Pancreas: anatomia e funzioni in sintesi

MEDICINA ONLINE PANCREAS ADDOME TUBO DIGERENTE INTESTINO DUODENO DIABETE INSULINA GLUCAGONE SOMATOSTATINA POLIPEPTIDE PANCREATICO GHIANDOLA ENDOCRINA ESOCRINA ANFICRINA DOVE SI TROVA FUNZIONI DESTRA SINISTRAIl pancreas è una grande ghiandola annessa all’apparato digerente, lunga e piatta, situata trasversalmente nella parte superiore e posteriore della cavità addominale. Il pancreas è formato da una parte esocrina e una endocrina. La sua principale funzione è quella di produrre succo pancreatico (prodotto dalla parte esocrina), insulina e glucagone (entrambi prodotti dalla parte endocrina). Il succo pancreatico ha la funzione di digerire alcune sostanze nell’intestino tenue, mentre l’insulina ed il glucagone hanno come principale funzione quella di controllare la concentrazione di glucosio nel sangue.

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Anatomia del pancreas
Il pancreas è una grossa ghiandola di forma allungata, rassomigliante ad una lingua più spessa nella sua porzione mediale, accolta nella concavità del duodeno, e più sottile e schiacciata nella sua porzione laterale che si spinge fino all’ilo della milza, in direzione antero-superiore rispetto alla testa. Si trova compreso tra L1 e L2 (prime due vertebre lombari) la coda risale sino alla 7ª costa, ed è un organo retroperitoneale. Anteriormente al pancreas vi è lo stomaco, che lo copre completamente, le arterie e le vene gastroepiploiche, la prima porzione del duodeno (presso la testa), l’arteria gastroduodenale, medialmente la seconda e terza porzione del duodeno che lo separano dal rene destro, lateralmente la milza, i vasi splenici, le arterie gastriche brevi, posteriormente il condotto coledoco, l’aorta, la vena cava inferiore, i vasi genitali e i vasi mesenterici superiori (a livello della testa e del collo), il rene sinistro (presso la coda), superiormente l’arteria splenica (che vi è incorporata) e il tronco celiaco con i suoi rami, inferiormente la quarta porzione del duodeno e il mesocolon trasverso e che lo unisce al colon trasverso. Nei soggetti giovani raggiunge un peso di circa 80-100 grammi, e misura circa 12–15 cm dalla testa alla coda in età adulta, anche se il suo tessuto esocrino tende a diminuire con l’avanzare dell’età diventando atrofico, è largo 4 cm e spesso 2 cm. È di colore rosa salmone, e una consistenza piuttosto dura e mostra una superficie lobulata. Il parenchima del pancreas è distinto in quattro parti che prendono il nome di testa, collo, corpo e coda, cui si deve aggiungere il processo uncinato, che ha una differente origine embriologica rispetto alle altre porzioni. Il pancreas è mantenuto stabile nella sua posizione dal duodeno, che ne accoglie la testa, dal peritoneo parietale posteriore, che lo riveste, e dal “legamento pacreaticolienale”, che ne fissa la coda all’ilo della milza.

  • La testa del pancreas è la porzione più spessa e voluminosa della ghiandola, schiacciata antero-posteriormente come il resto dell’organo, si trova accolta nella concavità duodenale, è in rapporto anteriormente con il canale pilorico e la prima porzione del duodeno, il mesocolon trasverso che la separa dal colon trasverso e talvolta alcune anse ileali, medialmente con la seconda e terza porzione del duodeno, inferiormente con la quarta porzione, lateralmente con la vena mesenterica superiore, posteriormente con il condotto coledoco, la vena cava inferiore, la vena lienale, l’aorta, l’arteria e la vena genitale destra. In alcuni casi parte della testa del pancreas è letteralmente incorporata nella parete duodenale. Inferiormente e lateralmente la testa si continua con un processo a forma di uncino, che prende proprio il nome di processo uncinato, mentre superiormente e lateralmente il parenchima si restringe e diventa più sottile, questa porzione è detta collo. È quasi completamente ricoperta dal peritoneo.
  • Il collo (o istmo) è la prosecuzione laterale della testa, è più stretto e sottile di questa e si continua lateralmente con il corpo. Si considera facente parte del corpo una regione molto stretta del pancreas, di circa due centimetri, definita come la porzione del parenchima pancreatico anteriore alla vena porta (la confluenza tra vena mesenterica superiore e vena lienale è proprio posteriore a questa porzione). Superiormente è in rapporto con il tronco celiaco e con la vena porta, posteriormente con la vena porta, la vena mesenterica superiore (talvolta anche l’arteria mesenterica superiore) e la vena lienale, anteriormente con il piloro e i vasi gastroduodenali, inferiormente con il mesocolon trasverso. È ricoperto dal peritoneo.
  • Il corpo è una porzione allungata e appiattita della ghiandola che ne forma gran parte del suo prolungamento laterale, è lungo infatti 8–10 cm. La sua forma triangolare in sezione ne fa distingue tre facce (antero-superiore, antero-inferiore e posteriore) e tre margini (superiore, anteriore e inferiore). La faccia antero-superiore forma la metà superiore della porzione anteriore della ghiandola ed è divisa dalla antero-inferiore dal margine superiore; è quasi completamente ricoperta dal peritoneo. È separata dallo stomaco dalla borsa omentale. La faccia antero-inferiore forma la metà inferiore della porzione anteriore, è completamente rivestita dal peritoneo e si continua con il mesocolon trasverso che prende inserzione sul margine superiore. La faccia posteriore non è rivestita dal peritoneo. Il corpo del pancreas è in rapporto superiormente con l’arteria splenica, posteriormente con il rene sinistro e la vena splenica, inferiormente con il digiuno e si continua lateralmente con la coda del pancreas.
  • La coda è l’estremità laterale della ghiandola e ne forma solo una piccola porzione, lunga mediamente 2,5 cm. Presenta un margine laterale arrotondato ed è situata tra i due foglietti del legamento lieno-renale. È in rapporto posteriormente con la vena splenica, superiormente o posteriormente con l’arteria splenica, posteriormente con il rene sinistro, lateralmente con l’ilo della milza, anteriormente con il colon trasverso. Non è ricoperta dal peritoneo.
  • Il processo uncinato si estende lateralmente ed inferiormente alla testa del pancreas. È collocato posteriormente alla vena mesenterica superiore, qualche volta all’arteria mesenterica superiore, è anteriore all’aorta, superiore alla terza o quarta porzione del duodeno.

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Dotti pancreatici
Il pancreas esocrino è costituito da gruppi di cellule acinose, a loro volta costituenti lobuli i quali sono separati tra loro da esili setti connettivali derivanti da una sottile capsula. Il secreto è riversato all’interno di un sistema di condotti pancreatici che poi si svuotano nel duodeno. Il condotto pancreatico principale (o condotto di Wirsung) scorre all’interno del pancreas, centralmente, più vicino alla faccia posteriore che a quella anteriore, seguendo la forma della ghiandola e dirigendosi dalla coda verso la testa con un percorso leggermente sinuoso. Dei dotti lobulari lo raggiungono formando con esso angoli acuti e così la struttura dei dotti pancreatici del corpo e della coda rassomiglia a quella di una lisca di pesce.

Il calibro del condotto pancreatico principale cresce dalla coda verso la testa passando da 1 mm nella coda a 3 mm nella testa, in virtù della necessità di accogliere quantità sempre maggiori di succo pancreatico. Giunto presso la testa il condotto pancreatico principale piega inferiormente per poi curvare di nuovo verso destra e collegarsi con il condotto coledoco, formando una struttura più espansa detta ampolla epatopancreatica comune (del Vater). Anche nella testa il condotto pancreatico comune riceve condotti lobulari, di calibro maggiore rispetto a quelli di corpo e coda, che lo raggiungono con una disposizione quasi radiale. A sua volta l’ampolla del Vater sbocca nella parete postero-mediale della seconda porzione del duodeno, rappresentando lo sbocco comune della bile e del succo pancreatico nell’intestino. Un secondo dotto pancreatico accessorio (del Santorini) è quasi sempre presente, raccoglie il succo pancreatico della porzione anteriore della testa del pancreas, ed è di calibro decisamente inferiore rispetto al condotto principale, con cui è collegato da condotti secondari di piccolo calibro.

Il succo pancreatico raccolto dal dotto pancreatico accessorio può sboccare nel condotto principale qualora non vi sia sbocco nel duodeno, ma di norma presenta uno sbocco separato costituito da una papilla arrotondata posta un paio di centimetri superiormente ed anteriormente rispetto all’ampolla di Vater. In generale, però, entrambi i dotti presentano notevole variabilità anatomica. Il succo pancreatico, secreto dal pancreas esocrino è basico a causa dell’elevato contenuto in ioni bicarbonato e contiene enzimi proteolitici (tripsina, chimotripsina, elastasi), enzimi glicolitici (amilasi), enzimi lipolitici (lipasi pancreatiche), nucleasi, ribonucleasi e desossiribonucleasi.

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Vasi e nervi del pancreas

  • Arterie del pancreas. Le arterie principali che irrorano il pancreas sono: l’arteria pancreaticoduodenale superiore e l’arteria pancreaticoduodenale inferiore, a queste si aggiungono rami dell’arteria splenica.
    • L’arteria pancreaticoduodenale superiore è un ramo di piccolo calibro dell’arteria gastroduodenale, che subito dopo essere emersa dalla precedente si divide in un ramo anteriore e in uno posteriore. Il ramo anteriore si dirige a destra passando anterioremente ed inferiormente tra la testa del pancreas e il margine mediale della seconda porzione del duodeno, fornisce numerosi rami con la testa del pancreas i quali si anastomizzano con i corrispondenti dell’arteria pancreaticoduodenale inferiore, la stessa cosa fa il posteriore passando però dietro la testa del pancreas. Entrambi i rami confluiscono inferiormente con i corrispondenti dell’arteria pancreaticoduodenale inferiore.
    • L’arteria pancreaticoduodenale inferiore è un ramo dell’arteria mesenterica superiore, nasce al di sotto del corpo del pancreas, subito si biforca in un ramo anteriore e in uno posteriore che si portano a destra e superiormente (anteriormente e posteriormente alla testa del pancreas), descrivendo una curva con la concavità rivolta verso sinistra, dopodiché si anastomizzano con i rami corrispondenti dell’arteria pancreaticoduodenale superiore. È la principale arteria responsabile della vascolarizzazione del processo uncinato.
    • L’arteria pancreatica dorsale è costituita da due rami dell’arteria splenica, uno si porta a destra posteriormente al corpo del pancreas che irrora, per confluire nell’arteria pancreaticoduodenale superiore (ramo posteriore), l’altra si porta inferiormente e a sinistra prima posteriormente al corpo, poi lungo il margine inferiore ed infine nella porzione inferiore della faccia antero-inferiore della ghiandola, irrorando la porzione inferiore del corpo ed anastomizzandosi con l’arteria pancreatica maggiore.
    • L’arteria pancreatica maggiore è un ramo dell’arteria splenica che si porta a sinistra e posteriormente al corpo del pancreas, che irrora emettendo numerosi rami. Prosegue verso la coda costituendo l’arteria della coda del pancreas che invece irrora la parte della ghiandola da cui prende il nome.
    • L’arteria mesenterica superiore, che nasce dall’ aorta addominale sotto il tronco celiaco, oltre all’ intestino tenue mesenteriale e la metà destra dell’ intestino crasso irrora anche il pancreas.
  • Vene del pancreas. La testa, il collo e il processo uncinato del pancreas sono drenati da piccole vene, rami delle vene pancreaticoduodenali superiori ed inferiori, che decorrono nella faccia antero-superiore del pancreas decorrendo insieme ai rami anteriore e posteriore dell’arteria pancreaticoduodenale superiore. La vena pancreaticoduodenale inferiore sbocca nella vena mesenterica superiore che a sua volta drena nella vena porta dietro il collo del pancreas, mentre la vena pancreaticoduodenale superiore sbocca direttamente nella vena porta. Alcune piccole vene non sboccano nelle vene pancreaticoduodenali ma direttamente nella vena porta e vengono dette vene della testa e del collo del pancreas. Il corpo e la coda del pancreas sono drenate da numerose vene minori (vene del corpo e della coda del pancreas) che drenano direttamente nella vena lienale, che decorre posteriormente al corpo, oppure nella vena mesenterica inferiore, che subito dopo però sbocca di nuovo nella vena lienale. Alcuni vasi venosi formano anastomosi con le vene lombari.
  • Linfatici. Il pancreas possiede un complesso sistema di vasi linfatici. I capillari linfatici originano attorno agli acini della sua porzione esocrina, mentre sono assenti all’interno delle isole di Langerhans, poi drenano in vasi di calibro sempre maggiore seguendo il decorso arterioso e sboccando infine nei molteplici gruppi linfonodali vicini all’organo. In particolare, in vasi linfatici del processo uncinato, della testa e del collo drenano nei linfonodi collocati presso l’arteria mesenterica superiore, le arterie pancreaticoduodenali e l’arteria epatica e in misura minore i linfonodi celiaci e preaortici. I vasi linfatici di corpo e coda drenano nei linfonodi pancreaticolienali e in misura minore nei preaortici.
  • Innervazione. Il pancreas è innervato dal sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico. Le fibre simpatiche pregangliari originano nei mielomeri toracici T5-T10, penetrano nei gangli della catena del simpatico e da qui discendono attraverso il nervo grande splancnico toracico nel plesso celiaco e nel plesso pancreaticoduodenale dove sinaptano nei gangli nervosi. Le fibre nervose postgangliari di questi due plessi seguono il decorso dei vasi arteriosi (arterie pancreaticoduodenali, arteria lienale) che irrorano il pancreas per innervarlo penetrando sin tra gli acini. Le fibre simpatiche hanno azione vasocostrittrice e in parte secretomotoria. Le fibre parasimpatiche derivano dal nervo vago posteriore e dai nervi parasimpatici del plesso celiaco ed hanno funzione vasodilatatrice e secretomotoria. Le fibre pregangliari provenienti dal vago sinaptano a direttamente nel parenchima pancreatico dove sono presenti gangli nervosi, le fibre postgangliari terminano sugli acini, per cui ciascun lobulo è innervato da una rete di fibre simpatiche e parasimpatiche e così ogni acino. La sensibilità dolorifica (o di altro tipo) pancreatica ha afferenze simpatiche e parasimpatiche.

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Anatomia microscopica
Il pancreas è funzionalmente suddiviso in una parte esocrina (lat. pars esocrina), preponderante (97-99% del totale) formata dagli acini pancreatici e in una endocrina (1-3%) costituita dalle isole di Langerhans (lat. pars endocrina).

  • Esocrino. Il pancreas esocrino è una ghiandola tubuloacinosa composta, suddivisa in due lobuli da sepimenti connettivali lassi che si dipartono dalla sua capsula e in cui decorrono i vasi sanguigni, i vasi linfatici e i nervi. Ciascun lobulo pancreatico è suddiviso in centinaia di acini, raggruppamenti cellulari sferici e unità secernenti della ghiandola. Da ciascun acino parte un dotto preterminale che confluisce in un dotto intralobulare e molti dotti intralobulari confluiscono a formare un dotto intercalare che a sua volta si getta in dotti di calibro sempre maggiore sino a sboccare nel condotto pancreatico principale o in quello accessorio. Le cellule acinose pancreatiche hanno forma piramidale con la base spesso a contatto con sottili capillari, da cui è separata dall’endotelio e da una lamina basale, e con apici rivolti verso il dotto intralobulare. Possiedono un nucleo tondeggiante in cui è comune reperire due nucleoli, circondato ai lati e alla base da un reticolo endoplasmatico rugoso particolarmente sviluppato data la loro funzione secretoria, un reticolo endoplasmatico liscio discretamente sviluppato, molti mitocondri, soprattutto nella regione basale, numerosi i ribosomi, piuttosto sviluppato l’apparato di Golgi e in posizione centrale, mentre nella porzione apicale della cellula si riscontrano quasi sempre grandi granuli sferici contenenti sostanze elettrondense, i granuli di zimogeno, con dimensioni alquanto variabili. Lo zimogeno in questo caso è un cocktail di numerosi proenzimi, in forma inattiva che costituiscono il succo pancreatico. Le sue proteine sono sintetizzate nel reticolo endoplasmatico ruvido, processate nel Golgi ed escrete nel lume del dotto intralobulare all’apice della cellula. Ciascuna cellula acinosa è collegata con le adiacenti da numerose giunzioni specializzate collocate sulla membrana plasmatica laterale, mentre sulla sua porzione basale spesso si riscontrano terminazioni nervose colinergiche (eccitosecretorie e parasimpatiche). La porzione apicale della membrana è provvista di numerose estroflessioni. Colorate con ematossilina-eosina le cellule acinose sono fortemente basofile a causa del loro reticolo endoplasmatico rugoso, del nucleo e dei ribosomi. La stimolazione ormonale di queste cellule avviene con il rilascio di colecistochinina duodenale (CKK) da parte del duodeno. Le cellule centroacinose, poste per l’appunto al centro dell’acino, sono adiacenti ai dotti intralobulari e vi si affacciano. La loro funzione concerne la produzione di ioni bicarbonato e il trasporto dell’acqua. Questi aspetti sono regolati neuralmente dal nervo vago posteriore mediante terminazioni colinergiche ed ormonalmente mediante la secretina da parte del duodeno e del digiuno. Le cellule che delimitano i dotti intralobulari sono inizialmente appiattite, man mano che il calibro del dotto aumenta diventano prima cubiche ed infine cilindriche. Disperse tra le cellule degli acini e dei dotti pancreatici si riscontrano occasionali cellule neuroendocrine. Le cellule stellate sono cellule simili a miofibroblasti con un corpo centrale e lunghi processi citoplasmatici che abbracciano una porzione o un intero acino, anche se si riscontrano anche presso il sistema duttale. La loro funzione, non del tutto compresa, sembrerebbe quella di facilitare lo svuotamento della secrezione nei dotti. Sono regolate da stimolazione ormonale. L’azione secernente del pancreas è continua, ma si svolge a un livello modesto; essa aumenta però considerevolmente sotto lo stimolo neuroendocrino della secretina e della pancreozimina, prodotti nel duodeno che raggiungono il pancreas attraverso il circolo sanguigno. Il succo pancreatico viene immesso nel duodeno non in modo episodico, come la bile: al momento della digestione avviene un rilascio massivo e rapido di succo pancreatico. La mancanza di un serbatoio per il succo pancreatico rende necessaria l’esistenza di altri meccanismi di regolazione, in primo luogo le formazioni sfinteriche della “papilla duodenale“, che occludono parzialmente il condotto pancreatico principale: ciò tuttavia non spiega il rilascio massivo nella fase digestiva. La secrezione pancreatica viene resa notevolmente attiva da stimolazioni di natura nervosa ed endocrina (pancreozimina e secretina). Questa stimolazione determina uno svuotamento massivo delle cellule sierose, i granuli di “zimogeno” si fondono tra loro e si ha lo svuotamento massivo.
  • Endocrino. Il pancreas endocrino è costituito da circa 1 milione di isole di Langerhans, ammassi cellulari (diametro: 100 micrometri) di forma tondeggiante costituiti da cordoni, distribuiti in particolare nella coda e nel corpo della ghiandola. In ematossilina-eosina appaiono come aggregati cellulari poco colorati in mezzo al parenchima esocrino fortemente basofilo. Non possiedono vasi linfatici ma sono percorse da un fitto plesso di capillari fenestrati in cui riversano i loro ormoni e possiedono una ricca innervazione tanto che quasi tutte le cellule sono a contatto con un capillare e molte con terminazioni nervose. Sono stati identificati cinque tipi cellulari all’interno di ciascuna isola di Langerhans. Le cellule α sono disposte alla periferia dell’isola, sono piuttosto numerose (15-20% del totale) e secernono glucagone, le cellule β sono le più numerose (65-80%), poste perlopiù centralmente nelle isole e secernono insulina e amilina, le cellule δ sono rare (3-10%), distribuite uniformemente e secernono somatostatina, le cellule F (o cellule PP) sono molto rare (1-2%) spesso sono quasi tutte raggruppate in una singola zona periferica dell’isola e secernono il polipeptide pancreatico (PP) ed infine le cellule ε sono rarissime (meno dell’1%) e secernono grelina. Una cellula β ha forma piramidale, un nucleo basale con un singolo nucleolo, un reticolo endoplasmatico liscio e rugoso sviluppato attorno al nucleo, apparato di Golgi sviluppato e in posizione centrale, pochi mitocondri in posizione basale, numerose vescicole secretorie nella porzione apicale che si affaccia all’endotelio fenestrato di un capillare. È stato in realtà provato con tecniche di fluorescenza che il modello sopra descritto è quello comune del pancreas di topo; nel pancreas umano, i capillari e le venule post-capillari anastomizzandosi formano dei compartimenti deputati ai singoli citotipi, in modo tale che cellule alfa e beta (e gamma) si trovino sia alla periferia che profondamente nelle isole di Langerhans. Le membrane plasmatiche laterali possiedono giunzioni serrate nella parte superiore e numerose giunzioni comunicanti in quella inferiore, mentre le terminazioni nervose sono a contatto con la base della cellula. Le cellule α hanno forma romboidale, le cellule δ sono spesso tondeggianti con un unico prolungamento citoplasmatico mentre le F sono tendenzialmente piramidali. Le terminazioni nervose presenti alla base della membrana plasmatica delle cellule delle isola di Langerhans possono essere colinergiche, adrenergiche o noradrenergiche. Le terminazioni adrenergiche stimolano la secrezione di glucagone ed insulina, quelle noradrenergiche inibiscono il rilascio di insulina, mentre possono agire coordinatamente per regolare il rilascio di somatostatina e polipeptide pancreatico. Queste fibre sono quasi tutte parasimpatiche. Ciascuna terminazione può essere distinta al microscopio elettronico in base al diametro delle vescicole, piccole nelle adrenergiche, più grandi nelle colinergiche, ve n’è infine un terzo tipo con vescicole molto grandi. Nessuna tipologia di cellule ha una tipologia di terminazione nervosa preferenziale.

Funzioni del Pancreas
Il pancreas è dotato di una duplice funzione, endocrina da un lato ed esocrina dall’altro. Il primo termine fa riferimento alla sua capacità di secernere nel circolo sanguigno gli ormoni che sintetizza, mentre la funzione esocrina consiste nella produzione di enzimi digestivi da immettere nel tubo digerente.

Pancreas Esocrino
Gli acini pancreatici rappresentano le aree anatomiche deputate alla secrezione esocrina; al loro interno troviamo particolari cellule, dette acinose, che producono enzimi digestivi in forma inattiva, per poi riversarli, sotto l’influenza di determinati stimoli fisiologici, nel duodeno. Giunti in questa sede, dopo aver percorso un albero di canali convergenti nei dotti pancreatico principale (dotto di Wirsung) e pancreatico accessorio (dotto di Santorini), tali enzimi vengono attivati da altre proteine e possono finalmente svolgere la loro azione chimica. I vari enzimi digestivi prodotti dal pancreas possono essere classificati, in base alla loro attività, in differenti categorie, che nel complesso danno origine al cosiddetto succo pancreatico:

  • AMILASI: trasformano l’amido alimentare in una miscela di zuccheri semplici (disaccaridi, maltosio, glucosio) che verrà poi assorbita a livello della mucosa intestinale.
  • CHIMOTRIPSINA, TRIPSINA, CARBOSSIPEPTIDASI: idrolizzano i legami peptidici presenti all’interno delle strutture proteiche, frammentandole nei singoli aminoacidi che le compongono.
  • LIPASI: coadiuvate dalla bile e dagli enzimi colipasi, catalizzano l’idrolisi dei trigliceridi scindendoli nei loro componenti più elementari (glicerolo ed acidi grassi).
  • RIBONUCLEASI e DESOSSIRIBONUCLEASI: demoliscono, rispettivamente, gli acidi ribonucleici (RNA) e desossiribonucleici (DNA).

Oltre a questi enzimi digestivi, il succo pancreatico è ricco di ioni bicarbonato fondamentali per tamponare l’acidità del chimo proveniente dallo stomaco e garantire un ambiente leggermente alcalino favorevole all’attività degli stessi enzimi digestivi.

Pancreas Endocrino
La secrezione endocrina del pancreas è svolta dalle isole del Langerhans, che ricoprono un ruolo di primo piano nel controllo del metabolismo degli zuccheri, dei grassi e delle proteine. La porzione endocrina del pancreas produce due ormoni importantissimi per regolare il livello di glucosio nel sangue:

  • insulina: viene prodotta dalle cellule beta che rappresentano, quantitativamente, circa 3/4 delle isole del Langehrans;
  • glucagone: viene prodotto dalle cellule alfa (20% della massa complessiva degli isolotti del Langehrans).

L’insulina viene rilasciata quando c’è un picco glicemico nel sangue (ad esempio dopo un pasto abbondante in carboidrati) con lo scopo di abbassare la glicemia, mentre il glucagone viene rilasciato quando la glicemia è troppo bassa, con l’obiettivo di innalzarla.

Somatostatina e polipeptide pancreatico
La parte endocrina del pancreas secerne anche somatostatina polipeptide pancreatico. La somatostatina ha molti scopi, tra cui quello di inibire:

  • il rilascio di insulina;
  • il rilascio di glucagone;
  • il rilascio di acido cloridrico nello stomaco;
  • la produzione esocrina del pancreas.

Il polipeptide pancreatico viene invece rilasciato con lo scopo di:

  • ridurre la motilità intestinale;
  • ridurre lo svuotamento gastrico;
  • aumentare la durata del transito intestinale;
  • inibire la secrezione acida gastrica indotta dalla gastrina;
  • inibire la secrezione esocrina del pancreas tramite una via mediata dal nervo vago.

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Duodeno: anatomia e funzioni in sintesi

MEDICINA ONLINE PANCREAS ADDOME TUBO DIGERENTE INTESTINO DUODENO DIABETE INSULINA GLUCAGONE SOMATOSTATINA POLIPEPTIDE PANCREATICO GHIANDOLA ENDOCRINA ESOCRINA ANFICRINA DOVE SI TROVA FUNZIONI DESTRA SINISTRAIl duodeno (duodenum in inglese) è un canale che fa parte dell’apparato digerente umano, in cui è preceduto dallo stomaco e precede il digiuno. Il duodeno è il primo dei tre segmenti in cui viene suddiviso l’intestino tenue, un lungo canale che si estende dal piloro (tratto conclusivo dello stomaco) fino allo sfintere ileocecale (tratto iniziale dell’intestino crasso). L’intestino tenue, oltre al duodeno è composto dal digiuno e dall’ileo. Il duodeno è anche detto intestino tenue fisso per distinguerlo dalle altre due porzioni, definite invece mesenteriali. Infatti per merito del mesentere, le due porzioni più distali dell’intestino tenue, hanno una mobilità notevolmente maggiore del duodeno che è invece molto più statico. Il duodeno riceve la bile, portata dal dotto coledoco, e il succo pancreatico, che giunge dal condotto del pancreas. Questi due prodotti di secrezione di fegato e pancreas, sfociano in duodeno tramite la papilla maggiore, la quale è munita di uno sfintere (anello di muscolatura liscia) detto sfintere coledocico di Oddi. Un’altra fondamentale funzione del duodeno è quella di neutralizzare l’acidità del chimo gastrico mediante la secrezione alcalina delle ghiandole del Brunner, ghiandole che ne differenziano la struttura rispetto al resto dell’intestino tenue.

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Disposizione e rapporti
Il duodeno rappresenta la prima porzione dell’intestino tenue, nonché quella con calibro, fissità maggiore e lunghezza minore, mediamente 20–25 cm. Origina dal canale pilorico dello stomaco e possiede una forma a “C”, la cui concavità abbraccia la testa del pancreas, continuando, poi, nel digiuno. Si tratta di un organo retroperitoneale (eccetto i primi 2,5 cm, che sono intraperitoneali), essendo accollato alla parete posteriore della cavità addominale, dietro il peritoneo parietale, ed è formato da quattro porzioni: superiore, discendente, orizzontale e ascendente, che possono essere anche nominate prima, seconda, terza e quarta porzione del duodeno.

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Le 4 porzioni del duodeno

  1. Porzione superiore del duodeno (o prima porzione, o bulbo). La porzione superiore o prima parte del duodeno, è costituita da un tubo di forma cilindrica che origina dal piloro, a destra della linea mediana, e si dirige postero-lateralmente per un tratto con una lunghezza media di circa 5 cm, terminando con la flessura duodenale superiore. È la porzione più mobile di questo tratto dell’intestino. Il peritoneo viscerale ne ricopre la faccia anteriore e la parte superiore della faccia posteriore, contribuendo alla formazione della parete anteriore del foro epiploico. Il margine superiore del duodeno fornisce inserzione per i due foglietti del piccolo omento (legamento epato-duodenale) che ne rappresenta la pars tensa, mentre il margine inferiore per una parte del margine superiore del grande omento. Negli ultimi centimetri della prima porzione il peritoneo ricopre solo la faccia anteriore. La prima parte del duodeno ha rapporto anteriormente con il lobo destro del fegato e il corpo della cistifellea, inferiormente con la testa del pancreas, posteriormente con la parete addominale posteriore e il margine mediale del rene di destra. A sinistra continua nello stomaco attraverso il piloro, a destra si continua con la seconda parte del duodeno attraverso una curva ad angolo retto denominata flessura duodenale superiore. La porzione superiore del duodeno è la sede più frequente di ulcere duodenali, cioè erosioni della parete intestinale provocate dall’eccessiva acidità del chimo proveniente dallo stomaco. Essendo leggermente dilatata, questa regione è nota anche come ampolla duodenale.
  2. Porzione discendente del duodeno (o seconda porzione). La porzione discendente o seconda parte del duodeno si presenta come un condotto cilindrico a direzione verticale che si estende nello spazio sottomesocolico. È diretta continuazione della porzione superiore attraverso la flessura duodenale superiore e si continua con la parte orizzontale attraverso la flessura duodenale destra (o flessura duodenale inferiore). La seconda parte del duodeno è in rapporto anteriormente con il colon ed il mesocolon trasversi, con le anse dell’intestino tenue mesenteriale e con il mesentere, posteriormente con la parete addominale posteriore, il margine mediale del rene di destra, lateralmente a destra con la faccia viscerale del lobo destro del fegato, medialmente a sinistra con la testa del pancreas. Qui vi si trova l’ampolla del Vater, dove sfocia la via biliare extraepatica principale (o dotto Coledoco) e il dotto pancreatico maggiore di Wirsung.
  3. Porzione orizzontale del duodeno (o seconda porzione). La porzione orizzontale o terza parte del duodeno è orientata sul piano orizzontale; origina a destra della linea mediale dalla flessura duodenale destra, oltrepassa la linea mediale e raggiunge a sinistra della stessa la flessura duodenale sinistra, dove si continua con la porzione ascendente. È in rapporto in alto con la testa del pancreas, in basso con la radice del mesentere, anteriormente con le anse del tenue mesenteriale, posteriormente con la parete addominale posteriore.
  4. Porzione ascendente del duodeno (o quarta porzione). La porzione ascendente o quarta parte del duodeno è posta a sinistra della linea mediana; origina dalla flessura duodenale sinistra e si dirige in basso fino a continuarsi nel digiuno attraverso la flessura duodenodigiunale. Ha rapporto anteriormente con il colon ed il mesocolon trasversi e le prime anse del digiuno, posteriormente con il corpo del pancreas, medialmente con la testa del pancreas.

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Vasi e nervi del duodeno

  • Le arterie del duodeno provengono da due vie. La prima è dal tronco celiaco, che, tramite l’arteria pancreatico-duodenale superiore (ramo della arteria gastroduodenale), serve il primo e il secondo duodeno fino all’altezza della papilla maggiore. La seconda è dall’arteria mesenterica superiore da cui giunge invece l’arteria pancreatico-duodenale inferiore, questa irrora il terzo e quarto duodeno.
  • Le vene del duodeno si aprono tutte, direttamente o indirettamente, nella vena porta.
  • I linfatici del duodeno originano da una rete in sede sottomucosa cui affluiscono anche i linfatici della mucosa e della muscolare. Da questa rete si dipartono dei collettori linfatici che si dirigono verso i linfonodi della regione gastrica.
  • I nervi del duodeno provengono dal plesso celiaco e attraverso questo dal nervo vago, per quanto riguarda l’innervazione parasimpatica, e dalla catena dell’ortosimpatico.

Struttura microscopica
Il duodeno presenta una tonaca mucosa, una tonaca sottomucosa, una tonaca muscolare ed una tonaca sierosa, limitata al solo tratto superiore e sostituita da una avventizia nei restanti tratti. Visto internamente il duodeno presenta una tonaca mucosa sollevata nelle cosiddette pieghe circolari. Tali pieghe sono costituite sia da mucosa che dalla tonaca sottomucosa, che si solleva spingendo in alto anche la mucosa stessa. Unica eccezione è la porzione superiore che si presenta invece liscia. Sulla parete mediale della porzione discendente si nota inoltre una piega longitudinale che si estende nel terzo medio di questa parete. Tale piega corrisponde allo sbocco in duodeno dell’ampolla duodenale di Vater e dell’ampolla duodenale minore. La prima rappresenta il tratto intramurale comune al coledoco ed al dotto pancreatico maggiore di Wirsung, mentre la seconda rappresenta lo sbocco in duodeno del dotto pancreatico minore.

  • Tonaca mucosa. La tonaca mucosa è costituita da epitelio semplice batiprismatico, intercalato da elementi mucipari. Le cellule epiteliali sono del tipo degli enterociti, e pertanto presentano un orletto striato costituito dai microvilli e vescicole di pinocitosi, in ragione della funzione di assorbimento, che nel duodeno si associa a quella di digestione. Inoltre si notano gli sbocchi delle ghiandole duodenali, localizzate nella tonaca sottomucosa. Sulla mucosa del duodeno si possono osservare numerosi noduli linfatici, che però non aggregano mai in veri e propri ammassi, come invece accade nelle altre due porzioni dell’intestino tenue mesenteriale, dove si osservano le placche di Peyer.
  • Tonaca sottomucosa. La tonaca sottomucosa è costituita prevalentemente di tessuto connettivo lasso, con abbondanti fibre elastiche e fibre collagene, oltre a macrofagi, granulociti eosinofili, linfociti e plasmacellule. Nella tonaca sottomucosa sono ospitate le ghiandole del Brunner, di tipo tubulare composto, che secernono soprattutto un muco alcalino protettivo. Il muco secreto neutralizza l’acidità del chimo proveniente dallo stomaco permettendo di proteggere la mucosa, di inattivare alcuni enzimi gastrici come la pepsina e di creare le condizioni per l’ottimale funzionamento degli enzimi delle successive fasi digestive. Tuttavia sono presenti in queste ghiandole anche le cellule G. Queste cellule sono di tipo endocrino e producono l’ormone gastrina, che ha il compito di stimolare la secrezione di HCl da parte delle cellule delomorfe delle ghiandole gastriche propriamente dette.
  • Tonaca muscolare. La tonaca muscolare si presenta costituita da fibrocellule muscolari lisce disposte su due strati:
    • lo strato esterno costituito da fibre a disposizione longitudinale;
    • lo strato interno costituito da fibre a disposizione circolare.
  • Tonaca sierosa.
  • Tonaca avventizia. La tonaca avventizia è costituita prevalentemente di tessuto connettivo denso con numerosi fibroblasti e fibre collagene a disposizione reticolare.

Funzioni del duodeno
Il duodeno prepara, tramite enzimi, gli alimenti che verranno poi assorbiti nella restante parte dell’intestino tenue. Le ghiandole del Brunner, che qui si trovano, secernono muco alcalino. Nel duodeno si versa la bile, prodotta dal fegato, che serve per emulsionare i grassi. Inoltre, il pancreas vi secerne enzimi digestivi, come tripsina, amilasi e lipasi. Il duodeno regola anche la velocità di svuotamento dello stomaco attraverso vie ormonali. La secretina e la colecistochinina vengono rilasciate dalle cellule nell’epitelio duodenale in risposta agli stimoli e agli acidi grassi presenti quando il piloro si apre e rilascia il chimo gastrico nel duodeno. Il duodeno è sede di movimenti peristaltici atti a mescolare il materiale alimentare con i succhi digestivi, facendoli progredire lungo l’intestino. Nel duodeno, inoltre, compaiono i villi, caratteristici di tutto il tenue e deputati all’assorbimento dei nutrienti (grazie alle cellule dell’orletto a spazzola che li ricoprono). Oltre alla funzione digestiva, il duodeno presenta anche attività:

  • I succhi digestivi hanno lo scopo di neutralizzare l’acidità del chimo gastrico e completarne la digestione;
  • Il duodeno secerne vari ormoni con azione endocrina e paracrina, come secretina, colecistochinina, gastrina, GIP, VIP, somatostatina ed altri ancora (tutti importanti per adeguare le funzioni digestive alla quantità e alla qualità del cibo contenuto nel tubo digerente, ma anche allo stato di salute dell’organismo);
  • Attività immunitaria: il tessuto linfoide GALT presente nella mucosa del duodeno, costituisce la prima barriera contro eventuali patogeni.

Chirurgia del duodeno
Tra gli interventi chirurgici che interessano il duodeno vi è la duodenocefalopancresectomia, che consiste nell’asportare la testa del pancreas, il duodeno, la colecisti e talvolta parte dello stomaco. Si compie quando questi organi vengono colpiti da un tumore. La complessa operazione viene anche chiamata “procedura di Whipple”.

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Salivazione eccessiva dopo i pasti, in gravidanza, nei bambini: quali rimedi?

MEDICINA ONLINE SALIVA SALIVAZIONE ECCESSIVA BOCCA PASTI GRAVIDANZA BAMBINI GHIANDOLE SALIVARI PRODUZIONE ECCESSO ACCUMULO ALITOSI.jpgLa scialorrea, cioè la salivazione eccessiva, può essere davvero fastidiosa, specialmente quando nella bocca si accumula una quantità così abbondante di saliva, da non riuscire più ad essere contenuta dalle labbra, giungendo anche al gocciolamento. L’eccessivo accumulo e la fuoriuscita della saliva può dare luogo ad una serie di complicazioni fisiche e psicosociali molto limitanti come fissurazioni, ragadi e screpolature intorno alle labbra che si possono sovra-infettare. Inoltre tende ad associarsi ad alitosi, che spesso porta a repulsione e stigmatizzazione sociale con un impatto psicosociale spesso devastante per il paziente ed i familiari. Le cause che stanno dietro al problema sono tante, sia che la salivazione eccessiva sia notturna, sia che si associ ad altri sintomi particolari, come, ad esempio, la nausea o la tosse. A volte può essere un problema di ansia, altre volte si può manifestare in gravidanza; nemmeno i bambini ne sono esenti. In ogni caso ci sono delle cure specifiche da non sottovalutare.

Quanta saliva produciamo normalmente?
Teniamo presente che la produzione fisiologica di saliva è di circa 1,20 ml/h. Se si supera questo livello, si incorre nell’ipersalivazione.

Le cause di salivazione eccessiva nei bambini
In età pediatrica, le cause di scialorrea sono numerose. Distinguiamo forme acute e croniche.

1) Forme acute: È un problema piuttosto comune nei primi due anni di vita ed è spesso in relazione alla dentizione.

  • Se scialorrea è isolata: è un fenomeno perfettamente normale e transitorio, solitamente si risolve spontaneamente, non porta a complicazioni e raramente è il segno di una malattia.
  • Se scialorrea è associata ad altri sintomi: potrebbe essere la manifestazione di qualche patologia.

Una delle cause principali della scialorrea acuta nei bambini tra i 18 e 24 mesi di vita è la dentizione, seguono poi le affezioni del cavo orale (stomatiti aftose, mughetto, ecc).
Se associata a febbre elevata (temperatura >38°C) e/o difficoltà a deglutire, può essere dovuta a processi infettivi delle prime vie respiratorie (rinite, tonsillite, ascesso peri-tonsillare o retro-faringeo, epiglottite).
Malattie come ad esempio la rabbia, il tetano, l’encefalite, si manifestano tra l’altro con ipersecrezione salivare; pertanto è in questi casi opportuna la visita pediatrica.
La disfagia, la nausea e vomito/rigurgiti frequenti tendono ad associarsi con aumentata la produzione di saliva; pertanto, quando vi è l’associazione di questi sintomi è bene escludere varie cause ad esordio acuto, come reflusso gastroesofageo, ingestione di caustici, corpi estranei, ecc.
Se l’esordio della scialorrea è improvviso, può indicare un avvelenamento (soprattutto da pesticidi, rame, mercurio, arsenico), una reazione al veleno di serpente o di un insetto. In alcuni casi l’ipersalivazione può essere anche provocata da farmaci (analgesici, anticonvulsivanti, anticolinesterasici) o ad un eccesso di capsaicina (per esempio, se si usa del peperoncino molto forte).

2) Forme croniche: la scialorrea è uno dei disturbi più frequenti nei bambini con macroglossia o con deficit neurologico cronico e grave compromissione del sistema nervoso centrale. E’ causata frequentemente da uno scarso controllo dei muscoli facciali e della bocca. I fattori che contribuiscono possono essere l’ipersecrezione di saliva, la malocclusione dentale, i problemi posturali.
La scialorrea aggiunge alle famiglie di questi bambini, già gravati da numerose comorbilità, ulteriori problematiche igieniche e psicosociali, e rappresenta un importante fattore di rischio per la comparsa di polmonite da inalazione. I bambini con patologie del sistema nervoso centrale possono avere un ritardo nella maturazione del controllo neuromuscolare che può, in alcuni casi, continuare a migliorare spontaneamente fino ai 6 anni di età, tanto che spesso un eventuale intervento correttivo viene ritardato. Il paziente neurologico è, innanzitutto, un paziente affetto da patologia neurologica che può variare dal lieve ritardo psico-motorio a forme estremamente gravi con compromissione completa e profonda non solo delle capacità motorie e cognitive ma anche di funzioni intrinseche come la deglutizione.
Spesso sono affetti da gravi sindromi genetiche con parziale o addirittura incompleta capacità deglutitoria, non solo del materiale alimentare ma anche delle secrezioni salivari.
Si parla invece di scialorrea emotiva quando l’abnorme produzione salivare è provocata da fattori psicogeni: effettivamente, non è inconsueto notare una sovrabbondante produzione di saliva nei bimbi e negli adolescenti più ansiosi.

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Le cause negli adulti
Le cause della salivazione eccessiva possono essere tante. A volte si tratta di un’emotività accentuata, prodotta da emozioni intense e da una sensazione di ansia. Sono proprio queste sensazioni ad attivare il sistema parasimpatico, che sta alla base della secrezione della saliva. Non dimentichiamo che anche l’uso di protesi dentarie, specialmente nella fase iniziale, può comportare un’ipersalivazione. A volte alla base ci sono delle patologie, come infezioni alla bocca causate da funghi, batteri o virus, afte, le tipiche ulcerazioni del cavo orale, oppure il reflusso gastroesofageo o la gastrite. Anche la pancreatite e le malattie che interessano il fegato possono causare il fenomeno. L’eccessiva saliva può essere prodotta anche in seguito ad un digiuno prolungato, che determina una condizione di ipoglicemia. Lo stress della gravidanza può portare ad un’ipersecrezione salivare, correlata a nausea e vomito, specialmente nei primi 3-4 mesi di gestazione. Non dimentichiamo che anche l’assunzione di alcuni farmaci, come quelli a base di clorazepina o di ketamina, possono accentuare il problema.

Le cure negli adulti
Le cure per la salivazione eccessiva dipendono ovviamente dalle cause che l’hanno determinata: solo curando il fattore eziologico a monte, si riuscirà a curare efficacemente la scialorrea. da una diagnosi precisa della causa. A volte può essere necessario intervenire anche con dei farmaci specifici. Si tratta degli anticolinergici, che hanno la funzione di contrastare l’acetolina, il neurotrasmettitore prodotto dal sistema parasimpatico. Questi medicinali, comunque, hanno molti effetti collaterali. Quando il problema diventa particolarmente grave, il medico può decidere di arrivare alle iniezioni di tossina botulinica nelle ghiandole salivari, per inibire la loro capacità secretoria. Si tratta di un trattamento che ha un’efficacia, in genere, dai 2 ai 6 mesi. C’è poi la terapia chirurgica, che consiste nel legare i dotti salivari delle ghiandole. In tutti gli altri casi, in cui il problema è contenibile, si può fare ricorso a dei rimedi naturali e la fitoterapia. Fra questi possiamo ricordare l’iperico, che riesce a calmare gli stati ansiosi, il pilocarpinum, un’erba che agisce sulle ghiandole, oppure la lobelia inflata, una pianta, che consente all’organismo di rilassarsi.

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Cause e cure di scialorrea in gravidanza
La causa principale della scialorrea in gravidanza è da ricercarsi nel sistema endocrino. In particolare la fluttuazione di un ormone, l’hCG (gonadotropina corionica umana), riduce la capacità di deglutizione che, associata all’iperproduzione di saliva causa la scialorrea. Tipicamente la scialorrea si presenta in associazione con le nausee del primo trimestre, la mattina oppure la sera, oppure a termine di gravidanza quando le fluttuazioni ormonali sono maggiori. In linea generale tra il quarto e il sesto mese la produzione di saliva dovrebbe stabilizzarsi (cosi’ come gli ormoni) e limitare il disturbo. Un’altra caratteristica peculiare della scialorrea è che la saliva può presentare un sapore tipico: amaro e metallico, associato anche ad alitosi. Essendo una condizione temporanea e che non viene determinata da farmaci, si evitano i farmaci, anche per la presenza del feto. Esistono rimedi fitoterapici: utile l’utilizzo del pilocarpinum, un’erbacea che ha come scopo la stimolazione delle ghiandole salivari e quindi una regolazione della loro funzionalità. Altri due prodotti molto utilizzati sono il mercurius solubilis e il veratrum album. Un trucco “della nonna” è di tenere sempre in borsa uno snack salato e nel momento in cui sentite che la produzione salivare sta aumentando sgranocchiatene un pochino, questo aiuterà a smaltire la saliva.

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Le cure nei bimbi
Se il disturbo è isolato, non è necessario alcun trattamento in quanto la scialorrea è un fenomeno transitorio e a risoluzione spontanea. Se è secondario alla dentizione, saranno utili i rimedi per il dolore locali o sistemici. Se, invece, è legato ad altra patologia, sarà necessario il trattamento della patologia di base (processo infettivo, avvelenamento, assunzione di farmaci, ecc).
Il trattamento specifico per scialorrea cronica, si divide in due diverse opzioni terapeutiche: medica e chirurgica

  • Il trattamento medico è conservativo e si basa su l’utilizzo di presidi medici che non sempre hanno l’effetto desiderato e che in alcuni casi hanno effetti parziali e limitati nel tempo. Tipicamente si effettua il trattamento infiltrativo delle ghiandole salivari con tossina botulinica (in genere il sierotipo A, anche se in letteratura sono segnalati studi con il B); al momento il suo utilizzo è off-label, ma vi è ampia letteratura negli ultimi 15 anni in ambito neurologico e sono in corso numerosi studi.
  • La chirurgia è una seconda opzione terapeutica che viene utilizzata quando la scialorrea, oltre a rappresentare un grave disturbo di tipo sociale e interpersonale, comporta gravi rischi respiratori per il paziente per le continue inalazioni salivari. In anestesia generale, con intubazione del paziente per via oro-tracheale, si procede con infiltrazione locale alla base della lingua, sul pavimento della bocca vicino agli sbocchi dei dotti di Warthon, con Lidocaina all’1%. Si identificano gli sbocchi dei dotti di Wharton e tramite una incisione attorno ad essi, vengono isolati e legati separandoli completamente dalle ghiandole sottolinguali che vengono asportate in toto. Si passa poi alla incannulazione dei dotti di Stenone che vengono preparati per circa 1,5 cm e legati definitivamente. Il tutto attraverso un approccio esclusivamente intra-orale con punti completamente riassorbibili. Il bambino, se le sue condizioni di base lo permettono, potrà iniziare a bere dopo 2 ore e a mangiare dopo 3 ore con una dieta semiliquida a temperatura ambiente senza grosse difficoltà. Se il paziente è portatore di PEG o PEJ l’alimentazione sarà quella abituale senza alcun tipo di restrizione.

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Quando diventa pericolosa?
Una delle più importanti, ma soprattutto temute, complicanze della scialorrea, è l’inalazione della saliva che è causa di polmoniti chimiche ricorrenti. La polmonite chimica si verifica allorquando il materiale inalato, in questo caso la saliva, ha un effetto tossico diretto sui polmoni. Nel paziente neurologico, in cui le condizioni cliniche generali e respiratorie sono già notevolmente compromesse, la scialorrea è causa di continui episodi di polmonite da inalazione che possono aggravare sensibilmente le già precarie condizioni cliniche.
La scialorrea è, però, anche un problema sociale e gestionale importante per chi si occupa del paziente e in particolar modo nel bambino, per i genitori. Può costituire una fonte di imbarazzo, oltre a creare, rilevanti problemi relazionali e di linguaggio; quando la saliva è particolarmente densa ed abbondante, la scialorrea può creare notevoli difficoltà nei rapporti interpersonali, sino ad provocare il rifiuto della propria immagine. Spesso si è costretti, data la gravità del disturbo, a continui cambi dei bavaglini e degli abiti. E’ quindi una forma di grave disagio che limita notevolmente la vita sociale del paziente e della famiglia.

Quando chiamare il medico?
Quando i continui episodi di polmonite da inalazione compromettono la funzionalità respiratoria del paziente, quando il paziente tracheostomizzato è costretto a mantenere la cannula della tracheostomia continuamente “cuffiata” per evitare inalazione di saliva e in tutti i casi in cui la scialorrea rappresenta un grave problema socio-comportamentale per tutta la famiglia creando forte disagio che limita il paziente e suoi familiari nelle normali attività quotidiane.

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Cistifellea: cos’è, a cosa serve e dove si trova

MEDICINA ONLINE ANATOMIA CISTIFELLEA COLECISTI COSE A COSA SERVE BILE GRASSI DIGESTIONE FISIOLOGIA ANATOMY OF THE BILE DUCT SYSTEM GALLBLADDER DOTTO CISTICO COLEDOCO COMUNE FEGATO PANCREAS DUODENO DIGESTIONE DIGERENTE APPAR.jpgLa cistifellea (chiamata anche colecisti o vescicola biliare, oppure gallbladder in inglese) è un organo sito nell’addome, al di sotto del fegato, di modeste dimensioni che supporta la digestione immagazzinando la bile prodotta dal fegato.

Dove si trova la cistifellea?
È localizzata sotto il fegato, nella zona superiore destra dell’addome, più in particolare nella porzione anteriore del solco sagittale destro (fossa cistica) della faccia inferiore del fegato. Corrisponde sulla parete addominale al punto di Murphy (detto anche punto cistico), ossia il punto di incrocio della linea tangente al margine laterale del muscolo retto dell’addome e la linea orizzontale tangente al punto più declive dell’arcata costale. Si pone a livello della 9ª e 10ª costa e tra la 12ª vertebra toracica e la 2ª vertebra lombare.

Quanto è grande la cistifellea?
La cistifellea è un organo piriforme lungo 7-10 cm e con una capacità di 50 ml, di colore grigio o verde; la cistifellea ha una forma simile a una pera rovesciata.

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A che serve la cistifellea?
Il suo compito è quello di immagazzinare e concentrare la bile (un liquido giallo-verdastro prodotto dagli epatociti del fegato) durante il digiuno. La bile verrà poi utilizzata durante i processi digestivi allo scopo di facilitare la digestione e l’assorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili, e neutralizzare l’acidità del chimo proveniente dallo stomaco.

Si può vivere senza cistifellea?
E’ possibile una vita senza cistifellea? A tale proposito leggi: Si può vivere senza cistifellea?

Anatomia della colecisti
La cistifellea risulta quasi per intero rivestita dal peritoneo della faccia viscerale del fegato andando così a costituire il foglietto inferiore del legamento coronario di questo. Talvolta la cistifellea è incorporata parzialmente nel parenchima epatico (cistifellea intraparenchimatosa), oppure è legata al fegato da un corto mesentere peritoneale (cistifellea mesenteriale). Su di essa si distinguono un fondo, un corpo e un collo. Il collo è la porzione più mediale e vicina all’ilo, connessa al fegato mediante un mesentere in cui passa l’arteria cistica, ramo dell’arteria epatica propria; può presentare un infundibolo, detto tasca di Hartmann. Il corpo è adagiato nella fossa cistica, costituisce la porzione intermedia della cistifellea. Il fondo è l’espansione laterale del corpo, ed è spesso in rapporto con il colon trasverso o talvolta con la parete addominale anteriore; si può protrudere oltre il margine inferiore del fegato per uno o due centimetri.

Cenni di patologia
La cistifellea può essere sede di calcoli (Calcolosi biliare o Colelitìasi), che si formano a causa di un eccesso di colesterolo e di calcio inorganico; è un problema abbastanza comune (ne viene colpita circa il 15% della popolazione) e la diagnosi attualmente si basa sull’ecografia del fegato e delle vie biliari. Nei casi più gravi si rende necessaria la terapia chirurgica mediante laparoscopia in anestesia generale. Una dieta equilibrata ricca di frutta e verdura riduce notevolmente la possibilità di una loro formazione. La sindrome di Habba causa uno svuotamento precoce della bile contenuta nella cistifellea che si riversa nell’intestino e provoca condizioni di diarrea cronica, spesso scambiata per IBS.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Cosa succede al cibo nello stomaco dopo averlo ingerito?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma STOMACO ANATOMIA FUNZIONI SINTESI macro Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneCosa succede al cibo nello stomaco dopo averlo ingerito? Cerchiamo oggi di capirlo.

Il cibo in entrata nello stomaco per effetto della motilità gastrica e della forza di gravità si dispone sopra quello ingerito precedentemente, in quella che viene considerata fisiologicamente la porzione “orale” dello stomaco, cioè il fondo e i due terzi superiori del corpo. Tramite terminazioni sensitive che terminano nel tronco encefalico e fibre efferenti diretta di nuovo allo stomaco (riflesso “vago-vagale”) questo avverte il suo grado di riempimento, riducendo il suo tono muscolare e facilitando la sua distensione se vi è cibo in entrata. Il cibo, dopo essere stato attaccato dall’acido cloridrico e dagli enzimi gastrici si trasforma in una sostanza semifluida e opaca di consistenza differente (a seconda della quantità d’acqua in rapporto alla consistenza del cibo ingerito) detta chimo. Il succo gastrico che è parte integrante del chimo è secreto dalle ghiandole gastriche poste in tutte le pareti dello stomaco fatta eccezione per una minima parte della piccola curvatura.

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Nello stomaco si generano ogni 15-20 secondi deboli onde di rimescolamento (onde peristaltiche) che si propagano dal corpo all’antro, divenendo progressivamente più intense. Le onde di rimescolamento si generano a partire da onde lente derivanti dalla capacità intrinseca della muscolatura liscia dello stomaco di mantenere un ritmo elettrico basale, costituito da fluttuazioni nel potenziale di membrana delle fibrocellule muscolari lisce dell’ordine di 5-15 mV. Alcune onde di rimescolamento sono particolarmente intense e, propagandosi in tutte le direzioni, originano una contrazione peristaltica circolare che spinge il cibo dal corpo dello stomaco verso l’antro e il piloro. Le contrazioni peristaltiche sono generate da potenziali d’azione a differenza delle onde lente. In quest’ultimo caso però la contrazione non fa passare significative quantità di chimo dall’antro al duodeno attraverso il piloro dal momento che questo è particolarmente stretto e le onde di rimescolamento hanno come effetto la sua contrazione piuttosto che la sua distensione. Così la stragrande maggioranza del chimo tende ad essere spinto di nuovo indietro verso l’antro o verso il corpo invece che nel duodeno.

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Sebbene solo una piccolissima parte del chimo precedentemente presente nello stomaco passi nel duodeno dopo ciascuna contrazione peristaltica circolare, il processo è utile per il rimescolamento gastrico. Le contrazioni peristaltiche circolari antrali sono invece le principali responsabili dello svuotamento gastrico. Si tratta di onde che originano nell’antro dello stomaco e si propagano verso il piloro, tendendo con il tempo ad originare sempre più in alto nello stomaco raggiungendo il corpo. Questa particolare motilità consente la spinta progressiva del cibo presente nel corpo verso l’antro. Sebbene anche in questo caso solo pochi millilitri di chimo oltrepassano il piloro è da considerare che queste onde si ripetono nel tempo e poco a poco riescono a svuotare lo stomaco. Oltre a ciò, tramite il chimo “respinto” dalla barriera costituita dal piloro, collaborano nel rimescolamento gastrico. Un altro tipo di contrazioni peristaltiche ritmiche caratteristiche del corpo dello stomaco sono le contrazioni da fame. Come è facile intuire dal loro nome e dall’esperienza comune, si tratta di contrazioni muscolari che si verificano quando lo stomaco è privato di cibo da digerire per molte ore o giorni. Le contrazioni da fame possono sovrapporsi generando un’unica contrazione tetanica che può durare per diversi minuti ed essere causa di dolore per il soggetto (i cosiddetti “morsi della fame”).

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Il piloro è lo sfintere dello stomaco, una struttura dove lo strato di muscolatura circolare raddoppia il proprio spessore rispetto al resto dello stomaco. Il piloro è quasi sempre leggermente contratto ma non è mai completamente chiuso e i liquidi lo possono attraversare facilmente a differenza del cibo non ancora ben digerito e trasformato in un chimo della giusta consistenza semifluida. Lo svuotamento gastrico è determinato principalmente da segnali provenienti dal duodeno e dallo stomaco ed è regolato in modo tale che la velocità di svuotamento sia adatta alle capacità di assorbimento dell’intestino tenue. Un aumentato contenuto gastrico dovuto ad esempio all’ingestione di cibo facilita lo svuotamento poiché la distensione delle pareti gastriche dovuta all’ingresso del cibo attiva il plesso mionterico il quale incrementa la frequenza delle contrazioni peristaltiche circolari antrali e la distensione del piloro. Un secondo fattore che aiuta lo svuotamento gastrico è la secrezione della gastrina che viene incrementata quando le pareti gastriche sono distese dal cibo e quando vengono digerite proteine. La gastrina incrementa modestamente la motilità gastrica ed in particolare le contrazioni peristaltiche circolari dell’antro, promuove inoltre la secrezione ghiandolare delle pareti dello stomaco.

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I fattori duodenali che scatenano lo svuotamento gastrico ne sono i principali responsabili. Tre tipologie di riflessi originano dalle pareti del duodeno ed agiscono inibendo lo svuotamento gastrico. Una prima modalità è l’attivazione del sistema nervoso enterico del duodeno che dà origine a riflessi enterogastrici inibitori. Tale attivazione può avere luogo in base a vari fattori quali il grado di distensione delle pareti duodenali, il pH eccessivamente acido, la quantità o l’osmolarità del chimo in entrata nel duodeno, la presenza significativa di prodotti del catabolismo proteico e di lipidi, l’irritazione della mucosa gastrica. È possibile poi l’inibizione da fibre estrinseche che raggiungono il midollo spinale per poi portarsi ai gangli ortosimpatici paravertebrali e quindi alle pareti dello stomaco mediante fibre inibitorie del simpatico; infine una terza modalità, di minore importanza, attraverso fibre vagali che si portano al tronco encefalico e che ivi inibiscono gli stimoli eccitatori dello stesso nervo vago. Tutte le tre tipologie agiscono inibendo le contrazioni peristaltiche circolari e facendo contrarre il piloro.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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L’apparato digerente: cos’è, com’è fatto, a che serve e come funziona?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma APPARATO DIGERENTE COSE FUNZIONA SERVE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano Pene

Il nostro apparato digerente ha il compito di introdurre, digerire ed assorbire i principi nutritivi contenuti negli alimenti eliminando i residui non utilizzabili per il Continua a leggere

Feci gialle, giallo oro, giallastre: cause ed interpretazione clinica

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma FECI GIALLE GIALLASTRE ORO CAUSE CIBO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl colore e la consistenza delle feci indicano molto sullo stato di salute di un paziente. L’aspetto delle feci rivela molte informazioni sulla condizione dell’organismo e sulla salute dell’apparato digerente, in particolar modo del colon, al punto che viene usata come elemento diagnostico in presenza di altri segni o sintomi. Un suggerimento molto semplice, ma altrettanto valido, è quello di controllare giornalmente gli scarti fecali, valutandone anche la forma ed il colore.

I cambiamenti degli escrementi

A volte si può verificare una trasformazione cromatica delle feci, che potrebbero diventare giallognole. Questa tonalità non dovrebbe necessariamente far pensare al peggio. Le feci gialle non rappresentano un sintomo indicatore di disturbi gravi. Potrebbe infatti rappresentare un semplice disturbo momentaneo, e non un segnale di allarme. La strana colorazione potrebbe essere la conseguenza di qualcosa mangiato il giorno prima. Una sensazione di paura, nei confronti di questo fenomeno visivo, dovrà avvenire soltanto quando il disturbo diventa permanente, proseguendo per settimane. In questi casi, la presenza di feci giallastre potrebbero riguardare problemi al fegato o significare che i dotti della bile sono bloccati, a causa di un intestino pigro. Per valutare con oggettività la situazione e capire se si tratta di un cambiamento temporaneo, si consiglia di osservare quotidianamente il colore degli scarti alimentari, per evitare di creare falsi allarmismi.

L’origine delle feci color giallo

Le cause delle feci gialle possono essere date dal cattivo funzionamento del pancreas, poiché i dotti biliari risultano ostruiti, fatto che ne impedisce il corretto funzionamento. Gli escrementi possono essere giallognoli anche nel caso in cui si è soggetti a fibrosi cistica, o reflusso gastroesofageo. Ma anche intolleranze o un’allergia al glutine come nel caso della celiachia, può generare la produzione di residui organici umani di tonalità giallognola. Senza contare altre cause come l’infiammazione del fegato, o altri tipi di irritazioni del colon potrebbero dare il là ad una danza gialla proveniente dalle pareti intestinali. Anche situazioni di salute molto più gravi e difficili da curare, come nel caso di epatite di tipo a, b o c, possono produrre lo stesso effetto. Si segnalano numerosi casi di pazienti che hanno presentato questa sintomatologia particolare, a seguito di cattivo assorbimento delle sostanze nutrienti durante la fase digestiva o a seguito della presenza di batteri o virus nocivi.

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Il “cuore” della pancia: occhio al pancreas

Le feci gialle potrebbero chiamare in causa un malfunzionamento del pancreas. Quando quest’organo essenziale alla digestione lavora male e non riesce a produrre i giusti enzimi ed ormoni, le feci diventano di tonalità giallastra. Una tipologia di male di questo tipo è spesso associata ad altre problematiche, come febbre, nausea o addirittura vomito e gonfiore. In questo caso è necessario il consulto di un medico in grado di fare una giusta analisi sulla gravità del caso clinico e consigliare quale cura iniziare per migliorare lo stato del pancreas.

Feci gialle e colon irritabile

E’ possibile ritrovare escrementi gialli anche se un paziente soffre di colite. Questo disturbo, causato da numerosi fattori, a cominciare dallo stress o da problemi generalizzati del sistema immunitario, può presentare, tra i segnali principali, delle feci color ocra.
Anche se in linea di massima sembrerebbe tutto partire da residui alimentare in parte scartati dall’organismo che reagisce a questa difficoltà nelle difese immunitarie con manifestazioni varie, come: crampi, costipazione, diarrea e feci spumose di colore giallastro. Un’accurata analisi endoscopica, con tanto di esame fecale, può rivelare molte informazioni utili sullo stato delle feci e determinare una diagnosi completa sulla qualità di vita dei nostri organi impegnati nella digestione.

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Virus intestinale

E’ possibile il verificarsi di feci giallastre anche a seguito dell’azione di un microorganismo intestinale. Accade così, che in seguito all’assunzione di acqua contaminata da qualche batterio, si possano riscontrare cambiamenti nel colore degli escrementi. La proliferazione dei batteri, può provocare questo effetto collaterale e solo interpretando alcuni segnali inviati dall’organismo, confrontandoli con il livello di infiammazione percepita, si potrà capire se si tratta di un virus intestinale, o se questo avrà semplice origine influenzale. Nel primo caso, a dare maggiore conferma sulla nostra ipotesi, sarà la percezione di uno strano colore strano delle feci, associato a crampi allo stomaco, ma anche vomito o febbre. Quando subentreranno sintomi secondari, come inappetenza e stanchezza è più probabile invece se si tratti di una contaminazione da influenza. Per un riscontro definitivo, si consiglia di ascoltare il parere di un dottore, specializzato nel funzionamento dell’apparato gastrico.

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Gastroenterite

Sempre i virus possono essere responsabili di disturbi infiammatori come la gastroenterite, anche lei in grado di caratterizzarsi per la produzione di feci chiare, quasi color paglierino. Questo accade perché le cellule dell’intestino tenue vengono colpite e quindi danneggiate, causando la fuoriuscita del il liquido contenuto al loro interno, successivamente libero di riversarsi nell’intestino. E’ questa fenomeno che spiega perché avvenga una diarrea, o un’evacuazione di feci gialle. Un consiglio pratico per limitare al massimo le contaminazioni del tratto intestinale consiste nel lavaggio sistematico delle mani e nel mantenimento di una condizione di pulizia generale del corpo, abbastanza elevata. In questo i giapponesi e la cultura orientale più in generale, sono esperti. Non è un caso se rappresentano, in termini statistici, la fetta di popolazione mondiale con il tasso di casi da sindrome del colon irritabile più basso.

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Alimentazione errata

Spesso uno degli aspetti più importanti, in grado di determinare l’alterazione del colore delle feci, facendole diventare giallo oro, può essere la dieta. Mangiando alimenti sbagliati, o pietanze carenti dal punto di vista della qualità di fibre, è plausibile che avvenga un cambiamento di tono nei residui organici evacuati. In alcuni soggetti, le feci gialle e molli, fanno parte dei sintomi successivi all’eccessiva assunzione di super alcolici. Alzare troppo il gomito è un vizio davvero negativo per la nostra salute, perché in grado di portare effetti molto negativi. Bere bibite con alcool può causare cattiva digestione, bruciori di stomaco, un eccesso nella salivazione e appunto produrre l’alterazione del colore delle feci. In alcuni casi la nostra materia fecale diventa talmente chiara, da apparire biancastra.

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I batteri nell’intestino

Dall’analisi delle feci o nei casi più gravi, anche solo attraverso l’osservazione diretta, durante la fase di pulitura anale, post evacuazione, è possibile accorgersi di un rivestimento di muchi. Questo si verifica solitamente dopo un periodo di stitichezza, oppure, al contrario dopo un episodio diarreico. Ancora una volta, la causa più importante è da ritrovare nella presenza di batteri intestinali estremamente dannosi, capaci di determinare un aumento nella produzione di gas. Questo problema, può essere risolto ( ma soltanto se non vi è presenza di sangue nelle feci) idratando l’organismo e quindi provvedendo a bere tantissima acqua. Nulla di trascendentale quindi, ma un’operazione naturale che purtroppo, per molti pazienti, come ad esempio quelli colitici, non risulta poi così tanto scontata.

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Fattori emotivi

Le emozioni sono in grado di mutare moltissimi processi a livello del corpo umano, come nel caso di quelli digestivi. Non è raro quindi che, degli screzi sul lavoro, un litigio con la fidanzata, un amore non corrisposto, se prolungato nel tempo, può infiammare, oltre alla mente, anche parti del nostro intestino tenue. E’ facile spiegare allora l’alternanza di periodi di stipsi, a periodi di diarrea, con manifestazioni visive caratterizzate da feci mollicce e gialle, o avvolte in schiuma bianca tipo muco che, unite all’acidità di stomaco, possono rendere la vita di questi soggetti, davvero complicata. Vero è che il cambio delle abitudini alimentari, verso una dieta di tipo mediterraneo, tendenzialmente più equilibrata nel rapporto grassi/proteine può dare effetti straordinari in termini di salute. Lo stress e le tensioni emotive che possiamo vivere ogni giorno sono tra i più grandi responsabili della nausea che viviamo durante la giornata e la colorazione delle feci può essere la cartina tornasole per indicarci che è giunto il momento di cambiare alimentazione e ricercare cibi più genuini e di origine controllata. Le catene alimentari della grande distribuzione spesso nascondono procedure di conservazione e pratiche di reperimento delle merci, a dir poco discutibili.

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I bambini e la materia fecale

Nel caso in cui hai dei figli, devi sapere che tenere sotto controllo le feci nei bimbi, risulta importantissimo ai fini della loro migliore crescita. Le feci giallognole, specialmente se tendenti al giallo ocra, rappresentano un campanello d’allarme importante, di fronte al quale sarebbe stupido essere indifferenti. I pediatri non si stancheranno mai di ricordare come sia proprio a cominciare dall’analisi visiva degli scarti alimentati degli infanti che si può valutare in maniera abbastanza completa la loro salute.
Un bimbo per stare bene, deve generare feci chiare, gialle e molli, di una tonalità che spazia tra il giallo e il verde, soprattutto nel caso in cui, venga allattato ancora al seno. Quando invece il bebè assume sostanze nutritive da latte non materno il colore delle feci sarà generalmente marroncino e solo dopo lo svezzamento, la consistenza fecale si farà più dura e compatta. Nel caso in cui le feci nel bambino dovessero essere chiare sì, ma piene di muco, significherà che i lipidi non vengono assorbiti bene dal piccolo corpicino. Se il muco, i filamenti dovessero essere troppo presenti, significa che nell’organismo è in corso un’infiammazione a livello intestinale.

Quale contenitore sterile usare per l’esame delle feci?

In caso di un eventuale esame delle feci, per raccogliere e conservare correttamente il campione di feci da inviare in laboratorio, è necessario usare un contenitore sterile apposito, dotato di spatolina. Il prodotto di maggior qualità, che ci sentiamo di consigliare per raccogliere e conservare le feci, è il seguente: http://amzn.to/2C5kKig

Per approfondire:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Feci con sangue, muco, cibo, vermi: i 10 tipi di feci che ti dovrebbero far preoccupare

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Ecco una serie di feci con caratteristiche “particolari” che meritano una certa attenzione e potrebbero rendere necessario l’intervento del medico:

1) Feci picee (nere) prendono il nome di melena: in questo caso le feci assumono un colorito nerastro, appaiono untuose con un aspetto catramoso, sono decisamente fetide con un tipico odore molto acido. Potrebbero essere innocue quando si usano integratori alimentari che contengono ferro, in caso contrario potrebbe trattarsi di feci causate da un sanguinamento solitamente lento ma costante nella parte alta del tubo digerente (il colore è determinato dal sangue che ha avuto tutto il tempo per essere digerito). Per approfondire: Feci nere e melena: cause e cure in adulti e neonati

2) Feci verniciate di rosso. Se il cilindro fecale è verniciato di sangue rosso vivo, è probabile la presenza di un sanguinamento nella parte terminale del tubo digerente.

3) Feci scolorite, biancastre, cretacee: sono le feci acoliche, tipiche da ridotta secrezione della bile o, più comunumente, da ostacolato deflusso di essa nell’intestino.

4) Feci giallastre di cattivo odore: malassorbimeno di grassi dovuto ad un insufficiente funzionamento del pancreas; questo si verifica nelle pancreatiti, cancro del pancreas, fibrosi cistica e celiachia.

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5) Feci con aspetto untuoso, quasi brillante, un colore chiaro e il loro odore è particolarmente acre e sgradevole, potrebbe trattarsi di steatorrea. Si definisce così l’emissione di deiezioni “grasse”, derivate dal fatto che i lipidi alimentari non sono stati metabolizzati correttamente dall’apparato digerente e pertanto vengono eliminati con le feci senza essere assorbiti dal corpo. All’origine della steatorrea c’è un problema di malassorbimento dei grassi, quindi, il quale a sua volta può avere molteplici cause.

6) Feci che presentano tracce di sangue scuro: ulcere sanguinanti o tumori nella parte media dell’intestino tenue o nella prima parte del colon, morbo di Crohn, colite ulcerativa.

7) Feci dure che precipitano sul fondo: possono indicare una dieta povera di fibre (che si trovano in verdura, frutta e cereali integrali), o un insufficiente apporto di acqua. Le feci dure sono generalmente di colore scuro perché restano nell’intestino più di quanto dovrebbero. Leggi anche: Fecaloma: tappo di feci durissime, cause, sintomi e rimedi

8) Feci con vermi. A tale proposito vi consiglio di leggere questi articoli:

9) Feci con presenza di muco o pus: possono indicare colite ulcerosa, coliti infettive, tumori villosi.

10) Feci con cibo non digerito. Le feci generalmente non includono elementi non digeriti, anche se è possibile ritrovare fisiologicamente nelle feci alcuni tipi di cibo, come ad esempio il mais ed alcuni legumi: ciò non deve preoccupare. Se il fenomeno tende però a ripetersi frequentemente, è bene informare il vostro medico.

Quale contenitore sterile usare per l’esame delle feci?
In caso di un eventuale esame delle feci, per raccogliere e conservare correttamente il campione di feci da inviare in laboratorio, è necessario usare un contenitore sterile apposito, dotato di spatolina. Il prodotto di maggior qualità, che ci sentiamo di consigliare per raccogliere e conservare le feci, è il seguente: http://amzn.to/2C5kKig

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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