Breast Unit salvavita: -18% di mortalità in caso di cancro al seno

MEDICINA ONLINE MAMMELLA SENO PETTO DONNA QUADRANTI Q1 Q2 Q3 Q4 FEMMINA FEMMINILE MASCHILE CAPEZZOLO AREOLA MUSCOLI PETTORALI CASSA TORACICA DOTTI GALATTOFORI INTROFLESSO PAGET TESSUTO ADIPOSO ECOGRAFIA MAMMOGRAFIA.jpgLe unità di senologia denominate “Breast Unit”, molto spesso possono salvare la vita: la cura del temuto cancro della mammella in queste unità specializzate riduce infatti la mortalità del 18%, perché è più alta l’adesione alle linee guida, migliore l’esperienza degli specialisti ed è garantito un approccio multidisciplinare. A livello europeo, è stabilito che possano definirsi Breast Unit solo i centri che trattano almeno 150 nuovi casi ogni anno, ma in Italia, delle 449 strutture ospedaliere che eseguono più di 10 interventi chirurgici per questa neoplasia, solo 123 (27%) presentano volumi di attività superiori a 150 interventi annui.

Il tumore più frequente tra le donne

La fotografia delle Breast Unit nel nostro Paese arriva dal XIX Congresso nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) che si è aperto alcuni giorni fa a Roma, con la partecipazione di oltre 2.500 medici specialisti. Un dato su tutti: uno studio su 25.000 donne ha dimostrato che la sopravvivenza a 5 anni, nelle pazienti con tumore al seno, aumenta del 9% negli ospedali che trattano più di 150 casi. Nel 2017 in Italia sono stimate 50.500 nuove diagnosi di tumore del seno, il più frequente fra le donne. È dimostrato da molti studi che, “dove si concentra più esperienza, si riduce il numero degli interventi demolitivi e aumenta quello degli interventi conservativi del seno.

La sinergia di vari specialisti

I buoni risultati che si ottengono in una Breast Unit devono essere attribuiti non soltanto a una migliore chirurgia ma anche al giusto integrarsi delle varie discipline. Questo è particolarmente evidente nei casi più complessi in cui si stanno affacciando armi innovative. Alla chemioterapia, ormonoterapia, ai farmaci anti-HER2 si è aggiunta ad esempio una nuova classe di farmaci che intervengono nel rallentare la progressione del tumore del seno in fase metastatica, inibendo due proteine. Più farmaci da collocare e inserire dunque nella strategia di cura, anche considerando che nel nostro Paese vivono 766.957 donne dopo la diagnosi di tumore del seno (+26% dal 2010 al 2017)”. La multidisciplinarità è l’elemento fondante del Centro di Senologia ed il lavoro efficiente di un gruppo multidisciplinare produce appropriatezza, coerenza e continuità, traducendosi in un miglioramento dell’utilizzo delle risorse umane ed economiche.

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Dopo quanto tempo un cadavere si decompone?

MEDICINA ONLINE RIGOR MORTIS RIGIDITA CADAVERE MORTE TEMPOSubito dopo la morte, qualsiasi essere vivente si decompone e, più o meno lentamente, torna a far parte della natura. Ma in quanto tempo ciò avviene?

Subito dopo la morte

La prima cosa da dire è che la decomposizione comincia immediatamente dopo il momento della morte, dal momento che il non funzionamento di cuore e polmoni non permette più al sangue di circolare e rifornire le cellule del corpo di ossigeno e nutrienti. La decomposizione inizia praticamente quasi subito, anche se è macroscopicamente evidente solo dopo alcune ore dal decesso. In questa fase la decomposizione è causata principalmente da due fattori:

  • autolisi: la suddivisione dei tessuti dai propri prodotti chimici interni del corpo ed enzimi;
  • putrefazione propriamente detta: scissione degli elementi costitutivi dei tessuti operata dai batteri.

Questi processi rilasciano gas che sono la causa principale dell’odore caratteristico dei corpi morti. Tali gas possono presentare nella loro composizione una rilevante percentuale di metano, magnesio e potassio, miscela che talvolta può innescare una fiammata al contatto con l’aria, nel noto fenomeno del “fuoco fatuo“.
Ricordiamo che la scienza che studia la decomposizione è generalmente denominata tafonomia, mentre la scienza forense che analizza le cause di un decesso è la tanatologia. Una delle pratiche funebri più note, la cremazione, sottrae il cadavere alla decomposizione ordinaria decomponendolo con l’azione della combustione, che ne scinde ugualmente le molecole, ma per effetto del fuoco ed in maniera estremamente più rapida.

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Quali son i fattori che influenzano la decomposizione di un cadavere?

La rapidità ed il modo in cui un corpo umano o animale si decompone sono influenzati da un certo numero di fattori. Per grado di importanza approssimativamente decrescente, tali fattori includono:

  • condizioni atmosferiche ed ambientali (in caso di sepoltura all’aperto):
    • temperatura,
    • umidità,
    • siccità,
    • pioggia,
    • neve,
    • incendi,
    • esplosioni…;
  • intervento di microorganismi ed animali:
    • insetti,
    • parassiti,
    • animali carnivori,
    • roditori…;
  • eventuale sepoltura, tipo di sepoltura e profondità della stessa;
  • caratteristiche della bara eventualmente usata;
  • eventuale imbalsamazione;
  • caratteristiche del cadavere: età, dimensione corporea, peso, costituzione, idratazione, percentuale di massa magra e grassa;
  • superficie di giacitura dei resti del corpo (un corpo integro impiega più tempo a decomporsi, se è smembrato impiega meno tempo).

MEDICINA ONLINE FENOMENI CADAVERICI MORTE.

Decomposizione del cadavere in una bara

Innanzitutto occorre precisare se si tratta di bara inumata (tempi di decomposizione più rapidi) o tumulata (tempi più lunghi). L’attuale normativa in materia prevede che le bare da inumazione siano realizzate unicamente con legno e tessuti (preferibilmente non sintetici), mentre per le bare da tumulazione all’interno di una cassa di legno vi sia una cassa zincata dotata di valvole di sfiato.
Nel caso dell’inumazione il fondo della cassa è posizionato circa 2 metri sotto il livello del terreno (da cui il detto in inglese “six feet under”), il percolare dell’acqua attraverso il terreno porta al marcire del legno (ecco perché dopo un po di tempo le tombe terragne sprofondano leggermente) e successivamente accelera il processo di decomposizione dei un cadavere. Non esiste una tempistica precisa, ma solitamente un cadavere inumato di un adulto si decompone in scheletro in circa 10 anni (ecco perché di solito dopo tale tempo si procede alle esumazioni delle salme per porle nelle cellette ossario). Se il corpo è esposto all’acqua il tempo di scheletrizzazione si riduce a circa 3/4 anni, mentre all’aria aperta si riduce a circa 1/2 anni, con ampie variazioni a seconda delle condizioni atmosferiche. Se il corpo è all’aperto, ma in particolari condizioni (ad esempio circondato da ghiaccio) il tempo di decomposizione è estremamente più lento, esattamente quello che si cerca di replicare nell’ibernazione.
In funzione della permeabilità del terreno e delle caratteristiche chimiche tale tempo varia, accelerando o rallentando. I liquidi di decomposizione percolano al di sotto della bara della salma inumata, mentre i gas vengono filtrati dal terreno e raramente raggiungono la superficie. In caso di tumulazione, il processo di decomposizione è molto più lungo rispetto all’inumazione, arrivando a comprendere decine di anni.

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Insetti, animali e cadaveri

Insetti ed altri animali sono tipicamente gli agenti principali della decomposizione, posto che il corpo sia loro accessibile. Gli insetti più importanti che sono tipicamente coinvolti nel processo includono i sarcofagi (Sarcophagidae) ed i calliforidi (Calliphoridae).
La temuta mosca color verde-bottiglia (la “mosca metallica”) che si vede d’estate, è una calliforida; in realtà essa depone le sue uova bianche su qualunque carne viva o morta esposta (priva di pelle) e la sua preferenza è dovuta al fatto che gli animali vivi possono scacciarla ed essa non può agire su di essi come farebbe su un cadavere.
Ben più precisi e determinati sono invece i bigattini, vermiformi bianco-giallognoli ben noti ai pescatori, che li usano come esche. Questi sono in grado, in climi con temperature calde, di contribuire alla completa distruzione delle parti non ossee in tempi sorprendentemente rapidi, grazie anche alla loro capacità riproduttiva impressionante per rapidità e proporzioni. I bigattini altro non sono che le larve apode dei calliforidi e di altri ditteri)
Altri animali più grandi, come i coyote, le jene, gli avvoltoi, i lupi, le volpi, i ratti ed i topi, possono nutrirsi di un corpo morto se lo trovano, alcuni fra questi, inoltre, ne rimuoveranno e spargeranno le ossa. Anche i pesci possono nutrirsi di una carcassa umana, se immersa in acqua, e perfino cani e gatti possono nutrirsi di un cadavere umano: è quello che accade quando il loro padrone muore, nessuno si accorge della morte e gli animali domestici – affamati – per sopravvivere si cibano di parti del cadavere.

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Come fanno ad arrivare gli insetti?

Se il cadavere è esposto all’aperto, gli insetti vi giungono facilmente per via aerea ed attraverso il terreno. In caso di inumazione, gli insetti giungono al cadavere attraverso il terreno, superando la barriera di legno. Nel caso di una tumulazione la cassa in zinco dotata di valvole è necessaria per contenere i liquidi di decomposizione e i gas che si sviluppano, le valvole hanno lo scopo di permetterne lo sfiato senza che si verifichino scoppi delle casse. Gli insetti possono arrivare al cadavere attraverso tali valvole, anche se con grande difficoltà, tanto che solitamente il corpo viene trovato “mummificato” e non divorato da insetti saprofagi, a meno che sul cadavere non fossero già state depositate uova prima della chiusura della cassa di zinco.

Per approfondire: Fenomeni cadaverici: cosa succede al tuo corpo subito dopo la morte

Scheletro

Notoriamente le robustissime componenti ossee del nostro corpo sono le ultime a decomporsi, dunque lo scheletro è quello che generalmente si ritrova di una salma a seguito della riesumazione a distanza di qualche anno. Tuttavia neanche il robusto tessuto osseo è immortale: gli acidi nei terreni e nelle acquee possono disintegrarlo e  questo è, ad esempio, uno dei motivi della mancanza di resti umani nel relitto del Titanic anche in parti della nave inaccessibili ai pesci ed agli altri agenti degradanti.
I corpi esposti a terreno freddo e umido possono invece sviluppare una sostanza cerosa denominata “adipocere”, a causa dell’azione (sulle proteine e sui grassi del corpo) di prodotti chimici presenti nel terreno. La formazione di adipocere ritarda la decomposizione inibendo l’azione dei batteri che causano la putrefazione.

Leggi anche: Cosa si prova a morire annegati, dissanguati, decapitati… Morti diverse, sensazioni diverse

Imbalsamazione

L’imbalsamazione è un insieme di tecniche volte a preservare un cadavere o un corpo animale (tassidermia) dalla decomposizione. Grazie all’imbalsamazione e seguendo particolari accortezza, un cadavere può conservarsi per centinaia di anni, ad esempio, nella laica Unione Sovietica la salma di Lenin è stata imbalsamata ed è ancora oggi preservata.

Leggi anche: Differenza tra inumazione, tumulazione, cremazione, imbalsamazione e mummificazione

Per quali motivi è importante studiare la decomposizione?

Varie scienze, per finalità diverse, studiano la decomposizione dei corpi. Per quel che riguarda la medicina, la decomposizione è importante soprattutto in anatomia patologica e medicina legale: lo studio specifico sulla decomposizione dei corpi umani è infatti estremamente utile per determinare il periodo e la causa della morte di un dato individuo, dati che possono essere utili per individuare l’eventuale colpevole e condannarlo in un processo penale.

Per approfondire: Fenomeni cadaverici: cosa succede al tuo corpo subito dopo la morte

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Come suicidarsi senza dolore in casa e all’aperto: guida all’eutanasia

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Se ti sei ritrovato qui perché hai intenzione di suicidarti, leggi SUBITO questo articolo: 

Voglio morire: ecco i consigli per convincerti a non suicidarti

oppure chiama IMMEDIATAMENTE il numero verde della Samaritans Onlus 800 86 00 22 per ottenere aiuto.

In alternativa puoi chiedere aiuto chiamando il Numero Unico per le emergenze 112.

Se sei un adolescente, puoi anche chiamare il servizio Emergenza Infanzia del Telefono Azzurro al numero 114, oppure chiama il Telefono Amico al numero 199 284 284 o ancora accedi al servizio Mail@micaTAI disponibile sul sito http://www.telefonoamico.it/.

IMPORTANTE. L’articolo originale presente in questo spazio, è stato eliminato perché lo scopo originale per cui era stato scritto – incanalare gli aspiranti suicidi in un articolo che li convincesse a non compiere gesti estremi – poteva essere da alcuni facilmente travisato. Ci scusiamo per il disagio.

Alcuni libri che troverai molto interessanti:

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Mago taoista si fa cuocere in padella per pregare e purificare l’anima: muore bruciato [VIDEO]

MEDICINA ONLINE MAGO UCCISO COTTO A VAPORE Taoist medium dies in wok during steaming stuntAndava avanti da alcuni anni nelle sue performance di preghiera ad alto rischio per dimostrare ai suoi seguaci come purificare il corpo e l’anima: è morto così il sedicente mago taoista Lim Ba, noto come “Black Dog” (Cane Nero), facendosi cuocere a vapore mentre era in preghiera in una enorme padella wok, circondato da riso, mais e panini vegetariani. La tragedia è avvenuta in un tempio di Suana Sanglang, piccolo villaggio sulla costa della Malesia settentrionale. Quando, dopo mezz’ora di cottura, ha cominciato a picchiare disperatamente contro il pesantissimo coperchio che lo sovrastava per chiedere di essere liberato, era ormai tardi: nonostante i tentativi disperati dei soccorritori, Black Dog è – ben poco magicamente – spirato tra le urla dei credenti giunti in massa per la sessione di preghiera, ucciso da ustioni di secondo grado e da un attacco cardiaco.

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A poco sono servite le preghiere dei fedeli del santone. Il figlio minore di Lim Ba, il 32enne Kang Hui, ha raccontato che il padre effettuava queste performance da oltre dieci anni arrivando ai limiti estremi della resistenza umana: in un’occasione era rimasto “in cottura” per 75 minuti. Tale insolita abitudine era spesso sconsigliata dai membri della famiglia, ma “Cane Nero” non li ha mai voluti ascoltare ed è morto così, letteralmente cotto al vapore.

Di seguito riportiamo un video che mostra il tragico momento in cui il mago viene tirato fuori dalla grande padella:

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Emorragia cerebrale: non operabile, coma, morte, si può guarire?

MEDICINA ONLINE MORTE COSA SI PROVA A MORIRE TERMINALE DEAD DEATH CURE PALLIATIVE TERAPIA DEL DOLORE AEROPLANE TURBINE CHOCOLATE AIR BREATH ANNEGATO TURBINA AEREO PRECIPITA GRATTACIELO GL’emorragia cerebrale (in inglese conosciuta come intracranial hemorrhage, intracranial bleed o ICH), corrisponde ad una fuoriuscita più o meno abbondante di sangue da un vaso arterioso o venoso dell’encefalo. La fuoriuscita di sangue ha la principale conseguenza di un danno alle cellule celebrali, a causa sia della privazione del nutrimento garantito dal flusso sanguigno, che della compressione dell’ematoma sul tessuto cerebrale che si crea all’interno del cranio dal momento che quest’ultimo è inespandibile. Tale fuoriuscita di sangue è provocata dalla rottura di un vaso sanguigno che può essere sia il risultato di un picco ipertensivo che è andato a rompere un vaso cerebrale già dilatato (aneurisma cerebrale), oppure la conseguenza di un trauma, ad esempio una caduta o un incidente stradale in cui la testa viene sottoposta ad una forte decelerazione ed impatto.

Conseguenze dell’emorragia cerebrale

Le conseguenze di una emorragia variano grandemente in base a molti fattori come ad esempio:

  • lo stato di salute del paziente;
  • la sua età;
  • la zona in cui si è verificata l’emorragia;
  • la tempestività con cui il paziente è stato sottoposto a cure mediche.

L’emorragia cerebrale è comunque un evento grave, in alcuni casi gravissimo, che mette a rischio la sopravvivenza di chi lo subisce. Le sue conseguenze possono essere irreversibili o solo lievemente reversibili e rappresentare il motivo di serie disabilità cognitive e/o fisiche per il resto della vita che diminuiscono solo parzialmente con le terapie riabilitative attualmente conosciute. In alcuni casi più gravi il paziente può morire in pochi minuti per le conseguenze dell’emorragia, in altri casi altrettanto gravi il paziente sperimenta una serie di sintomi prima di entrare in stato di coma. Tali sintomi di norma compaiono all’improvviso subito dopo il trauma e possono evolvere anche molto rapidamente. Essi sono:

  • cefalea intensa ed improvvisa (descritta spesso come un colpo di pugnale alla nuca);
  • vomito;
  • nausea;
  • compromissione dello stato di coscienza e del controllo degli sfinteri;
  • emiparesi o emiplegia;
  • disturbi del linguaggio (disartria o afasia);
  • disturbi della sensibilità;
  • disturbi della coordinazione.

Molto spesso tali eventi si verificano molto presto la mattina, ciò a causa del tipico aumento della pressione arteriosa che si verifica in questi orari e che rende più probabile, ad esempio, una emorragia cerebrale da rottura di un aneurisma. Capita quindi non di rado che il soggetto venga ritrovato dai famigliari la mattina nel suo letto, in uno stato compromesso che gli ha impedito di chiedere aiuto e ciò tende a peggiorare la prognosi, dal momento che ritarda il momento delle cure.

Purtroppo spesso accade che il paziente colpito da emorragia cerebrale, entri in coma e rimanga in stato di incoscienza fino alla morte, che può sopraggiungere in tempi estremamente variabili in base all’età, alla gravità del danno cerebrale ed allo stato di salute generale del paziente. In tali casi, specie se il coma si protrae a lungo, anche se il paziente esce dal coma, difficilmente potrà tornare a svolgere una vita normale, a causa dei danni irreparabili dovuti all’emorragia cerebrale.

In altri casi il paziente rimane cosciente, ma può avere dei danni molto variabili, che riflettono la zona e la gravità del danno cerebrale, come ad esempio disturbi del linguaggio (afasie), anosognosia, disturbi del movimento, della vista… Sono comunque disponibili dei trattamenti riabilitativi che riducono, per quanto possibile, le invalidità del paziente.

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Si può guarire?

Le reazioni dell’organismo ad una emorragia, come abbiamo visto, sono estremamente variabili. Ciò dipende anche molto dalla tempestività in cui si effettuano i trattamenti medici. L’intervento chirurgico per la riduzione dell’ematoma può migliorare la situazione. Nei pazienti per i quali non è necessario l’intervento chirurgico è fondamentale un attento e continuo monitoraggio dello stato neurologico e dei parametri vitali: particolare attenzione deve essere rivolta al controllo dell’ipertensione arteriosa. In caso di importante edema cerebrale non operabile può essere richiesta la somministrazione di diuretici osmotici per ridurre l’edema (riassorbimento dell’ematoma) e ridurre la possibilità di danni al tessuto cerebrale. In caso di emorragia cerebrale in concomitanza con una terapia anticoagulante si fa solitamente uso di preparati in grado di ripristinare la normale coagulazione del sangue (vitamina K, protamina, concentrati piastrinici).

Una volta stabilizzate le condizioni del paziente, la sua prognosi rimane generalmente molto variabile in base alla tipologia di sanguinamento, dalle dimensioni dello stesso e dalla causa che lo ha provocato. Inoltre, le condizioni cliniche morbose preesistenti nel paziente possono influire in maniera negativa sulla prognosi. Molto temibili sono le problematiche di natura non neurologica che si possono sovrapporre in un paziente affetto da emorragia cerebrale. Le più frequenti sono di ordine infettivo (infezione delle vie urinarie e polmoniti in prima battuta). Seguono complicanze di ordine cardiaco in particolar modo aritmie cardiache, problematiche legate alla formazione di lesioni da decubito nei pazienti in coma o parzialmente immobilizzati, e non dimentichiamo la possibilità di un ulteriore episodio di sanguinamento cerebrale durante la degenza.

I pazienti che sopravvivono ad una emorragia cerebrale possono giovare di alcuni interventi riabilitativi, che possono migliorare la condizione cognitiva e/o fisica del paziente, anche se, per la mia esperienza, difficilmente un paziente colpito da emorragia cerebrale – specie se entrato in coma e/o anziano e/o già debilitato per altre patologie – tornerà ad essere lo stesso di prima, questo è un dato spiacevole ma deve essere chiaro fin da subito ai famigliari del paziente. Ciò però non significa che si deve perdere ogni speranza. 

Riabilitazione

L’emorragia cerebrale determina una lesione cerebrale, ed il cervello è quell’organo che ci permette di organizzare attraverso i processi cognitivi, il nostro comportamento e movimento, oltre alle nostre facoltà di linguaggio e di ragionamento.  Pertanto tutte le conseguenze di una emorragia cerebrale, vanno analizzate considerando l’alterazione dei processi cognitivi causata dall’emorragia stessa. Ho ritenuto necessario fare questa ovvia precisazione, perché comprendere al meglio le conseguenze di emorragia cerebrale, significa scegliere la migliore riabilitazione per il recuperoInfatti purtroppo spesso, le conseguenze di una emorragia cerebrale vengono individuate nei soli effetti visibili quali emiparesi e spasticità (condizione di ipertono dei muscoli), tralasciando gli aspetti cognitivi prima citati, questo non fa altro che indurre a scegliere una riabilitazione incentrata sui muscoli.  La riabilitazione post emorragia cerebrale deve coincidere con il reale problema che ha determinato le conseguenze appena descritte, dovrà quindi coinvolgere e riattivare i processi cognitivi alterati dell’emorragia cerebrale.  Attualmente la riabilitazione cognitiva, conosciuta anche come Metodo Perfetti è la risposta riabilitativa post emorragia cerebrale più adatta e corente con le reali problematiche e conseguenze. 

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Jedi, eutanasia, alieni e spaghetti volanti: le 4 religioni più assurde della storia

MEDICINA ONLINE JEDI JEDISM RELIGION RELIGIONE STAR WARS GUERRE STELLARIPartiamo da un concetto importante: chi scrive è agnostico e generalmente è portato a pensare che qualsiasi religione inventata dall’uomo (si, perché fino a prova contraria, qualsiasi religione è stata creata da uomini e non da divinità) sia razionalmente assurda, tra reincarnazioni, paradisi, diavoli con forconi e cherubini che suonano dalla mattina alla sera. Tuttavia ci sono alcune religioni che sono oggettivamente più strane (ancora più strane) delle altre. Eccovene quattro che – forse – ancora non conoscete.

Chiesa dell’Eutanasia

«Salva il pianeta, ucciditi»

Sicuramente una delle religioni più scioccanti è la cosiddetta Chiesa dell’Eutanasia o, all’inglese, Church of Euthanasia. Fondata da Chris Korda (figlio del celebre scrittore britannico Michael Korda) negli anni ’90 nella zona di Boston, questa chiesa pone al centro della sua predicazione il problema della sovrappopolazione terrestre, proponendo una soluzione radicale al problema: i quattro cardini del culto sono infatti il suicidio, l’aborto, il cannibalismo dei morti e la sodomia (intesa come sesso rigorosamente non procreativo).

Se già i cardini etici possono lasciare increduli, non meglio va con gli slogan che la Chiesa dell’Eutanasia propone nelle proprie manifestazioni e siti web: il più celebre è sicuramente “Save the Planet, Kill Yourself” (ovvero: “Salva il pianeta, ucciditi”), ma non meno forte è “Eat a Queer Fetus for Jesus” (“Mangia il feto di una checca per Gesù”). L’idea di fondo è che l’unico vero comandamento sia quello di non procreare, perché l’uomo è ciò che rovina il pianeta, e per questo bisogna cercare in tutti i modi di ridurne il peso sul mondo; in ogni caso, la chiesa rifiuta l’omicidio e la sterilizzazione coatta, perché la via dell’eutanasia dev’essere una libera scelta.

La cosa che però ha portato questa chiesa al centro dell’attenzione delle cronache statunitensi è legata ai fatti dell’11 settembre: dopo il tragico attentato alle Torri Gemelle, infatti, il sito di questa chiesa ha pubblicato (e pubblica tutt’oggi) un video in cui le immagini degli aerei contro le torri si mescolano ad altre pornografiche, mentre la voce di Korda ripete la canzone I Like to Watch (“Mi piace guardare”).

Movimento raeliano

Figli delle stelle

Forse meno estrema, ma non meno curiosa è la fede raeliana, che deve il suo nome al fondatore Claude Vorilhon, che la istituì nel 1973 dopo aver preso contatto con gli alieni nei dintorni di Clermont-Ferrand, in Francia, e dopo aver assunto appunto lo pseudonimo di Raël. L’idea di fondo di questo culto è che la vita sulla Terra non sia stata creata da Dio, né che sia frutto dell’evoluzione così come l’aveva pensata Charles Darwin, ma abbia avuto origine da un’operazione di ingegneria genetica praticata da una razza di alieni particolarmente evoluti, chiamati elohim.

Tutti i principali testi sacri, infatti, sarebbero versioni più o meno travisate di quanto effettivamente avvenne: gli alieni decisero di costituire sulla Terra una sorta di grande esperimento utilizzando la loro avanzatissima tecnologia ed incaricando alcuni uomini – poi identificati come profeti, come ad esempio Mosè, Buddha, Gesù o Maometto – di portare il loro messaggio; allo stesso modo, l’Apocalisse che secondo vari libri dovrebbe chiudere i tempi non sarebbe altro che il futuro ritorno degli elohim sul nostro pianeta per condividere le loro conoscenze con i terrestri.

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Jedismo

«Che la forza sia con te»

Passiamo, per concludere, a due religioni che sicuramente hanno caratteri molto particolari, ma difficilmente dovrebbero incappare negli eccessi di quelle che abbiamo incontrato finora, anche se, come vedremo, qualche punto di contatto è presente; si tratta infatti di religioni che hanno al loro interno – e volutamente – una forte dose di umorismo e soprattutto di satira, visto che sono state create e si sono sviluppate per criticare l’eccesso di norme giuridiche volte a salvaguardare le religioni tradizionali anche davanti ad asserzioni che non hanno alcun fondamento scientifico.

La prima delle due è il Jedismo (vedi foto all’inizio dell’articolo), il culto cioè di chi segue la via dei Jedi, i monaci-guerrieri della celebre saga fantascientifica di Star Wars. Ovviamente, questo corpo è stato creato da George Lucas sul finire degli anni ’70 a scopi puramente narrativi: non voleva fondare una nuova filosofia o una religione, ma semplicemente rappresentare un organismo di grande rigore etico e di ricerca spirituale che potesse opporsi, nella trama che stava elaborando, all’oscurantismo dell’Impero. Non poteva prevedere che i suoi film avrebbero avuto il successo che poi effettivamente hanno avuto, né che i Cavalieri Jedi diventassero oggetti di culto.

La religione vera e propria, però, ha un’origine molto particolare, ed è legata ad internet. Nel 2001 in Inghilterra e Galles fu indetto il consueto censimento della popolazione, censimento che in quel paese richiede anche l’appartenenza religiosa dei cittadini; come forma di protesta davanti a questa domanda considerata ormai antiquata, una campagna via mail chiese a molti cittadini di indicare “Jediism” come religione. Il risultato fu in effetti sorprendente, visto che il Jedismo finì per diventare la quarta religione del paese con lo 0,7% delle preferenze (dietro a cristiani, al 70%, musulmani, al 3,1%, e induisti, al 2,1%, senza ovviamente contare gli atei). Da quel momento in poi sono stati aperti siti web in cui si dichiarano i doveri dello Jedi, anche prendendo almeno in parte le distanze dalla saga di Lucas.

Pastafarianesimo

La religione parodistica più famosa del mondo

Ancora più divertente e sagace nella sua critica alle religioni tradizionali è il Pastafarianesimo, culto fondato nel 2005 da un laureato in fisica dell’Università dell’Oregon, Bobby Henderson; questi, infatti, intendeva protestare contro la decisione del Consiglio per l’istruzione del Kansas, che aveva permesso l’insegnamento del creazionismo parallelamente al darwinismo nelle scuole dello stato, e perciò creò questa particolare religione chiedendo che anche di essa, per non essere discriminata, fosse concesso l’insegnamento della relativa dottrina.

Il Pastafarianesimo, però, è tutt’altro che una religione tradizionale. Henderson sostiene infatti che l’Universo sia stato creato sì da una mente intelligente, ma che questa mente debba identificarsi con il Prodigioso Spaghetto Volante, tra l’altro in un momento di intossicazione alcolica (cosa che spiegherebbe l’imperfezione del creato). Questa divinità è una specie di mostro di spaghetti e polpettine che avrebbe creato l’uomo introducendo nel mondo le false prove dell’evoluzionismo solo per mettere alla prova la fede dei suoi credenti.

L’intento parodistico di questa religione è reso più evidente dai codici di condotta che impone ai suoi adepti: i fedeli devono indossare un vestito piratesco (perché, sostengono, il calo del numero di pirati nel mare è direttamente correlato – grafici alla mano – col surriscaldamento globale) o uno scolapasta rovesciato sulla testa. Inoltre alcune persone, nel mondo, hanno in questi anni indossati tali abiti a scuola o nel corso di riunioni istituzionali, rivendicando, in nome della libertà di culto e dei diritti garantiti ad altre religioni, la liceità del loro abbigliamento.

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Quando morirai, saprai di essere morto: la mente muore dopo il corpo

MEDICINA ONLINE RIGOR MORTIS RIGIDITA CADAVERE MORTE TEMPOQuando muori sai di essere morto: lo rivela uno studio che dimostra come la mente funziona ancora dopo che il corpo non mostra segni di vita: ciò significa che, Continua a leggere

Sto per morire: le 7 fasi di elaborazione del dolore e della morte

MEDICINA ONLINE MORTE COSA SI PROVA A MORIRE TERMINALE DEAD DEATH CURE PALLIATIVE TERAPIA DEL DOLORE AEROPLANE TURBINE CHOCOLATE AIR BREATH ANNEGATO TURBINA AEREO PRECIPITA GRATTACIELO GLa psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross è diventata celebre grazie al suo trattato “La morte e il morire” (Assisi, Cittadella, 1976 edizione originale 1969) in cui definisce i cinque stadi di reazione alla prognosi mortale, che sono i seguenti: rifiuto, rabbia, negoziazione, depressione ed accettazione, a tal proposito leggi anche: Elaborazione del lutto: le 5 fasi che attraversa chi sta per morire

A tali 5 fasi negli anni sono state aggiunte ulteriori due fasi: shock e speranza, che nelle 5 fasi iniziali erano incluse rispettivamente nella fase del rifiuto e dell’accettazione. Le 7 fasi sono quindi:

  1. shock;
  2. rifiuto;
  3. rabbia;
  4. negoziazione;
  5. depressione;
  6. accettazione;
  7. speranza.

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1) Fase dello shock

Secondo la classificazione originaria di Elisabeth Kübler-Ross, la fase dello shock era inclusa all’interno della fase della negazione, tuttavia alcuni psichiatri e psicoterapeutici preferiscono vederla come una fase a parte. Lo shock corrisponde, come facilmente intuibile, ai primissimi momenti in cui il medico comunica al paziente che egli è affetto da una malattia incurabile, che lo porterà inevitabilmente alla morte in un tempo variabile, qualsiasi cosa si faccia. Lo shock è scaturito principalmente dal fatto che spesso questa è una notizia totalmente imprevista, non solo dal paziente e dai suoi famigliari, ma anche dal personale sanitario stesso. Succede infatti spesso che il paziente si rechi dal medico lamentando dei sintomi aspecifici, che generalmente non sono indice di grave malattia. Quando la diagnosi porta invece alla peggiore prognosi possibile, la reazione è realmente una doccia fredda. Casi tipici sono la comunicazione di un cancro in fase terminale o di positività al virus dell’HIV (quest’ultima vista come una condanna a morte dal paziente, seppur i progressi nel campo delle terapia antiretrovirali hanno completamente cambiato l’aspettativa di vita di pazienti sieropositivi).

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2) Fase della negazione o del rifiuto

In questo passaggio, immediatamente successivo alla notizia shock, il malato è totalmente preda dell’inconscio che, come ovvio, vede la morte come un evento spaventoso e distruttivo, che non si merita, a cui va contrapposta una difesa, armata di  negazione dell’evidenza oppure della convinzione che la diagnosi sia sbagliata, addirittura, in alcuni casi, si pensa che la malattia diagnosticata sia guaribile quando chiaramente non lo è. “Ma è sicuro, dottore, che le analisi siano fatte bene?”, “Non è possibile, si sbaglia!”, “Non ci posso credere, voglio il parere di un altro medico” sono le frasi più frequenti di fronte alla diagnosi di una patologia organica grave ed incurabile; questa fase è caratterizzata dal fatto che il paziente, usando come meccanismo di difesa il rigetto dell’esame di realtà, ritiene impossibile di avere proprio quella malattia.
In questa fase spesso, il paziente ha generalmente ancora condizioni di salute accettabili tanto che un’altra frase tipica della negazione è “Io mi sento bene, è impossibile che io abbia realmente una malattia mortale”. Molto probabilmente il processo di rifiuto psicotico della verità circa il proprio stato di salute può essere funzionale al malato per proteggerlo da un’eccessiva ed improvvisa ansia di morte che potrebbe portarlo addirittura a pensieri suicidari e per prendersi il tempo necessario per organizzarsi. Con il progredire della malattia tale difesa diventa sempre più debole, però in alcuni casi potrebbe addirittura irrigidirsi, raggiungendo livelli di rifiuto della realtà ancor più psicopatologici.
Il rifiuto della malattia per i parenti è uno stato che non costituisce un problema, anzi normalmente è ben accolto perché aiuta il loro lavoro di sostegno al paziente e, a volte, va in ausilio alla decisione di nascondere al malato la verità, scelta opinabile, in quanto si preclude al malato le fasi di preparazione all’inevitabile.

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3) Fase della rabbia

Dopo la negazione, la realtà inizia ad essere chiara al paziente e ciò genera emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, il proprio dio (se il soggetto è credente), gli amici, persino gli animali di compagnia più cari, come cani e gatti che fino al giorno prima della cattiva notizia erano stati amati come figli. Una tipica domanda è “perché proprio a me?”. È una fase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale del paziente. Rappresenta un momento critico che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
Da che cosa nasce questa collera? Anche dalla consapevolezza che tutto della vita che si interrompe, da cui il “dolore totale”. Questa fase è caratterizzata da improvvisi scatti violenti per affermare la propria presenza, che si manifestano in modi molto soggettivi dal momento che dipendono fortemente dalla personalità di ciascuno: ad esempio un soggetto aggressivo aumenterà la propria aggressività; un soggetto che nella vita se la prendeva con tutti, se la prenderà ancora di più con tutti.
Questa fase esaurisce molte energie mentali, nel paziente e nelle persone che hanno a che fare con lui, che imparano ad essere “insultate” ed accusate senza motivi razionali. Fortunatamente questa fase tende ad essere superata presto, anche se alcuni pazienti rimangono in questa fase fino alla morte. Morire in collera è molto doloroso per tutti i soggetti implicati: significa fallire una pacificazione con sé stessi e con gli altri, lasciando spesso ai propri cari una strada difficile per elaborare il lutto (il parente si potrebbe ad esempio per sempre sentire in colpa per non aver “fatto pace” col defunto prima di morire).
Spesso le persone che non riescono a valicare la fase della rabbia sono quelle che nel vivere la loro esistenza senza malattia hanno avuto l’illusione del controllo totale della propria persona e del proprio destino. Individui volitivi, che hanno avuto successo, prestigio che hanno la sensazione che gli sia stato rubato il futuro.

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4) Fase della contrattazione o del patteggiamento

In questa quarta fase la rabbia irrazionale della terza fase lascia spazio ad una più razionale pianificazione delle opzioni disponibili per tentare una via d’uscita. Il paziente comincia a verificare cosa è in grado di fare per opporsi alla malattia ed in quali progetti può investire la speranza, cominciando una specie di negoziato, che a seconda dei valori personali, può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la sfera relazionale del paziente (medici, familiari ed amici), sia con le figure religiose. Tipiche frasi di patteggiamento ascoltate dai miei pazienti, sono:

  • se prendo le medicine, potrò evitare di morire;
  • se prego molto, potrei salvarmi;
  • se mangio bene e faccio tanta attività fisica, la malattia invertirà la tendenza a mio vantaggio;
  • se darò tutti i miei averi in beneficenza o compio altri atti che possono migliorare il mio karma, potrei sopravvivere;
  • se vado in pellegrinaggio a Lourdes, succederà il miracolo;
  • se provo quella famosa cura alternativa e non approvata dai medici, mi salverò.

In questa fase, la persona riprende – o si illude di riprendere – il controllo della propria vita e cerca di riparare il riparabile, sia in modo razionale (prendo le medicine -> mi salvo) che in modo irrazionale, con vere e proprie fallacie logiche (faccio del bene al prossimo -> mi salvo).

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5) Fase della depressione

Questa fase rappresenta il momento nel quale il paziente capisce che qualsiasi patteggiamento non gli impedirà di morire e comincia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo e che subirà al momento della morte. Tale periodo di solito si manifesta quando la malattia progredisce e il livello di sofferenza aumenta. La fase viene distinta in due tipi di depressione:

  • depressione reattiva: è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali, sono andati persi;
  • depressione preparatoria: ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire.

In questa fase della malattia la persona non può più negare le proprie condizioni di salute, né cercare improbabili contrattazioni, quindi comincia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta, tristezza e appunto depressione. Quanto maggiore è la sensazione dell’imminenza della morte, tanto più probabile è che la persona viva fasi di depressione sempre più grave.

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6) Fase dell’accettazione

Quando il paziente ha avuto modo di elaborare quanto sta succedendo intorno a lui, arriva a un’accettazione della propria condizione e a una consapevolezza di quanto sta per accadere; durante questa fase possono sempre e comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione altalenanti, che però sono generalmente di intensità moderata. In questa fase il paziente tende a essere silenzioso e a chiudersi in sé stesso, tuttavia sono anche frequenti momenti di profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto: la persona può cercare i propri cari e fare lunghi discorsi, ad esempio ricordando il passato e raccomandandosi con gli altri di vivere bene la propria vita. È il momento dei saluti. È il momento del “testamento” e della sistemazione di quanto può essere sistemato, in cui si prende cura dei propri “oggetti” (sia in senso pratico, sia in senso psicoanalitico). La fase dell’accettazione non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase pre-morte, momenti in cui i pazienti possono comunque sperimentare diniego, ribellione o depressione.

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7) Fase della speranza

In tale fase – originariamente assoggettata alla fase dell’accettazione – il paziente sperimenta, similarmente alla fase del patteggiamento, una sottile speranza che, per qualche particolare miracolo, la propria malattia terminale non porti realmente alla morte. Mentre nella fase del patteggiamento il paziente è fortemente motivato a “uscire da questa situazione” e convinto che la morte possa essere in qualche modo evitata, in questa fase il paziente è malinconico e non ha più questa convinzione ferrea, ma nutre ancora una speranza, che è però lieve, docile, rassegnata, di chi è consapevole che non può fare più nulla ma, “chi lo sa, magari sono uno su un milione che non morirà…”. La speranza permette di affrontare gli ultimissimi momenti di vita con un minimo di ottimismo e di serenità.

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Il lutto “ben elaborato”

Un lutto “ben elaborato” è un lutto in cui vengono percorse tutte le precedenti fasi. È molto raro che tale percorso sia lineare. È molto più comune che, soprattutto all’inizio, si oscilli da una fase all’altra. Questo è particolarmente osservabile fra la terza e la quinta fase. Chi è nello stadio di depressione (quinta fase) non è immune dal provare rabbia (terza fase) per quanto gli è successo: “saltella” quindi fra la rabbia e la depressione. Ciò che importa non è la regolarità nell’attraversare le fasi ma piuttosto che, pian piano, si proceda fino ad arrivare all’ultima. Più si compiono reali passi avanti, più sarà difficile che si retroceda a fasi precedenti già attraversate – cosa che purtroppo invece può succedere. Se – per esempio – una persona ha accettato completamente la tristezza dovuta alla perdita (cioè, è in piena sesta fase) sarà quasi impossibile che torni a negarla (seconda fase). In questo modo, prima o poi approderà alla fase di accettazione e il dolore lascerà posto alla serenità di chi ha accettato il proprio destino.

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Il lutto “mal elaborato”

Un lutto che può lasciare conseguenze negative (cioè ancora più negative) è un lutto in cui le fasi diventano cronicamente cicliche perché mal gestite, o in cui si rimane “congelati” in una delle prime fasi oppure si torna indietro ad una fase iniziale. Queste ultime condizioni, in genere, si hanno quando la persona teme, magari in modo non del tutto conscio, che non riuscirà a tollerare le emozioni proprie della fase successiva. Come già prima accennato, alcuni – per esempio – trascorrono perfino anni in fase di rabbia perché, per quanto tale emozione sia dolorosa, sentono di riuscire a gestirla meglio della tristezza. Allo stesso modo, molti trascorrono anni in fase di depressione perché avanzare alla fase successiva significherebbe dover dare per scontato che il proprio destino è ineluttabile. Per la serenità del paziente e dei suoi famigliari ed amici è importante che tutte le fasi vengano attraversate in sequenza, anche con l’aiuto del medico e dello psicoterapeuta.

Se a te o ad un tuo caro è stata diagnosticata una malattia terminale e credi di non riuscire a gestire da solo o da sola questa situazione, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui, ti aiuterò ad affrontare questo difficile momento.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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