Frequenza cardiaca normale, alta, bassa, a riposo e sotto sforzo

La frequenza cardiaca corrisponde al numero di battiti del cuore al minuto e si misura in “bpm”, cioè “battiti per minuto“. In italiano spesso si usa l’acronimo “Fc” per indicarla, mentre in inglese viene usato “Hr” (heart rate). Insieme alla temperatura corporea, la pressione sanguigna ed il ritmo respiratorio, la frequenza cardiaca è una delle funzioni vitali dell’essere umano e sue alterazioni possono compromettere il funzionamento normale dell’organismo, per tale motivo la sua misurazione è uno dei dati più importanti sia durante una normale visita medica di routine, sia – a maggior ragione – nelle emergenze, quando possono verificarsi arresti cardiaci.

Frequenza cardiaca: valori normali a riposo in neonati, bambini ed adulti

A riposo la frequenza cardiaca di un essere umano adulto è di circa 70 bpm nell’uomo e di circa 75 bpm nelle donne, mentre nei neonati la frequenza a riposo è di circa 100-180 bpm.

Età Frequenza cardiaca normale a riposo
Neonati da 90 a 180
Bambino da 80 a 100
Adolescenti da 70 a 120
Adulti da 60 a 90

Valori al di sotto di questi range di valori possono determinare una bradicardia che determina ridotto afflusso sanguigno agli organi vitali, tra cui il cervello (particolarmente “avido” di nutrimento sanguigno) e determinare sincope (cioè uno svenimento con perdita di sensi e caduta per perdita di tono posturale).

Frequenze cardiache al di sopra di questi range possono essere raggiunti anche da individui sani, quando compiono uno sforzo. I valori massimi possibili, raggiunti (salvo patologie) quando il soggetto è sottoposto a sforzo elevato e prolungato, variano da persona a persona in funzione dell’età, dello stato di salute generale e dell’allenamento (un giovane sportivo sano gestisce frequenze cardiache elevate più facilmente di un sedentario anziano con patologie).

Bradicardia nell’adulto < 60 battiti al minuto
Normale nell’adulto 60-90 battiti al minuto
Tachicardia nell’adulto > 90 battiti al minuto

Per approfondire:

Valori massimi possibili

Il cuore sotto sforzo aumenta la sua frequenza fino a un valore massimo. Tale valore può essere determinato in modo diretto solo mediante una specifica prova sotto sforzo. In alternativa alla misura diretta, la frequenza cardiaca massima può essere stimata con la formula di Cooper:

FC_max = 220 – età,

oppure con una formula più precisa (Tanaka H, Monahan, Seals), secondo cui:

FC_max = 208 – (0,7 × età).

La frequenza cardiaca massima è correlata ad altri parametri come la gittata sistolica, e la quantità massima di ossigeno che un individuo può utilizzare nell’unità di tempo. I valori massimi sono in riferimento ad attività continuative, potendosi reggere il carico massimo per un tempo indicativo di 10 minuti, che si riduce sensibilmente da persona a persona.

Patologie del ritmo cardiaco

Le irregolarità del battito cardiaco (aritmie) sono numerose: come già prima accennato, se la frequenza cardiaca è più alta della norma, si parla di tachicardia, se più bassa di bradicardia; sia tachicardia che bradicardia possono essere sia normali che patologiche.

Dove si misura la frequenza cardiaca?

La frequenza cardiaca può essere misurata palpando con uno o due dita l’arteria radiale (al polso), vedi foto in basso:

MEDICINA ONLINE POLSO RADIALE CUORE FREQUENZA CARDIACA BATTITI CARDIACI MISURARE NORMALI ALTI BASSI RIPOSO SFORZO  Pulse Locations Carotid Pulse medial sternocleidomastoid.jpg

oppure palpando l’arteria carotide (sul collo), vedi foto in basso:

MEDICINA ONLINE POLSO CAROTIDEO CUORE FREQUENZA CARDIACA BATTITI CARDIACI MISURARE NORMALI ALTI BASSI RIPOSO SFORZO  Pulse Locations Carotid Pulse medial sternocleidomastoid.jpgLa pressione applicata dev’essere leggera soprattutto in corrispondenza della carotide, ma abbastanza elevata per avvertire chiaramente la frequenza. Un polso “debole” può essere più difficile da misurare da personale non sanitario.

Con quali strumento si può misurare automaticamente la frequenza cardiaca?

La frequenza cardiaca può anche essere misurata facilmente con uno strumento chiamato “cardiofrequenzimetro“, molto utile in vari ambiti oltre quello medico, ad esempio quello sportivo. Un ottimo cardiofrequenzimetro, perfetto anche per il fitness, è questo: http://amzn.to/2DBxIZq

Anche i moderni pulsiossimetri (anche chiamati ossimetri o saturimetri) oltre alla quantità di emoglobina legata nel sangue, restituiscono anche il valore della frequenza cardiaca. Un esempio di pulsiossimetro è questo: http://amzn.to/2DtGJQ6

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Differenza tra svenimento e sincope

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Perdita di coscienza transitoria

Il “mancamento” indica la perdita momentanea di coscienza o, per essere più precisi, la “transitoria perdita di coscienza” determinata da varie cause diverse. Perdere la coscienza per alcuni secondi è generalmente un fatto non grave, tuttavia può diventare un fatto potenzialmente pericoloso in alcune situazioni: ad esempio se si sta guidando una vettura, si sta svolgendo un lavoro pericoloso o se nella caduta si sbatte la testa (o il femore, se il soggetto è anziano e/o con osteoporosi) con elevato rischio di trauma cerebrale e fratture ossee. Generalmente, in tempi variabili di circa poche decine di secondi, la perdita di cocienza cessa e la persona torna vigile spontaneamente. Il termine “transitoria” è molto importante, dal momento che se la perdita di coscienza non è transitoria, si parla di “coma”. Nella maggioranza dei casi una transitoria perdita di coscienza non è grave e può essere determinata da svariate condizioni e patologie benigne (anche una forte emozione, un calo glicemico o l’alzarsi repentinamente dalla posizione sdraiata possono determinarla), tuttavia – specie se il fenomeno si verifica di frequente – non va sottovalutato perché potrebbe essere il sintomo di una patologia cardiologica o nervosa.

Una perdita di coscienza transitoria può essere di vari tipi:

  • perdita di coscienza transitoria da svenimento o sincope: determinata da diminuito afflusso di sangue al cervello (da ipotensione, bradicardia, vasodilatazione) e caratterizzata da perdita tono posturale (il soggetto cade);
  • perdita di coscienza transitoria da ipoglicemia: determinata da diminuita concentrazione di zuccheri nel sangue (mentre invece il flusso sanguigno al cervello è normale, a differenza della sincope) e caratterizzata da perdita di tono posturale (il soggetto cade);
  • perdita di coscienza transitoria da epilessia: determinata da alcune forme di epilessia. In questo caso il flusso sanguigno cerebrale e la glicemia sono normali (a differenza dalla sincope e dalla perdita di coscienza da ipoglicemia), inoltre non c’è perdita di tono posturale (il soggetto non cade).

Perdita di coscienza transitoria da svenimento o sincope

Lo “svenimento”, che in medicina viene più correttamente chiamato “sincope” (i due termini sono sinonimi) è una condizione caratterizzata dalla improvvisa perdita della coscienza associata all’incapacità di mantenere la posizione eretta, conseguenza di una interruzione totale o parziale temporanea del flusso di sangue al cervello, che si risolve spontaneamente in tempi molto rapidi.  Una delle tipiche cause di svenimento è l’ipotensione arteriosa, cioè quella condizione in cui la pressione del sangue arterioso diminuisce oltre un certo limite, tale per cui il sangue non riesce ad essere spinto in modo adeguato ai tessuti cerebrali, che sono estremamente “avidi” ed “esigenti” in fatto di fabbisogno ematico (il cervello ha necessità di ricevere almeno 50 millilitri di sangue al minuto per ogni 100 grammi del suo tessuto, altrimenti si rischia lo svenimento).

Ricorda: Si parla di ipotensione se la pressione arteriosa sistolica (pressione massima) è minore di 100 mmHg o se la pressione arteriosa diastolica (minima) è minore 60 mmHg. Per approfondire leggi: Ipotensione arteriosa: cause, rischi e cura della pressione bassa

Le cause di ipotensione che possono portare a svenimento sono molte. Una causa tipica è l’ipotensione ortostatica che si verifica nel passaggio rapido in posizione eretta partendo da sdraiato, fatto questo che diminuisce la pressione arteriosa sistolica di anche 20 mmHg: tale improvvisa diminuzione di spinta ematica, priva il cervello del sangue necessario e può determinare svenimento, specie in soggetti già ipotesi e/o in anziani. Per approfondire leggi anche:

Esistono poi le ipotensioni arteriose neuromediate, un gruppo alquanto eterogeneo di condizioni la cui caratteristica comune è una temporanea iperattività del sistema nervoso autonomo o simpatico che, indipendentemente dalla nostra volontà, regola la pressione arteriosa mediante vasodilatazione e frequenza dei battiti cardiaci. Per effetto di questa iperattività il fisiologico controllo del circolo arterioso viene alterata e si determina bradicardia (rallentamento della frequenza cardiaca) o vasodilatazione (allargamento del diametro dei vasi sanguigni ) o entrambe le cose. La conseguenza di bradicardia e vasodilatazione è una improvvisa diminuzione della pressione arteriosa che porta a minor afflusso di sangue al cervello e svenimento.

Perdita di coscienza transitoria da calo glicemico

Anche un calo glicemico repentino che pure può dar luogo a perdita di coscienza transitoria e caduta, tuttavia non è classificabile come sincope in quanto la perfusione cerebrale (afflusso di sangue al cervello) rimane nella norma. Per approfondire, leggi: Differenza tra calo di zuccheri e calo di pressione: sono la stessa cosa?

Perdita di coscienza transitoria da epilessia

Anche alcune forme di epilessia possono determinare a perdita di coscienza transitoria, tuttavia – a differenza di sincope e calo glicemico, non si hanno alterazioni del flusso sanguigno cerebrale, diminuzione della glicemia e perdita del tono posturale.

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Differenza tra fibrillazione atriale e flutter

MEDICINA ONLINE ARITMIA TACHICARDIA BRADICARDIA ELETTROCARDIOGRAMMA NORMALE SANO PALPITAZIONI SEMEIOTICA CUORE CARDIACA ESAME OBIETTIVO AUSCULTAZIONE FONENDOSCOPIO ORECCHIO FOCOLAIO SUCULTAZIONECon “fibrillazione atriale” in medicina si intende una aritmia cardiaca, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), che origina dagli atri del cuore. È una complessa patologia elettrica degli atri  che presenta costantemente due caratteristiche principali:

  • l’attivazione elettrica rapida ed apparentemente caotica del tessuto atriale, che provoca il caratteristico sintomo di cuore “palpitante” ed è riscontrabile con un comune elettrocardiogramma (ECG);
  • se la fibrillazione atriale si prolunga nel tempo determina l’aumento del rischio tromboembolico, causato dal rallentamento del flusso ematico nel cuore che porta ad aumentato rischio di coagulazione. L’eventuale formazione di embolo può portare a ictus cerebrale o infarto del miocardio.

La fibrillazione atriale è il risultato di un gran numero di disordini cardiaci ed extracardiaci: da malattie strutturali, come le valvulopatie e le cardiomiopatie, all’ipertensione arteriosa, a malattie genetiche ereditarie, a ernia iatale, patologie della tiroide, ai distiroidismi, fino ai casi in cui non è possibile determinare la causa, detti idiopatici.

Con “flutter atriale” si intende una “aritmia ectopica sopraventricolare” cioè una: aritmia (alterazione del ritmo cardiaco sinusale) ectopica (che origina da un sito diverso dal normale pacemaker fisiologico, il nodo del seno atriale) sopraventricolare (cioè ad origine atriale) con contrazione degli atri estremamente rapida: la frequenza atriale in corso di flutter può arrivare anche a superare i 300 impulsi al minuto. Gli impulsi sono irregolari e compaiono all’improvviso, quasi sempre senza alcun sintomo premonitore. Generalmente si instaura un blocco nella conduzione atrioventricolare, per cui la frequenza percepita è normalmente di circa 150 battiti al minuto. A causa del rallentamento della conduzione dell’impulso attraverso il nodo atrioventricolare, non tutte le attività elettriche del flutter si trasmettono dagli atri ai ventricoli. Generalmente il rapporto tra l’attività elettrica degli atri e quella dei ventricoli è 2:1 (cioè due attività atriali ed una ventricolare), talvolta 3:1 o 3:2, molto raramente 1:1 (di solito quando la frequenza del flutter è stata portata, attraverso la somministrazione di farmaci, sotto i 200 battiti al minuto).

La fibrillazione atriale e il flutter atriale sono più comuni fra gli anziani e i soggetti affetti da una cardiopatia. La fibrillazione atriale è molto più comune del flutter atriale. Molti soggetti con flutter atriale manifestano altresì episodi di fibrillazione atriale. La fibrillazione atriale e il flutter atriale possono comparire e risolversi a intervalli alterni o essere continui.

Cause

In entrambe le aritmie le cause possono essere molto varie. Si possono sviluppare entrambe in un cuore sano, in forma generalmente isolata, spesso legate a stress, abuso di caffè, droghe e fumo di sigarette. Possono anche presentarsi anche a causa di varie patologie, come le cardiopatie o l’ipertiroidismo. In alcuni casi la causa dell’aritmia non è nota e prende il nome di “idiopatica”.

Caratteristiche dell’aritmia

Rispetto alla fibrillazione atriale, le modificazioni del ritmo del flutter atriale sono meno marcate. Infatti, se durante una fibrillazione atriale la frequenza del battito cardiaco atriale può raggiungere i 400 battiti al minuto, durante un flutter atriale la frequenza del battito cardiaco atriale si innalza solitamente tra i 200 ed i 200 battiti al minuto. Una frequenza inferiore si traduce in un numero inferiore di impulsi di contrazione. Pertanto, ciò che cambia rispetto ad una fibrillazione atriale è anche il maggior tempo concesso al muscolo del cuore (il miocardio) per “ricaricarsi” e tornare recettivo ad un nuovo stimolo (tempo di refrattarietà). Questo lasso di tempo permette al battito di risultare meno disordinato.
Un’altra importante differenza tra flutter e fibrillazione, riguarda l’impatto che hanno sul ventricolo. Durante queste due forme aritmiche, parte degli impulsi viene bloccata a livello del nodo atrioventricolare, che ferma parte degli impulsi diretti verso il ventricolo. Questo blocco è assai maggiore nel flutter atriale, tanto che la contrazione ventricolare può essere anche ¼ di quella atriale. Il medico, infatti, definisce il flutter con le dizioni di 2:1, 3:1 o 4:1, per indicare che può passare per il blocco atrioventricolare uno stimolo, rispettivamente, ogni 2, ogni 3 o ogni 4. Le conseguenze del blocco atrioventricolare riguardano la gittata cardiaca, che sarà più o meno influenzata in base al numero degli stimoli che raggiungono il ventricolo. Può apparire complicato comprendere questo dettaglio, ma è assai importante dal punto di vista sintomatologico: infatti, maggiore è la frequenza ventricolare, più evidenti sono i sintomi. In altre parole, la frequenza ventricolare può variare notevolmente, da 180 battiti per minuto a meno di 100. Il fatto che la frequenza ventricolare possa rientrare nell’intervallo di normalità, non deve stupire: spesso accade che il flutter passi inosservato proprio per questo motivo.

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Sintomi

I sintomi della fibrillazione o del flutter atriale dipendono in gran parte dalla velocità di contrazione ventricolare. Quando la frequenza ventricolare è normale o solo lievemente aumentata (inferiore a circa 120 battiti al minuto), il soggetto rimane generalmente asintomatico. Valori più alti causano fastidiose palpitazioni o sensazione di fastidio in sede toracica. Nei soggetti con fibrillazione atriale, il polso è irregolare e, solitamente, rapido. Nei soggetti con flutter atriale, il polso è generalmente rapido e può essere regolare o irregolare. La ridotta capacità di pompaggio del cuore può causare debolezza, svenimento e difficoltà respiratorie. Quando la frequenza cardiaca è molto aumentata, alcuni soggetti, specialmente gli anziani e i cardiopatici, sviluppano insufficienza cardiaca o dolore toracico. Molto raramente questa categoria di soggetti può sviluppare shock (pressione arteriosa molto bassa, Shock).

Complicanze

Le principali complicanze di entrambe le aritmie, comprendono:

  • aumento del rischio di formazione di coaguli di sangue negli atri;
  • elevata frequenza cardiaca, con conseguente ridotta gittata cardiaca

In caso di fibrillazione o flutter atriale, lo svuotamento atriale nei ventricoli non avviene in modo completo. Nel tempo, una certa quantità di sangue può ristagnare all’interno degli atri, rendendo possibile la formazione di coaguli. A volte il coagulo può frammentarsi, spesso poco dopo il termine della fibrillazione atriale e il ripristino del ritmo normale, avvenuto in modo spontaneo o grazie alla terapia. I frammenti possono passare nel ventricolo sinistro, viaggiare attraverso il torrente ematico (causando un’embolia) e ostruire una piccola arteria. Se i frammenti di un coagulo ostruiscono una coronaria, si verifica infarto del miocardio, se ostruiscono invece un’arteria cerebrale, si verifica un ictus cerebrale. Solo di rado, un ictus rappresenta il primo sintomo di una fibrillazione o di un flutter atriale.

Quando la fibrillazione o il flutter atriale induce un eccessivo aumento della frequenza cardiaca, i ventricoli non hanno tempo sufficiente per riempirsi completamente di sangue. Il mancato completo riempimento provoca una riduzione della quota ematica pompata dal cuore. Questo calo può indurre un abbassamento della pressione arteriosa con conseguente insorgenza di insufficienza cardiaca.

Diagnosi

I sintomi suggeriscono la diagnosi di fibrillazione o flutter atriale e l’elettrocardiogramma (ECG) la conferma. Si procede a un’ecografia del cuore (ecocardiogramma). Questo esame consente ai medici di valutare le valvole cardiache e verificare l’eventuale presenza di coaguli di sangue negli atri. In genere, si prescrivono anche esami del sangue finalizzati a verificare eventuale ipertiroidismo.

Terapie

La terapia di una aritmia va scelta caso per caso in base alla causa che la determina.
Come intervento immediato nel flutter è utile la cardioversione sincronica con corrente diretta a bassa energia, sempre minori di 50 joule; come terapia farmacologica si usano generalmente farmaci betabloccanti e calcioantagonisti per rallentare l’alta frequenza. I pazienti con fibrillazione atriale traggono giovamento dall’impianto di un pacemaker definitivo o dall’ablazione transcatetere con radiofrequenza: questa metodica attualmente è efficace in circa il 70% dei casi.

Rallentamento della frequenza cardiaca

Di solito, il primo passo nel trattamento della fibrillazione o del flutter atriale consiste nel rallentare la frequenza ventricolare in modo tale che il cuore pompi sangue in modo più efficace. Spesso, il primo tentativo di terapia farmacologica si compie con la somministrazione di un bloccante dei canali del calcio, come il diltiazem o il verapamil, che potrebbe rallentare la conduzione degli impulsi ai ventricoli. Può trovare impiego un beta-bloccante, come propranololo o atenololo. Nei soggetti con insufficienza cardiaca, può essere somministrata la digossina.

Ripristino del ritmo

La fibrillazione o il flutter atriale possono convertirsi spontaneamente in un ritmo cardiaco normale. In alcuni soggetti, queste aritmie devono essere convertite attivamente in un ritmo normale. In questa particolare popolazione sono compresi i soggetti in cui la fibrillazione atriale o il flutter atriale provochi insufficienza cardiaca o altri sintomi di bassa gittata cardiaca. Prima della conversione, la frequenza cardiaca deve essere rallentata su un valore inferiore a 120 battiti al minuto. Inoltre, poiché esiste un alto rischio di frantumazione di un coagulo di sangue con conseguente provocazione di ictus in corso di conversione, devono essere adottate misure volte a prevenire la formazione di coaguli. Se la fibrillazione o il flutter atriale è presente da oltre 48 ore, i medici somministrano un anticoagulante, come il warfarin, per 3 settimane prima di tentare la conversione. In alternativa, possono somministrare un anticoagulante ad azione breve, come l’eparina, e sottoporre il paziente a ecocardiogramma. Se l’ecocardiogramma non mostra la presenza di coaguli nel cuore, il paziente può essere sottoposto a immediata conversione. Se il ritmo è chiaramente presente da meno di 48 ore, il paziente non necessita di terapia anticoagulante prima della conversione. Tuttavia, l’anticoagulante deve essere assunto per almeno 4 settimane dopo la conversione in tutti i soggetti. I metodi di conversione comprendono:

  • shock elettrico (cardioversione sincronizzata);
  • farmaci.

Lo shock elettrico al cuore è l’approccio più efficace. Lo shock elettrico è sincronizzato per essere erogato solo a un punto determinato dell’attività elettrica cardiaca (cardioversione sincronizzata), in modo tale che non induca fibrillazione atriale. La cardioversione è efficace nel 75-90% dei casi.

Anche certi farmaci antiaritmici (più comunemente, l’amiodarone, il flecainide, il propafenone o il sotalolo) possono ripristinare il normale ritmo. Tuttavia, questi farmaci sono efficaci solo nel 50-60% dei soggetti e spesso causano effetti collaterali.  La conversione a un ritmo normale con qualunque mezzo, diventa meno probabile con il passare del tempo (in special modo, dopo 6 mesi o più dalla comparsa dell’aritmia), la dilatazione progressiva degli atri e l’aggravamento della patologia di base. Quando la cardioversione avviene con successo, il rischio di recidiva resta alto, anche quando i soggetti assumono un farmaco specifico per la prevenzione (ovvero, uno dei farmaci utilizzati per convertire l’aritmia ad un ritmo normale).

Distruzione del nodo atrioventricolare

Raramente, quando tutti gli altri trattamenti per la fibrillazione atriale sono inefficaci, parte del nodo atrioventricolare può essere distrutta mediante ablazione a radiofrequenze (erogazione di energia a una specifica frequenza mediante l’impiego di un elettrocatetere inserito nel cuore). Questa procedura induce un arresto totale dell’attività di conduzione dagli atri ai ventricoli e rallenta la frequenza ventricolare. In tal caso, si rende necessario l’impianto di un pacemaker artificiale permanente per riattivare successivamente i ventricoli. Un altro tipo di procedura ablativa distrugge il tessuto atriale adiacente alle vene polmonari (isolamento venoso polmonare). L’isolamento venoso polmonare risparmia il nodo atrioventricolare ma è meno efficace (60-80%) e il rischio di serie complicanze è significativo (1-5%). Di conseguenza, questa procedura è spesso riservata ai soggetti associati a una maggiore probabilità di risposta, ovvero a pazienti giovani con fibrillazione atriale che non rispondono al trattamento farmacologico e che non presentano altre serie cardiopatie. Nel flutter atriale, è possibile utilizzare l’ablazione con radiofrequenze per interrompere il circuito di flutter e ristabilire un ritmo normale permanente. Tale procedura è efficace nel 90% circa dei soggetti.

Prevenzione di coaguli di sangue

L’adozione di misure volte a prevenire la formazione di coaguli di sangue (e quindi l’ictus) si rende necessaria in caso di conversione della fibrillazione o del flutter atriale al ritmo normale. La maggioranza dei pazienti necessita, in genere, di questo tipo di procedure in corso di trattamento a lungo termine. I medici somministrano di norma un anticoagulante come il warfarin, il dabigatran o un inibitore del fattore della coagulazione Xa. Ai soggetti cui non possa essere somministrato l’anticoagulante può essere prescritta l’aspirina, che però non è efficace quanto il warfarinSoggetti altrimenti sani che avevano manifestato un solo episodio di fibrillazione atriale convertita al normale ritmo (spontaneamente o con trattamento) devono assumere il trattamento anticoagulante per sole 4 settimane. I soggetti che abbiano manifestato più episodi di fibrillazione o flutter atriale, o che mantengono ritmi alterati nonostante il trattamento, devono essere sottoposti a terapia farmacologica volta a prevenire la formazione di coaguli a tempo indefinito. I medici prescrivono il warfarin e altri anticoagulanti per soggetti che presentano uno o più fattori di rischio per sviluppo di ictus. Tali fattori di rischio sono età pari o superiore ai 65 anni, ipertensione arteriosa, diabete, insufficienza cardiaca, pregresso ictus o attacco ischemico transitorio, cardiopatia reumatica (specialmente valvulopatie mitraliche) e valvola cardiaca artificiale. Ai soggetti senza fattori di rischio viene somministrata aspirina. Anche dopo la conversione da fibrillazione o flutter atriale a ritmo normale, i medici generalmente proseguono il trattamento anticoagulante, spesso per il resto della vita del soggetto. Questo trattamento anticoagulante è necessario perché l’aritmia può ripresentarsi senza che il soggetto ne sia consapevole. Durante questi episodi possono formarsi coaguli pericolosi.

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Differenza tra tachicardia e fibrillazione atriale e ventricolare

MEDICINA ONLINE CUORE ELETTROCARDIOGRAMMA SINUSALE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE ECG FIBRILLATOREIl cuore è un muscolo che ha come compito fondamentale quello di far circolare il sangue in tutto il corpo e per raggiungere tale obiettivo si contrae in maniera adeguata grazie ad un circuito elettrico, detto sistema eccito-conduzione, che attiva e regola la contrazione cardiaca. Tale contrazione è regolata, dal punto di vista temporale:

  • nella frequenza (cioè nel numero di contrazioni al minuto);
  • nel ritmo (cioè nella pari distanza temporale tra un battito ed il successivo, rispetto a tutti gli altri battiti, che si traduce nella regolarità delle contrazioni).

Normalmente la frequenza cardiaca varia tra i 60 e i 100 battiti al minuto e le contrazioni si susseguono in modo regolare e ritmico (ad esempio distanziate sempre da un secondo una dall’altro nel caso di una frequenza di 60 battiti al minuto), con solo leggere variazioni fisiologiche legate alla respirazione (i battiti tendono a rallentare durante una espirazione profonda). Alterazioni fisiologiche o ritardi/blocchi dell’impulso elettrico che si verificano in varie patologie, vanno ad alterare uno od entrambi questi fattori, determinando appunto aritmia. L’aritmia cardiaca è quindi un disturbo:

  • della frequenza cardiaca aumentata (tachicardia) in cui la frequenza supera i 100 battiti al minuto a riposo;
  • della frequenza cardiaca diminuita (bradicardia) in cui la frequenza è inferiore ai 60 battiti al minuto a riposo.
  • del ritmo cardiaco, in cui i battiti non sono ritmici (ad esempio: fibrillazione atriale o ventricolare).

Tali alterazioni sono riscontrabili semplicemente grazie al polso radiale o un elettrocardiogramma (ECG). E’ importante ricordare che non tutte le aritmie sono determinate da patologie. Un aumento fisiologico della frequenza cardiaca si verifica ad esempio compiendo un grosso sforzo o durante la gravidanza, mentre è abbastanza frequente riscontrare una bradicardia fisiologica in atleti e sportivi particolarmente allenati.

Con “fibrillazione atriale” in medicina si intende una aritmia cardiaca, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), che origina dagli atri del cuore. È una complessa patologia elettrica degli atri che presenta costantemente tre caratteristiche principali:

  • l’attivazione elettrica rapida ed apparentemente caotica del tessuto atriale, che provoca il caratteristico sintomo di cuore “palpitante” ed è riscontrabile con un comune elettrocardiogramma (ECG);
  • la diminuita efficienza dell’attività di pompa del cuore (diminuzione della gittata cardiaca);
  • se la fibrillazione atriale si prolunga nel tempo determina l’aumento del rischio tromboembolico, causato dal rallentamento del flusso ematico nel cuore che porta ad aumentato rischio di coagulazione. L’eventuale formazione di embolo può portare a ictus cerebrale o infarto del miocardio.

La fibrillazione atriale è il risultato di un gran numero di disordini cardiaci ed extracardiaci: da malattie strutturali, come le valvulopatie e le cardiomiopatie, all’ipertensione arteriosa, a malattie genetiche ereditarie, a ernia iatale, patologie della tiroide, ai distiroidismi, fino ai casi in cui non è possibile determinare la causa, detti idiopatici.

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Con “fibrillazione ventricolare” (FV o VF) in medicina si intende una gravissima aritmia che si caratterizza per un ritmo cardiaco rapidissimo, caotico e disorganizzato che origina dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono il cuore incapace di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso, portando ad un arresto cardiaco. I tessuti corporei e cerebrali, durante un arresto cardiaco, non sono più perfusi da sangue ed ossigeno: questo comporta una veloce perdita di coscienza e delle capacità respiratorie. Un arresto cardiaco è una urgenza medica: se non si interviene immediatamente con la rianimazione cardiopolmonare e con un defibrillatore, nel giro di pochissimi minuti provoca danni permanenti al cervello e – successivamente – il decesso del paziente. L’arresto cardiaco improvviso è una delle principali cause di morte nel mondo industrializzato, dove la maggior parte delle volte è secondario ad infarto miocardico acuto.

Da quanto detto entrambi i tipi di fibrillazione sono aritmie – una ad origine dagli atri, l’altra ad origine dai ventricoli, entrambe ben visibili con un elettrocardiogramma – tuttavia la differenza è sostanziale: mentre la fibrillazione atriale, pur di lunga durata, può rappresentare un problema di aumentato rischio di formazione di emboli, è la fibrillazione ventricolare ad essere estremamente più grave dal momento che in essa la capacità del cuore di pompare sangue è totalmente inefficiente (mentre nella fibrillazione atriale è – pur se in parte – conservata). La fibrillazione ventricolare porta di fatto ad un arresto cardiaco che è una urgenza medica: il mancato ritorno ad un ritmo sinusale (tramite cardioversione con defibrillatore, massaggio cardiaco o pugno precordiale) porta al decesso del paziente.

Dovrebbe ora essere anche chiara la differenza tra “aritmia” ed i tue tipi di fibrillazione: questi ultimi sono un tipo particolare di aritmia. Tutte le fibrillazioni (atriali e ventricolari) sono aritmie, ma non tutte le aritmie sono fibrillazioni.

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Extrasistole: a riposo, ansia, sono pericolose, cure e gravidanza

MEDICINA ONLINE CUORE ELETTROCARDIOGRAMMA SINUSALE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE ECG FIBRILLATORE.jpgCon “extrasistole” in medicina si intende un battito cardiaco prematuro, che avviene prima del previsto andando così ad alterare la fisiologica successione regolare dei battiti cardiaci tipici del “ritmo sinusale” (cioè il ritmo cardiaco normale). L’impulso cardiaco normale nasce dal nodo seno-atriale (il pacemaker naturale del cuore), invece, nelle extrasistoli, l’impulso origina da sedi diverse dette sedi ectopiche e tale diversa origine dà avvio al battito prematuro. Tali contrazioni anomale, o extrasistoli, sono separate dalla successiva contrazione regolare da una pausa più lunga del normale.In mancanza di una conferma elettrocardiografica che permetta una diagnosi differenziale, un episodio di extrasistolia prolungata può essere scambiato per fibrillazione atriale (in questo caso il ritmo cessa di essere sinusale), anche se generalmente la seconda tende a durare più a lungo.

Raramente le extrasistoli possono dare l’innesco ad aritmie sostenute: un’extrasistole atriale può dare inizio a una tachicardia parossistica sopraventricolare, a un flutter, a una fibrillazione atriale o a una tachicardia giunzionale; un’extrasistole ventricolare può scatenare una tachicardia da rientro AV o una tachicardia ventricolare. In rari casi, cioè quando sono presenti in numero estremamente elevato (molte migliaia al giorno), le extrasistoli potrebbero determinare lo sviluppo di una cardiomiopatia dilatativa. In tali casi, la riduzione o l’eliminazione delle extrasistole (ad esempio tramite ablazione radioelettrica) determina solitamente la progressiva regressione della cardiomiopatia, nelle fasi iniziali della patologia.

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Tipi di extrasistole

Le extrasistoli possono essere:

  • isolate: quando l’extrasistole compare in maniera sporadica, con un singolo battito prematuro inserito in un ritmo normale;
  • non isolate: l’extrasistole compare più volte.

Esempi di extrasistoli non isolate, sono:

  • extrasistoli bigemine: compaiono dopo ogni battito sinusale;
  • extrasistoli trigemine: compaiono ogni due battiti sinusali.

Le extrasistoli possono presentarsi anche sotto forma di “scariche”:

  • coppia di extrasistoli;
  • tripletta di extrasistoli;
  • più extrasistoli (extrasistoli “a salve”).

In genere, a una extrasistole fa seguito una pausa che può essere:

  • compensatoria: se la somma del periodo dell’extrasistole più la pausa è uguale a due cicli sinusali);
  • non compensatoria: se la somma del periodo dell’extrasistole più la pausa è minore a due cicli sinusali.

Le extrasistoli che originano dall’atrio hanno di solito una pausa non compensatoria, quelle ad origine ventricolare hanno invece una pausa compensatoria. L’extrasistole viene detta “extrasistole interpolata” se non vi è pausa, se cioè l’extrasistole si inserisce semplicemente fra due battiti sinusali successivi.

In base alla sede di origine, le extrasistoli vengono comunemente distinte  in extrasistoli atriali, giunzionali e ventricolari.

  • Extrasistoli atriali: all’ECG questi impulsi anomali appaiono come onde P premature, con morfologia differente rispetto alle onde P sinusali. Gli impulsi possono arrivare ai ventricoli attraverso le normali vie di conduzione (in tal caso alla P anomala segue un regolare complesso QRS), oppure possono bloccarsi nel nodo AV che si trova ancora in periodo refrattario (extrasistole atriale non condotta). Oppure possono giungere ai ventricoli in un momento in cui il nodo AV è uscito dal periodo refrattario, ma una delle due branche si trova ancora in fase refrattaria; in tal caso lo stimolo raggiungerà i ventricoli attraverso l’altra branca, per cui si verifica un complesso ventricolare con morfologia tipo blocco di branca. Questo tipo di conduzione viene definito “aberranza”, per cui si parla di extrasistole atriale condotta con aberranza.
  • Extrasistoli giunzionali: l’impulso origina nel fascio di His e va ai ventricoli dando luogo a un complesso QRS di morfologia regolare. Può verificarsi la retroattivazione degli atri, o lo stimolo può estinguersi, “scontrandosi” con quello sinusale nel nodo seno-atriale.
  • Extrasistoli ventricolari: in questo tipo di contrazioni premature (sovente abbreviate in CVP o Contrazione Ventricolare Prematura) l’impulso origina nei ventricoli, a valle della biforcazione del fascio di His. All’ECG si rilevano complessi QRS larghi, non preceduti dall’onda P e pertanto chiaramente distinguibili da quelli sinusali. Anche in questo caso può verificarsi o non verificarsi la retroattivazione degli atri.

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In quali condizioni si verifica?

Questo disturbo del ritmo cardiaco può osservarsi sporadicamente in soggetti sani di qualsiasi età, anche nei bambini. In soggetti sani, la maggior probabilità di singoli eventi autoconclusivi di extrasistole compaiono in caso di:

  • ansia;
  • stress;
  • astenia (stanchezza);
  • sforzi fisici intensi;
  • mancanza prolungata di sonno;
  • consumo di elevate quantità di sigarette;
  • uso di stupefacenti;
  • abuso di caffè e tè.

In soggetti assolutamente sani le extrasistoli possono comparire frequentemente dopo un pasto abbondante (extrasistole post-prandiale), e possono essere legate a distensione del fondo gastrico o alla presenza di un’ernia iatale.

Extrasistoli in gravidanza: c’è pericolo per il feto?

Anche donne che non hanno mai avuto episodi di extrasistole, possono “subirne” uno o più di uno durante la gravidanza: ciò è un fatto piuttosto comune dal momento che la gravidanza apporta una serie di cambiamenti fisiologici importanti, e tali cambiamenti potrebbero influenzare anche il lavoro cardiovascolare, e provocare appunto la classica extrasistole. Inoltre l’ansia e stress, assolutamente “normali” durante la gravidanza, possono aumentare la possibilità di aritmie. Le future mamme devono stare tranquille, perché episodi sporadici di extrasistole non sono pericolosi per il feto. Diverso è il discorso nel caso le aritmie durino a lungo e si ripresentino più volte nell’arco della giornata: in quel caso è conveniente avvertire il proprio ginecologo e consultare un cardiologo per una visita più approfondita che escluda patologie.

In quali patologie si verifica?

Quello che abbiamo appena chiarito non deve però farci sottovalutare la presenza di extrasistoli, specie se compaiono più volte e durano a lungo: anche se raramente, le extrasistoli possono infatti essere campanello di allarme di varie patologie:

  • malattie cardiache,
  • disturbi elettroliticoi(ad es. carenza di potassio),
  • alterazioni ormonali,
  • malattie della tiroide (ipotiroidismo),
  • intossicazione da digitale,
  • patologie della colecisti.

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Quando preoccuparsi?

Come già anticipato, una extrasistole sporadica non ci deve far troppo preoccupare. Diverso è il discorso nel caso di episodi di extrasistolie prolungate e spesso recidivanti: in questo caso la condizione abbisogna di ulteriori chiarimenti, specie se associata ad altri sintomi come ad esempio:

  • dolore al petto,
  • costrizione toracica,
  • improvvisa mancanza di forza,
  • perdita di coscienza.

La condizione potrebbe essere tanto più pericolosa quanto siano presenti:

  • altre condizioni o patologie di interesse cardiologico;
  • casi in famiglia di malattie cardiache (aritmie, infarto del miocardio…);
  • sovrappeso od obesità;
  • episodi frequenti e prolungati di extrasistolia, soprattutto se compaiono senza nessuna apparente causa (ad esempio senza sforzi, senza ansia, senza consumo eccessivo di caffè).

Sintomi di extrasistole

L’extrasistole può non provocare alcun sintomo nel paziente che si sente bene e può non accorgersi mai delle contrazioni anomale del suo ritmo cardiaco, specie se è solo una ed il soggetto in quel momento è distratto da qualche attività. Più spesso invece determina una sensazione spiacevole, descritta come un “battito più forte di altri” alla regione precordiale, un “tuffo al cuore”, una sensazione di apparente arresto/ripresa del battito che crea una profonda ansia – specie se si avverte per la prima volta – ed una generale sensazione di instabilità corporea in questi casi, infatti, il paziente – specie l’anziano – tende a cercare un appoggio.

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Diagnosi di extrasistole

L’esame del polso permette di apprezzare, intercalate alle pulsazioni normali, pulsazioni di scarsa ampiezza, anticipate, seguite da una pausa più o meno lunga e quindi da una pulsazione più energica. Per lo studio delle extrasistoli è tuttavia indispensabile l’esame elettrocardiografico, che consente di stabilirne con esattezza la sede d’origine, la posizione nel ciclo cardiaco, il modo di raggrupparsi, se cioè sono isolate “a salve” o se si inseriscono regolarmente nel ciclo cardiaco, dando luogo ad un ritmo bigemino o trigemino. Grazie al tracciato dell’elettrocardiogramma si può quindi capire cause ed impostare conseguenti terapie delle extrasistoli.

Alterazioni elettrocardiografiche nell’extrasistolia

L’ECG permette di rilevare un complesso QRS prematuro. In base alle sue caratteristiche, si può distinguere l’origine dell’extrasistole.

  • Se il QRS prematuro è preceduto da un’onda P, l’extrasistole è sicuramente atriale. Se non è preceduto da onda P, si può determinare l’origine dell’extrasistole dalla larghezza del QRS.
  • Se il complesso QRS è stretto, l’extrasistole è atriale. Se è largo, ma ugualmente preceduto da un’onda P anomala, l’extrasistole è atriale ma verosimilmente ha trovato una delle branche del fascio di His ancora in periodo refrattario ed è stata condotta ai ventricoli con aberranza (“blocco di branca funzionale”).
  • Se vi sono più complessi QRS prematuri, e tutti presentano la stessa morfologia e lo stesso ritardo, si parla di extrasistoli monomorfe, hanno un solo focus d’origine ectopica e possono manifestarsi in soggetti sani o possono essere sintomo di una cardiopatia sottostante; al contrario, se i complessi QRS hanno morfologia differente, si parla di extrasistoli polimorfe, possiedono diversi centri ectopici ed hanno quasi sempre genesi organica, molte volte indicano la presenza di un danno miocardico.
  • Se si riscontrano extrasistoli isolate, monomorfe, in un paziente con un’obiettività cardiovascolare normale, le extrasistoli non hanno alcun significato e il paziente non ha bisogno di ulteriori indagini.

Terapia delle extrasistoli

Le extrasistoli sporadiche in soggetti sani, sono solitamente autoconclusive e non necessitano di alcuna cura. Le extrasistoli tendono a scomparire in seguito a generiche cure sedative contro l’ansia, associate a misure igieniche e dietetiche, maggior riposo, pasti regolari e leggeri e un adeguato movimento fisico. La terapia nei casi più gravi, recidivanti ed invalidanti fa uso di farmaci quali la chinidina, la procainamide, l’ajmalina.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Aritmia cardiaca: cause e fattori di rischio, sintomi, diagnosi e cura

MEDICINA ONLINE ARITMIA TACHICARDIA BRADICARDIA PALPITAZIONI SEMEIOTICA CUORE CARDIACA ESAME OBIETTIVO AUSCULTAZIONE FONENDOSCOPIO ORECCHIO FOCOLAIO SUCULTAZIONE POLMONARE AORTICO MITRALICO TRICUSPIDALE.jpgIl cuore è un muscolo che ha come compito fondamentale quello di far circolare il sangue in tutto il corpo. In esso è presente un circuito elettrico, detto sistema eccito-conduzione, che attiva e regola la contrazione cardiaca. Normalmente la frequenza cardiaca varia tra i 60 e i 100 battiti al minuto e le contrazioni si susseguono in modo regolare e ritmico, con solo leggere variazioni fisiologiche legate alla respirazione (i battiti tendono a rallentare durante una espirazione profonda).

L’aritmia cardiaca è un disturbo:

  • del ritmo cardiaco, in cui i battiti non sono ritmici (ad esempio: fibrillazione atriale);
  • della frequenza cardiaca aumentata (tachicardia) in cui la frequenza supera i 100 battiti al minuto a riposo;
  • della frequenza cardiaca diminuita (bradicardia) in cui la frequenza è inferiore ai 60 battiti al minuto a riposo.

L’aritmia cardiaca si verifica quando si ha un ritardo o un blocco dei segnali elettrici che controllano il battito cardiaco. Ciò accade quando le speciali cellule nervose che producono i segnali elettrici non lavorano correttamente o se il segnale non viaggia in modo normale attraverso il cuore. A tal proposito leggi: Come si muove l’impulso elettrico cardiaco nel cuore?

Un’ aritmia può verificarsi anche in seguito alla produzione di un segnale elettrico all’interno del cuore, che si aggiunge al segnale prodotto dalle cellule nervose deputate.

CAUSE E FATTORI DI RISCHIO

Tra i fattori di rischio più ricorrenti di un’aritmia, vi sono:

  • fumo;
  • abuso di alcol;
  • abuso di caffè o tè;
  • uso di droghe (es. cocaina e amfetamine);
  • effetti collaterali legati all’uso di alcuni farmaci;
  • disturbi digestivi;
  • BPCO (bronco pneumopatia cronico ostruttiva);
  • un forte stress emozionale (paura, tristezza, ira…)
  • un incremento dei valori della pressione sanguigna
  • il rilascio di particolari ormoni dello stress;
  • un infarto cardiaco;
  • condizioni mediche pregresse (ipertensione, patologie coronariche, disfunzioni tiroidee che portano all’iperproduzione o all’ipoproduzione di ormone tiroideo, patologie reumatiche del cuore).

In alcune forme di aritmia (es. la Sindrome di Wolff-Parkinson-White) possono essere convolti fattori di malfunzionamento cardiaco di tipo congenito, quindi presenti dalla nascita.

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SINTOMI

Le diverse forme di aritmia si manifestano con sintomi simili: palpitazioni, senso di debolezza, affanno e, in caso di fibrillazione atriale, sensazione particolare al petto, descritto come “tuffo al cuore” o “cuore che salta”. La sincope (perdita di coscienza di breve durata) sopraggiunge in caso di insufficiente irrorazione sanguigna del cervello (brachicardia con meno di 20 battiti al minuto o tachicardia improvvisa con una frequenza superiore a 200 battiti al minuto). Il paziente, se coricato con gambe sollevate, riacquista rapidamente conoscenza. Se però non riprende i sensi, si tratta di emergenza con pericolo di arresto cardiaco, in quel caso si rendono necessarie misure d’urgenza per salvare la vita: massaggio cardiaco, respirazione artificiale, defibrillazioni ecc. quindi potrebbe essere di vitale importanza recarsi immediatamente al pronto soccorso.

DIAGNOSI

Per una diagnosi precisa, il cardiologo ha la disponibilità di alcuni esami medici. Gli esami del sangue (marker cardiaci) misurano l’eventuale danno del cuore, i livelli di zuccheri (glicemia) e di ormoni tiroidei (TSH, T3 e T4). Nelle donne giovani, infatti, l’aritmia cardiaca può essere causata dalla tiroide che funziona troppo (ipertiroidismo) o dall’anemia. L’elettrocardiogramma (ECG) registra gli impulsi elettrici del cuore e serve per capire di quale tipo di artrite si soffre. Se le aritmie sono frequenti, il medico può chiedere di indossare un ECG portatile (Holter) per 24 ore consecutive. L’ecocardiogramma con gli ultrasuoni evidenzia le dimensioni del cuore e delle valvole cardiache; mentre una radiografia del torace aiuta a scoprire se la causa dell’aritmia cardiaca è un problema legato ai polmoni. Se l’aritmia cardiaca inizia durante o dopo l’attività fisica, il medico può prescrivere un test da sforzo, che valuta come reagisce il cuore all’affaticamento fisico. L’attività cardiaca è registrata mentre si è sopra una cyclette o su un tapis roulant. Se l’artrite compare durante il test, significa che al cuore non arriva abbastanza sangue e bisogna verificare la salute delle arterie.

CURA

Le aritmie non disturbanti di solito non necessitano di trattamenti. Se però il disturbo è frequente, si può optare per una terapia: in caso di extrasistoli, con farmaci leggermente sedativi. Se non si ottengono risultati, si procede con farmaci antiaritmici. Le tachicardie sopraventricolari si cerca di interromperle quando si sono già manifestate con farmaci antiaritmici o con l’esecuzione di manovre particolari come l’immersione del volto in acqua gelata o somministrando stimoli elettrici, cercando di prevenire la ricomparsa in futuro sempre con farmaci antiaritmici. Per le tachicardie ventricolari si usano farmaci che controllano il ritmo, anche se in alcuni casi essi non sono in grado di farlo, per cui si utilizzano piccoli sondini nel cuore collegati ad un piccolo congegno elettronico in grado di capire quando è in corso la tachicardia e di inviare stimoli elettrici che la interrompono. Le brachicardie si curano impiantano un pacemaker (stimolatore cardiaco) che sostituisce i circuiti cardiovascolari rivelatisi insufficienti, in grado di variare la frequenza cardiaca in basa a quella che la persona necessita.

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I 10 motivi per smettere di fumare se vai in palestra o fai sport

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma 10 MOTIVI SMETTERE FUMARE PALESTRA PESI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneChiunque dovrebbe smettere di fumare, e non domani o tra un mese: dovrebbe smettere ORA, anche solo per vivere mediamente 11 anni in più o per risparmiare centinaia di migliaia di euro! Ma c’è una categoria in particolare che – per filosofia di vita – dovrebbe smettere ancora più delle altre e sono i frequentatori di palestra (e gli sportivi in genere). La cosa paradossale è che molti miei amici fumatori sono convinti che l’attività fisica costante possa adeguatamente controbilanciare i danni dal fumo, che suona più come una scusa che come una reale convinzione e lo dico con assoluta certezza visto che anche io sono stato un fumatore per ben 15 anni e quante sigarette ho fumato uscito dalla palestra convinto che l’allenamento costante mi desse una specie di “bonus salute” da spendere in nicotina. È vero l’esatto contrario: i fumatori sono penalizzati in partenza perché il monossido di carbonio (CO: prodotto della combustione come il gas di scarico delle automobili) riduce l’ossigenazione del sangue, provoca un incremento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa e riduce la capacità respiratoria complessiva. Nessuno di questi fattori viene neanche lontanamente controbilanciato dal “bonus salute” fornito dall’attività sportiva.

L’unica cosa al mondo che può davvero bilanciare i disastrosi effetti nocivi del fumare è… smettere di fumare!

“Io fumo, ma mi sento bene!”

Classica frase che io stesso dicevo quando fumavo. Anche se il fumatore si sente perfettamente in forma, in realtà la sua efficienza è decisamente ridotta senza che se ne renda conto, come avere una Ferrari ed andare a 90 km/h anziché a 160 km/h: a 90 km/h hai comunque la sensazione di andare forte, ma senza il limitatore (cioè le sigarette) potresti andare a quasi il doppio della velocità. Il risultato di dipendere dalla nicotina è che un atleta fumatore, rispetto ad un atleta di pari grado (sesso, età, genetica, allenamento, alimentazione…) ma non fumatore:

  • ha performance minori;
  • ha minor accrescimento muscolare;
  • ha minor resistenza;
  • ha minore potenza;
  • ha bisogno di tempi di recupero più lunghi.

“Io fumo e non ho problemi a spingere in palestra”

Frase che mi sento dire da tutti i fumatori che frequentano la mia palestra e che io stesso ripetevo a me stesso quando a 20 anni squattavo mille chili dopo aver fumato. Facciamo chiarezza: tutto quello che ho prima detto non significa ovviamente che un atleta fumatore non possa raggiungere alte vette di performance, significa invece che, se smettesse di fumare, riuscirebbe ad avere delle performance decisamente migliori a parità di allenamento e questo è un fatto scientifico e non una mia opinione, confermato da spirometrie ed altre indagini mediche. Qualsiasi sia il vostro livello, riuscireste ad avere un livello migliore semplicemente buttando il pacchetto di sigarette che avete davanti. In parole ancora più semplici: se fumate e “spingete 100”, smettendo di fumare potreste “spingere 150 o ancora di più”.

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“Una volta ho smesso di fumare per tre mesi e non ho sentito differenze”

Altra scusa sentita mille volte, avendo fumato per quindici anni le conosco tutte queste frasi perché le dicevo anche io mentendo a me stesso. A questa affermazione rispondo che ovviamente, dopo aver smesso di fumare, le performance non diventano più elevate all’improvviso (specie se si è fumato per anni e non si è più giovanissimi), ma in maniera lenta e graduale e solo se si smette definitivamente di fumare e si persevera nell’astinenza per un periodo abbastanza lungo per permettere al proprio fisico di riprendersi dalla tossicodipendenza a cui è stato esposto. Anche se i miglioramenti, seppur piccoli, sono già visibili dopo pochi giorni dopo aver smesso, io stesso ho iniziato a notare performance macroscopicamente migliori solo da relativamente poco tempo, ed ho smesso da ben 4 anni! Purtroppo il fumo lascia dei danni che il corpo impiega moltissimo tempo a riparare: lo sapete che dopo che si è smesso di fumare passano 10 anni prima che il rischio di sviluppare un tumore torni ad essere accostabile a chi non ha mai fumato? Questo perché un fisico “cronicamente intossicato” ha bisogno di molto tempo per tornare ad essere efficiente ed in salute come un fisico di un non fumatore ed anzi, per certi versi, non tornerà mai del tutto ad essere equiparabile ad una persona che non abbia mai fumato in vita sua: un “ex fumatore” ha mediamente performance minori di un “mai fumatore”, a parità di condizioni.

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“Sono giovane e fumo poco”

Se siete giovani e fumate poche sigarette, potreste effettivamente risentire in maniera minore della cattiva influenza del fumo. La performance sportiva peggiora in maniera esponenziale all’aumentare delle sigarette ed andando avanti con gli anni: maggiore è il numero di sigarette fumate e maggiore sarà la distanza tra la sua performance e quella di un fumatore di pari grado a partire dai 25 anni in poi; tale distanza aumenterà inoltre in modo esponenziale all’aumentare degli anni. In parole semplici: se iniziate a fumare a 20 anni il fumo rappresenta un handicap lieve per le vostre performance, se iniziate a fumare a 40 anni il fumo rappresenta un handicap più importante. Se poi iniziate a fumare a 20 anni e continuate per altri 20, il fumo a 40 anni rappresenterà un handicap ancora più importante, visto che i danni si accumulano e si sommano anno dopo anno. Il fatto che fumare a 20 anni impatti meno sulla performance, non deve essere però l’ennesima scusa: se fumate poche sigarette dovreste sapere che il fumo non è né una cattiva abitudine, né un vizio ma è una vera tossicodipendenza, farmacologicamente simile a quella di un eroinomane o un cocainomane e quindi come tale tende a far aumentare la dose di sostanza anelata dall’organismo: ciò significa che probabilmente tenderete a fumare sempre più sigarette negli anni. Infine se siete giovani e fumatori, tenete a mente che le vostre performance sportive (e la salute) di quando avrete 40 o 60 anni, sono influenzate da quello che state facendo ora che ne avete 15 o 20, anche se smettete di fumare a 30. Ne vale davvero la pena?

I 10 motivi per smettere

Tutti dovrebbero smettere di fumare, sportivi o non sportivi. Ma per voi che fate sport ed amate la ghisa ci sono 10 motivi “speciali” per farvi spegnere l’ultima sigaretta:

1) I fumatori hanno livelli più bassi di testosterone e più alti di estrogeno rispetto ai non fumatori.

2) La capacità polmonare ridotta può indurre ad un più piccolo volume di ossigeno di raggiungere gli alveoli, con conseguente scambio alterato di gas e meno ossigeno nel corpo.

3) Il monossido di carbonio introdotto tramite il fumo di sigaretta,  sottrae ossigeno al sangue, inducendo effetti negativi sui tessuti. Una volta inalato, infatti, si combina, a livello alveolare, con grandi quantità di emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno, riducendo l’ossigeno disponibile. Quest’ultimo è invece importante al muscolo per funzionare correttamente: il risultato è una diminuzione nella forza muscolare, specie negli esercizi di resistenza.

4) Il cuore di un fumatore deve pompare mediamente di più per fornire l’ossigeno necessario, rispetto ad un fumatore di pari forma. Ciò determina maggiore affaticamento nel fumatore. La nicotina stessa tende inoltre ad aumentare la frequenza cardiaca che è il contrario di quello che dovrebbe essere uno degli obiettivi di uno sportivo.

5) Sfruttando meno il metabolismo aerobico si deve ricorrere a quello anaerobico: da qui una precoce formazione dell’acido lattico con precoce e maggiore spossatezza. Il senso di affaticamento prodotto dal fumo di sigaretta, può portare a non riuscire a rispettare una routine di allenamento regolare e costante.

6) Gli effetti sulla prestazione sportiva del fumo sono stati calcolati da uno studio pubblicato nel 1988 da Preventive Medicine. Gli scienziati non ebbero dubbi: la resistenza alla corsa, ad esempio, è notevolmente inferiore nei fumatori rispetto ai non fumatori (per ogni sigaretta fumata il tempo per completare la corsa aumenta di 40 secondi, fumare 20 sigarette ogni giorno rende gli atleti più vecchi di 12 anni quanto a capacità atletiche). In altre parole, chi ha 30 anni e fuma, corre come una persona che ne ha 42.

7) Fumare nel lungo periodo aumenta il rischio di infortuni ed aumenta il tempo di guarigione delle ferite: i fumatori con fratture della tibia, ad esempio, hanno bisogno di 4 settimane in più rispetto ai non fumatori per guarire ed hanno un maggior rischio di mancata guarigione completa.

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Fumi subito dopo l’allenamento?

Fumare subito dopo l’allenamento è ancora più nocivo, perché:

1) Il fumo restringe i passaggi di aria nei polmoni e rende più difficile respirare. Dopo l’esercizio fisico, il corpo richiede più ossigeno possibile per recuperare e ricostruire i muscoli, ma il fumo compromette questo normale processo.

2) Fumare dopo lo sport aumenta i livelli di monossido di carbonio nel flusso sanguigno, e ciò può avere effetti negativi sulla funzione del cervello, privandolo dell’ossigeno necessario. Dopo l’allenamento, ci si sente esausti e disorientati, ed il fumo aumenta il rischio di avere vertigini e altri effetti indesiderati.

3) Dopo l’allenamento la frequenza cardiaca ha bisogno di ristabilirsi a livelli normali, se si fuma la nicotina agisce da stimolante e la frequenza cardiaca aumenta, invece di diminuire.

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I migliori prodotti per il fumatore che vuole smettere di fumare

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, pensati per il fumatore che vuole smettere di fumare o che ha smesso da poco. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Gli energy drink modificano l’attività del cuore

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO ALCOL ALCOLICO BERE ALCOLISMO BIRRA VINO SUPERALCOLICO ALCOLICI SPUMANTE CHAMPAGNE COCKTAIL BICCHIERE BOTTIGLIA PUBUn’analisi tedesca su 18 persone sane dimostra che gli energy drink hanno un effetto diretto sull’attività del cuore. Iniziano a comparire gli studi non epidemiologici sugli effetti cardiaci degli energy drink, finora dedotti soltanto dai casi segnalati in tutto il mondo in seguito a ricoveri e anche a qualche decesso. Nei giorni scorsi è stata presentata all’ultimo meeting annuale della Radiological society of North America, una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bonn, in Germania, che documenta, senza possibilità di equivoco, l’esistenza di questi effetti.

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