Quanto è lungo l’intestino in adulto e neonato (tenue e crasso)

MEDICINA ONLINE INTESTINO COLON TENUE CRASSO APPENDICE TRASVERSO ASCENDENTE DISCENDENTE RETTO ANO COLECISTI STOMACO DUODENO ILEO PARALITICO ADINAMICO MECCANICO OSTRUZIONE OCCLUSIONE SUBOL’intestino di un essere umano adulto è lungo in tutto circa 7 metri, anche se questo dato è molto variabile da soggetto a soggetto. Si divide in intestino tenue ed intestino crasso.

  • L’intestino tenue è il tratto iniziale più lungo, misura infatti 6,5 metri circa. Il duodeno è lungo circa 25 cm (10 pollici); il digiuno è lungo circa 2,5 m (8 piedi) e l’ileo è lungo circa 3,6 m. (12 piedi).
  • L’intestino crasso costituisce l’ultima parte dell’apparato digestivo e misura mediamente 170 cm, con una superficie che varia da 640 a 1615 cm2 e un calibro che è di circa 7 cm a livello del cieco, 4,5 cm a livello del colon, aumenta in prossimità del retto per poi diminuire fino ai 2 cm dell’ano

L’intestino crasso è collegato a quello tenue dall’ileo (ultima parte dell’intestino tenue) e dal cieco (prima parte dell’intestino crasso) e, in esso, avviene l’ultima fase del processo digestivo che dura in tutto 32 ore.

Le dimensioni variano molto in base al sesso ed alle caratteristiche individuali: la normale lunghezza dell’intestino tenue varia da circa 3 a 7,2 m nella donna e da 4,8 a 7,8 m nell’uomo.

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Nel neonato l’intestino tenue misura circa 2 metri, mentre il crasso circa 64 cm

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Meconio, transizione e svezzamento: feci diverse nel neonato

Mother interacting with baby girl at home.Spesso i neo-genitori si spaventano per qualche particolare delle feci del proprio bimbo che sembrano anomale, ma sono invece del tutto normali. Vediamo allora che caratteristiche hanno le feci del neonato, come cambiano nel tempo e quando è il caso di preoccuparsi.

Il meconio

Per i primi 2/3 giorni di vita, il neonato emette delle feci particolari, che prendono il nome di meconio. Sono di colore verde-giallastro-nerastro e di consistenza appiccicosa, tanto che a volte è difficile rimuoverle dal sederino. Il meconio è costituito da quello che c’era nell’intestino del feto durante la gravidanza, e cioè principalmente muco e liquido amniotico. È molto importante che cominci a essere emesso nelle prime 24 ore di vita del bambino: un’emissione tardiva, infatti, può essere il segnale di qualcosa che non va, per esempio la presenza di un ostacolo al transito nell’intestino, oppure un’anomalia metabolica che rallenta la peristalsi intestinale. anche una emissione precoce del meconio, ad esempio durante il parto (tipicamente nei bimbi nati post-termine), può essere problematica perché il meconio può finire nelle vie aeree del bambino, determinando una sindrome da aspirazione di meconio che può condurre a distress respiratorio e morte per insufficienza respiratoria.

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Le feci di transizione

Dopo i primissimi giorni, il meconio viene sostituito dalle feci tipiche del bambino che sta cominciando ad alimentarsi normalmente. Come spiegato in un opuscolo del National Childbirth Trust, organizzazione no profit inglese che si occupa di gravidanza e salute dei bambini, il passaggio è graduale e segnato dalle cosiddette “feci di transizione”, che appaiono più verdastre e meno appiccicose.

“Quanta ne fa!”

A volte, i neogenitori si stupiscono di quante feci possa produrre un bambino: un neonato allattato, al seno, infatti, può scaricarsi anche dopo ogni pasto, ed è normale che sia così. Insieme all’abbondanza di urina, è proprio uno dei segni che si sta alimentando correttamente. Più raramente può farla meno spesso, anche una sola volta emissione al giorno, ma molto più abbondante.

Lo svezzamento

Quando, oltre al latte, il bambino comincia ad assumere altri cibi la sua flora batterica intestinale cambia drasticamente, e cambiano di conseguenza anche le feci, che poco a poco diventano sempre più simili a quelle dell’adulto: più dure, più scure – di colore marrone – più maleodoranti. Il cambiamento è più evidente per i bambini che fino a quel momento avevano preso solo latte materno, perché quelli alimentati con latte artificiale erano già andati incontro a modifiche della flora batterica. Un’altra caratteristica tipica delle feci dei bambini che hanno cominciato a mangiare altri cibi oltre al latte è la presenza di residui alimentari, in genere vegetali, per esempio piselli o pezzettini di carota. Niente paura, è tutto normale: si tratta di alimenti ricchi di fibre che noi non riusciamo a digerire, e che di solito vengono degradati da alcuni batteri presenti nell’intestino. Nei bambini la loro presenza dà luogo a un transito molto veloce, per cui finiscono nelle feci così come sono, ma non rappresentano in alcun modo un problema. I residui alimentari sono presenti anche nelle feci degli adulti, solo che in genere non le studiamo con la stessa attenzione che dedichiamo a quelle dei piccoli e quindi non ce ne accorgiamo. Infine, nel bambino svezzato può capitare che le feci assumano temporaneamente delle colorazioni particolari: verde, arancione, rosso. Anche in questo caso, se la consistenza è più o meno normale e il fenomeno è passeggero non c’è da preoccuparsi: dipende tutto da quello che si è mangiato, nel caso invece che il fenomeno si ripresenti spesso, è necessario consultare il pediatra.

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Diabete gestazionale: cos’è e quali sono i rischi per il feto e la madre

MEDICINA ONLINE GRAVIDANZA DIABETE GESTAZIONALE FETO PARTO CESAREO DIETA FIBRA VERDURA GRASSI ZUCCHERI PROTEINE GONFIORE ADDOMINALE MANGIARE CIBO PRANZO DIMAGRIRE PANCIA PESO INTESTINO DIGESTIONE STOMACO CALORIE METABOLISMOPer diabete gestazionale si intende un aumento dei livelli di glucosio che si manifesta o viene rilevato per la prima volta nel periodo della gravidanza.
Questa condizione si verifica nel 8% nelle donne incinte. Generalmente, il diabete gestazionale tende a scomparire al termine della gravidanza, tuttavia, le donne che ne hanno sofferto presentano un rischio più elevato di sviluppare diabete di tipo 2 in età avanzata. Esistono dei fattori di rischio come l’obesità e la familiarità con un paziente diabetico che possono accrescere sensibilmente la probabilità di andare incontro a questa forma di diabete.

Sintomi del diabete gestazionale
Il diabete gestazionale si manifesta con sintomi poco evidenti e passa spesso inosservato alle donne. Tuttavia attraverso un’attenta analisi delle condizioni della gestante è possibile intuirne la presenza.
I sintomi da controllare sono: l’aumento ingiustificato della sete, il frequente bisogno di urinare, la perdita di peso corporeo, i disturbi della vista e le infezioni frequenti, come cistiti e candidosi.

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Terapia del diabete gestazionale
La cura del diabete durante la gravidanza avviene fondamentalmente attraverso una dieta finalizzata a garantire il giusto apporto calorico necessario alla crescita del feto, a preparare l’organismo materno al parto e all’allattamento, oltre che ad evitare episodi di ipoglicemia o iperglicemia per l’organismo della madre. Non può comunque prescindere dalla pratica dell’attività fisica.
La terapia con insulina si rende necessaria solo quando, nonostante il rispetto dell’alimentazione prescritta dal diabetologo o dal dietologo, i valori della glicemia risultano superiori ai valori ritenuti normali per la gravidanza.
Nel caso del diabete gestazionale, l’autocontrollo della glicemia è fondamentale per tenere sotto controllo l’evolversi della malattie e valutare l’efficacia della terapia.

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Rischi per la madre e per il feto nel diabete gestazionale
Pur essendo una condizione transitoria, se non viene diagnosticato ed adeguatamente curato, può portare a delle conseguenze, sia per la madre che per il feto. In presenza di diabete gestazionale non esiste alcun rischio per la vita del bambino, ma è comunque importante controllare al meglio i valori glicemici per evitare complicanze.
Tra queste, la più conosciuta e diffusa è chiamata macrosomia, ovvero un eccessivo sviluppo del feto rispetto alla sua età gestazionale, con peso alla nascita superiore ai 4-4,5 kg.
Il motivo di questo eccesso ponderale va ricercato nella grande disponibilità di glucosio (zucchero) legata all’iperglicemia materna. Per le notevoli dimensioni, il feto può incontrare importanti difficoltà durante il passaggio nel canale del parto, richiedendo in molti casi il ricorso al parto cesareo (anche se in tal senso, il diabete gestazionale non rappresenta un indicazione assoluta). In caso di parto naturale, quindi, per la madre aumentano i rischi di lacerazione vaginale (fino all’interessamento dello sfintere anale) ed emorragie post-partum, mentre il nascituro corre un maggior rischio di frattura e distocia di spalla. Al momento del parto, inoltre, il nascituro può subire una crisi ipoglicemica, dal momento che – essendo abituato a vivere in un ambiente iperglicemico – può risentire della brusca diminuzione degli zuccheri al momento del distacco del cordone ombelicale.

Altre complicanze del diabete gestazionale
Altre possibili complicanze alla nascita sono rappresentate dall’iperbilirubinemia, dall’ipocalcemia e dalla sindrome da distress respiratorio.
Un cattivo controllo metaboilico del diabete gestazionale può dare origine a complicazioni ipertensive e facilitare l’insorgenza di diabete materno nel post-partum. Le donne affette da GDM costituiscono infatti una popolazione ad elevato rischio per lo sviluppo del diabete mellito tipo 2 negli anni successivi: per entrambe queste due forme di diabete sono infatti simili i più importanti fattori di rischio, quali obesità, distribuzione viscerale del tessuto adiposo e familiarità per diabete.
La macrosomia, al pari della condizione opposta, sembra aumentare il rischio di obesità e sue complicanze tardive (diabete di tipo II, aterosclerosi, ipertensione) nell’infanzia e nelle successive fasce di età .
Come anticipato nella parte introduttiva, il diabete gestazionale non comporta normalmente abortività o malformazioni, comunque possibili nel caso in cui l’iperglicemia cronica sia già presente al momento del concepimento ma ancora all’oscuro della gestante e dello staff medico. Tutto ciò contribuisce a sottolineare l’importanza di una visita pre-concepimento nel momento in cui la gravidanza è ancora ricercata. Sia chiaro che anche una donna diabetica può portare a termine una gravidanza con serenità e senza alcuna complicanza, ma è fondamentale che il concepimento sia preceduto da un preventivo consulto medico e da un controllo ottimale del diabete prima, durante e dopo la gravidanza. Il concepimento e le primissime settimane di gestazione, in particolare, devono avvenire in una situazione di perfetto controllo glicemico.

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Sindrome di Down: cause, sintomi in gravidanza e nei neonati

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Benessere Dietologo Nutrizionista Cellulite Sessuologia Ecografie Tabagismo Smettere di fumare La molecola che spegne la sindrome di DownLa sindrome di Down è un’anomalia cromosomica che si manifesta attraverso diversi sintomi congeniti: le persone affette sono caratterizzate da una copia in eccesso del cromosoma 21 e possono manifestare sintomi fisici e disabilità intellettive. Tutti i casi diagnosticati presentano un ritardo cognitivo, ma il grado di disabilità è molto variabile tra gli individui affetti, con la maggior parte che rientra nella gamma di “poco” o “moderatamente disabili”. Purtroppo i soggetti Down spesso sono affetti da altri problemi di salute, per esempio malformazioni cardiache, difetti dell’udito, intestinali, tiroidei, scheletrici e agli occhi. La gravità di questi problemi varia considerevolmente a seconda dell’individuo. La sindrome è la più comune anomalia cromosomica nell’uomo e il rischio di concepire un bimbo Down aumenta proporzionalmente all’età della madre. La diagnosi può avvenire al momento della nascita o anche prima, attraverso lo screening prenatale. Questa sindrome non può essere curata, anche se un approccio integrato impostato fin dai primi mesi di vita permette di favorire un buon sviluppo delle capacità di base, permettendo di condurre una vita serena e produttiva. Negli ultimi decenni l’aspettativa di vita è aumentata significativamente, passando dai 25 anni del 1983 ai 60 e più attuali.

Cause

La sindrome di Down è causata da un errore casuale nella divisione cellulare che si verifica durante lo sviluppo delle cellule riproduttive (gameti) e che comporta la presenza di una copia extra del cromosoma 21. L’essere umano normalmente mostra 23 coppie di cromosomi, ossia 46 in tutto, ereditati rispettivamente per metà dalla madre e per metà dal padre; in alcuni casi si verifica un problema prima della fecondazione. L’ovulo materno o lo spermatozoo paterno si possono dividere in modo non corretto, arrivando a portare un cromosoma 21 in eccesso. Quando queste cellule si uniscono con uno spermatozoo o un ovulo normale l’embrione risultante avrà quindi 47 cromosomi, anziché 46, e questo tipo di errore nella divisione cellulare è responsabile di circa il 95% dei casi di sindrome di Down (trisomia 21).

  • In circa il 90% dei casi l’errore si verifica a livello dell’ovulo materno,
  • in circa il 4% dei casi si verifica nello spermatozoo paterno,
  • mentre nel restante 6% l’errore si verifica in una fase successiva alla fecondazione.

Il risultato è, in ogni caso, che il bimbo avrà una quantità superiore di materiale genetico rispetto a quello considerato normale nell’essere umano.

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Fattori di rischio

Ad oggi si ritiene che non esista alcun comportamento o fattore ambientale in grado di favorire l’errore durante la divisione cellulare. Sono invece considerati fattori di rischio:

  • Età avanzata della mamma, il cui rischio relativo aumenta in particolar modo dai 35 anni in poi, passando da 1 bimbo ogni 350, a 1 su 30 all’età di 45 anni.
  • Una donna che abbia già dato alla luce un bimbo affetto dalla sindrome di Down è associata a un aumento del rischio in caso di gravidanze successive.
  • Essere portatori della traslocazione genetica associata alla sindrome.

Sintomi

I sintomi variano considerevolmente da un soggetto all’altro, così come i i problemi che possono trovarsi ad affrontare in diverse fasi della vita. I bambini affetti da sindrome di Down manifestano tipicamente alcuni o tutti dei seguenti segni fisici:

  • occhi inclinati verso l’alto;
  • viso piatto e largo;
  • orecchie piccole e leggermente piegate sulla sommità;
  • bocca piccola, con la lingua che sembra più grande del normale;
  • naso piccolo e camuso;
  • collo corto ed eccesso di pelle alla base;
  • mani e piedi piccoli;
  • tono muscolare ridotto;
  • testa, orecchie e bocca più piccole;
  • macchie bianche su occhio e iride;
  • dita di mani e piedi più corte (brachidattilia);
  • singola piega trasversale palmare;
  • spazio eccessivo tra alluce e il secondo dito del piede;
  • obesità;
  • bassa statura, sia da piccoli sia da adulti.

Lo sviluppo fisico è in genere più lento rispetto ai coetanei, per esempio a causa del ridotto tono muscolare possono imparare a girarsi, sedersi e camminare un po’ più avanti nel tempo; nonostante queste difficoltà i bimbi affetti possono imparare comunque a partecipare alle attività fisiche svolte con altri bambini.

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Disabilità intellettiva

La gravità della disabilità intellettiva varia considerevolmente: la maggior parte delle persone down presenta una disabilità intellettiva lieve o moderata, che può manifestarsi come:

  • ridotta soglia di attenzione,
  • scarsa capacità di giudizio,
  • comportamento impulsivo,
  • apprendimento lento,
  • ritardo nello sviluppo del linguaggio.

Con opportuni interventi solo pochi pazienti arrivano a presentare una disabilità intellettiva grave. Non è possibile prevedere lo sviluppo mentale basandosi soltanto sui suoi tratti somatici.

Prognosi e patologie associate

Attualmente la prognosi per le persone affette da sindrome di Down è migliore rispetto a qualche anno fa, poichè la maggior parte dei problemi di salute connessi alla sindrome di Down può essere curata e guarita e la speranza di vita ha raggiunto i 60 anni. I pazienti corrono in ogni caso un rischio maggiore rispetto alla popolazione sana di soffrire di uno o più dei problemi seguenti.

  • Malformazioni cardiache. Circa la metà dei bambini con sindrome di Down soffre di malformazioni cardiache che possono portare allo sviluppo di pressione polmonare alta, ridotta capacità del cuore di pompare efficacemente il sangue e altri problemi. Per questo motivo è consigliabile sottoporre il bimbo a una valutazione cardiologica specializzata, che preveda anche un ecocardiogramma. In alcuni casi la diagnosi può avvenire già durante la gestazione, anche se gli esami svolti successivamente sono in genere più precisi e affidabili. Alcuni difetti possono essere gestiti attraverso i farmaci, mentre in altri casi può rendersi necessario l’intervento chirurgico.
  • Malformazioni intestinali. Il 12 per cento circa dei bambini è affetto da malformazioni intestinali congenite per le quali è necessario l’intervento chirurgico; possono essere presenti altri problemi digestivi, spesso legati a specifici alimenti.
  • Problemi di vista. Più del 60 per cento dei bambini con sindrome di Down soffre di problemi oculistici, come lo strabismo (esotropia), la miopia, la presbiopia e la cataratta. Per alleviare o risolvere queste patologie si può ricorrere agli occhiali, all’intervento chirurgico o ad altre terapie. I bambini dovrebbero essere visitati da un’oculista pediatrico entro i sei mesi di vita e dovrebbero fare visite oculistiche regolari.
  • Sordità e problemi d’udito. Una percentuale compresa tra il 70 e il 75% circa dei bambini con sindrome di Down ha problemi d’udito più o meno gravi, che rendono necessarie periodiche visite di controllo oltre a quella effettuata alla nascita. Molti difetti possono essere corretti, ma è necessario prestare grande attenzione alle infezioni (otiti) cui sono più soggetti e che possono causare danni permanenti.
  • Infezioni. Molti bambini manifestano un sistema immunitario più debole, che può favorire la comparsa di frequenti episodi di raffreddori e di infezioni alle orecchie, nonché di bronchiti e polmoniti. I bambini down dovrebbero ricevere tutte le vaccinazioni indicate per l’età pediatrica, che contribuiscono a prevenire alcune di queste infezioni.
  • Problemi della tiroide. L’1 per cento circa dei bambini affetti da sindrome di Down è affetto da ipotiroidismo congenito, cioè da una carenza di ormoni tiroidei in grado di influire negativamente sulla crescita e sullo sviluppo cerebrale. L’ipotiroidismo congenito può essere diagnosticato con gli esami di routine per i neonati e può essere curato con la somministrazione orale di ormone tiroideo. I bambini down corrono anche un rischio maggiore di soffrire di problemi della tiroide ereditari, quindi dovrebbero sottoporsi a controlli con cadenza annuale.
  • Leucemia. Meno dell’uno per cento dei bambini soffre di leucemia (tumore del sangue), ma di fatto corrono un rischio di 10-15 volte superiore rispetto ai loro coetanei. I bambini colpiti spesso possono essere curati efficacemente con la chemioterapia.
  • Altri disturbi del sangue. Si rileva un aumento dei casi di anemia sideropenica (ferro basso) e policitemia (elevata concentrazione di globuli rossi).
  • Ipotonia muscolare. Una riduzione del tono e della forza muscolare sono spesso causa di ritardo nell’apprendimento delle capacità motorie di base; in alcuni casi può essere consigliabile il ricorso ad apposite integrazioni nutrizionali per favorire lo svilippo muscolare.
  • Disturbi della memoria. Le persone affette da sindrome di Down corrono un rischio maggiore di ammalarsi di Alzheimer, una patologia caratterizzata dalla perdita progressiva della memoria, da alterazioni della personalità e da altri disturbi. Gli adulti down tendono ad ammalarsi di Alzheimer prima delle persone sane. Le ricerche indicano che circa il 25 per cento degli adulti down di età superiore ai 35 anni presenta i sintomi del morbo di Alzheimer.

Sono inoltre più frequenti casi di:

  • disturbi del sonno e episodi di sindrome delle apnee notturne,
  • problemi orali (denti e gengive),
  • epilessia,
  • celiachia.

Alcune persone down probabilmente soffrono di diversi di questi problemi, mentre altre probabilmente non ne hanno nessuno. La gravità dei disturbi varia considerevolmente da persona a persona.

Quali capacità hanno i bambini con sindrome di Down?

I bambini di norma riescono a fare la maggior parte delle cose che i loro coetanei sono in grado di fare: camminano, parlano, si vestono da soli e imparano ad andare in bagno da soli. Tuttavia, generalmente, iniziano a imparare con un po’ di ritardo rispetto agli altri bambini. L’età esatta in cui i bambini raggiungeranno questi traguardi di autonomia non può essere prevista con esattezza, ma con un intervento precoce e mirato che inizi già dalla prima infanzia potranno diventare autonomi prima.

I bambini con sindrome di Down possono andare a scuola?

Esistono programmi speciali che, già in età prescolare, aiutano i bambini a sviluppare le loro abilità nella maniera più completa possibile. Oltre a trarre benefici da questi interventi e dall’educazione differenziata, molti bambini con sindrome di Down vanno a scuola insieme ai loro coetanei sani. Molti bambini imparano a leggere e a scrivere: alcuni frequentano la scuola superiore e proseguono con l’università. Molti sono perfettamente integrati nelle varie attività scolastiche ed extrascolastiche. Gli adulti con sindrome di Down sono in grado di lavorare, sia seguendo un programma lavorativo speciale, sia facendo un lavoro “normale”. Un numero sempre maggiore di adulti con sindrome di Down vive in modo semindipendente all’interno di strutture residenziali: riesce a prendersi cura di sè, sbriga le faccende domestiche, stringe amicizie, partecipa ad attività nel tempo libero e lavora nella comunità.

Le persone con sindrome di Down possono avere figli?

  • Tranne rare eccezioni gli uomini con sindrome di Down non possono diventare padri.
  • Le donne con sindrome di Down, invece, hanno una probabilità del 50 per cento di mettere al mondo un figlio a sua volta affetto dalla sindrome, ma in molti casi si verifica un aborto spontaneo.

Leggi anche: Sindrome di Down: sintomi, caratteristiche fisiche, aspettativa di vita

Diagnosi

La diagnosi può avvenire prima della nascita o al momento del parto. Durante la gestazione è possibile giungere alla diagnosi di sindrome di Down attraverso due possibili test.

Screening prenatale

Sono disponibili diversi esami, come il bi-test, in grado di calcolare una stima del rischio che il bimbo/a sia affetto da sindrome di Down, ma senza fornire la certezza della diagnosi. Lo screening può consistere in un esame del sangue della madre, eseguito nel primo trimestre (tra l’undicesima e la tredicesima settimana) e in una speciale ecografia che misura lo spessore della nuca del bambino (translucenza nucale). Nel caso in cui emerga un aumento significativo del rischio la paziente potrà decidere di sottoporsi a un vero e proprio test diagnostico.

Diagnosi prenatale

Alle donne che presentano risultati anomali negli esami sopraelencati viene proposto un esame diagnostico, come l’amniocentesi o il prelievo dei villi coriali (CVS): questi esami sono molto efficaci per diagnosticare (o, più probabilmente, per escludere) la sindrome di Down. In Italia l’amniocentesi viene consigliata a tutte le donne di età uguale o superiore ai 35 anni.

Diagnosi post-natale

La diagnosi effettuata al momento del parto si basa sulla valutazione dei segni fisici caratteristici della sindrome, anche se la conferma può avvenire attraverso un esame del sangue.

Cura e terapia

Per la sindrome di Down non esiste nessuna cura risolutiva trattandosi di un problema genetico, quindi viene intrapreso un approccio integrato e personalizzato in base alle necessità del singolo bimbo, che ha esigenze e punti di forza unici e diversi da quelli di qualsiasi altro bimbo. Il supporto medico più importante è probabilmente quello legato ai possibili rischi di salute connessi alla sindrome (difetti congeniti cardiaci, inclinazione allo sviluppo di infezioni, problemi di udito, …), che in alcuni casi richiedono un approccio chirurgico molto precoce. Un intervento precoce attraverso attente e adeguate terapie riabilitative fisiche e mentali permette di aumentare significativamente la possibilità di un soddisfacente inserimento sociale, scolastico e lavorativo, con la possibilità di sviluppare una qualità di vita elevata. Gli interventi possono consistere in:

  • Terapia fisica, in grado di favorire un buon sviluppo fisico e motorio, aumentanto anche tono e forza muscolare, postura ed equilibrio. Questo supporto è particolarmente importante in età pediatrica.
  • Terapia logopedica, che può aiutare il bimbo affetto dalla sindrome a migliorare la propria capacità comunicativa, utilizzando il linguaggio in modo più efficace.
  • Terapia occupazionale, che mira a sviluppare e mantenere le competenze necessaria nella vita quotidiana, scolastica e lavorativa.
  • Terapia comportamentale, per aiutare a prevenire emozioni negative come la frustrazione dovuta all’incapacità di comunicare adeguatamente; questo approccio permette loro di imparere a gestire l’impulsività e i comportamenti compulsivi, favorendo al contempo lo sviluppo di qualità e capacità proprie di ogni soggetto.

Prevenzione

L’unico modo realmente efficace di prevenire tale sindrome è abbassare l’età di gravidanza. Il rischio di concepire un bambino con sindrome di Down aumenta infatti all’aumentare dell’età della madre:

  • a 25 anni, il rischio di mettere al mondo un bambino con sindrome di Down è di 1 su 1.250;
  • a 30 anni, è di 1 su 1.000;
  • a 35 anni è di 1 su 400;
  • a 40 anni è di 1 su 100;
  • a 45 anni è di 1 su 30.

Anche se il rischio cresce proporzionalmente all’aumentare dell’età della madre, l’80 per cento circa dei bambini down nasce da donne di età inferiore ai 35 anni, perché le donne più giovani hanno più figli rispetto a quelle più anziane. Un apporto insufficiente di acido folico nella madre sembrerebbe essere legato a un aumento del rischio di concepire un figlio con sindrome di Down, per questo motivo alle donne di età pari o superiore ai 35 anni viene spesso consigliato di assumere dosi superiori ai classici 400 mcg al giorno. Nel caso di precedente figlio con sindrome di Down viene in genere consigliata una consulenza genetica, per valutare se possa esserci un aumento del rischio in grado di nuovo concepimento (si procede alla determinazione del cariotipo, per evidenziare l’eventuale presenza di traslocazione robertsoniana).

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Yogurt magro in gravidanza: causa allergie al bimbo?

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Roma Cavitazione Pressoterapia  Massaggio Linfodrenante Dietologo Cellulite Dieta Sessuologia Sesso Pene PSA Ecografie Senologia Incinta RISCHI GRAVIDANZA DOPO 35 ANNIArriva dalla European Respiratory Society un allarme che potrebbe far barcollare tutte le nostre certezze sullo yogurt, un alimento sempre più consumato e consigliato.

E non parliamo del suo consumo nelle diete dimagranti, ma durante la gravidanza, quando l’alimentazione diventa fondamentale anche per il nascituro, così come un aumento proporzionato del peso.

benefici dello yogurt in gravidanza sono davvero molti, ma durante il congresso annuale  dell’European Respiratory Society, tenutosi ad Amsterdam, è stata messa sotto accusa una particolare tipologia di yogurt, quello magro, il light, perché secondo uno studio di Harvard potrebbe accrescere il rischio che il bebè soffra di allergie e asma.

Dopo aver analizzato prima il regime alimentare di 62mila future mamme olandesi, e poi la salute dei loro figli giunti al settimo anno di età, i ricercatori hanno scoperto che se una donna in gravidanza eccede nel consumo di yogurt light, il rischio che il nascituro sviluppi fenomeni allergici aumenta di circa l’1,6%.

Anche se gli scienziati ipotizzano che siano i nutrienti non grassi a essere coinvolti nella sensibilizzazione del nascituro allo sviluppo di allergie, si tratta, tuttavia, di una teoria ancora in fase sperimentale che dovrà essere approfondita con ulteriori studi.

Questo – spiega Ekaterina Maslova, a capo della ricerca – è il primo studio su questo tipo di collegamento tra l’assunzione di yogurt magro durante la gravidanza con un aumento del rischio di asma e rinite nei bambini. Ciò potrebbe essere dovuto a una serie di ragioni e continueremo a verificare se è legato a determinate sostanze nutritive o se le persone che avevano mangiato yogurt regolarmente abbiano uno stile di vita simile e abitudini alimentari che potrebbero spiegare l’aumento del rischio di asma“.

Intanto restano molti i benefici che derivano da un regolare consumo di yogurt in gravidanza: meno gonfiore addominale, aiuto contro la stipsi, meno accumulo di chili, presenza delle vitamine k e B e di calcio.

Allora che fare? L’impatto della dieta di una donna incinta sulla salute del suo bambino continua a essere ancora dibattuto, ma resta difficile valutare come particolari aspetti della dieta della donna durante la gravidanza incidano sul rischio di sviluppare allergie e asma.

Certamente è importante seguire una sana dieta equilibrata, soprattutto durante la gravidanza, quando è consigliabile discutere preventivamente eventuali cambiamenti drastici nella dieta con il ginecologo di fiducia.

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Il mio bambino può mangiare il parmigiano? A che età iniziare?

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Leggiamo dal sito del Consorzio del Parmigiano Reggiano:

[Il] prof. Sergio Bernasconi dell’Università di Parma […] ha indicato in questo formaggio una straordinaria fonte di calcio altamente biodisponibile (e quindi assimilabile), molto utile per bambini ed adolescenti (“che mangiano molto e male”, ha detto il clinico) e la cui dieta è carente, come risulta da statistiche sia europee che statunitensi […]

Ma da che età è preferibile iniziare a consumare il Parmigiano Reggiano? Molti pediatri consigliano di evitare il formaggio nelle pappe fino al compimento del primo anno d’età – per approfondire questo punto, ti consigliamo di leggere questo articolo: I pediatri italiani dicono “no” al Parmigiano nelle pappe.

Quanto ne dovrebbe mangiare?

L’importante, come per ogni altro cibo, è non abusarne. Un bambino piccolo, di pochi anni d’età, non dovrebbe mangiare formaggio più di tre o quattro volte a settimana. Mangiare formaggio non vuol dire divorarne etti ed etti: bastano pochi grammi di Parmigiano Reggiano, una o due scaglie, per soddisfare, per esempio, il fabbisogno giornaliero di calcio. Facciamo qualche numero. Un bambino di età compresa fra uno e sei anni ha bisogno di circa 800 mg di calcio al giorno. Considera che una porzione di soli 50 g di Parmigiano Reggiano assicura un apporto di 580 mg di calcio. Insomma, a conti fatti, un etto di Parmigiano sarebbe già assai più che sufficiente.

Per i bambini allergici alle proteine del latte

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che chi è allergico alla caseina, la proteina principale del latte, può mangiare il Parmigiano Reggiano, purché sia un Parmigiano di lunga stagionatura.

Una ricerca pubblicata sulla rivista internazionale PLoS One ha svelato che:

due bimbi su tre (sotto i dieci anni) con gravi allergie al lattosio, che hanno assunto un cucchiaio di parmigiano reggiano, equivalente a un bicchiere di latte, non hanno presentato problemi e conseguenze negative.

L’importante, come già scritto, è che il Parmigiano sia ben stagionato, almeno 30 mesi. Più l’invecchiamento del formaggio è lungo e più gli enzimi proteolitici presenti nel latte e nel siero innesto “predigeriscono” la caseina, fino a ridurla in aminoacidi liberi, più facili da assorbire per l’organismo.

Ricorda infine che il Parmigiano Reggiano non garantisce solo un ottimo apporto di calcio. Questo formaggio è ricco di tante altre sostanze nutritive, come le vitamine A e B, oltre che di ferro e di zinco. Per esempio, il Beta-Carotene e le vitamine A, B2, B6, B12 assicurano un’ottima azione protettiva e antitossica: favoriscono la formazione degli anticorpi e ci difendono dagli inquinanti presenti nell’aria che respiriamo ogni giorno. Insomma, mangiare il Parmigiano fa bene. Basta solo non esagerare con le dosi.

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Fino a che età una donna può avere figli?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma FINO A CHE ETA DONNA PUO AVERE FIGLI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIn condizioni fisiologiche (normali), una donna sana può teoricamente avere figli nel periodo che intercorre dalla comparsa del menarca (la prima mestruazione) fino alla menopausa, cioè l’evento fisiologico che nella donna corrisponde al termine del ciclo mestruale e dell’età fertile. Nella menopausa termina l’attività ovarica: le ovaie non producono più follicoli ed estrogeni (ormoni femminili principali). Gli uomini, al contrario delle donne, rimangono fertili virtualmente fino alla morte. A tale proposito leggi anche: Perché l’uomo può avere figli per tutta la vita e la donna no?
Nella realtà, la fertilità femminile nella donna resta stabile solo fino ai 30 anni per poi diminuire, con un primo netto calo sopra i 35 e un calo ancora più drastico dopo i 40. L’età media della menopausa è 50 anni, ma già sopra i 44-45 anni le probabilità di avere un figlio sono quasi nulle. A tale proposito leggi anche: Che possibilità ho di rimanere incinta?, dove sono elencate le possibilità statistiche di avere un figlio per fasce di età della donna.

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Sindrome di Noonan: cause, sintomi nel neonato, aspettative di vita

MEDICINA ONLINE SINDROME DI NOONAN CAUSE SINTOMI NEONATO ASPETTATIVE DI VITA PROGNOSI MORTE BAMBINO TERAPIA CURA.jpgLa sindrome di Noonan è una malattia genetica dalle caratteristiche cliniche particolarmente variabili, con un’incidenza stimata di un caso ogni 1000-2500 nati. Le manifestazioni più frequenti includono cardiopatie congenite (nel 70% dei pazienti), bassa statura, un aspetto caratteristico del volto (abbassamento delle palpebre, occhi distanziati, orecchie grandi e ruotate posteriormente), malformazioni del torace, deficit cognitivi variabili, tendenza al sanguinamento e criptorchidismo (mancata discesa dei testicoli nello scroto).

Come si trasmette la sindrome di Noonan?

La sindrome può essere sporadica (il difetto genetico responsabile insorge in modo spontaneo) oppure  ereditata dai genitori. In questo caso la trasmissione avviene con modalità autosomica dominante: è sufficiente cioè una copia alterata del gene per sviluppare la malattia. In circa il 50% dei casi, la sindrome è causata da mutazioni del gene PTPN11, mentre in una piccola percentuale di pazienti sono state identificate mutazioni nei geni KRAS, NRAS, RAF1, BRAF e SOS1. Nel complesso, le mutazioni nei geni identificati si riscontrano in circa il 75% dei pazienti con diagnosi clinica della malattia. Mutazioni nei geni SHOC2 e CBL sono state riscontrate in soggetti con caratteristiche cliniche parzialmente sovrapponibili alla sindrome di Noonan.

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Come avviene la diagnosi della sindrome di Noonan?

La diagnosi avviene in base alle caratteristiche cliniche ed eventualmente all’analisi della storia familiare e può essere confermata con un’indagine genetica (ricerca di mutazioni nei geni PTPN11, RAF1, KRAS, SOS1, NRAS e BRAF). Va comunque ricordato che, per molti pazienti, la causa genetica della malattia non è ancora stata identificata. Inoltre, vista la variabilità clinica della malattia, l’analisi molecolare di altri geni implicati in malattie correlate (HRAS, MEK1, MEK2, CBL e SHOC2) può indirizzare verso una più corretta valutazione clinica. Se una mutazione responsabile è già stata identificata in un componente della famiglia, si può effettuare una diagnosi prenatale con l’indagine genetica del feto attraverso villocentesi o amniocentesi. L’età media alla diagnosi è di nove anni.

Quali sono le possibilità di cura attualmente disponibili per la sindrome di Noonan?

Non esiste una terapia specifica, anche se studi preclinici su modelli animali sono in corso per valutare l’efficacia di alcuni farmaci che inibiscono in maniera specifica l’attività degli enzimi “mutati” responsabili  della malattia. Alcune lesioni cardiache devono essere corrette per via chirurgica, mentre in alcuni casi è consigliata l’assunzione di ormone della crescita. In generale, i bambini affetti dalla sindrome vanno tenuti sotto controllo per quanto riguarda la funzionalità cardiaca, la crescita, lo sviluppo motorio, la coagulazione del sangue. Se seguita in modo adeguato, la maggior parte dei bambini colpiti cresce normalmente e raggiunge senza problemi l’età adulta.

Aspettative di vita

La speranza di vita è generalmente normale (paragonabile al resto della popolazione) se sono assenti difetti cardiaci congeniti importanti. L’aspettativa di vita diminuisce all’aumentare della gravità delle patologie cardiache.

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