Quando si è depressi, l’oscurità non aspetta la sera per venire a prenderti

MEDICINA ONLINE DEPRESSIONE TESTIMONIANZA RACCONTO FRASI AFORISMI TRISTEZZA SOLITUDINE TRISTE VITA SPERANZA MORTE MALATTIA SENTIRSI SOLI lonely girl crowd.jpg“E’ difficile far capire alla gente cosa significhi la parola “depressione” e cosa si prova ad averla. Spiegare quale sia la differenza tra “depressione” e “tristezza”, ad una persona che – per sua fortuna – non è stata mai depressa, è quasi impossibile, quasi quanto spiegare la differenza tra il colore blu ed il rosso ad una persona che è cieca fin dalla nascita. I due termini sono usati spesso come sinonimi, ma niente è più distante dall’essere vero. Quindi mi chiedi cosa significhi essere depressa? Forse sarebbe più facile dire quello che non significa…
La depressione è vivere in un corpo organico che lavora senza sosta per sopravvivere, con una mente che cerca invece di morire. E’ il non avere fiducia in sé stessi, è il non sopportarsi più. E’ vivere perennemente intorpiditi, svegliandosi la mattina con il terrore che ti assale al solo pensiero di dover affrontare la giornata. La verità è che ti svegli la mattina solo con la speranza di poter tornare a letto al più presto. E ti metti a letto con la speranza di poter vedere presto una mattina che però non arriva mai. Ti svegli è pensi che è soltanto un altro giorno, un giorno che non hai mai visto, ma un giorno che tu già conosci, perché ieri è come questo.
Quando si è depressi, l’oscurità non aspetta la sera per venire a prenderti: ne sei circondato perennemente, te la porti sempre intorno e non ti abbandona mai. La depressione è quando il sole è alto nel cielo e tu sei per strada circondato da persone felici, ma tu ti senti come se fossi solo, in un bosco, di notte.
La depressione non è dolore: ringrazierei il cielo se potessi provare dolore, almeno sarebbe una emozione. Io invece non provo nulla e quando provo qualcosa, è solo paura. Paura che il domani non arrivi, mista a paura che il domani arrivi. La depressione è la prigione del non desiderare nulla, del non avere niente a cui tendere nella vita. La depressione è non avere vita. La depressione è non avere morte. La depressione è sentirsi in un labirinto senza uscite, perennemente ad un passo dal baratro, soprattutto durante le feste, con nessuno che crede davvero tu sia malato.

La depressione è sentirsi costantemente soli nella folla, alla ricerca, come se avessi perso qualcosa, ma che non sai neanche tu cosa. Poi un giorno lo capisci e fa malissimo. Ti rendi conto che quello che hai perso è te stesso, e lo hai perso per sempre. Chissà dove. Chissà perché.”

Testimonianza di una paziente depressa

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Cranio e base cranica: ossa, anatomia e funzioni

MEDICINA ONLINE CRANIO OSSA VISTA ANTERIORE POSTERIORE VOLTA BASE CRANICA BASICRANIO IPOTALAMO IPOFISI SCHELETRO ENCEFALO NERVI SISTEMA NERVOSO ASSILE APPENDICOLARE TESCHIO SFENOIDE ETMOIDE  MANDIBOLA ATM BONE.jpgIl cranio è una struttura scheletrica, a componente cartilaginea ed ossea, presente nella testa dell’essere umano e dei vertebrati in generale. Il cranio ha un duplice, importantissimo, scopo, che è quello di:

  • contenere l’encefalo, varie ghiandole (ipotalamo, ipofisi…), gli organi di senso (occhi e porzione media ed interna dell’orecchio) e le strutture anatomiche collegate ad esse (nervi e vasi sanguigni e linfatici);
  • offrire protezione dagli urti alle delicate strutture appena elencate.

Oltre alle due funzioni appena elencate, se ne aggiunge una terza che è la masticazione del cibo tramite la articolazione temporo mandibolare e la mandibola.

La grande rigidità ed inestendibilità del cranio, così importante per proteggere le strutture in esso contenute, rappresenta però un problema nel momento in cui all’interno del cranio vi sia una struttura anomala, come un tumore o una emorragia, che tende ad aumentare la pressione intracranica ed a comprimere l’encefalo, determinando potenzialmente grandi danni ai suoi delicati tessuti.

Assieme alla colonna vertebrale ed alle coste, il cranio forma lo scheletro assile, che viene distinto da quello appendicolare (ossa degli arti, cintura scapolare e cintura pelvica).

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Anatomia del cranio dell’essere umano

Il cranio è un complesso osseo presente nella testa dell’essere umano. Ha la funzione di proteggere il cervello, il cervelletto ed il tronco encefalico, che sono contenuti al suo interno, ma alloggia anche molti organi sensoriali, quali occhi e orecchie, il primo tratto del sistema digerente e di quello respiratorio. Se non si considera la mandibola è generalmente diviso nel neurocranio, che si trova nella volta cranica, dove sono contenute le strutture nervose della testa, e nello splancnocranio, che si trova al di sotto della fronte, dove si trovano molti altri organi, tra cui quelli sensoriali. È senza dubbio la struttura ossea più complessa del corpo umano, essendo formato da 22 ossa sia pari che impari, spesso con forma altamente irregolare e connesse fra loro con una certa variabilità. La maggior parte di queste ossa sono piatte, formate da due tavolati, uno esterno più spesso, ed uno interno meno spesso, e da uno strato centrale spugnoso a bassa densità, detto diploe cranica. Lo spessore delle ossa varia generalmente in base alla copertura muscolare, per cui saranno più sottili (e potenzialmente più soggette a fratture) quelle parti del cranio ricoperte da un numero di muscoli o da una massa muscolare maggiore rispetto a quelle relativamente esposte. Un esempio del primo tipo è l’osso temporale, del secondo l’osso occipitale. Le ossa del cranio sono interconnesse da articolazioni fibrose dette suture, che tendono a chiudersi con l’invecchiamento, ciascuna entro un range di tempo più o meno definito, anche se non mancano eccezioni. Sono fondamentali, poiché consentono la crescita delle ossa del cranio durante lo sviluppo, crescita che avviene dall’interno verso l’esterno. Le suture del cranio sono sempre più complesse man mano che si procede dall’interno all’esterno e se ne possono distinguere tre tipi in base alle forze agenti su di esse. Il primo tipo è costituito da ossa adiacenti dai margini regolari, il secondo da ossa smussate sovrapposte le une alle altre, il terzo tipo da suture complesse formate da ossa interdigitate tra loro. Non è un caso che le prime siano molto diffuse nelle parti interne del cranio e le interdigitate siano molto comuni sulla sua superficie. L’ossificazione delle ossa del cranio è spesso di tipo intermembranoso; anche in età adulta queste continuano ad essere sede di emopoiesi (anche se giocano un ruolo minoritario in confronto al midollo osseo e ad altre ossa). Le ossa della base cranica si formano mediante un processo di ossificazione endocondrale e le loro articolazioni sono sincondrosi, ma vi sono anche due articolazioni sinoviali, la temporomandibolare e l’occipitoatlantoidea.

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Cranio: vista anteriore

Visto anteriormente il cranio si presenta come un osso dalla forma ovoidale, più larga superiormente che inferiormente, con due profonde cavità quadrangolari, dette cavità orbitali, poste lateralmente ad un’apertura piriforme detta cavità nasale; si distinguono poi altre due cavità triangolari, dette cavità mandibolari, poste medialmente all’osso omonimo. La parte superiore del cranio è in gran parte formata dalla squama dell’osso frontale che costituisce la fronte e il tetto delle cavità orbitali.
Subito al di sopra di ciascuna orbita vi sono le arcate sopraccigliari, rilievi dell’osso frontale che seguono il margine delle orbite e sono più prominenti nel maschio; superiormente a queste vi sono invece due tuberosità, più sviluppate nei bambini e nelle femmine. Lungo le arcate sopraccigliari si trovano i due fori sopraorbitari, passaggi per il nervo sopraorbitario e i vasi sanguigni associati. Le arcate sopraccigliari convergono medialmente a formare un rilievo centrale detto glabella. Inferiormente a questa l’osso frontale scende sino a formare una depressione palpabile subito al di sopra del naso; qui si articola con l’osso nasale tramite la sutura frontonasale e con il processo frontale dell’osso mascellare tramite la sutura frontomascellare. Lateralmente a ciascuna arcata sopraccigliare il processo zigomatico dell’osso frontale si articola con il processo frontale dell’osso zigomatico mediante la sutura frontozigomatica che si trova approssimativamente nel terzo superiore dell’orbita, a livello della sutura frontomascellare. All’interno di ciascuna orbita si articola con l’osso sfenoide mediante la sutura sfenofrontale e medialmente all’orbita con l’osso lacrimale mediante la sutura frontolacrimale.

L’osso nasale è un piccolo osso pari, di forma vagamente quadrangolare, ma molto variabile da individuo a individuo. Si estende inferiormente sino al terzo inferiore delle cavità orbitali e si articola con l’osso frontale tramite la sutura frontonasale e con l’osso mascellare tramite la sutura nasomascellare. Le due ossa nasali si articolano tra loro mediante la sutura internasale, a decorso verticale lungo l’asse maggiore dell’osso. Il punto in cui la sutura internasale e la sutura frontonasale si incontrano è detto Nasion.

L’osso zigomatico è pari, costituisce la parete laterale di ciascuna orbita nei suoi due terzi inferiori (il terzo superiore è fornito dall’osso frontale) e la metà più laterale del pavimento (la metà mediale è data dall’osso mascellare). Superiormente, presso le arcate orbitali si articola con l’osso frontale mediante la sutura frontozigomatica, medialmente con l’osso mascellare mediante la sutura zigomaticomascellare, a decorso obliquo convergente verso il naso, ed infine all’interno di ciascuna orbita con la grande ala dello sfenoide mediante la sutura sfenozigomatica. Nell’osso zigomatico si distinguono due piccoli fori, posti circa 0,5 cm al di sotto del margine laterale dell’orbita, detti fori zigomatici.

L’osso mascellare è pari e simmetrico, costituisce la faccia, la mascella, parte del pavimento delle cavità orbitali e le pareti laterali ed inferiori della cavità nasale. Si articola lateralmente con l’osso zigomatico grazie alla sutura zigomaticomascellare, con l’altro osso mascellare mediante la sutura intermascellare – segmento verticale pressoché retto posto al di sotto della spina nasale anteriore –, con l’osso lacrimale e con la lamina papiracea dell’etmoide all’interno di ciascuna orbita. Circa 1 cm inferiormente a ciascuna orbita presenta due fori ben distinguibili detti fori infraorbitari che forniscono passaggio ai nervi e vasi infraorbitari. L’osso mascellare fornisce anche i processi alveolari per l’arcata dentaria superiore, per un totale di 15-16 processi. Nella sua porzione interna alle orbite presenta una lieve depressione detta solco infraorbitale.

L’osso lacrimale è piccolo e posto medialmente ed internamente a ciascuna orbita. Si articola superiormente con l’osso frontale mediante la sutura frontolacrimale e anteriormente con il mascellare, nonché posteriormente con la lamina papiracea dell’etmoide. Nella sua parte mediale forma il sacco lacrimale che alloggia le ghiandole lacrimali, nonché un foro che, comunicando con il canale nasolacrimale, sbocca nel meato inferiore della cavità nasale. L’osso sfenoide costituisce il fondo di ciascuna orbita, ed è divisibile da due fessure a forma di “V” in grande ala dello sfenoide, l’area compresa nella “V”, e in piccola ala dello sfenoide, l’area compresa tra il segmento minore della “V” e il foro ottico, attraverso cui passa il nervo ottico. Le due fessure sono dette rispettivamente fessura orbitaria superiore (la minore) e fessura orbitaria inferiore (la maggiore). La fessura orbitaria inferiore dà passaggio ai nervi mascellari e ai vasi ancillari.

Lo sfenoide articola superiormente con l’osso frontale mediante la sutura sfenofrontale, lateralmente con lo zigomatico con la sutura sfenozigomatica. L’osso etmoide è rappresentato da una porzione della sua lamina papiracea, posta internamente alle orbite tra l’osso lacrimale, il mascellare e il processo orbitale dell’osso palatino (pressoché indistinguibile, essendo molto piccolo e poco caratterizzato). La lamina papiracea, di forma quadrangolare, possiede superiormente due minuscoli fori, i fori etmoidali anteriore e posteriore.

All’interno della cavità nasale è possibile distinguere inferiormente una lamina ossea connessa con la spina nasale anteriore del mascellare; si tratta della porzione nasale del vomere. Essa si articola superiormente con la lamina perpendicolare dell’osso etmoide, che si piega a sua volta superiormente in una struttura che ricorda il pigreco, formando i due cornetti nasali medi. Al di sotto di questi è possibile distinguere le due conche nasali inferiori che si piegano medialmente ad uncino.

La mandibola si articola sinovialmente con l’osso temporale; vista anteriormente presenta due processi, i rami della mandibola, ed un corpo che medialmente si innalza in un rilievo detto protuberanza mentale, costituita da due tubercoli e facilmente palpabile. Lateralmente ai tubercoli sono presenti i fori mentali, attraverso cui passa il nervo mentale e i vasi ancillari. La mandibola forma anche l’arcata dentaria inferiore con i suoi processi alveolari. Posteriormente all’osso frontale è possibile distinguere anche parte della squama dell’osso temporale e dell’osso parietale, nonché una piccola porzione dello sfenoide.

Denti

Il cranio è formato anche da 30-32 denti, 15-16 per ciascuna arcata che si connettono superiormente con l’osso mascellare e inferiormente con la mandibola.

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Cranio: vista laterale

Visto lateralmente il cranio distinguibile in una porzione facciale, in una temporale ed in una occipitale, procedendo antero-posteriormente. Il corpo della mandibola si piega lateralmente a formare un angolo poco superiore a 90º nel maschio e ancora più ampio nella femmina (dove l’angolo mandibolare è più dolce), formando quindi il ramo della mandibola, che superiormente si biforca nel processo coronoideo che procede al di sotto dell’arcata zigomatica e nel processo condiloideo che si articola con l’osso temporale nella cavità glenoidea. La cavità formata dalle due biforcazioni della mandibola, dallo sfenoide e dall’arcata zigomatica è detta fossa infratemporale, ed è totalmente visibile solo rimuovendo la mandibola e l’arcata zigomatica.

  • L’osso zigomatico si articola presso l’arcata zigomatica con l’osso temporale mediante la sutura temporozigomatica, superiormente con l’osso frontale mediante la frontozigomatica.
  • L’osso frontale superiormente si estende al di sopra della fronte fino ad articolarsi con la grande squama dell’osso parietale mediante la sutura coronale, con lo sfenoide mediante la sfenofrontale. Dall’arcata sopraorbitaria si sollevano due linee in rilievo, dette linee temporali superiore ed inferiore, che distinguono un’ampia depressione ovoidale (con l’asse maggiore orizzontale) detta fossa temporale, occupata per lo più dalle squame del parietale e del temporale, che non dal frontale.
  • L’osso temporale si articola presso l’arcata zigomatica con l’osso zigomatico, con la mandibola mediante la sua cavità glenoidea. La squama del temporale è adesa allo sfenoide mediante la sutura sfenosquamosa, con l’osso parietale mediante la sutura squamosa e, posteriormente, dalla parte mastoidea, con l’osso occipitale mediante la sutura occipitomastoidea. Nell’osso temporale sono distinguibili accanto al processo condiloideo, la lamina timpanica e il meato acustico esterno, al di sotto di esso il processo stiloideo (una spina ossea), posteriormente e lateralmente ad entrambi il processo mastoideo; tutti si trovano inferiormente alla porzione temporale dell’arcata zigomatica. Posteriormente e superiormente al meato acustico esterno è possibile distinguere una depressione detta triangolo soprameatale.
  • La squama dell’osso parietale costituisce gran parte della volta cranica e della porzione superiore del neurocranio; la attraversano le linee temporali superiore ed inferiore, tra le quali vi è un rilievo detto eminenza parietale. Il suo punto più elevato è detto Vertex. Si articola posteriormente con l’occipitale mediante la sutura lambdoidea, che confluendo con la sutura occipitomastoidea e con la parietomastoidea, costituisce un punto detto Asterion. Le suture coronale, sfenofrontale, sfenosquamosa, e squamosa confluiscono ad “H” in un punto di repere detto Pterion.
  • L’osso occipitale costituisce l’occipite del cranio, si articola con l’osso temporale mediante la sutura occipitomastoidea e con il parietale mediante la sutura lambdoidea.

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Cranio: vista superiore

Visto superiormente il cranio ha la forma di un ovale con diametro maggiore in corrispondenza del polo occipitale. Si distinguono quattro ossa: le due parietali a sinistra e a destra, che occupano la maggior parte della volta cranica, l’osso frontale, posto anteriormente e l’occipitale, posteriormente.

  • L’osso frontale costituisce una porzione cupoliforme e si articola con le due ossa parietali mediante la sutura coronale che discende lateralmente al cranio. Le due ossa parietali sono unite tra loro dalla sutura sagittale, particolarmente irregolare e seghettata. Lateralmente e a 1 cm circa da questa, nel suo terzo posteriore, sono talvolta distinguibili i due piccoli fori parietali. Il punto di confluenza della sutura coronale con la sutura sagittale è detto Bregma, il punto più alto del parietale (posto lungo la sutura sagittale) è detto Vertex, infine, il punto in cui la sutura sagittale si articola con la lambdoidea (articolazione tra parietale ed occipitale) è chiamato Lambda.
  • L’osso occipitale forma la parte minore della superficie superiore del cranio e si articola solo con l’osso parietale. Il Bregma è il punto di repere della fontanella anteriore nel cranio neonatale, che ha forma romboidale, il Lambda della fontanella posteriore, di forma triangolare, così come lo Pterion (nel cranio visto lateralmente) della fontanella sfenoidale, e l’Asterion della fontanella mastoidea.

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Cranio: vista posteriore

La porzione posteriore del cranio è formata in gran parte dalle due ossa parietali, che costituiscono la sua porzione superiore, dall’osso occipitale, che costituisce la porzione inferiore, e in minor parte dalle due ossa temporali, in posizione laterale alle prime due.

Le due ossa parietali si articolano con la sutura sagittale che scende posteriormente sino ad articolarsi con l’osso occipitale, dando origine alla sutura lambdoidea, che ricorda nella forma la corrispondente lettera greca (lambda). Lungo la sutura lambdoidea non sono infrequenti piccoli isolotti ossei detti ossa wormiane o ossa suturali, di forma irregolare e di numero molto variabile, che non hanno particolare significato clinico.

L’osso occipitale ha forma vagamente triangolare se visto posteriormente, presenta inferiormente un rilievo orizzontale detto protuberanza occipitale esterna, compresa tra le linee nucali superiore ed inferiore. Dalla protuberanza occipitale esterna si stacca una bassa cresta verticale detta cresta occipitale esterna. Il punto di confluenza della cresta con la protuberanza è detto Inion. Talvolta l’occipitale è diviso in una porzione inferiore e in una superiore di forma romboidale, detta osso intraparietale e divisa dall’occipitale mediante le suture occipitali trasverse.

Lateralmente al temporale sono presenti i processi mastoidei delle due ossa temporali, che presentano due piccoli fori, detti fori mastoidei, e due incisure proprio alla base del cranio, dette incisure mastoidee. Si articola con l’occipitale mediante la sutura occipitomastoidea e con il parietale mediante la parietomastoidea.

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Cranio: vista inferiore (base cranica)

La parte inferiore del cranio è la superficie più complessa di questa struttura ossea e si estende dagli incisivi alla linea nucale superiore dell’osso occipitale. È formata dalle ossa mascellare, zigomatico, palatino, vomere, sfenoide, temporale ed occipitale. Convenzionalmente si è soliti dividere la base cranica in una parte anteriore, compresa tra incisivi e spina nasale posteriore, una parte media dalla spina nasale al margine del forame magno occipitale e in una posteriore, compresa tra il forame magno e la linea nucale superiore.

Parte anteriore della base cranica

La parte anteriore della base cranica è formata dal palato, dall’arcata dentaria superiore e dalla metà anteriore dell’arcata zigomatica. La parte inferiore dell’osso mascellare si articola lateralmente con l’osso zigomatico mediante la sutura zigomaticomascellare. Medialmente all’arcata dentaria superiore è compresa un’area semicircolare costituita dal palato duro, parte integrante dell’osso mascellare. Sulla sua superficie, dietro agli incisivi è possibile distinguere il foro incisivo, ma su tutta la superficie sono presenti piccoli fori che alloggiano in vivo le ghiandole salivari palatine minori. Il foro incisivo dà passaggio al nervo nasopalatino e ai vasi palatini maggiori. Il palato duro è attraversato dagli incisivi alla sutura palatina trasversa (con l’osso palatino) dalla sutura palatina mediana che congiunge le due ossa mascellari. Posteriormente al palato duro del mascellare, vi è l’osso palatino. Esso presenta lateralmente due fori grandi all’incirca quanto il foro incisivo, detti fori palatini maggiori e subito al di sotto di essi altri due fori palatini minori, molto meno distinguibili. La lamina orizzontale del palatino lateralmente protrude verso l’uncino pterigoideo mediante i processi piramidali, medialmente con la spina nasale posteriore, a forma di spatola. Il setto nasale, posto superiormente alla spina nasale posteriore, è formato dalla lamina perpendicolare dell’etmoide che si articola con il vomere. Esso delimita le due fosse nasali posteriori, dette coane, il cui pavimento è costituito dal vomere ed in cui è possibile distinguere i cornetti nasali medi costituiti dall’etmoide. Esse si pongono in mezzo allo sfenoide e lo dividono nelle porzioni sinistra e destra.

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Parte media della base cranica

La parte media della base cranica è occupata in buona parte dallo sfenoide, osso a forma di pipistrello posto dietro la mascella e lateralmente alle coane, dalla gran parte dell’osso temporale e dal tubercolo faringeo dell’osso occipitale. Proprio dietro alle coane è presente una piccola porzione in rilievo dell’occipitale, detta appunto tubercolo faringeo, che dà attacco al rafe faringeo e a parte del muscolo costrittore della faringe. Lateralmente ad esso vi sono due fori irregolari e ben distinguibili detti fori laceri, che dividono in parte il tubercolo faringeo dalle rocche petrose del temporale e dallo sfenoide. Lo sfenoide presenta due processi, detti processi pterigoidei, formati ciascuno da due lamine, una mediale che si ripiega superiormente fino a terminare accanto al processo piramidale dell’osso palatino con una spina uncinata detto uncino pterigoideo. Anteriormente la lamina mediale è fusa con quella laterale, che risale costituendo la parete laterale di una fossa, detta fossa pterigoidea. Lateralmente alle due fosse pterigoidee si trovano le grandi ali dello sfenoide che risalgono nella fessura infratemporale e si articolano con l’osso temporale mediante le suture sfenosquamose. Postero-lateralmente a alle fosse pterigoidee sono presenti i due fori ovali, che forniscono il passaggio per branche del nervo trigemino, nervo piccolo petroso, al ramo meningeo accessorio dell’arteria mascellare interna e ad una vena che collega il seno cavernoso al plesso venoso pterigoideo. Lateralmente al foro ovale vi sono i due piccoli fori spinosi, di forma circolare, che danno passaggio all’arteria meningea media e alla branca meningea ricorrente del nervo mandibolare. Al di sotto di essi vi sono le spine dello sfenoide. Talvolta tra il foro ovale e la fossa scafoidea si riscontra il foro di Vesalio. L’osso temporale protrude lateralmente nei due tubercoli articolari che vanno ad unirsi al processo temporale dell’osso zigomatico tramite la sutura temporozigomatica, poi si ripiegano indietro contribuendo al pavimento della cavità infratemporale. La restante parte del temporale è formata dalle rocche petrose, poste inferiormente al tubercolo articolare e inclinate in direzione postero-mediale, che alloggiano l’orecchio medio ed interno, e terminano postero-lateralmente ripiegandosi nei due processi mastoidei. La rocca petrosa contribuisce a formare il foro lacero, attraverso cui passano nervi e vasi sanguigni, presenta due notevoli canali, detti canale carotideo e canale giugulare, che fanno passare rispettivamente l’arteria carotide e la vena giugulare interna, nonché i nervi vago e glossofaringeo. Subito al di sotto del canale carotideo si può riscontrare il minuscolo canale mastoideo. Tra essi una spina ossea diretta antero-inferiormente detta processo stiloideo, lungo da qualche millimetro a più di 1 cm e dietro di questo un piccolo foro detto foro stilomastoideo. Lateralmente e superiormente ad esso si apre il meato acustico esterno. Tra la rocca petrosa e il processo mastoideo vi è un solco stretto e profondo detto incisura mastoidea.

Parte posteriore della base cranica

La parte posteriore è occupata quasi esclusivamente dall’osso occipitale che si articola con il temporale mediante la sutura occipitomastoidea. Presenta superiormente un grande foro di forma ovale, detto forame magno occipitale, che si apre nella fossa cranica posteriore. Lo attraversano il tronco encefalico, in particolare l’estremità inferiore del bulbo, le meningi, le arterie vertebrali, il nervo accessorio spinale, il legamento apicale del dente dell’epistrofeo e la membrana tettoria. Lateralmente ad esso vi sono i due condili occipitali, di forma ovale, che presentano due faccette articolari, anch’esse ovali, che si connettono con le faccette superiori delle masse laterali dell’atlante. Sono orientati obliquamente in direzione del tubercolo faringeo. Al di sotto di ciascuno di essi vi è il canale dell’ipoglosso in cui passa il nervo ipoglosso, alla branca meningea dell’arteria faringea ascendente e a una vena del plesso basilare. Subito dietro ogni condilo vi è una depressione chiamata fossetta condilare che accoglie il margine posteriore dell’atlante, nonché il foro condiloideo. Al di sotto del forame magno sale superiormente la cresta occipitale esterna che si connette alla protuberanza occipitale esterna compresa tra le linee nucali superiore ed inferiore.

Superficie interna della volta cranica

La superficie interna della volta cranica si presenta decisamente concava ed è formata dall’osso frontale, in gran parte dalle due ossa parietali e per una piccola parte dall’osso occipitale. Anteriormente è collocato l’osso frontale, percorso antero-posteriormente da un rilievo detto cresta frontale, che si allarga procedendo posteriormente e si biforca verso la metà del frontale, originando un solco mediano attraverso cui passa il seno sagittale superiore (solco del seno sagittale superiore). La cresta frontale prosegue dividendo le due ossa parietali e contenendo la sutura sagittale, per poi terminare nell’osso occipitale al di sotto del Lambda. Nella zona postero-laterale dell’osso frontale si distinguono lievi solchi originati dalla branca anteriore dell’arteria meningea media. L’osso frontale è diviso dalle due ossa parietali dalla sutura coronale. Le due ossa parietali si articolano tra loro mediante la sutura sagittale e presentano diversi solchi dall’andamento variabile originati dai rami parietali dell’arteria meningea media, oltre che numerose e piccole foveole che alloggiano le granulazioni aracnoidee e sono di norma più numerose in età avanzata. La sutura sagittale si divide nella lambdoidea, delimitando la porzione visibile dell’osso occipitale.

Superficie interna della base cranica

Si divide per convenzione la superficie interna della base cranica nelle fosse craniche anteriore, media e posteriore. La fossa cranica anteriore si trova più in alto rispetto alla media, a sua volta questa è superiore a quella posteriore.

Fossa cranica anteriore

La fossa cranica anteriore è compresa tra la cresta frontale dell’osso frontale e il giogo dello sfenoide. Lungo la linea mediana l’osso frontale dà origine ad uno stretto rilievo, la cresta frontale, che presenta al suo interno la piccola impronta del seno sagittale superiore (solco del seno sagittale superiore), meglio visibile sulla superficie interna della volta cranica. La cresta frontale si assottiglia terminando nel foro cieco, anteriormente alla lamina cribrosa dell’etmoide. Lateralmente ad essa decorrono i solchi dei vasi meningei anteriori che tendono a seguire la lamina cribrosa per poi curvare lateralmente nella zona anteriore dell’osso frontale. Oltre il foro cieco la cresta frontale si ripresenta con la crista galli dell’etmoide, di forma semicircolare; decisamente più alta rispetto alla cresta frontale, essa percorre la lunghezza della lamina cribrosa e termina anteriormente al giogo dello sfenoide. La lamina cribrosa dell’etmoide è invece una placca ossea che si inserisce nel frontale e viene così chiamata per la presenza di numerosi piccoli fori su tutta la sua superficie. I più importanti, escluso il foro cieco, sono la fessura nasale, di forma irregolare, che connette la lamina cribrosa con il tetto delle cavità nasali, i fori etmoidali anteriore (collocato poco sotto la fessura nasale) e posteriore (collocato all’angolo postero-laterale della lamina cribrosa), che la connettono con le cavità orbitali a livello della lamina papiracea. Il foro cieco fornisce il passaggio per una vena emissaria del seno sagittale superiore, il foro etmoidale anteriore per l’arteria e il nervo etmoidale anteriori, i fori secondari della lamina cribrosa per i rami del nervo olfattivo ed il foro etmoidale posteriore per l’arteria, la vena e il nervo etmoidale posteriori. Posteriormente alla lamina cribrosa si estende allo stesso livello il giogo dello sfenoide, che si prolunga lateralmente nelle piccole ali dello sfenoide.

Fossa cranica media

La fossa cranica media, più ampia della anteriore, è definita dalle piccole ali dello sfenoide e i processi clinoidei anteriormente, dall’apice della piramide dell’osso temporale e dal dorso della sella turcica posteriormente. Il giogo dello sfenoide, oltre a prolungarsi lateralmente nelle piccole ali dello sfenoide che si articolano con l’osso frontale mediante la sutura sfenofrontale, si continua posteriormente nei due processi clinoidei anteriori, inclinati postero-medialmente e dalla forma triangolare. Le piccole ali dello sfenoide sono legate al corpo dello sfenoide da un’ampia radice anteriore legata al giogo dello sfenoide e da una spessa radice posteriore che si continua, discendendo inferiormente, con il solco chiasmatico del corpo dello sfenoide. Le due radici sono separate dai due canali ottici che sbucano nella parete postero-mediale delle cavità orbitali; attraverso di essi passano i nervi ottici che si incrociano a livello del chiasma ottico, nonché l’arteria oftalmica. Posteriormente ad esso vi è la sella turcica (così chiamata perché ricorda una sella turca), formata da un tubercolo, da una fossa (fossa ipofisaria), in cui in vivo è alloggiata l’ipofisi, in un dorso della sella, rilievo che si pone di nuovo a livello del tubercolo ipofisario e da due processi clinoidei posteriori che si prolungano antero-lateralmente dal dorso della sella turcica. Lateralmente ed inferiormente alla sella turcica si stendono le grandi ali dello sfenoide di forma semilunare, le quali si articolano lateralmente con l’osso parietale e posteriormente con la squama dell’osso temporale, mediante le suture sfenosquamosa e sfenoparietale. Il margine della sutura sfenosquamosa è seguito dal solco dei rami frontali dei vasi meningei medi, che poi si ramifica lateralmente anche nel temporale e nel parietale. Lateralmente alla sella turcica si trova il foro rotondo, che fornisce il passaggio per il nervo mascellare, latero-inferiormente il foro ovale, attraverso cui passano il nervo mandibolare, il nervo piccolo petroso e l’arteria meningea accessoria e il foro spinoso, attraverso cui passano l’arteria e la vena meningea medie e il nervo spinoso (appartenente al nervo mandibolare). Si riscontra poi il foro del Vesalio (non sempre presente), mediale al foro ovale. Il foro lacero è posto alla giunzione tra sfenoide, temporale ed occipitale, latero-inferiormente al dorso della sella turcica; attraverso di esso non passano vasi sanguigni o nervi. Latero-inferiormente allo sfenoide si trova la squama dell’osso temporale, segnata dai solchi del nervo piccolo petroso e del nervo grande petroso, ed inferiormente dal rilievo detto eminenza arcuata, che costituisce la faccia anteriore della piramide dell’osso temporale. I due nervi petrosi sboccano dagli orifizi omonimi (orifizio del canale del nervo piccolo petroso e del nervo grande petroso), posti inferiormente al foro spinoso. Lateralmente alla squama del temporale vi è l’osso parietale, senza particolari caratteristiche anatomiche, se non la continuazione dei solchi dei vasi meningei medi (loro rami parietali).

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Fossa cranica posteriore

La fossa cranica posteriore è compresa tra l’apice della piramide del temporale e il margine posteriore dell’osso occipitale. È la fossa cranica più voluminosa. Posteriormente al dorso della sella turcica lo sfenoide discende inferiormente e si articola con l’osso occipitale nella porzione detta clivo e nella parte basilare. Dietro alla parte basilare dell’occipitale vi è il forame magno e lateralmente ad esso i solchi dei vasi meningei posteriori, mentre posteriormente si trova il solco del seno occipitale compreso tra le creste occipitali interne, che formano una “V” al cui interno è il solco. Le creste si fondono posteriormente nella protuberanza occipitale interna da cui si dipartono con due curve in direzione antero-laterale i solchi dei seni trasversi. L’osso temporale nella fossa cranica posteriore è rappresentato dalla faccia posteriore della sua piramide. Attraverso di essa sbocca il meato acustico interno e più lateralmente, se presente, il foro mastoideo. Lateralmente al forame magno si riscontra il canale dell’ipoglosso (vi passa il nervo ipoglosso) e latero-inferiormente il canale condiloideo attraversato da una vena emissaria fra il seno sigmoideo e le vene cervicali. Superiormente al canale condiloideo vi è il foro giugulare, che dà passaggio al seno petroso inferiore, al seno sigmoideo, all’arteria meningea posteriore e ai nervi glosso-faringeo, vago e accessorio. Lateralmente al foro giugulare è presente una stretta fessura, l’orifizio dell’acquedotto del vestibolo, che contiene un condotto endolinfatico.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Fai e posti foto selfie a ripetizione sui social? Forse soffri di “selfite”

MEDICINA ONLINE CELLULARE COLAZIONE SMARTPHONE APP WHATSAPP APPLICAZIONE PROGRAMMA TELEFONARE TELEFONO TELEFONINO PHONE CALL MARMELLATA MANGIARE DONNA MATTINA BREKFAST WALLPAPER PIC HI RLa voglia ossessiva farsi e postare sui social le foto cosiddette “selfie”, viene definita “selfite” già dal 2014, ma oggi sta assumendo i contorni di una vera e propria patologia psichiatrica: sono le conclusioni a cui sono giunti alcuni psicologi della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management in India, che hanno esaminato il fenomeno scoprendo che non solo esiste ma ci sono tre categorie: quella cronica, quella acuta e quella borderline. Tali nuovi disturbi, che entrano a far parte del già nutrito gruppo di tecno-patologie,  sono citati nel loro studio, pubblicato sull’International Journal of Mental Health and Addiction.

I vari tipi di “selfite”?

La selfite si definisce:

  • cronica – la forma più grave – quando vi è un incontrollabile bisogno di scattare foto a sé stessi, 24 ore su 24, postandole su Facebook e Instagram più di sei volte al giorno;
  • borderline se si scattano selfie almeno tre volte al giorno, ma senza necessariamente pubblicarli sui social media;
  • acuta se si fanno molto autoscatti e tutti poi sono effettivamente pubblicati online.

Per arrivare a questa classificazione è stato svolto un sondaggio su 400 persone in India, Paese che ha molti utenti Facebook e che ha il più alto numero di morti correlate a selfie ‘pericolosi’.

La scala della gravità della selfite

È stata realizzata anche una vera e propria ‘scala della selfite’, che in 20 affermazioni alle quali rispondere attraverso l’attribuzione di un punteggio fino al massimo di 5 aiuta a scovare la categoria di questo disturbo nella quale si rientra. All’interno vi sono frasi del tipo “Guadagno molta attenzione postando selfie sui social network” o ancora “Fare selfie migliora il mio umore e mi fa sentire felice”. Non tutti gli studiosi sono però d’accordo sul fatto che la ‘selfite’ esista, anzi per alcuni è il solo ‘darle un nome’ che la rende reale.

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Ipocondria: cosa significa, sintomi fisici, cause, come combatterla

MEDICINA ONLINE MEDICO ESAME OBIETTIVO ANAMNESI PATOLOGICA FISIOLOGICA FAMIGLIARE VISITA MEDICA GENERALE AUSCULTAZIONE ISPEZIONE PERCUSSIONE PALPAZIONE DIFFERENZA FONENDOSCOPIO STETOSCOPIO TORACE ADDOME SUONI SEMEIOTICAGli ipocondriaci sono soggetti generalmente sani che però credono realmente di essere malati. Di solito l’ipocondriaco tende a sovrastimare sintomi lievi o aspecifici, interpretandoli come segno di patologie gravi, spesso anche rare ed improbabili. Ad esempio un ipocondriaco giovane ed in forma, con un lieve dolore al braccio sinistro ad esempio derivante da una semplice epicondilite, può convincersi di avere un infarto del miocardio in atto. L’ipocondriaco passa molto tempo a leggere articoli di medicina al fine di “saperne di più” sulla malattia che pensa di avere, con l’obiettivo di fare una sorta di auto-diagnosi-precoce. Oltre alla più tipica e diffusa forma nevrotica ovvero collegata ad un disturbo d’ansia del soggetto, alcune gravi manifestazioni di ipocondria, ad esempio in presenza di deliri e allucinazioni, possono essere classificate come veri e propri disturbi psichici; in questo caso l’ipocondria viene definita un disturbo somatoforme, paragonabile alle malattie psicosomatiche.

Quanto è diffusa l’ipocondria?

Gli uomini e le donne sono colpiti nella stessa percentuale dall’ipocondria (2%), e la fascia di età maggiormente coinvolta dalla malattia è quella tra i quaranta e i cinquant’anni.

Etimologia del termine ipocondria

Il termine “ipocondria” deriva dal greco ὑποχόνδρια:

  • υπό: suffisso che significa “sotto”;
  • χονδρίον: che indica la cartilagine del diaframma costale.

Veniva quindi usato un termine che indicava un malessere che veniva spesso localizzato dal paziente a livello della fascia addominale, e di conseguenza era curato con terapie usate nelle patologie addominali. Solo in tempi recenti si comprese che la causa del dolore addominale riferito era collegata ad aspetti psicologici dell’individuo e non ad una patologia organica addominale.

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Sintomi riferiti dal paziente ipocondriaco

I sintomi tipici riferiti dall’ipocondriaco, sono spesso riferibili a teoriche alterazioni nervose, respiratorie, gastrointestinali e/o cardiovascolari. I sintomi possono essere in realtà non riferibili ad alcuna patologia, oppure, possono essere meno gravi di quanto il paziente ipocondriaco pensi o infine essere indicativi di una patologia molto meno grave di quella creduta. Pur se differenti tra soggetto e soggetto, tali sintomi classicamente sono:

  • sintomi gastrointestinali (diarrea, stipsi, cattiva digestione, meteorismo, flatulenza, alterato colore/consistenza delle feci…);
  • aritmie (tachicardia, extrasistoli atriali, palpitazioni cardiache…);
  • dolori muscolari o osteoarticolari;
  • cefalea cronica;
  • affanno;
  • ansia;
  • tachipnea (aumento della frequenza respiratoria);
  • dispnea (sensazione di respirazione difficoltosa).

Caratteristiche che indicano un comportamento ipocondriaco

Il soggetto ipocondriaco, come già più volte riferito, tende a:

  • riferire sintomi non realmente presenti;
  • riferire sintomi più gravi rispetto alla gravità del sintomo;
  • sospettare una malattia in realtà inesistente;
  • sospettare una patologia ben più grave di quella esistente;
  • sospettare una patologia rara ed improbabile.

I sintomi riferiti – a detta del soggetto ipocondriaco – tendono fortemente a persistere ed essere riferiti anche dopo una valutazione medica approfondita, in cui sia praticamente certo che tali sintomi non indicano nessuna effettiva patologia, o comunque non una patologia abbastanza grave da giustificare il livello di ansia e paura dell’ipocondriaco. Spesso l’ipocondriaco vuole un “secondo parere” e va alla continua ricerca di un medico che, finalmente, confermerà in pieno la patologia che è convinto di avere. Spesso l’ipocondriaco riconduce sintomi “banali” a malattie rare ed imprababili, ad esempio un semplice affanno nella sua testa diventa “ho la Linfangioleiomiomatosi”.

Ricordiamo che il soggetto ipocondriaco, al contrario del soggetto affetto dalla Sindrome di Münchhausen, è in “buona fede”, cioè crede davvero di avere una certa patologia ed in cuor suo, sa di non inventarsi alcun sintomo. A tal proposito, leggi anche: Differenza tra ipocondria e Sindrome di Münchhausen

Cause dell’ipocondria

Tra le cause principali dell’ipocondria vi sono l’ansia e la depressione e da un punto di vista psicologico essa è definibile come un meccanismo di difesa da un pericolo interno o esterno, associato alla vita relazionale e sociale oppure all’identità personale. Lo scopo dell’ipocondriaco, conscio od inconscio, è quello di allontanarsi dalla vera causa di pericolo (ad esempio una malattia), oppure dalla causa di un fallimento nella vita (ad esempio nello studio, nel lavoro, nella famiglia) e di intensificare le manifestazioni rassicuranti e di attenzione svolte dall’ambiente circostante nei suoi confronti.

Terapia dell’ipocondria

Nella cura dell’ipocondria, la psicoterapia cognitivo-comportamentale è probabilmente lo strumento migliore. Si tratta di una psicoterapia breve, a cadenza solitamente settimanale, in cui il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del proprio problema e, insieme al terapeuta, si concentra sull’apprendimento di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali, nell’intento di spezzare i circoli viziosi dell‘ipocondria. In ogni caso la cura dell’ipocondria può risultare particolarmente difficoltosa, in quanto i soggetti non sono mai del tutto sicuri che la causa dei loro mali sia soltanto di tipo psicologico, anzi tendono ad essere fermamente convinti del contrario. Generalmente la psicoterapia è possibile davvero solo in quei casi in cui la persona si preoccupa incessantemente di avere delle malattie, ma si rende conto, almeno in parte, che le sue preoccupazioni sono eccessive e infondate.

Ipocondria e supporto farmacologico

La cura farmacologica dell’ipocondria si basa fondamentalmente sugli antidepressivi, sia triciclici che SSRI. Quest’ultima classe presenta, rispetto alle precedenti, una maggiore maneggevolezza e minori effetti collaterali. Dato che l’ipocondria viene spesso assimilata al disturbo ossessivo-compulsivo, considerando le preoccupazioni del paziente come delle ossessioni di malattia, la terapia farmacologica rispecchia le linee guida per tale disturbo, con alti dosaggi di antidepressivi ad azione serotoninergica assunti per periodi prolungati. Nelle forme lievi la prescrizione di sole benzodiazepine può essere sufficiente, ma generalmente non costituisce una forma di cura dell’ipocondria e ottiene soltanto di placare l’ansia a breve termine.

La terapia farmacologica a volte è impossibile nel paziente ipocondriaco, perché spesso il soggetto tende a rifiutare i farmaci, temendo che essi possano arrecare solo ulteriori danni al proprio organismo già “malato”.

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Ansia da messaggio, paura di rimanere sconnessi e di essere esclusi dai social: le nuove patologie da smartphone

MEDICINA ONLINE TECNOLOGIA TECHNOLOGY HOMO TECNOLOGICUS SMARTPHONE CELLULARE APP APPLICAZIONE COLLEGAMENTO USB PC PERSONAL COMPUTER ANDROID HDMI VGA I3 I5 I7 I9 WINDOWS APPLE SAMSUNG 16 9 SCHERMO PIATTO WI FI INTERNET WEBLe nuove generazioni, cresciute iperconnesse e con il cellulare in mano fin da prima dei 10 anni di età, sono a rischio di patologie impensabili fino ad appena 10 anni fa. Sotto accusa finisce in particolare l”insonnia tecnologica’ che sta mettendo a rischio lo sviluppo cerebrale degli adulti di domani, e le nuove dipendenze più impalpabili di quelle da sostanze che pure continuano in forma sempre nuova a minacciare i teenager. La nuova droga tecnologica ha mille fonti: scommesse online, social network, pornografia online, serie tv online, acquisti online, videogiochi online… sono tante le nuove “online-dipendenze” causate da un abuso di tecnologia e si diffondono così rapidamente da cogliere impreparati psichiatri e psicoterapeuti. Alcune “tecno-patologie” sono diventate così diffuse da aver addirittura un nome:

  • nomofobia: paura incontrollata di rimanere sconnessi dal contatto con la rete di telefonia mobile;
  • fomo (fear of missing out): paura di essere tagliati fuori dai social network;
  • ansia da squillo (ringxiety): ansia da smarphone;
  • textaphrenia e textiety: ansia da messaggio;
  • ansia da “challenge” o da “sfide social”: ansia che deriva dal partecipare a catene social;
  • like-addiction: ansia di raggiungere il più alto numero di like (“mi piace”) o di non raggiungere abbastanza like;
  • vamping: ore notturne trascorse sui social media.

Sempre più giovani

Tra i più giovani, l’età media dell’uso del primo cellulare, l’accesso a internet e l’apertura del primo profilo social si aggira intorno ai 9 anni. Circa 5 adolescenti su 10 dichiarano di trascorrere da 3 a 6 ore extrascolastiche con lo smartphone in mano, il 16% da 7 a 10 ore, mentre il 10% supera abbondantemente la soglia delle 10 ore. Il 95% degli adolescenti ha almeno un profilo sui social network, contro il 77% dei preadolescenti. Il primo è stato aperto intorno ai 12 anni e la maggior parte di loro arriva a gestire in parallelo 5-6 profili, insieme a 2-3 app di messaggistica istantanea.

Selfie ed ossessione per like e seguaci

Gli adolescenti sono alla continua ricerca di approvazione, che si raggiunge attraverso like e follower: per circa 5 su 10 è normale condividere tutto quello che si fa, comprese foto personali e private, mettendo tutto in vetrina, sottoponendolo alla severa valutazione della macchina dei ‘mi piace’. Per oltre 3 adolescenti su 10 è importante il numero dei like ricevuti, che accrescono l’autostima, la popolarità e quindi la sicurezza personale. Ovviamente, vale anche il contrario,tanto che il 34% ci rimane molto male e si arrabbia quando non si sente apprezzato. L’aspetto che caratterizza gli adolescenti di oggi sono i selfie, i famosi autoscatti, dove si è disposti a tutto pur di ottenere like: ad esempio il 13% ha seguito addirittura una dieta per piacersi di più nei selfie. Il dato più allarmante è che circa 1 adolescente su 10 fa selfie pericolosi in cui mette anche a repentaglio la propria vita e oltre il 12% è stato sfidato a fare un selfie estremo per dimostrare il proprio coraggio.

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Stato di allerta costante 24 ore su 24

Il filo conduttore delle patologie tecnologiche è che mantengono il “tecno-dipendente” in un costante stato di allerta, giorno e notte, senza tregua e senza differenze, all’interno di un labirinto scintillante da cui è difficile uscire, grazie alle continue dosi di dopamina (il neurotrasmettitore che “ci fa stare bene”) che vengono rilasciate quando si svolgono attività compulsive sul web. Ed oggi sappiamo che emergono alterazioni a livello della struttura cerebrale, che sono sovrapponibili alle dipendenze da stupefacenti e insistono sulle stesse aree cerebrali, tanto che una delle più grosse studiose mondiali del settore, Nora Volkow, si chiede se i teenager stiano diventando più dipendenti dalla rete che dalle sostanze. 6 giovani su 10 dichiarano di rimanere spesso svegli fino all’alba a chattare, parlare e giocare, rispetto ai 4 su 10 nella fascia dei preadolescenti. La tendenza, invece che accomuna tutti i ragazzi è di tenere a portata di mano il telefono quasi tutto il giorno, notte compresa, fino al 15% che si sveglia quasi tutte le notti per leggere le notifiche e i messaggi, in modo da non essere tagliati fuori dai social.

Depressione giovanile

Negli ultimi anni non a caso sta crescendo la depressione fra i giovani: i dati estrapolati da uno studio del 2016 su quelle che sono le prospettive in Italia sul fronte dei disturbi importanti d’ansia e depressione dai 18 ai 25 anni, ci portano a una stima attorno a 900 mila persone, circa 140 mila in Lombardia e poco più 40 mila nell’area di Milano ed in tutto questo in Italia pochi giovani fanno attività fisica: i nostri figli sono al secondo posto per obesità infantile dopo gli USA. Molti giovani hanno un grande utilizzo del pc già dai 14 anni in poi ed il 10% si dice insoddisfatto della propria vita.

Mancanza di sonno

Il problema delle tecno-dipendenze è che lo schermo luminoso di uno smartphone o di un tablet usato di notte, inganna ipotalamo e melatonina, portando quasi sempre ad una carenza di sonno distruttiva per il cervello del giovane. A 18 anni il 75% dei ragazzi dorme meno di 8 ore, il 10% dorme meno di 6 ore. Il tempo trascorso svegli influenza il numero delle sinapsi che si formano o che vengono eliminate nel cervello dell’adolescente. C’è una difficoltà a gestire situazioni di adattamento a stress crescenti, anche le dinamiche di ansia e depressione sono strettamente legate alla quantità e qualità del sonno.

Cosa fare?

Innanzitutto è importante evitare al bambino piccolo di giocare con la tecnologia. E’ importante poi controllare i giovani ed osservare se si notano cambiamenti repentini nel loro carattere e, soprattutto, parlare con loro il più possibile.

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Differenza tra ipocondria e Sindrome di Münchhausen

MEDICINA ONLINE MEDICO PAZIENTE CONSULTO DIAGNOSI MEDICO DI BASE FAMIGLIA ANAMNESI OPZIONI TERAPIE STUDIO OSPEDALE AMBULATORIO CONSIGLIO PARERE IDEA RICHIESTA ESAME LABORATORIO ISTOLOGICO TUMORE CANCROLa Sindrome di Münchhausen è un disturbo psichiatrico in cui le persone colpite fingono una malattia od un trauma psicologico per attirare attenzione di medici, parenti ed amici e scatenare sentimenti di simpatia e compassione verso di sé. Per fingere una patologia che non ha, il paziente con tale sindrome usa i “disturbi fittizi” cioè quei disturbi caratterizzati da sintomi fisici e psicologici prodotti/simulati intenzionalmente al fine di assumere il ruolo di malato. Ad esempio un paziente con Sindrome di Münchhausen può riferire di avere un fortissimo dolore al petto ed al braccio sinistro che può portare un medico ad intervenire in suo soccorso, sospettando un infarto del miocardio in atto. Il soggetto solitamente passa molto tempo a leggere articoli di medicina al fine di imparare tutti i sintomi di una data patologia, con l’obiettivo di simularli di fronte al medico, cercando anche una sorta di sfida con quest’ultimo su “chi ne sa di più di medicina”.

Gli ipocondriaci sono soggetti generalmente sani che però credono realmente di essere malati. Di solito l’ipocondriaco tende a sovrastimare sintomi lievi o aspecifici, interpretandoli come segno di patologie gravi, spesso anche rare ed improbabili. Ad esempio un ipocondriaco giovane ed in forma, con un lieve dolore al braccio sinistro ad esempio derivante da una semplice epicondilite, può convincersi di avere un infarto del miocardio in atto. L’ipocondriaco passa molto tempo a leggere articoli di medicina al fine di “saperne di più” sulla malattia che pensa di avere, con l’obiettivo di fare una sorta di auto-diagnosi-precoce.

La differenza risiede quindi nel fatto che mentre un ipocondriaco crede “in buona fede” di avere realmente una malattia, sovrastimando sintomi lievi che invece non sono ricollegabili ad alcuna patologia o ricollegabili a patologie più lievi di quello che crede di avere, invece chi soffre della Sindrome di Münchhausen è conscio del fatto di essere sano e finge di essere malato per richiamare l’attenzione degli altri su di sé. Seguendo gli esempi fatti prima: l’ipocondriaco crede di avere un infarto, il Münchhausen sa di non averlo ma lo simula.

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“Instagram mi ha salvato dall’anoressia”: la storia di Emelle

MEDICINA ONLINE ANORESSIA Emelle Lewis Instagram saved my life Anorexic whose weight plummeted to just FIVE stoneÈ viva per “miracolo” Emelle Lewis, una studentessa di psicologia 22enne di Huddersfield, Gran Bretagna, così ossessionata dal suo peso corporeo da finire nell’incubo dell’anoressia e arrivare a pesare appena 31 kg.

Mi sentivo grassa e brutta

Emelle aveva solo 15 anni quando ha iniziato a dimagrire perché si sentiva “grassa e brutta”. Ha eliminato drasticamente le calorie e ha iniziato a frequentare ossessivamente la palestra.
“Tutto è iniziato al liceo – ha raccontato Emelle al Daily Mail – Mi sentivo troppo grassa. Le mie amiche erano fidanzate. Io, invece, non riuscivo a trovare un ragazzo”. Da quel momento è caduta nella trappola: si nutriva di gallette di riso, insalata e cereali. Si rifiutava di farsi curare e pensava che il resto del mondo le volesse rovinare la vita.
Era così magra che doveva indossare i suoi vestiti da bambina, ma era convinta di dover bruciare costantemente le calorie e di non poter stare mai seduta: “Quando ero malata, non pensavo di essere io il problema. Credevo di poter condurre una vita normalissima, nonostante la mia magrezza”.

Adesso sto bene: non sprecate la vita!

Poi è arrivata la svolta: “Mi ricordo che, un giorno, ero coricata e pensavo che sarei morta da un momento all’altro. Mi sono detta: ‘Non ti sei ancora realizzata. È veramente questa la fine che vuoi fare?’ No, non era quella… È stato molto difficile, ma da quel momento qualcosa nella mia testa è cambiato”. Emelle è riuscita a riprendersi, anche con l’aiuto delle storie di ragazze come lei su Instagram. Sul loro esempio ha provato a raccontarsi e a cercare di guarire.
Ora Emelle sta meglio e ha deciso di raccontare la sua storia per sensibilizzare l’opinione pubblica e persuadere altre ragazze come lei: “Adesso sto bene con me stessa. Mi piace il mio corpo. Anche se per un po’ di tempo ho dovuto ignorare la mia mente. Sono una persona più forte di prima e vedo il mondo con occhi diversi. La vita è troppo breve, non sprecatela”.

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Differenza tra dolore somatico, viscerale, superficiale e profondo

MEDICINA ONLINE DOLORE ARTO BRACCO SINISTRO FORMICOLIO CIRCOLAZIONE CANCRO TUMORE ATTACCO CARDIACO CUORE GOMITO TENNISTA ICTUS INFARTO MIOCARDIO CANCRO TUMORE SENO MAMMELLAIl dolore è una sensazione fastidiosa, ma indispensabile: immaginate se un bimbo potesse liberamente toccare una fiamma, senza provare alcun dolore. Probabilmente non solo non si gioverebbe di una importante lezione educativa (il fuoco fa male, stacci lontano!) ma rischierebbe addirittura di morire bruciato. Senza dolore, l’essere umano si sarebbe probabilmente estinto da migliaia di anni. I dolori, però, non sono tutti uguali: grazie alla semeiotica (l’importante branca della medicina che studia i sintomi ed i segni clinici del paziente) oggi facciamo un po’ di chiarezza!

Il dolore somatico

Il dolore somatico è un dolore bidimensionale, di facile individuazione e localizzazione, trafittivo e puntorio che varia secondo la posizione che si assume. All’interno di questa categoria è possibile operare un’ulteriore distinzione tra il dolore somatico superficiale e il dolore somaticoprofondo. Nel primo caso ci si riferisce al tipico dolore cutaneo, facilmente delimitabile a una determinata area; più complessa è l’individuazione e la localizzazione del dolore somatico profondo. In questo secondo caso la sensazione predominante è il bruciore (simile a quello provocato dal contatto con l’ortica) e non è facile per il paziente indicare con precisione a quale tessuto sia collegato.
Il dolore cutaneo (somatico superficiale) può palesarsi immediatamente o comparire in tempi successivi allo stimolo doloroso. La differenza tra le due manifestazioni è determinata dalla tipologia di fibre nervose che intervengono e vengono coinvolte. Entrambe sono originate da un fattore esterno che esercita un’azione sulla cute, come un taglio, una pressione, un’ustione, che avvengono in un momento preciso e limitato nel tempo. Il dolore cutaneo viene definito ricorrente quando persiste anche dopo la cessazione dello stimolo che ha provocato la sua origine; questo è intenso e accompagnato da reazioni vegetative quali nausea, vomito e malessere che va al di là del dolore.
Il dolore somatico può palesarsi diversamente secondo i casi: si distingue tra:nevralgia, termine con il quale il paziente indica un dolore continuo; causalgia, un bruciore simile a quello provocato dal contatto con oggetti roventi; crampo, una sensazione dolorosa provocata dalla contrazione improvvisa dei muscoli;colica, un dolore intenso e duraturo associato alla comparsa di una serie di malesseri quali nausea, vomito, pallore, debolezza, sudorazione eccessiva. Lo spasmo è una contrattura di breve durata, ma molto forte. Infine le doglie sono un tipo di dolore violento, caratterizzato da brevi ma continue contrazioni, associate comunemente al travaglio e al parto.

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Il dolore viscerale

Il dolore viscerale, al contrario di quello somatico, è tipico di organi e visceri che sono poco irradiati o totalmente sprovvisti di recettori del dolore. La differente concentrazione di terminazioni nervose causa la comparsa di uno stimolo doloroso profondo, tridimensionale, diffuso, non facilmente localizzabile; esso non varia secondo la posizione assunta e quando è molto intenso e induce il paziente a “piegarsi in due”. È un dolore sordo, ottuso e compressivo. Chi ne soffre non riesce a circoscriverlo ad un’unica area e questo determina maggiori difficoltà per il medico a comprenderne l’origine e a formulare una diagnosi. Il dolore viscerale è spesso accompagnato da un malessere diffuso, che comprende anche la comparsa di manifestazioni vegetative (nausea, debolezza, spossatezza, a volte vomito, sudorazione, senso di svenimento).
Il dolore viscerale è provocato da infiammazioni o stimoli chimici di varia natura. Come nel caso del dolore somatico, si può distinguere tra dolore viscerale profondo e dolore viscerale superficiale. Il primo viene avvertito dal paziente intorno al viscere la cui patologia origina la manifestazione dolorosa, il secondo più in superficie, sulla cute, a volte in corrispondenza dell’organo malato

Il dolore viscerale profondo è uno stimolo difficilmente localizzabile, un malessere che si avverte nell’area del corpo limitrofa al viscere malato. A causarlo sono stimolazioni dolorose viscerali di lieve entità che non sono quindi sufficienti a determinare la comparsa del dolore nell’organo o nel viscere afflitto. Quando l’intensità delle stimolazioni dolorose aumenta, si incrementa anche lo stimolo algico con conseguente comparsa di quello che è stato definito dolore viscerale superficiale che compare dunque in superficie, in corrispondenza dell’organo o del viscere malato (dolore irradiato). Esso può manifestarsi anche in punti del corpo apparentemente non collegati con la causa del dolore. In questo secondo caso si parla di dolore riferito.
Il dolore viscerale può essere avvertito in una sede differente rispetto a quella colpita a causa di un’anomalia di innervazione del viscere oppure perché provocato da più fattori algogeni che si uniscono: all’interno del corpo può esistere ad esempio una condizione algogena di per sé insufficiente a provocare dolore. Gli impulsi derivanti da quest’ultima però possono sommarsi a quelli derivanti da un’altra struttura dolente determinando la comparsa dello stimolo doloroso al livello della struttura che tra le due è più ricca di recettori. Questo meccanismo può essere molto insidioso al momento dell’esame medico perché può depistare lo specialista e ritardare la diagnosi. Un esempio è quello del dolore dell’angina pectoris decentrato che si localizza in un dente cariato o dell’infarto che, in alcuni casi ,può portare dolori a carico dell’appendice, quando questa è già infiammata.  Non è sempre facile distinguere tra un dolore viscerale e uno somatico a causa del modo in cui la sensazione viene elaborata dalla corteccia cerebrale e poi proiettata in periferia. La differenza tra i due non è così netta, al punto che la letteratura medica distingue tra il dolore viscerale puro, il somatico puro e il dolore misto viscerale e somatico, che può presentare una variazione delle caratteristiche della manifestazione dolorosa.

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Alcuni esempi di dolore

La cefalea è una forma frequente di dolore somatico che può avere svariate origini. Può manifestarsi sotto forma di semplice emicrania, definita cefalea essenziale, o essere una cefalea sintomatica, che indica quindi la presenza di altre affezioni di differente natura (pressoria, derivante da patologie rinologiche, pericraniche, o psicogena).
Anche il dolore al collo può avere interpretazioni diverse: il medico può trovarsi davanti ad un semplice dolore muscolare (torcicollo, distorsione, problemi vertebrali), o a casi in cui a causare l’affezione sono problemi tiroidei o lesioni viscerali toraciche o addominali (come pleurite, angina pectoris, ernia diaframmatica ecc..) il cui dolore al collo non è altro che un riflesso irradiato.
Ciò vale anche per il dolore toracico. Generalmente quando un paziente si presenta al pronto soccorso lamentando dolori al torace, gli viene assegnato un codice di priorità. Non sempre, però, il dolore al petto è collegato a problemi cardiaci. L’affezione delle differenti strutture del torace provoca manifestazioni differenti ed è pertanto auspicabile che il medico sappia riconoscerle per poter intervenire immediatamente o tranquillizzare il paziente laddove i sintomi lamentati non siano preoccupanti.

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