Uno dei bisogni annoverati fra quelli fisiologici che l’organismo tende a soddisfare per primo – dal momento che gli è necessario per sopravvivere – è quello di alimentarsi e di bere. L’alimentazione, o in termini comportamentali, la condotta alimentare (o “comportamento alimentare“), è definita come l’assunzione da parte di un organismo delle sostanze indispensabili per ricevere e immagazzinare energia necessaria per il suo funzionamento.
L’alimentazione può essere considerata come attività di risposta a stimoli fisici e psichici
(fame e appetito: l’una intesa come bisogno biologico e l’altro come condizione soggettiva
di consapevolezza di una spinta verso il cibo che consideriamo una motivazione), che sulla base dell’esperienza viene ad acquisire una serie di forme stabili (abitudini e preferenze) che portano l’individuo a regolare, secondo sue scelte non più necessariamente basate sul bisogno biologico, il suo regime alimentare abituale definibile come dieta.
Per mantenere attive le proprie funzioni vitali, ciascun individuo ha bisogno di ingerire una quantità di calorie (fabbisogno energetico umano) di cui una parte rimane stabile nel tempo e una parte varia a seconda delle esigenze della persona:
- si definiscono “fisse” le calorie che ciascun individuo deve assumere perché l’organismo possa svolgere le principali funzioni, quali le attività cardiache, respiratorie, epatiche, intestinali, riparazione dei tessuti, mantenimento della temperatura (metabolismo basale);
- sono “variabili” invece quelle calorie che possono essere assunte in funzione delle attività muscolari, della fase di accrescimento o di condizioni temporanee speciali,
per esempio il caso della gravidanza.
Metabolismo basale + attività fisica + termogenesi indotta dalla dieta = fabbisogno calorico giornaliero.
Per approfondire questi argomenti:
- Fabbisogno calorico: quante calorie “mangiare” ogni giorno?
- Metabolismo basale: cos’è, definizione, calcolo, alto, basso, totale
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Il fabbisogno determinato dalle attività fisse, così come quello da metabolismo basale, tende a diminuire con l’avanzare degli anni ed è generalmente più basso nel sesso femminile, anche se ciò è estremamente soggettivo: ad esempio una donna di 50 anni che per tutta la vita ha svolto sport a livello professionistico, muscolarmente possente e che si tiene ancor oggi in forma ed attiva può infatti avere un fabbisogno calorico giornaliero ben superiore ad un 40enne maschio sedentario, con una bioimpedenziometria che indica bassa % di massa magra ed alta % di massa grassa.
La regolazione dell’assunzione di cibo è governata da un’interazione fra un sistema interno regolatorio di tipo metabolico e sistemi orientati verso l’esterno e che quindi prendono in considerazione le condizioni ambientali, considerati di tipo cognitivo-edonistico (Berthoud, Morrison, 2008).
Le abitudini alimentari di un individuo si vengono selezionando attraverso l’esperienza sin dai primi momenti di vita. In effetti è stato fatto notare che gli individui della specie umana pur essendo onnivori assumono ben presto nel corso del loro sviluppo delle abitudini fortemente selettive e restrittive circa la disponibilità ad assumere le varie fonti e modalità di cibo. Tali abitudini rimangono consolidate e prevalenti per tutta la vita dell’individuo rendendo molto difficile una loro sostanziale modificazione. Tale resistenza al cambiamento di abitudini precedentemente costituite va sotto il nome di neofobia ed è da tenere ben presente quale fattore principale di ostacolo qualora fosse necessario proporre a un paziente una modificazione sostanziale delle proprie abitudini
alimentari. L’appetibilità dei cibi, quindi, intesa come la loro desiderabilità, è il frutto di una selezione delle esperienze che consolida nel comportamento alimentare abitudini dovute all’apprendimento e allo stesso tempo però può essere una condizione variabile in base alla quale di volta in volta l’individuo sceglie la fonte preferibile di soddisfazione per il bisogno contingente di fame.
Nei disturbi alimentari (più correttamente “disturbi del comportamento alimentare“) si creano delle condizioni di dissociazione tra il ruolo del bisogno e quello delle motivazioni per cui, entrando in conflitto e non governando adeguatamente le modalità di risoluzione di tale conflitto, si assiste all’insorgenza di comportamenti alimentari incongrui e finanche dannosi per il paziente.
Una delle condizioni come conseguenza di un alterato controllo sulla condotta alimentare è il sovrappeso e, successivamente, l’obesità. Negli obesi si assiste a una quantità anomala di conservazione di energia immagazzinata attraverso un’alimentazione evidentemente di quantità superiore alle esigenze dell’individuo (le calorie assunte sono superiori al fabbisogno calorico giornaliero: “dieta ipercalorica“). È presente in questi casi un’alterata capacità di controllo della condotta alimentare che è modulata evidentemente dall’appetibilità dei cibi e non più regolata dall’intensità del bisogno biologico della fame.
Sono state prospettate due ipotesi alternative nella descrizione schematica dell’alterata condotta alimentare degli obesi: da un lato si postula che il mancato controllo sull’appetibilità e sulla quantità di cibo ingerita dipenda da un indebolimento e quindi da una ridotta funzionalità dei sistemi di valutazione della quantità di cibo ingerita, cioè su quei meccanismi biologici che danno luogo al fenomeno della sazietà (che può essere definita come la perdita di motivazione nei confronti del cibo, in mancanza di appetito, dovuta al declassamento nella piramide dei bisogni della sensazione di fame ridottasi in conseguenza del cibo già ingerito).
L’altra ipotesi invece – appoggiata da chi scrive – si fa riferimento alla possibilità che l’assunzione di cibo continui a essere alimentata da un sistema di ricompensa non più integrato in un feedback negativo congiunto con il bisogno di cibo. In altre parole si continua a mangiare al di là della necessità per fame perché l’ingestione di cibo comporta dei segnali di ricompensa dai circuiti neuronali dopaminergici deputati a questo tipo di operazione e il cui funzionamento in questi casi diventa evidentemente indipendente dallo stato del bisogno di fame. Semplificando: mangiare cibi gustosi, ipercalorici e ricchi di grassi, determina la liberazione di grandi quantità del neurotrasmettitore dopamina e quindi una sensazione di benessere da parte del soggetto da essa determinata; a lungo andare il soggetto diventa dipendente dalla propria dopamina e, per avere la stessa sensazione di euforia, è portato ad assumere sempre più grandi quantità di cibo, perché – se non lo assume – va in astinenza da dopamina e diventa nervoso ed ansioso. In pratica il cibarsi diventa una vera e propria tossicodipendenza da dopamina, in modo non dissimile dalle altre dipendenze sia da sostanza (nicotina, eroina, cocaina…) che comportamentali (dipendenza da gioco d’azzardo, da masturbazione compulsiva, da shopping compulsivo…). Per approfondire:
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Per meglio comprendere questa seconda ipotesi e il ruolo dei fattori gratificanti nel determinismo dell’assunzione di cibo basta pensare a come siano fondamentali nella determinazione di una risposta appetitiva da parte dell’individuo non solo da quale ingrediente fondamentale sia costituito il cibo, ma anche e forse in alcuni casi soprattutto, dal modo in cui tale ingrediente è stato preparato. Le tecniche di preparazione del cibo oltre che a garantirne la buona digeribilità, spesso diventano soprattutto il modo in cui si cerca di aumentarne l’appetibilità con l’utilizzazione di particolari sostanze che hanno un maggiore e più diretto impatto sui circuiti di gratificazione presenti nel nostro cervello. Uno dei più potenti veicoli di gratificazione è lo zucchero per i dolci o il sale per i cibi salati. Il soggetto tende ad aumentare queste sostanze deleterie per aumentare la secrezione di dopamina e quindi aumentare il piacere nel mangiare, ma cibi troppo zuccherati e troppo salati non sono salutari e sono fattori di rischio per l’obesità e per l’ipertensione arteriosa.
La grande complessità dei meccanismi regolatori della condotta alimentare e il ruolo preponderante che l’interazione fra esperienza e struttura biologica giocano nel plasmare e modulare lo stabilizzarsi di una condotta sostanzialmente invariante nel tempo in ogni individuo rendono ancora molto difficile da affrontare e da modificare le sue eventuali alterazioni, soprattutto è difficile mettere in atto interventi che siano in grado di dare i loro effetti su tutti gli aspetti determinanti quelle forme di condotta alimentare che si vorrebbero modificare.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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