Anestesia epidurale: quando viene usata, vantaggi e pericoli

MEDICINA ONLINE SURGERY SURGEON RECOVERY TAGLIO ANESTESIA GENERALE REGIONALE LOCALE EPIDURALE SPINALE SNC BISTURI PUNTI SUTURA COSCIENTE PROFONDA MINIMA ANSIOLISI ANESTHETIC AWARENESS WALLPAPER PICS PHOTO HD HI RES PICTURESL’anestesia epidurale (o peridurale) è una modalità di somministrazione regionale di anestesia, che prevede la somministrazione di farmaci attraverso un piccolo catetere inserito nella schiena, a livello della colonna vertebrale. In ambito medico di definisce più esattamente “loco-regionale”, perchè in grado di anestetizzare ampie porzioni del corpo, a differenza dell’anestesia locale che è limitata a zone più piccole e superficiali. È un approccio che viene preferito all’anestesia generale alla luce dei ridotti rischi, ovviamente quando possibile, e l’elevato grado di sicurezza è testimoniato dal fatto che viene usato anche a scopo analgesico (riduzione del dolore) durante il parto. I farmaci anestetici utilizzati rendono il paziente incapace di muovere le gambe, che saranno intorpidite; sotto anestesia epidurale si perde spesso il controllo della vescica e per questo motivo viene usato un catetere per drenare l’urina. La sensibilità e i movimenti corporei torneranno alla normalità appena l’anestetico perderà efficacia, in genere dopo alcune ore.

Il vantaggio rispetto ad altri metodi è quello di ottenere un ottimo controllo del dolore senza il rischio di depressione respiratoria tipico degli oppiacei, che portano spesso con sé anche nausea e sonnolenza; secondo alcuni lavori in letteratura potrebbe anche essere legata a un minor rischio di complicazioni legate alla chirurgia, come ad esempio trombosi e infezioni.

Cenni di anatomia

La spina dorsale (o colonna vertebrale) è il principale sostegno del corpo umano e assolve all’importante compito di proteggere il midollo spinale, una fondamentale estensione del sistema nervoso che decorre dal cervello fino al termine della schiena. I nervi passano dal corpo al cervello attraverso al spina dorsale per trasmettere le sensazioni, inclusa quella del dolore, al cervello. I mattoni fondamentali della colonna vertebrale, come dice il nome stesso, sono le vertebre, ossa costituire da un foro centrale che nell’insieme formano il canale in cui il midollo trova protezione. Le vertebre sono poi separate e protette dai cosiddetti dischi intervertebrali, una struttura che garantisce stabilità, resistenza e che allo stesso tempo permette alla spina dorsale di flettere e di curvarsi. Lo scopo dell’anestesia epidurale è quello di somministrare dei farmaci direttamente nei pressi dei nervi, in modo da interrompere la trasmissione della sensazione del dolore. Quest’area viene definita spazio epidurale ed è una zona compresa nel canale vertebrale.

Quando viene usata

L’anestesia epidurale può essere usata in caso di:

  • interventi chirurgici (ad esempio per taglio cesareo o per interventi a torace e addome, vascolari, urologici, ortopedici ed anche in specifiche condizioni di cardiochirurgia),
  • parto naturale, per ridurre/eliminare la percezione del dolore,
  • a seguito di alcuni interventi chirurgici, per il suo effetto analgesico (riduzione del dolore) e con i seguenti vantaggi:
    • ridotta o nessuna necessità di ricorso ai farmaci oppioidi,
    • ridotto rischio di problemi respiratori,
    • ridotto rischio di infarto,
    • riduzione dello stress legato all’intervento.

Quando non può essere usata

L’anestesia epidurale non è consigliabile, o è addirittura fortemente controindicata, in caso di:

  • disturbi della coagulazione con rischio di trombosi,
  • assunzione di anticoagulanti come il warfarin,
  • grave infezione generalizzata (setticemia…)
  • infezione localizzata sulla schiena,
  • ipovolemia (grave riduzione del volume di sangue, ad esempio a causa di un’emorragia),
  • gravi malformazioni o deformazioni della colonna vertebrale.

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Procedura

L’anestesia epidurale viene praticata solo e soltanto dal medico anestesista, specialista in campo di anestesia e analgesia (gestione del dolore).

Generalmente viene praticata a paziente sveglio, ma occasionalmente può essere abbinata all’anestesia totale (ottenendo la cosiddetta anestesia integrata).

  1. Il paziente viene fatto sedere e appoggiato con la testa bassa, in avanti, oppure sdraiato su un fianco con le ginocchia rannicchiate, per esporre ed estendere la colonna vertebrale.
  2. Verrà somministrata una lieve anestesia locale sulla pelle, attraverso una piccola iniezione, per ridurre il fastidio dell’ago.
  3. Uno specifico ago epidurale viene introdotto con attenzione dall’anestesista fino a raggiungere lo spazio epidurale, che viene identificato grazie alla diversa consistenza rispetto al tessuto che lo precede.
  4. L’ago viene rimosso, dopo aver provveduto al posizionamento di un piccolo catetere (tubicino in plastica) che verrà lasciato in sede per la somministrazione continua dei farmaci, che potranno essere modulati dall’anestesista in base alle necessità.

In genere il paziente avverte un po’ di fastidio durante la manovra di inserimento dell’ago, che tuttavia non risulta dolorosa. L’inserimento del catetere può avvenire a diverse altezze sulla schiena, in base alla zona che dovrà essere operata; l’effetto compare nell’arco di circa 20-30 minuti, anche se il paziente inizierà ad avvertirlo fin da subito e lo sentirà aumentare gradualmente sotto forma di intorpidimento a petto, addome e gambe, che perderanno forza e sensibilità. La durata può variare da qualche ora a diversi giorni, quando viene usato a scopo analgesico a seguito di chirurgia maggiore. Nel momento in cui il catetere viene rimosso gli effetti andranno a sparire gradualmente nelle ore successive, in cui il paziente viene in genere lasciato a riposo in attesa che le gambe riprendano la forza necessaria a sostenerlo.

Pericoli

Un lavoro del 2009 pubblicato sul British Journal of Anaesthesia è tuttora il punto di riferimento per quanto riguarda la valutazione di rischi e complicazioni, in quanto basata sui dati provenienti da circa 700000 anestesie epidurali.

La probabilità di incorrere in rischi gravissimi è la seguente:

  • danni neurologici permanenti: da 2 a 4 casi su mille,
  • morte o paraplegia: da 7 a 18 casi su diecimila.

Per danni neurologici permanenti si intende la perdita definitiva di sensibilità o di movimento delle gambe o di un’altra zona dell’organismo.

Sono poi possibili complicazioni più o meno gravi, tra cui ricordiamo:

  • Abbassamento della pressione, che può causare nausea; in genere al paziente viene inserito un ago cannula nel braccio attraverso cui vengono somministrati continuamente fluidi per ridurre il rischio di ipotensione.
  • Perdita del controllo della vescica, che viene gestito attraverso il posizionamento di un catetere.
  • Prurito, legato ai farmaci antidolorifici che vengono talvolta iniettati con l’epidurale.
  • Nausea, che si verifica comunque più raramente che con i più tradizionali oppiacei.
  • Mal di testa, che in alcuni casi può essere severo e persistente per settimane; in questi casi l’anestesista provvederà attraverso una serie di step successivi a risolvere il disturbo.
  • Depressione respiratoria, soprattutto in caso di alte dosi di anestetico; il paziente, anche per questo motivo, è comune sempre strettamente monitorato dall’anestesista.
  • Danni a nervi, con perdita di sensibilità o movimento a specifiche zone del corpo; nella maggior parte dei casi si tratta di un effetto collaterale destinato a risolversi spontaneamente nell’arco di qualche settimana/mese.
  • Infezione, localizzata a livello della cute dove avviene l’inserimento del catetere.

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Come superare il dolore della fine di una relazione d’amore

MEDICINA ONLINE TRADIMENTO 10 UOMINI DA EVITARE RELAZIONE GELOSIA PATOLOGICA NORMALE DIFFERENZE GEALOUS GIRL BOY MAN WOMAN LOVE WALLPAPER AMICIZIA RAPPORTO SESSO TRADIRE FIDANZATI MATRIMONIO MARITO MOGLIE SCOPRIRE HDLa fine di una relazione causa dolore, la donna vive l’impatto della separazione come se si trattasse della morte di una persona amata e l’uomo crede che tutto sia terminato, che il mondo gli sia caduto addosso e che non avrà più ulteriori opportunità di incontrare il grande amore. Quando termina una relazione la maggioranza delle persone sente come un grande vuoto e vive la situazione come un fallimento. Molti semplicemente sono solo troppo pigri per dover iniziare tutto da zero. Di seguito vi propongo alcune idee che normalmente mi confidano le persone che hanno sofferto di una separazione e cercano aiuto.

“Il tempo passa ma il dolore non se ne va”

Molte persone desiderano dimenticare il compagno di anni di vita in pochi mesi, ma è semplicemente impossibile. Qualcuno si da alla pazza gioia nel tentativo di affrontare la vita con una prospettiva totalmente diversa da quella che si aveva prima, la persona si butta in nuove avventure secondo il vecchio detto: “chiodo scaccia chiodo”: questa tecnica funziona per ben pochi, quando finisce la pacchia il dolore sembra peggiorare e la mancanza dell’essere amato si sente ancora più forte.
Cerchiamo invece di accettare il dolore, viverlo e non tentare di sostituire l’amore perso con una avventura. Poco a poco saremo capaci di liberarci completamente della sensazione di perdita e così riprendere, se lo desideriamo, la ricerca di una persona a cui dare il nostro amore senza riserve e senza i fantasmi del passato.

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“Non merito quello che mi sta accadendo”

La posizione della vittima abbandonata non risolverà il conflitto interiore. Quando una relazione termina entrambe le parti ne hanno la responsabilità. La cosa più utile è analizzare quali sono stati i nostri errori per tentare di non commetterli in futuro.

“Non posso accettarlo”

È perfettamente comprensibile che ci costi molto accettare una realtà per molti versi dura, che non avremmo desiderato, ma più tardi accettiamo il cambiamento più tempo perderemo prima di liberarci del dolore ed aprirci totalmente ad un nuovo amore. Assumere atteggiamenti del tipo: “non è successo niente” o vivere nell’illusione di una possibile riconciliazione in un futuro che non avverrà mai è una forma di auto-tortura psicologica; anche se nella prima fase della rottura la negazione, l’ira, l’odio e la depressione sono risposte abbastanza comuni.

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“La colpa è tutta mia”

Anche se probabilmente alcune persone hanno una responsabilità maggiore di altre nella fine della relazione, è certo che continuare a fare pensieri auto-denigranti non risolverà il problema ma addirittura ci chiuderà in un cerchio portandoci all’immobilismo. Se la relazione è definitivamente terminata è ci rendiamo conto che oggettivamente abbiamo fatto no degli sbagli, ci resta almeno di trarre esperienza dagli errori commessi per affrontare le nuove relazioni da un punto di vista più maturo.

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“Non incontrerò mai più una persona come lui/lei”

Probabilmente è così, non esistono al mondo due persone identiche, tutti abbiamo diverse virtù e difetti ma questo non vuol dire che non incontreremo un altra persona, diversa, ma che giungeremo ad amare con la stessa intensità, forse anche proprio perché diversa.

La fine di una relazione implica momenti di tensione, angustia, depressione, nostalgia ma è sempre superabile a patto che si viva come un cambiamento in più che dobbiamo affrontare nella vita e dal quale dobbiamo uscire rafforzati e con una maggiore maturità emotiva per affrontare le relazioni future.

Se credi di avere dei problemi con il tuo ex partner o non riesci a gestire da sola o da solo la fine di una relazione, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a superare questa situazione difficile.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Come superare la paura dell’acqua ed imparare a nuotare

MEDICINA ONLINE SOLE MARE PAURA DELL ACQUA FEAR OF SWIMMING SPIAGGIA PISCINA MARE DONNA COSTUME SEA SAND GIRL BEACH SWIMMING WALLPAPER HI RES PICS PICTURE PHOTO BEAUTIFUL VETRO UVA UVB ULTRAVIOLETTI RADIAZIONE NEO.jpgTra gli elementi della natura l’acqua, insieme al fuoco, è uno dei più potenti. Alcune persone hanno paura dell’acqua da sempre e non hanno mai imparato a nuotare. Per altri la paura dell’acqua potrebbe essere arrivata a seguito di un trauma. Con molta calma si può provare a superare la paura dell’acqua e ad imparare a nuotare in modo graduale.

Circa il 60% del nostro corpo è formato da acqua e quando eravamo nel pancione l’acqua era il nostro elemento naturale. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità per le mamme di scegliere il parto in acqua per la nascita di un nuovo bambino. Con il tempo però in alcune persone scatta un meccanismo di difesa e preferiscono non avvicinarsi troppo all’acqua e fare il bagno il mare o in piscina soltanto fino al punto in cui possono toccare il fondo con i piedi.

La paura dell’acqua si chiama idrofobia in psichiatria. Il termine idrofobia riguarda sia la paura dell’acqua che la paura del nuoto. La più comune è una forma moderata di idrofobia che consiste nella paura delle acque profonde in generale e in particolare dell’annegamento. Se avete paura dell’acqua, forse imparare a nuotare gradualmente vi potrebbe aiutare a superarla dato che saper nuotare dovrebbe ridurre il timore dell’annegamento.

La paura dell’acqua è una delle fobie più comuni, dunque non sentitevi soli. Se volete potete imparare a farvi coraggio e a superarla imparando a nuotare. Alcuni bambini nuotano naturalmente sin da piccoli e non hanno nessuna paura, probabilmente per via di un avvicinamento graduale all’acqua del mare grazie ai genitori e all’acqua della piscina con gli istruttori di nuoto giusti.

Innanzitutto cercate di capire da dove proviene la vostra paura dell’acqua. Potreste parlarne con molta calma con una persona di fiducia per capirne davvero l’orgine e per comprendere meglio le cause. Molte persone si sono avvicinate all’acqua e hanno provato a nuotare per la prima volta insieme a genitori che in un certo senso possono avere trasmesso loro la paura o possono averli traumatizzati in qualche modo senza volerlo. Avvicinatevi all’acqua in modo naturale, scegliendo una piscina piccola e dalle acque basse o un tratto di mare molto calmo e non affollato. In questo modo imparare almeno a galleggiare sarà più semplice e sicuro.

Camminare nell’acqua

Se avete paura di inoltrarvi verso il mare che diventa più profondo rispetto alla riva provate a farlo molto gradualmente, magari in compagnia di una persona amica che rispetti la vostra paura. Iniziate a fare delle lunghe camminate con l’acqua all’altezza prima delle caviglie e poi del ginocchio e mano a mano provate ad inoltrarvi più in là. Scegliete una giornata in cui il mare è calmo e magari preferite le prime ore di sole quando le spiagge non sono ancora affollate.

Imparare a galleggiare

Via via provate a lasciarvi andare nell’acqua e ricordate che il vostro corpo è capace di galleggiare senza problemi se non opponete troppa resistenza. Il modo migliore per imparare a galleggiare è quello di lasciarsi andare sulla schiena aprendo le braccia all’altezza delle spalle e seguendo il movimento di piccole onde. Se decidete di andare in piscina potrete trovare degli strumenti per imparare a galleggiare, tra tubi di spugna e tavolette.

Seguire un corso di nuoto

Seguire un corso di nuoto in piscina può essere il modo migliore per superare la paura dell’acqua dato che vista la presenza dell’istruttore accanto a voi non dovrete temere nulla e potrete regolare lo svolgimento delle lezioni di nuoto in base alle vostre esigenze.

Così via via potrete imparare a galleggiare, a immergervi con la testa sott’acqua e piano piano a nuotare nell’ambiente protetto della piscina per poi mettervi alla prova con coraggio in occasione della prima vacanza al mare.

Conoscere le basi del nuoto è importante per la propria sicurezza e per aiutare gli altri in caso di necessità. Saper nuotare può salvare una vita, non solo la vostra. Potreste partire proprio da questo punto di vista per superare la paura dell’acqua e nello stesso tempo indagare le ragioni più profonde della vostra situazione. Una volta scoperti i motivi della paura dell’acqua potrete superarla più facilmente e magari vi sentirete anche delle persone più libere e coraggiose.

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Antipsicotici (neurolettici): classificazione, usi e meccanismo di azione

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA AEROSOL ASMA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS INTRAMUSCOLO PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICA EFFETTI COLLATERALI CONTROINDICAZIONII farmaci neurolettici (anche chiamati “antipsicotici“) sono un gruppo di psicofarmaci che agiscono su precisi target neurotrasmettitoriali (principalmente utilizzati tipicamente per il trattamento delle psicosi, schizofrenia, disturbo bipolare e nel disturbo depressivo cronico. Non sono indicati per il trattamento dell’insonnia in quanto non vi sono evidenze cliniche a favore del loro impiego.

Usi medici

Schizofrenia

L’effetto principale di un trattamento con antipsicotici è quello di ridurre i cosiddetti sintomi “positivi” della schizofrenia, ovvero deliri e allucinazioni. Tuttavia gli studi indicano che conseguentemente all’assunzione di neurolettici peggiorano gli episodi di apatia, mancanza di affetto emotivo, mancanza di interesse nelle interazioni sociali (sintomi negativi della schizofrenia) mentre dal punto di vista cognitivo si possono avere effetti come pensieri disordinati e una ridotta capacità di pianificare ed eseguire attività. In generale, l’efficacia del trattamento con antipsicotici nella schizofrenia sembra aumentare con la gravità dei sintomi di base. Le applicazioni di questi farmaci nel trattamento della schizofrenia includono il trattamento del primo episodio di psicosi, la successiva terapia di mantenimento e trattamento di episodi ricorrenti di psicosi acuta. È doveroso ricordare che i neurolettici non curano il disturbo all’origine, bensì dovrebbero attenuare i sintomi esteriori della malattia, quali deliri, allucinazioni e disforia.

Disturbo bipolare

Gli antipsicotici sono usati comunemente nel trattamento di prima linea negli episodi maniacali e misti associati a disturbo bipolare, spesso in combinazioni con stabilizzanti dell’umore come litio o valproato. Ill motivo di questa combinazione è il ritardo terapeutico degli stabilizzatori dell’umore di cui sopra (per ottenere gli effetti terapeutici del valproato sono di solito necessari circa cinque giorni dall’inizio del trattamento, mentre il litio solitamente richiede almeno una settimana prima di dare gli effetti terapeutici). Alcuni antipsicotici atipici (Lurasidone, Olanzapina e Quetiapina) si ritiene che abbiano l’efficacia nel trattamento della depressione bipolare come monoterapia, senza l’aggiunta di altri farmaci di supporto.

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Altri utilizzi

Oltre alle predette finalità gli antipsicotici possono essere usati come farmaci di seconda scelta nella cura del disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo post-traumatico da stress, disturbi della personalità, la sindrome di Tourette, autismo e agitazione in quelli con demenza, ma solo nel caso in cui i farmaci di prima scelta non abbiano avuto effetto. Le prove scarseggiano sull’utilizzo di antipsicotici atipici in disturbi del comportamento alimentare. Risperidone può essere utile per disturbo ossessivo-compulsivo.

Meccanismo di azione

Gli antipsicotici presentano un’azione prevalentemente antidelirante e antiallucinatoria. Vengono impiegati prevalentemente per la terapia della schizofrenia e di altre manifestazioni psicotiche: possono essere somministrati per via orale, intramuscolare o endovenosa: a dosaggi adeguati riducono il delirio, le allucinazioni, le anomalie comportamentali degli psicotici, favorendone il reinserimento sociale. Se assunti da un soggetto non psicotico, non producono uno stato di sedazione quanto piuttosto una estrema indifferenza agli stimoli ambientali e un fortissimo appiattimento emotivo (effetto atarassizzante). I siti d’azione principali dei farmaci antipsicotici sono le vie dopaminergiche, più in particolare quelle che da livello mesencefalico si proiettano verso l’area del pensiero situata nella corteccia. I bersagli sono i recettori della dopamina che vengono inibiti, in particolare è il blocco dei recettori D2 post sinaptici a generare i maggiori effetti terapeutici (gli altri target dopaminergici sono i recettori D1, D3, D4).

Classificazione

  • Antipsicotici tipici o di prima generazione

    • butirrofenoni
      • Aloperidolo, molto potente ed efficace, associa all’effetto terapeutico un’alta incidenza di effetti collaterali extrapiramidali
      • Droperidolo
    • fenotiazine
      • Alifatiche
        • Clorpromazina
        • Prometiazina
        • Acepromazina, utilizzata in ambito veterinario
      • piperaziniche
        • Perfenazina
        • Porcloperazina
        • Tioproperazina
        • Trifluoperazina
      • Piperidiniche
    • Tioxanteni
      • Zuclopentixolo
      • Clopentixolo
      • Tioxitene
  • Antipsicotici atipici o di seconda generazione

    • Benzammidi sostituite
      • Amisulrpide, associa l’antagonismo D2 (a basse dosi preferenzialmente presinaptico), all’agonismo per il recettore GHB.
      • Sulpiride, simile al composto correlato amisulpride.
      • Tiapride, mostra affinità preferenziale per il sistema limbico rispetto a quello striatriale
      • Varelipride, utilizzata però in ambito veterinario.
    • Dibenzodiazepine
      • Quetiapina, ha struttura simil dibenzodiazepinica, è considerato quello a maggior potenziale sedativo.
      • Clozapina, considerato un farmaco di seconda linea per i potenziali effetti collaterali anche gravi.
      • Olanzapina
    • Scheletro simil Azapironi
      • Lurasidone
      • Risperidone
      • Paliperidone, principale metabolita del risperidone
      • Ziprasidone, causa un minore aumento di peso rispetto ad altri antipsicotici
      • Perospirone
  • Terza generazione

    • Aripiprazolo, agonista parziale dei recettori D2 e di alcuni sottotipi serotoninergici. La sua efficacia è ancora oggetto di approfondimento.

Altri composti che non sono chimicamente o farmacologicamente correlati agli antipsicotici hanno mostrato in diversi studi potenziale neurolettico, tra questi ci sono farmaci approvati per altri disturbi psichiatrici (come il tofisopam) o composti di derivazione naturale come la sarcosina.

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Antidepressivi triciclici: tipici effetti collaterali dei farmaci

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICI triciclici (TCA) sono una classe di farmaci antidepressivi che agiscono attraverso l’inibizione non selettiva (o, in alcuni casi selettiva per la noradrenalina) della ricaptazione dei neurotrasmettitori monoamine. Sono usati principalmente nel trattamento dei disturbi dell’umore come depressione maggiore, distimia e disturbi bipolari, in particolare nelle varianti resistenti al trattamento, in molti casi non sono più, infatti, i farmaci di prima scelta. Possono essere impiegati anche nel trattamento di numerosi disordini tra cui i casi di ansia, fobia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo, panico, disturbo post traumatico da stress, cefalea ed emicrania.

Effetti collaterali

Molti effetti collaterali sono correlati alle proprietà antimuscariniche dei TCA. Questi effetti sono piuttosto comuni e possono includere secchezza delle fauci, naso asciutto, visione sfuocata, motilità gastrointestinale ridotta o costipazione, ritenzione urinaria, difetti di memoria o cognitivi ed aumento della temperatura corporea.

Altri effetti collaterali possono includere ansietà, confusione, apatia, debolezza muscolare, variazioni nel peso e nell’appetito, ipersensibilità, disfunzioni sessuali, debolezza, nausea e vomito, ipotensione e tachicardia riflessa e, raramente, aritmie. Convulsioni, allucinazioni, deliri e coma sono alcuni degli effetti tossici causati da un sovradosaggio. Sono stati riportati rari casi di rabdomiolisi dovuti a questa classe di farmaci. Se il trattamento viene continuato spesso si sviluppa tolleranza nei confronti degli effetti collaterali. L’insorgenza di effetti collaterali, poi, può essere ridotta se il trattamento è iniziato con basse dosi, gradualmente aumentate fino a raggiungere le concentrazioni terapeutiche, sebbene ciò possa ritardare la comparsa degli effetti benefici.

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Differenza tra sistema nervoso centrale e periferico: anatomia e funzioni in sintesi

MEDICINA ONLINE OSSA OSSO SCHELETRO CANE UOMO DIFFERENZE TESSUTO SPUGNOSO TRABECOLARE COMPATTO CORTICALE FIBROSO LAMELLARE CARTILAGINE OSSO SACRO COCCIGE CERVELLO SISTEMA NERVOSO CENTRALE PERIFERICO MIDOLLO OSSEO SPINALELa principale differenza tra il sistema nervoso centrale (SNC) ed il sistema nervoso periferico (SNP) risiede nell’anatomia: Il primo è formato da encefalo (cervello, tronco cerebrale e cervelletto) e midollo spinale, il secondo dai neuroni (sensitivi e motori) i cui assoni si estendono fuori dal sistema nervoso centrale per giungere a tessuti e organi.

Entrambi i sistemi possiedono le cellule gliali “mielinizzanti”, tuttavia nel SNC si parlerà di Oligodendrociti, nel SNP di Cellule di Schwann.

Entrambi i sistemi possiedono ammassi di corpi cellulari di neuroni, che nel SNC prendono il nome di nuclei e nel SNP di gangli. Un’ultima grande differenza riguarda i raggruppamenti degli assoni in fasci: Nel SNC prendono il nome di Tratti, nel SNP prendono il nome di nervi.

Dal punto di vista funzionale, la principale differenza è che il sistema nervoso centrale sovrintende alle principali funzioni di controllo ed elaborazione dei dati, mentre il sistema nervoso periferico si occupa di gestire la trasmissione dei dati sensitivi/motori dalla periferia al SNC e viceversa.

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Tricotillomania: cause, sintomi, diagnosi e terapia

MEDICINA ONLINE tricotillomaniTricofagia tricobezoario CAPELLI VOLTO DONNA TRISTE AIUTO  PELO STRAPPARSI SHAMPO CAPELLI SFIBRATI.jpgIl termine ‘tricotillomania’ significa letteralmente ‘abitudine di tirarsi i capelli’ (trico – capelli, tillo – tirare, mania- abitudine) e riguarda infatti l’abitudine compulsiva di strapparsi i capelli, procurandosi delle aree nude nel cuoio capelluto, nelle sopracciglia, nelle ciglia e, in casi piuttosto rari, anche nell’area pubica.

Comorbilità

Spesso chi soffre di tricotillomania sperimenta anche sintomi ricollegabili al disturbo ossessivo-compulsivo (disturbi da contaminazione, da controllo, superstizione eccessiva, compulsioni mentali ecc.) o al disturbo da disformismo corporeo (preoccupazione per un difetto dell’aspetto fisico)

Cause

Le ricerche sembrano dimostrare che la tricotillomania sia un’abitudine acquisista nell’infanzia e per questo si ipotizza che alla base vi sia un rapporto difficile con i genitori ed un conseguente bisogno di compensazione affettiva.Il comportamento si manifesta in genere in seguito ad un evento scatenante, specialmente nei soggetti timidi ed ansiosi, soprattutto in presenza di situazioni sociali difficili.

Leggi anche: La metà di noi al liceo ha sofferto di onicofagia e molti ne soffono tuttora senza saperlo, di che malattia si tratta?

Segni e sintomi

Sebbene ogni singolo capello o pelo sia di ridotte dimensioni, il soggetto che soffre di questo disturbo può presentare delle lesioni molto estese, specialmente nella regione frontoparietale, in genere dalla periferia verso il centro. Come in tutte le altre azioni coatte, il soggetto si sente costretto a questo tipo di comportamento, che ripete come un rito, pur riconoscendone l’assurdità. L’attuazione di questo rito consente infatti di tenere l’ansia sotto controllo (mentre il tentativo di resistervi determina un forte aumento dello stato ansioso). Lo strappo dei peli o dei capelli può essere limitato a particolari momenti, giorni o luoghi. In seguito allo strappamento, insorge un senso di gratificazione e di sollievo. In genere non viene compiuto in presenza di altre persone. La tricotillomania nell’adolescente è in genere accompagnata da scarsi risultati scolastici ed anche alla manifestazione di altro tipo di ossessioni, quali ad esempio l’onomatomania (ricerca ossessiva del significato delle parole), l’aritmomania (abitudine a fare dei calcoli mentali complicati, ritornando sempre da capo ad ogni minima esitazione), l’onicofagia (mangiarsi le unghie) o altri rituali relativi all’abbigliamento e alla toilette, che sono talmente invasivi da occupare molte ore della giornata del soggetto.

Varianti

Le varianti allo strappamento sono: attorcigliamento della ciocca, inserimento della ciocca di capelli nella bocca, tricofagia (mangiarsi i capelli). La tricofagia può causare problemi a livello intestinale, attraverso la formazione di boli di capelli, detti tricozoari.

Frequenza

Il disturbo è due volte più frequente nelle donne che negli uomini; nei bambini invece è più frequente fra i maschi, con un picco di incidenza che va tra i 2 ed i 6 anni. Sotto i due anni di vita capita spesso che i bambini si tocchino i capelli, ma la loro ancora precaria coordinazione motoria non gli consente di arrivare fino allo ‘strappo’ vero e proprio, che infatti avviene a partire dai ventiquattro mesi di vita.

Diagnosi

Secondo il manuale diagnostico degli psichiatri (DSM IV) la tricotillomania fa parte dei Disturbi del Controllo degli Impulsi. Per diagnosticare una tricotillomania devono essere presenti i seguenti sintomi:

  • Ricorrente strappamento dei propri capelli che causa una notevole perdita di capelli.
  • Senso crescente di tensione immediatamente prima di strapparsi i capelli, o quando si tenta di resistere al comportamento.
  • Piacere, gratificazione, o sollievo durante lo strappamento dei capelli. L’anomalia non è meglio attribuibile ad un altro disturbo mentale e non è dovuta ad una condizione medica generale (per esempio, una condizione dermatologica).
  • L’anomalia causa disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento.

Terapia

La terapia consiste anzitutto nel mettere il soggetto di fronte a questo problema che spesso viene da lui minimizzato o negato, in quanto rappresenta, oltre che un passatempo, anche un modo per tenere a bada l’ansia e la timidezza e non viene più visto come una forma di auto-punizione. Spesso i genitori non accettano la diagnosi ed il trattamento psicologico perché non hanno avuto modo di osservare il bambino mentre si strappa i capelli e trovano dunque inaccettabile pensare che alla base dell’alopecia vi siano problematiche psicologiche. Attraverso una psicoterapia è in genere possibile curare questo disturbo; nei casi più gravi si dovrà far uso di tranquillanti ed antidepressivi.

Decorso e prognosi

Il decorso della patologia può avere andamento continuo o remittente, può andare e venire per settimane, mesi o anni, e la zona di strappamento dei capelli o dei peli può variare nel tempo. La prognosi è riservata in quanto la tricotillomania non è una manifestazione isolata, ma è associata ad altri aspetti compulsivi, a scarsi risultati scolastici, a relazioni familiari deteriorate ecc. che andrebbero affrontate insieme al trattamento specifico per la tricotillomania.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Ipotalamo: anatomia, funzioni ed ormoni prodotti in sintesi

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Anatomia

L’ipotalamo è situato ai lati del terzo ventricolo cerebrale e si continua col suo pavimento, è delimitato posteriormente dai corpi mammillari, anteriormente dal chiasma ottico, superiormente dal solco ipotalamico e inferiormente dall’ipofisi, con la quale è a stretto contatto non solo anatomicamente ma anche funzionalmente.

Nel suo contesto, in senso antero-posteriore si possono riconoscere tre gruppi nucleari principali:

  • gruppo anteriore: comprende i nuclei sopraottico e paraventricolare
  • gruppo intermedio: in esso, prendendo come riferimento un piano sagittale passante per la colonna del fornice, possiamo distinguere una regione mediale (con i nuclei: ventromediale, dorsomediale, perifornicale e arcuato, il quale si estende nell’eminenza mediana) e una regione laterale (nuclei: ipotalamico laterale e tuberali laterali)
  • gruppo posteriore: comprende i corpi mamillari nei quali si distinguono i nuclei mamillari mediale, laterale e intermedio, e i nuclei ipotalamici posteriori.

La superficie inferiore dell’ipotalamo si espande leggermente verso il basso formando il tuber cinereum, dal cui centro sporge l’infundibolo, riccamente vascolarizzato, che a sua volta si prolunga nell’ipofisi.

Il rapporto tra ipotalamo e ipofisi è detto asse ipotalamo-ipofisario e collega il sistema nervoso al sistema endocrino o, per meglio dire, permette al primo di svolgere azioni di regolazione sul secondo.

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Struttura e funzioni

L’ipotalamo è costituito da cellule di sostanza grigia raggruppate in numerosi nuclei, distinti topograficamente nei tre gruppi sopra descritti (anteriore, intermedio e posteriore), e collegati con la corteccia cerebrale e i centri del telencefalo, con il talamo e l’epitalamo, con il mesencefalo e il bulbo, da cui arrivano o ai quali vanno impulsi sensoriali vari e fibre nervose efferenti.

L’ipotalamo svolge pertanto una duplice funzione:

  • una funzione di controllo del sistema nervoso autonomo (attraverso il quale modifica la motilità viscerale, i riflessi, il ritmo sonno-veglia, il bilancio idrosalino, il mantenimento della temperatura corporea, l’appetito e l’espressione degli stati emotivi);
  • una funzione di controllo del sistema endocrino: due dei nuclei ipotalamici (sopraottico e paraventricolare) collegano direttamente l’ipotalamo all’ipofisi tramite neuroni che, partendo da essi e terminando con i loro assoni nei capillari della neuroipofisi (porzione posteriore dell’ipofisi, minore per dimensioni), formano un fascio ipotalamo-neuroipofisario che unisce i due organi e forma così il suddetto asse ipotalamo-ipofisario.

I neuroni presenti nei due nuclei producono due ormoni:

  • ossitocina: stimola la contrattura della muscolatura liscia, soprattutto quella uterina (è infatti importante nel parto);
  • vasopressina (od ormone antidiuretico o ADH): agisce sui collettori del rene e viene rilasciata quando aumenta la concentrazione salina nel sangue): questi, attraverso gli assoni degli stessi neuroni, vengono trasportati alla neuroipofisi e lì accumulati fino a quando non si presenta uno stimolo adeguato; infatti questi neuroni sono sensibili ai cambiamenti di pressione osmotica del plasma per mezzo dei neuroni osmocettori (capaci di recepire i valori della pressione osmotica) che, in base alle variazioni di concentrazioni saline, si attivano stimolando la neuroipofisi.

Gli altri nove nuclei ipotalamici:

  • anteriore,
  • sopraottico,
  • paraventricolare,
  • periventricolare,
  • arcuato,
  • soprachiasmatico,
  • premammillare,
  • dorsomediale,
  • ventromediale

presentano dei neuroni detti parvocellulari, dai quali si dipartono i relativi assoni che vanno a terminare con bottoni sinaptici su capillari infundibolari, e permettono in tal modo il controllo della adenoipofisi (ipofisi anteriore). Questo meccanismo di tipo vascolare è detto sistema portale ipotalamo-ipofisario, e si attua tramite il rilascio da parte dell’ipotalamo dei cosiddetti fattori di rilascio (RH) come:

  • TRH per la tireotropina,
  • GnRH per la gonadotropina,
  • CRH per l’ormone adenocorticotropo,
  • GHRH per il fattore della crescita,

ma anche di fattori di inibizione (IF) che vengono riversati nei capillari. Intercettati dall’ipofisi, essi controllano la produzione e il rilascio dei corrispondenti ormoni ipofisari, i quali agiscono a loro volta sulla secrezione degli ormoni secreti dagli organi bersaglio.

Il rilascio dei fattori RH o IF è controllata da uno tipo di regolazione a feedback negativo: infatti, una diminuzione della concentrazione ematica degli specifici ormoni secreti dagli organi bersaglio farà aumentare il rilascio dei fattori RH; al contrario, un loro aumento provocherà una diminuzione del rilascio degli stessi fattori. Questo tipo di regolazione è molto importante e il suo malfunzionamento crea squilibri anche gravi nell’organismo.

Per quanto concerne il controllo che l’ipotalamo attua sul sistema nervoso parasimpatico, esso avviene mediante l’attivazione di ulteriori nuclei, posti nella parte anteriore dell’ipotalamo, il nucleo anteriore e il nucleo preottico. Questi nuclei sono responsabili di fenomeni come la bradicardia(diminuzione della frequenza dei battiti cardiaci al di sotto dei 60 bpm), incremento di salivazione e sudorazione, ipotensione (abbassamento della pressione arteriosa), a seguito di un incremento dell’attività parasimpatica (vedi sistema nervoso parasimpatico). Viceversa, quando un individuo è improvvisamente allarmato o eccitato, le aree cerebrali superiori inviano segnali ai nuclei posteriori dell’ipotalamo, che stimolano il simpatico. Questo provoca tachicardia (accelerazione del battito cardiaco), tachipnea (aumento della frequenza respiratoria), midriasi (dilatazione delle pupille), aumento di flusso di sangue ai muscoli. Questo tipo di reazione si chiama “reazione di lotta o fuga” ed è un tipico esempio delle funzioni che possono essere svolte dall’ipotalamo. In particolare, aree diverse stimolano reazioni diverse.

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Un ulteriore esempio di quanto detto può essere riscontrato nell’azione svolta nella termoregolazione: infatti, i nuclei anteriore e preottico sono detti “centri del raffreddamento”; viceversa il nucleo posteriore è detto “centro del riscaldamento”. Le cellule di cui sono composti sono sensibili alla variazione di temperatura corporea, dato che ricavano dalla temperatura del sangue che arriva al cervello. Se la temperatura è al di sotto dei 36 °C, l’ipotalamo anteriore reagisce liberando serotonina, la quale attiva il nucleo posteriore che, stimolando il simpatico, crea un innalzamento della temperatura. Viceversa se la temperatura è elevata, il nucleo posteriore libera noradrenalina o dopamina, che stimolano i nuclei situati nella zona anteriore dell’ipotalamo, i quali agiscono aumentando la sudorazione e la vasodilatazione periferica. Questi meccanismi favoriscono la dispersione di calore e, quindi, l’abbassamento della temperatura corporea.

Altri ruoli fondamentali svolti dall’ipotalamo sono la regolazione del sonno, ad opera del nucleo soprachiasmatico che ha in particolare la funzione di mantenere lo stato di veglia; il controllo dell’alimentazione ad opera dei nuclei ventromediale e ipotalamico laterale, che possono essere anche detti “centri della fame, della sazietà e della sete” data la loro funzione. Questa è resa possibile grazie agli impulsi derivanti da alcuni ormoni implicati nella regolazione del metabolismo (in particolare quello del glucosio, per cui gli ormoni più importanti che regolano questa attività sono insulina e leptine) ma anche dalle informazioni ricavate dagli enterocettori relative alla concentrazione di zuccheri e acqua nel sangue che, se troppo bassa, stimola il desiderio di mangiare e di bere.

L’ipotalamo è anche in grado di controllare emozioni, stati d’animo e umore, nonché anche il comportamento sessuale. Questo è possibile grazie alla connessione anatomica dell’ipotalamo con il talamo e il sistema limbico (il quale è un insieme funzionale di zone del cervello che regola impulsi e comportamenti emotivi, ma è anche legato alle funzioni organiche vegetative. D’altra parte, sembra essere una delle parti più “antiche” dal punto di vista evoluzionistico); in questa accezione, si può affermare che l’ipotalamo funge da “connessione” tra i due sistemi suddetti e la relativa risposta corporea. Infatti, stimolazioni di diversi centri dell’ipotalamo, come già detto, danno luogo anche in questo caso a risposte diverse: la stimolazione del nucleo posteriore produce risposte aggressive, viceversa accade se vengono stimolati i centri laterali.

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