea? A tale proposito leggi: Si può vivere senza cistifellea?

Anatomia della colecisti
La cistifellea risulta quasi per intero rivestita dal peritoneo della faccia viscerale del fegato andando così a costituire il foglietto inferiore del legamento coronario di questo. Talvolta la cistifellea è incorporata parzialmente nel parenchima epatico (cistifellea intraparenchimatosa), oppure è legata al fegato da un corto mesentere peritoneale (cistifellea mesenteriale). Su di essa si distinguono un fondo, un corpo e un collo. Il collo è la porzione più mediale e vicina all’ilo, connessa al fegato mediante un mesentere in cui passa l’arteria cistica, ramo dell’arteria epatica propria; può presentare un infundibolo, detto tasca di Hartmann. Il corpo è adagiato nella fossa cistica, costituisce la porzione intermedia della cistifellea. Il fondo è l’espansione laterale del corpo, ed è spesso in rapporto con il colon trasverso o talvolta con la parete addominale anteriore; si può protrudere oltre il margine inferiore del fegato per uno o due centimetri.

Cenni di patologia
La cistifellea può essere sede di calcoli (Calcolosi biliare o Colelitìasi), che si formano a causa di un eccesso di colesterolo e di calcio inorganico; è un problema abbastanza comune (ne viene colpita circa il 15% della popolazione) e la diagnosi attualmente si basa sull’ecografia del fegato e delle vie biliari. Nei casi più gravi si rende necessaria la terapia chirurgica mediante laparoscopia in anestesia generale. Una dieta equilibrata ricca di frutta e verdura riduce notevolmente la possibilità di una loro formazione. La sindrome di Habba causa uno svuotamento precoce della bile contenuta nella cistifellea che si riversa nell’intestino e provoca condizioni di diarrea cronica, spesso scambiata per IBS.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Tumore del colon retto: diagnosi, metastasi, prognosi e stadiazione

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Il tumore del colon retto è la quarta neoplasia più frequente fra gli uomini (11,3% del totale dei tumori) e la terza più frequente fra le donne (11,5% del totale). Per quanto riguarda l’andamento nel tempo, accanto a una tendenza all’aumento dell’incidenza si osserva un calo progressivo della mortalità. Il rischio di sviluppare questo tipo di tumore aumenta con l’età. Circa il 90% delle persone con tumore del colon retto ha un’età superiore ai 50 anni, e l’incidenza della malattia raggiunge il suo picco intorno agli 80 anni. Tuttavia le persone con una predisposizione ereditaria possono sviluppare la malattia in età ben più giovane. Per quanto riguarda la mortalità, nel 2002 in Italia si sono verificati 10.526 decessi per tumore del colon retto fra i maschi e 9.529 fra le donne.

Diagnosi del tumore del colon retto

I test diagnostici utilizzati specificatamente per il cancro del colon retto includono:

  • Colonscopia, l’esame di scelta
  • Rettosigmoidoscopia
  • Clisma opaco a doppio contrasto.

Ricerca di metastasi da tumore del colon retto

Le principali aree anatomiche che devono essere valutate per la ricerca di eventuali metastasi sono:

  • la rimanente parte di intestino crasso mediante le stesse indagini diagnostiche effettuate per scoprire il tumore primario;
  • gli organi adiacenti, quali la vescica, le ovaie nelle donne e la prostata nell’uomo
  • i linfonodi asportati chirurgicamente;
  • il fegato, i polmoni e le ossa mediante diagnostica per immagini (ecografia, TAC, risonanza magnetica).

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Stadiazione e prognosi del tumore del colon retto

Un tumore originale localizzato nell’ambito del tessuto o dell’organo dal quale si è sviluppato è detto “tumore primitivo”. Il termine “tumore primitivo del colon retto” indica un tumore che, essendosi sviluppato da uno dei tessuti del colon o del retto (quasi sempre dalla mucosa), si trova localizzato dove ha avuto origine. Quando il cancro si diffonde ad organi o tessuti diversi da quello nell’ambito del quale si è formato, si dice che da luogo a metastasi (o metastatizza o forma lesioni “secondarie” o “ripetitive”). Se un tumore del colon retto viene rilevato in tessuti od organi diversi si definisce: “cancro del colon retto metastatico” ed è una forma più grave di tumore. Le metastasi vengono denominate in base alla loro localizzazione: se si trovano nel fegato vengono chiamate “metastasi epatiche da cancro del colon retto“. Analogamente, ci si riferisce a metastasi presenti nei polmoni come “metastasi polmonari da cancro del colon retto”, ecc.
Il 25% dei pazienti a cui è diagnosticato il tumore del colon retto si trova già in fase metastatica. Invece, tra i pazienti con tumore del colon retto diagnosticato in fase di malattia localizzata, il 50% sviluppa metastasi nel periodo post-operatorio. La previsione dell’esito (prognosi) del cancro del colon retto dipende strettamente dal grado di invasione dei tessuti e degli organi posti nelle vicinanze del tumore, dalla presenza di eventuali metastasi ai linfonodi o ad altri organi e tessuti. La presenza di cellule tumorali nell’ambito dei linfonodi vuol dire che alcune cellule si sono diffuse al di fuori del tumore di origine. In alcuni casi l’invasione si ferma al linfonodo, in altri casi lo supera e raggiunge altre parti dell’organismo.
La conoscenza dello stadio della malattia è importante per fornire al paziente delle cure il più possibile appropriate, e per formulare una probabile prognosi.
Nel tumore (carcinoma) del colon sono identificabili quattro stadi:

  • Stadio 0: carcinoma in stadio molto precoce, localizzato alla mucosa, il tessuto che tappezza il lume del colon, senza invaderla in tutto il suo spessore;
  • Stadio I: il carcinoma invade tutto lo spessore della mucosa e raggiunge la membrana che la separa dagli strati più esterni;
  • Stadio II: il carcinoma si è diffuso agli strati di tessuto muscolare del colon;
  • Stadio III: il carcinoma si è diffuso ai linfonodi;
  • Stadio IV: il carcinoma si è diffuso ad altri organi (metastasi).

Leggi anche: Stadiazione e classificazione TNM: cancro curabile o terminale?

Nel caso del tumore del colon, le metastasi si producono con maggiore frequenza nel fegato. Ciò avviene perché le cellule tumorali viaggiano nel sangue e dall’intestino al fegato c’è un’importante rete di vasi sanguigni, definito circolo portale, che normalmente serve a trasportare le sostanze che vengono assorbite dall’intestino, ma in presenza di un cancro può trasferire anche cellule tumorali. Queste si possono fermare nel fegato o dirigersi verso altre parti del corpo, sempre lungo il circolo sanguigno. In particolare, superato il fegato, il sangue va al cuore e poi è pompato ai polmoni, che rappresentano la localizzazione di metastasi da tumore del colon retto più comune dopo il fegato. Il sangue dai polmoni torna al cuore e poi è pompato al resto del corpo. Nella diffusione delle cellule tumorali intervengono vari fattori, fra i quali il tempo. Per questo motivo la diagnosi precoce ha un ruolo decisivo nel prevenire, o limitare, la diffusione e controlli ben programmati, dopo un trattamento iniziale, servono a curare tempestivamente le recidive.

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Elastografia epatica (FibroScan) per cirrosi: valori, preparazione all’esame, risultati

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ELASTOGRAFIA EPATICA FIBROSCAN VALORI FEGATO CIRROSI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie.jpgLa prognosi e la gestione clinica dei pazienti affetti da malattia cronica di fegato è largamente influenzata dall’accumulo di fibrosi e dalla sua progressione nel tempo e le stesse scelte terapeutiche sono condizionate da questo parametro. Ciò enfatizza la necessità di una diagnosi precoce allo scopo di prevenire le complicanze. Sino a pochi anni fa la biopsia epatica rappresentava l’unico strumento di valutazione della fibrosi. Tuttavia la biopsia è procedura invasiva che talora può essere dolorosa ed indurre complicanze e ciò può scoraggiare alcuni a sottoporsi a questa valutazione. In conseguenza di ciò molti pazienti, soprattutto negli ultimi anni, sono stati trattati con farmaci antivirali senza che si conoscesse la reale gravità di malattia ed altri, invece, non hanno mai potuto giovarsi di una terapia, perché timorosi di sottoporsi a questa procedura. Peraltro l’accuratezza della biopsia epatica è influenzata dall’errore di campionamento e dalla variabilità di interpretazione. Queste limitazioni possono portare alla sottostima della cirrosi, specialmente se il campione bioptico è piccolo o frammentato. Ciò ha portato ad una nuova tecnica che ovviasse a questi problemi: l’elastografia epatica.

Cos’è l’elastografia epatica o fibroscan?
L’elastografia epatica (conosciuta anche con il nome commerciale FibroScan o più semplicemente fibroscan) è una metodica diagnostica utile a quantificare la fibrosi epatica, vale a dire il fenomeno di cicatrizzazione che consegue a malattie come l’epatite virale e che può portare alla cirrosi epatica.

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Come è fatto l’apparecchio?
L’apparecchio è costituito da una sonda ad ultrasuoni montata su un sistema vibrante, a prima vista simile a quella dei comuni ecografi. La sonda contiene un vibratore a bassa frequenza che genera un’onda elastica ed un trasduttore a singolo elemento che lavora a 5 MHz. La sonda del fibroscan viene applicata sulla cute del costato a destra: l’impulso che genera determina la propagazione di un’onda elastica attraverso il fegato, la cui velocità, misurata per mezzo degli ultrasuoni, è direttamente correlata alla sua rigidità (a sua volta dipendente dalla quantità di fibrosi).

A che serve l’elastografia epatica?
Per le sue caratteristiche, dunque, il fibroscan, è particolarmente utile per un monitoraggio nel tempo delle malattie epatiche, della loro evoluzione e della risposta al trattamento.

Chi è il paziente ideale?
Chiunque può essere sottoposto a questa indagine su indicazione da parte del medico curante, o di un medico specialista. Essendo una tecnica basata su ultrasuoni (al contrario della radiografia e della TAC) può essere eseguita anche in donne durante gravidanza ed allattamento.

Come ci si prepara all’esame?
È richiesto il digiuno. L’esatta modalità di preparazione viene comunicata al momento della prenotazione dell’esame. Non è necessario sospendere eventuali terapie farmacologiche in atto.

Come si svolge l’esame?
Semplicemente il medico applica gel per ecografia e la sonda del fibroscan sulla cute del costato a destra. Modificando la posizione della sonda, sullo spazio intercostale prescelto, si possono effettuare diverse misurazioni della durezza del fegato esplorato. Il fibroscan è una procedura ambulatoriale che dura al massimo 15 minuti. Al termine dell’esame si rimuove il gel dalla cute, ci si riveste e si può tornare alle normali attività.

Il fibroscan è doloroso o pericoloso?
No, non è doloroso né pericoloso, come una qualsiasi ecografia.

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I vantaggi del fibroscan
L’elastografia epatica è un esame rapido, indolore, non pericoloso, senza effetti collaterali, facilmente ripetibile nel tempo e rappresentativa di un campione di tessuto epatico almeno cento volte maggiore rispetto a quello ottenuto di una tipica biopsia epatica. Inoltre l’elastografia presenta vantaggi anche nei confronti dei biomarker poiché fornisce una misura più diretta della fibrosi, non influenzata dalla presenza di malattie concomitanti ed è teoricamente applicabile a qualsiasi malattia cronica di fegato. Infatti il fibroscan è stato utilizzato per la valutazione della fibrosi anche in altre malattie come l’epatite B, la coinfezione, le malattie colestatiche croniche e più recentemente nell’epatite alcolica e nella NASH in cui ha evidenziato una performance diagnostica simile a quella osservata nell’epatite C. Ciò nonostante, almeno in uno studio prospettico che ha riguardato 183 pazienti affetti da epatite C, la combinazione Fibroscan-Fibrotest ha fornito la migliore performance diagnostica soprattutto in relazione alla fibrosi significativa. L’unico inconveniente risiede nel fatto che – come tutte le tecniche diagnostiche basate su ultrasuoni – l’elastografia è operatore dipendente, quindi per dare risultati attendibili deve essere effettuato da un medico esperto.

Elastografia epatica: valori ed interpretazione
Il fibroscan valuta la fibrosi del fegato misurandone la sua durezza che viene espressa in kPa. Il dispositivo misura la rigidità di una sezione cilindrica tessuto epatico di 4 cm di lunghezza e di 1 cm di diametro che si trova ad una profondità di 2.5 cm al di sotto della superficie cutanea.
Per valori di liver stiffness al di sotto di 7 kPa è probabile che la fibrosi sia minima o assente, mentre quando tale valore è maggiore di 10 la fibrosi è probabilmente severa ed infine per valori superiori a 14 kPa si è in presenza di cirrosi.
Riguardo alla diagnosi precoce di cirrosi epatica, con un valore > 13 kPa il valore predittivo che identifica la cirrosi è del 97% anche in assenza di sintomi conclamati.
L’elastografia risulta infine altamente predittiva di fibrosi anche nella steatosi epatica, consentendo con un cut-off di 8.75 kPa una sensibilità dell’81% ed una specificità del 78%.

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