Pancreas artificiale: monitora e fornisce insulina per il paziente diabetico

MEDICINA ONLINE DUODENO PANCREAS DIGESTIONE GLICEMIA DIABETE ANALISI INSULINA ZUCCHERO CARBOIDRATI CIBO MANGIARE DIETA MELLITO TIPO 1 2 CURA TERAPIA FARMACI STUDIO NUOVE TENOLOGIE TERAPIE.jpgL’industria medicale è da anni impegnata nello sviluppo di un pancreas artificiale, ovvero un sistema tecnologico che riproduca fedelmente la funzione biologica del vero organo umano. Se ne è parlato oggi a Roma all’incontro ‘Meet the Scientist. La rivoluzione tecnologica nel diabete’, organizzato da Medtronic Italia che da oltre 30 anni si dedica alla ricerca e sviluppo di questo progetto. L’organo hi-tech regolerà automaticamente i livelli di glucosio nell’organismo, consentendo alle persone con diabete di tipo 1 un miglior controllo glicemico, alleggerendo sensibilmente il peso della gestione del diabete stesso.

A differenza di un organo sostitutivo tradizionale, il pancreas artificiale non è posto all’interno del corpo umano, e comprende 3 elementi:

1) Microinfusore di insulina, un dispositivo che somministra in modo continuo piccoli quantitativi di insulina. Si tratta di un device esterno, collegato con l’interno attraverso un piccolissimo tubicino di plastica inserito sottocute, di solito nell’addome; contiene insulina nel serbatoio interno del microinfusore e il paziente cambia il serbatoio e il tubicino ogni 2 o 3 giorni.

2) Sistema di monitoraggio continuo della glicemia (Cgm): rileva ogni 5 minuti i valori di glicemia nel liquido sottocute attraverso un piccolissimo sensore. Il paziente ha il sensore dotato di un piccolissimo elettrodo inserito sottocute; il sensore è collegato a un trasmettitore che invia le letture al microinfusore d’insulina; il sensore va sostituito all’incirca ogni 6 giorni e richiede calibrazione periodica con un dispositivo glicemico.

3) Algoritmi avanzati: si tratta di complesse formule matematiche all’interno del microinfusore di insulina, che calcolano quanta ne vada somministrata nei vari momenti della giornata, in base alle letture del Cgm. E se gli algoritmi odierni regolano la somministrazione automatica dell’insulina in risposta a letture del Cgm di valori bassi pre-impostati, la tecnologia futura del pancreas artificiale realizzerà una somministrazione dell’insulina completamente automatica.

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Differenza tra monosaccaridi, disaccaridi, polisaccaridi, oligosaccaridi, omopolisaccaridi, eteropolisaccaridi

MEDICINA ONLINE CARBOIDRATI ZUCCHERI MONOSACCARIDI POLI MONO OLIGO GLUCIDI EGG PASTO FRITTA OLIO SAUSAGE DIET LIGHT DINNER DIETA DIMAGRIRE CALORIE MANGIARE INGRASSARE DIMAGRIRE COLESTEROLO CUCINA RICETTA WALLPAPER PIC PHOTO.jpgI carboidrati, detti anche glucidi o idrati di carbonio, sono una classe di composti organici contenenti idrogeno e ossigeno. Questi sono le principali molecole di riserva energetica che costituiscono anche le componenti di struttura delle cellule. Sono i composti organici più abbondanti in natura. I carboidrati più semplici sono gli zuccheri; tra questi assume particolare importanza il glucosio, coinvolto nei processi di fermentazione e di respirazione cellulare.

Monosaccaridi

I monosaccaridi sono composti formati da idrogeno, carbonio e ossigeno e sono la principale fonte di energia per gli organismi. Dall’unione di più monosaccaridi nascono i polisaccaridi. I legami covalenti sono molto stabili , ma quando si spezza gli atomi si separano e ciascun atomo riprende il proprio elettrone. Gli atomi formano molto rapidamente nuovi legami covalenti. Fanno parte dei monosaccaridi: il glucosio, che è la principale fonte di energia per le cellule, il galattosio ed il fruttosio. Il fruttosio viene consigliato nelle diete dimagranti in quanto, avendo un maggior potere dolcificante rispetto al saccarosio (il comune zucchero usato in cucina), viene usato in minori quantità e quindi possiede meno calorie a parità di peso.

Disaccaridi

Dall’unione di due monosaccaridi, con l’eliminazione di una molecola d’acqua, si ottiene un disaccaride. Ad esempio il saccarosio è un disaccaride in quanto è generato dall’unione di glucosio e fruttosio. Altri disaccaridi sono il lattosio, costituito da glucosio e galattosio, ed il maltosio (formato da due molecole di glucosio). Il lattosio può causare intolleranze  in quanto alcune persone non lo riescono a digerire, perché il loro organismo non produce un enzima che sia in grado di spezzare il legame glucosio-galattosio. I disaccaridi sono generati da un legame nuovo fra due monosaccaridi, detto condensazione. Quando un disaccaride è scisso in monosaccaridi , acquistando di nuovo una molecola d’acqua,  la scissione prende il nome di idrolisi, una reazione che libera energia.

Oligosaccaridi

Gli oligosaccaridi sono carboidrati costituiti dal legame di più monosaccaridi, in numero inferiore di 10. Esempi di oligosaccaridi sono i trisaccaridi o anche gli stessi disaccaridi, formati rispettivamente da 3 o da 2 monosaccaridi.

Trisaccaridi

I trisaccaridi sono oligosaccaridi formati da tre unità ripetitive. Sono esempi di trisaccaride il maltotriosio (formato da 3 molecole di glucosio) ed raffinosio (formato da 2 glucosio ed 1 fruttosio).

Polisaccaridi

I polisaccaridi sono molecole di grande dimensione composte dall’unione di molte unità (più di 10) di monosaccaridi. Il principale polisaccaride di riserva è l’amido, presente nelle cellule fotosintetiche in piccoli granuli, mentre negli animali e nei funghi è il glicogeno. Questi due polisaccaridi di riserva sono composti da molte unità di glucosio e svolgono anche ruoli strutturali negli organismi viventi, come nel caso della cellulosa, che si trova nelle piante e costituisce le pareti delle cellule vegetali. Il polisaccaride di struttura degli animali è la chitina, che si trova anche nelle pareti cellulari dei funghi. I polisaccaridi devono essere idrolizzati in monosaccaridi o disaccaridi prima di essere utilizzati per produrre energia.

Omopolisaccaridi ed eteropolisaccaridi

In base al tipo di monosaccaridi contenuti, i polisaccaridi si suddividono in:

  • omopolisaccaridi: costituiti da tante unità ripetitive dello stesso monosaccaride;
  • eteropolisaccaridi: costituiti da unità ripetitive di diversi monosaccaridi.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Il miele fa ingrassare o dimagrire? Quante calorie ha?

MEDICINA ONLINE RISO RISOTTO CIBO DIABETICO INDICE GLICEMICO PASTA CARBOIDRATI GLICEMIA DIETA GRASSO PRANZOPerdere peso semplicemente mangiando un cucchiaino di miele prima di andare a dormire? Sembra troppo bello per essere vero, ma in realtà è il segreto di un nuovo e rivoluzionario regime alimentare che permette di dimagrire.

Calorie per 100 grammi di miele: 304 calorie

La dieta del miele sfrutta le proprietà benefiche di questo alimento per innescare cambiamenti metabolici che permettono di non cedere alla voglia di zucchero e di bruciare i grassi durante il sonno. Questa dieta non prevede il conteggio delle calorie e promette di far perdere fino a 2 kg a settimana. Possiamo capire lo scetticismo, ma Il programma alimentare è il risultato di una trovata del nutrizionista Mike McInnes, che ha scoperto che la combinazione unica degli zuccheri naturali contenuti nel miele.

Mike racconta che queste qualità fanno del miele un alimento quasi perfetto per la perdita di peso. La sua scoperta ha fatto si che Mike scrivesse un libro di grande sucesso negli stati uniti d’America. In questo modo si possono gustare deliziosi pasti in famiglia, snack e dolcetti di solito vietati sulle diete – tra cui dolci, pane, muffin e persino biscotti – basta che siano preparati con il miele al posto dello zucchero: infatti il segreto sarebbe quello di sostituire lo zucchero con il miele per tutta la giornata!.

A quanto pare mangiando un cucchiaino di miele sciolto in una bevanda calda prima di andare a letto si svilupperanno questi sani benefici. I meccanismi del cervello che scatenano la voglia di zucchero possono essere sedati completamente. “Anche gli alimenti a basso contenuto di grassi apparentemente sani sono molto spesso pieni di zuccheri nascosti o di farina bianca che il corpo converte rapidamente lo zucchero.

Questo significa che il nostro livello di zucchero nel sangue è al massimo tutto il giorno”, Il corpo affronta tale sovraccarico di zucchero rilasciando l’ormone dell’insulina , che filtra dal sangue e lo invia via per essere immagazzinato come grasso. Ma McInnes ha identificato un meccanismo aggiuntivo che il corpo usa per proteggere le cellule cerebrali delicate da un possibile sovraccarico di zuccheri, il che significa che il cervello viene ‘affamato’: si tratta di una scoperta è significativa perché è il cervello che scatena la voglia di zucchero, che rende la dieta ancora più difficile.

“Un cervello affamato è un cervello stressato che invierà un cocktail di messaggi chimici per cercare di recuperare zuccheri da qualsiasi altra possibile fonte”.

E’ noto che il miele ha tre fattori che lo rendono preferibile allo zucchero di cucina.

1 in peso contiene il 22% in meno delle calorie e inoltre da un senso di dolce più prolungato e intenso dello zucchero, quindi per dolcificare un piatto è necessario usare meno miele,

2 Inoltre il miele è costituito per l’80% da zuccheri semplici quali fruttosio e glucosio che entrano in circolo immediatamente senza dover essere elaborati dal fegato, quindi evitandogli un lavoro extra.

3 Inoltre rispetto allo zucchero il miele contiene un piccolo quantitativo di sali minerali, vitamine e oligolelementi indispensabili in qualsiasi dieta.

Ovviamente questo vale per i mieli naturali, quelli cioè non pastorizzati o che non vengono miscelati con zuccheri di altra origine, noi consigliamo i prodotti Italiani perché l’Italia ha una delle leggi mondiali più severe per quanto concerne la qualità del miele e la salubrità dei laboratori,

“l’Italia ha una rigida legge sulla tracciabilità che assicura maggior tranquillità per chi acquista miele.”

Secondo questa ricerca, per dimagrire, basta seguire alcune semplici regole:

  1. sostituire lo zucchero col miele, iniziare la giornata con uno o due cucchiaini di miele in una tazza di acqua calda, come spuntino un po’ di miele spalmato sul pane tostato integrale o un cracker integrale e concludere la giornata con una bevanda calda e un cucchiaino di miele.
  2. Il miele può aiutare a dimagrire solo se si evitano le calorie che forniscono gli alimenti artificiali e trattati
  3. è inoltre necessario tagliare patatine, bibite gassate, cibi fritti ed elaborati , take away e pasticcini, inoltre una sana attività sportiva migliorerà sicuramente i risultati.

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Differenza tra calo di zuccheri e calo di pressione: sono la stessa cosa?

MEDICINA ONLINE HEAD PAIN DOLORE FASTIDIO MAL DI TESTA GLICEMIA, CALO ZUCCHERI PRESSIONE ARTERIOSA IPOTENSIONE DONNA TEMPIE STANCHEZZA TIRED WALLPAPER PIC PICTURE HI RES EMICRANIA AURA DIFFERENZE.jpgLa “pressione bassa” (ipotensione arteriosa) ed il “calo di zuccheri” (ipoglicemia) sono spesso confusi tra di loro, anche perché in effetti possono dare gli stessi sintomi, come ad esempio:

  • sensazione di “testa vuota”;
  • capogiri;
  • malessere;
  • senso di instabilità;
  • vertigini;
  • annebbiamento della vista;
  • astenia (debolezza);
  • sudorazione profusa;
  • pallore;
  • nausea;
  • perdita di coscienza.

Tuttavia, anche se i sintomi di un calo di pressione assomigliano in qualche modo alle condizioni di ipoglicemia, le due condizioni sono completamente diverse, anche se nulla vieta che siano contemporaneamente presenti.

Calo di pressione

L’ipotensione è una condizione che si riscontra quando la pressione sanguigna arteriosa massima sia inferiore ai 100 mmHg (i valori normali oscillano fra i 110-130 mmHg). Le cause dei cali di pressione sono essenzialmente tre:

  1. diminuzione della quantità di sangue pompata dal cuore a ogni battito (gettata cardiaca);
  2. riduzione delle resistenze vascolari periferiche (vasodilatazione);
  3. contrazione del volume di sangue circolante (ipovolemia).

Alla base di ciascuno di questi meccanismi possono esserci diverse patologie:

  • malattie cardiache (scompenso, infarto, aritmie);
  • insufficienza venosa degli arti inferiori (varici);
  • emorragie gravi o le condizioni che comportano forte perdita di liquidi (diabete, ustioni estese, diarrea o vomito protratti, sudorazione intensa, assunzione prolungata di diuretici);
  • riduzione delle resistenze vascolari da danni neurologici;
  • infezioni gravi;
  • reazioni allergiche sistemiche;
  • malattie metaboliche;
  • effetti collaterali di numerosi farmaci;
  • costituzionale inefficienza della funzione di regolazione del sistema nervoso autonomo.

Ipoglicemia

L’ipoglicemia è una condizione che invece non riguarda la pressione arteriosa, bensì la glicemia, cioè la concentrazione di glucosio nel sangue. Si parla di ipoglicemia quando il glucosio ematico scende al di sotto di 60 mg/dl. L’ipoglicemia provoca una nutrita serie di effetti e sintomi – molti simili a quelli dell’ipotensione – la maggior parte dei quali originata da uno scarso afflusso di glucosio al cervello, che ne riduce le funzioni cognitive (neuroglicopenia): questa diminuzione della funzione cerebrale può andare da un vago senso di malessere al coma e in rari casi alla morte. Una condizione di ipoglicemia può avere origine da molte cause diverse, e può accadere a qualsiasi età.

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Diagnosi

La diagnosi di ipotensione è semplice, basta una misurazione della pressione sanguigna. Per individuare invece con certezza una ipoglicemia, sarebbe necessario un prelievo di sangue. Se ipotensione e ipoglicemia sono campanello di allarme di altre patologie, tali misurazioni sono solo il primo passo dell’iter diagnostico che porta il medico a scoprire qual è la causa a monte che determina i sintomi.

Terapia

La terapia è legata alle cause di ipotensione o di ipoglicemia. Se si eccettuano i casi di ipotensione e ipoglicemia secondarie a gravi patologie che richiedono il ricovero ospedaliero, in genere è sufficiente:

  • una buona idratazione per ripristinare una massa ematica adeguata nel caso dell’ipotensione.
  • assumere zucchero o cibi zuccherati nel caso dell’ipoglicemia.

Ribadiamo tuttavia che sia ipotensione che ipoglicemia, specie se cronici, possono anche essere la spia di una patologia più o meno grave, quindi non dovrebbero mai essere sottovalutati. In questo caso, solo diagnosticando e curando la malattia che determina a monte ipotensione ed ipoglicemia, si possono diminuire od eliminare i sintomi.

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I grassi si bruciano dopo 20 minuti di attività: vero o falso?

MEDICINA ONLINE PALESTRA PESI MUSCOLI PROTEINE AMINOACIDI INTEGRATORI CORSA DIMAGRIRE DUODENO PANCREAS DIGESTIONE GLICEMIA BAMBINO GRASSO DIABETE ANALISI INSULINA ZUCCHERO CARBOIDRATI CIBO MANGIARE DIETAA contendersi il posto tra i migliori falsi miti in ambito di alimentazione, fitness e salute ce ne sono tanti: ma tra quello presentato in questo articolo, la frequenza dei pasti e la distribuzione dei nutrienti, è difficile stabilire il vincitore. La storiella del “I grassi si bruciano dopo 20 minuti di attività” è paragonabile a quella del “I grassi bruciano al fuoco dei carboidrati”: entrambe sono conclusioni ‘non-senso’, ottenute erroneamente dalla Fisiologia e dalla Biochimica, rispettivamente.

Dov’è la falla di questa ‘teoria’ così largamente diffusa e radicata? Per capirlo, bisogna introdurre giusto qualche concetto di Fisiologia dell’Esercizio. Per quanto complesso possa essere questo ambito, l’esercizio fisico può sostanzialmente essere diviso in aerobico ed anaerobico. Molto semplicemente, nel primo tipo l’organismo si affida ai sistemi energetici aerobici, nel secondo a quelli anaerobici: questo vuol dire che l’ATP (vera molecola energetica utilizzata dall’organismo) è prodotta, nel primo caso, in presenza di ossigeno, nel secondo in sua assenza. I sistemi energetici utilizzati dall’organismo sono descritti di seguito.

Sistema dell’ATP-CP

Il sistema dell’ATP-CP o dei fosfati energetici è utilizzato per attività fino a 20 secondi di durata, in cui l’organismo utilizza quasi esclusivamente le riserve di ATP e di creatina fosfato (CP). La resintesi di ATP avviene a partire dall’ADP (che è un ATP a cui manca un gruppo fosfato), a cui la creatina fosfato dona un fosfato per opera dell’enzima creatina fosfato chinasi (CPK) con produzione di creatinina (che viene eliminata con le urine). La CPK è utilizzata come markerdell’infarto miocardico, ed il motivo è relativo proprio al meccanismo appena descritto: con ridotto afflusso di sangue al cuore, le cellule cardiache lavorano in carenza di ossigeno affidandosi al sistema ATP-CP e incrementando i livelli di CPK.

Il sistema dei fosfati è utilizzato per contrazioni di intensità massimale e molto brevi (ad esempio nel sollevamento pesi e negli sprint), non richiede la presenza di ossigeno e non porta a produzione di acido lattico: per questo motivo le attività fisiche che usano prevalentemente questo sistema possono essere definite anaerobiche alattacide.

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Glicolisi anaerobica

Per attività di durata compresa tra i 20 ed i 60 secondi, l’organismo utilizza i carboidrati di deposito (glicogeno) per ricavare ATP. Le attività di questo tipo, non protratte generalmente oltre i 60 secondi, sono di intensità tale da richiedere al muscolo di affidarsi alle sue sole scorte energetiche, dunque la glicolisi anaerobica avviene in assenza di ossigeno.

Durante questo processo il piruvato proveniente dalla glicolisi, in assenza di ossigeno, non può entrare nel ciclo di Krebs, e viene convertito in lattato (o acido lattico). L’acido lattico determina un abbassamento del pH nei tessuti e la conseguente sensazione di bruciore che accompagna degli sprint superiori ai 20 secondi di durata o delle serie “lunghe” con i pesi (nel range 6-20 ripetizioni).

Glicolisi aerobica

Per attività sostenibili oltre il minuto, l’intensità non è così alta da provocare contrazioni muscolari in grado di inibire il flusso ematico al muscolo, dunque la resintesi di ATP avviene in presenza di ossigeno: per attività inferiori ai 20 minuti di durata, si parla di glicolisi aerobica. Nella glicolisi aerobica il glucosio (proveniente dal glicogeno muscolare ed epatico) viene completamente ossidato ed il piruvato può entrare nel ciclo di Krebs e produrre ulteriore ATP.

Lipolisi aerobica

Per attività di durata superiore ai 20 minuti, l’organismo si affida alla lipolisi aerobica, cioè alle riserve di lipidi da cui ricava gli acidi grassi per produrre ATP.

Bene, finora tutto chiaro e, finora, tutto sembra poter dare credito alla falsa storiella che qui sto descrivendo (o attaccando?). Faccio notare che il glicogeno viene utilizzato per attività inferiori ai 20 minuti e (attenzione qui) con questo voglio intendere “per attività non protraibili oltre i 20 minuti”. L’intensità, infatti, è ancora abbastanza elevata perché il corpo utilizzi glucosio e non acidi grassi per la produzione energetica, per motivi di convenienza in termini di tempo. Gli acidi grassi infatti sono usati prevalentemente dal muscolo a riposo o impegnato in attività ripetibili per oltre 20 minuti: in tal caso l’intensità è bassa al punto da permettere all’organismo di avere il tempo di utilizzare i grassi come combustibile (dal momento che questi devono dapprima essere mobilizzati, poi trasportati ed infine ossidati). Stresso inoltre sul concetto che la distinzione non è così netta: non accade che, passata una certa percentuale di intensità, si passi dall’utilizzo prevalente di acidi grassi a quello prevalente di glucosio. Le percentuali relative di utilizzo dei substrati energetici sono distribuite su un continuum.

Giusto per togliere ogni dubbio, durante una corsa a bassa intensità (protraibile oltre i 20 minuti), l’organismo consuma preferenzialmente acidi grassi: quasi il 100% per attività inferiori al 65% della frequenza cardiaca massima. L’idea che si brucino i grassi solo passati 20 minuti dall’inizio dell’attività è, quindi, assolutamente priva di logica: come se in quel preciso istante, mantenendo invariata l’intensità, l’organismo guardasse l’orologio e cambiasse il sistema energetico utilizzato.

Il falso mito è stato quasi sconfitto, dico “quasi” perché rimane la questione di quale attività sia più efficace nell’incrementare la lipolisi. “A occhio”, sembrerebbe una attività a ritmo blando (sotto il 65% della frequenza cardiaca massima), in cui l’organismo utilizza quasi per il 100% acidi grassi. Il punto che non viene quasi mai considerato è che, minore è l’intensità, minore è il consumo calorico: per quanto sia elevata la percentuale di calorie proveniente dai grassi, la quantità assoluta è bassa perché basso è il consumo totale. Se la persona A esegue degli sprint per un totale di 20 minuti, consumando in tutto 600 kcal di cui il 50% dagli acidi grassi (c’è da considerare, inoltre, altri fattori di cui parlerò a breve), avrà consumato più grassi della persona B che corre per 45 minuti bruciando 250 kcal prevalentemente derivanti da lipidi.

Inoltre, un’attività ad alta intensità genera un aumento di alcuni ormoni altamente lipolitici (catecolamine, GH, testosterone) che permane per molte ore dopo l’attività, oltre che causare un incremento nella sintesi proteica muscolare, fattore fondamentale in una dieta ipocalorica in cui si voglia migliorare la composizione corporea. Al contrario, l’attività a bassa intensità non causa apprezzabili effetti circa il mantenimento del tessuto muscolare, anzi ne promuove la perdita per via di alcuni processi di adattamento.

L’attività prettamente lipolitica aerobica, dunque, è da sconsigliare come attività principale in un programma di dimagrimento: fare “cardio” 3-4 volte a settimana per 40-60 minuti aumenta il dispendio calorico giornaliero medio di non più di 250-300 kcal, con effetti deleteri riguardo il mantenimento della massa magra. Degli sprint, o l’allenamento con i pesi, determinano un aumento del dispendio calorico grosso modo simile e garantiscono un ottimo partizionamento calorico, che indica da dove il corpo ‘attinge’ preferenzialmente le calorie, se dal grasso o dal muscolo.

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Il diabetico può mangiare le banane?

MEDICINA ONLINE BANANE BANANA FRUTTA DIABETE DIABETICO CIBO CALORIE RICETTE DIETA STIPSI DIMAGRIRE CARBOIDRATI GLICEMIA.jpgLe banane sono frutti altamente energetici che contengono 12-13g di carboidrati semplici per 100g di parte edibile:  questa caratteristica le rende poco adatte al consumo frequente in presenza di diabete mellito. Gli zuccheri contenuti nelle banane sono per l’83% monosaccaridi o piccoli polimeri ed il contenuto di fibra alimentare è molto basso, circa 1,8g. Ne risulta un indice glicemico abbastanza elevato, circa 50, valore calcolato sulla media di specie e gradi di maturazione differenti. Certo, è plausibile affermare che il consumo della banana sia orientato al frutto maturo. il quale possiede un indice glicemico più vicino a 70.
Il diabete è una malattia cronica – degenerativa a carattere dismetabolico, caratterizzata da iperglicemia cronica e da altre disfunzioni del metabolismo glucidico, lipidico e proteico, che determinano frequenti complicanze. Il diabete mellito si differenzia in:

  • Tipo 1 (sempre insulino dipendente);
  • Tipo 2 (di solito, NON insulino-dipendente).

Nella dietoterapia del diabete tipo 1, paradossalmente, la scelta alimentare è meno incisiva sull’equilibrio glicemico; ciò è dovuto alla somministrazione di insulina esogena, la cui dose viene stimata sul pasto da consumare; pertanto, l’utilizzo della banana si divincola da alcune variabili invece molto importanti nel diabete tipo 2. Queste sono:

  • carico glicemico;
  • indice glicemico;
  • combinazione dei due fattori.

Nel diabete tipo 2, dove l’insulina circolante ha origine endogena (prodotta dall’organismo), ma risulta funzionalmente alterata dalla resistenza periferica, la regolazione della quantità di glucidi semplici e la velocità con la quale entrano in circolo sono di fondamentale importanza nel mantenimento di livelli glicemici fisiologici.
E’ vero che le banane possiedono caratteristiche differenti in base al grado di maturazione, tuttavia, in presenza di diabete mellito tipo 2, la scelta alimentare della frutta deve orientarsi necessariamente su prodotti poco calorici, a modesto contenuto glucidico e caratterizzati da una quota di fibra alimentare buona o quantomeno discreta. Senza imporre il consumo esclusivo di pompelmi e “Granny Smith” (mele verdi), il diabetico può scegliere liberamente tra: prugne, arance, kiwi, mele, pere, meloni, angurie, pesche, albicocche… ecc. Al contrario, sono da ridurre drasticamente: banane, uva, mandarini, kaki, fichi e tutti i frutti altamente energetici e zuccherini. Inoltre, sarebbe buona norma consumare porzioni di frutta inferiori od uguali a 150g e ridurre la frequenza di consumo ad uno o due pezzi al giorno.
Un ultimo appunto sul consumo di banane ed attività fisica nel diabete. E’ dimostrato e tutt’ora applicato che la terapia motoria agisce direttamente ed indirettamente nel controllo glicemico; direttamente perché incrementa la sensibilità dei recettori muscolari alla captazione dell’insulina, indirettamente grazie alla verosimile riduzione ponderale che determina anch’essa un miglioramento del controllo glicemico. Sfruttando la finestra anabolica tipica del post esercizio (proporzionale ad intensità e durata dello sforzo), anche in condizioni di diabete potrebbe essere corretto fare uso della banana. Ovviamente, ci si affida soprattutto al buonsenso dei pazienti, in quanto le porzioni dovranno essere utili al trattamento (100-150g) e la frequenza di consumo non dovrebbe superare le 2 banane settimanali.

Importante: in caso di dubbio, il paziente diabetico può – sotto controllo medico – monitorare la propria risposta glicemica all’assunzione di certi alimenti, annotando i valori su un taccuino e raffrontando le relative glicemie.

I migliori prodotti per diabetici
Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, estremamente utili per aiutare il diabetico ed il pre-diabetico a mantenere i giusti livelli di glicemia, perdere peso e migliorare la propria salute. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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Il diabetico può mangiare lo zucchero di canna? Quanti carboidrati e calorie ha?

MEDICINA ONLINE MANGIARE TIPI DI ZUCCHERO INTEGRALE CANNA FRUTTA MAGRA DIABETE CALORIE GLICEMIA RICETTA INGRASSARE DIMAGRIRE INSULINA GLICATA COCA COLA ARANCIATA THE BERE ALCOL DIETA CIBO LONTANO DAI PASTI WALLPAPER.jpgLo zucchero di canna contiene mediamente 370 calorie per 100 grammi e circa 98 grammi di carboidrati. Lo zucchero di canna è un alimento sconsigliato, tuttavia può essere saltuariamente assunto dal paziente diabetico, in dosi moderate, lontano dai pasti principali e dopo parere positivo del medico. Sarebbe comunque preferibile sostituirlo con altri dolcificanti, come lo zucchero di canna integrale o la stevia.

Importante: in caso di dubbio, il paziente diabetico può – sotto controllo medico – monitorare la propria risposta glicemica all’assunzione di certi alimenti, annotando i valori su un taccuino e raffrontando le relative glicemie.

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Diabete: con cosa posso sostituire lo zucchero?

MEDICINA ONLINE MANGIARE TIPI DI ZUCCHERO INTEGRALE CANNA FRUTTA MAGRA DIABETE CALORIE GLICEMIA RICETTA INGRASSARE DIMAGRIRE INSULINA GLICATA COCA COLA ARANCIATA THE BERE ALCOL DIETA CIBNell’alimentazione moderna i dolcificanti o gli edulcoranti sono sempre più diffusi e utilizzati. Negli ultimi anni il mercato propone i dolcificanti naturali come validi sostituti acalorici dello zucchero senza i potenziali effetti tossici degli edulcoranti chimici. Ma è realmente così? Gli studi sperimentali sono ancora agli albori perciò la cautela deve essere massima.

Miele
Il miele è molto simile allo zucchero per quantitativo di zuccheri semplici, calorie e indice glicemicorendendo difficoltoso il controllo della glicemia in modo analogo allo zucchero bianco. Rispetto al saccarosio da cucina apporta una maggiore varietà di zuccheri come maltosio, saccarosio, glucosio, fruttosio e destrosio insieme convitamine e minerali.
Per il diabetico è un alimento da utilizzare con moderazione calcolando il carico glicemico complessivo del pasto in cui si assume miele.

Fruttosio
Il fruttosio è lo zucchero naturalmente presente nella frutta e in altri vegetali. Spesso viene consigliato ai soggetti diabetici come dolcificante per il suo basso indice glicemico ma molti studi mostrano come, ad alti dosaggi e con una somministrazione continuativa o cronica, questo zucchero porti a una serie di alterazioni metaboliche, come la produzione di prodotti della glicazione avanzata  (AGEs), insulino-resistenza, sintesi ex-novo di trigliceridi e acidi grassi.
Il fruttosio non abbassa i livelli dell’ormone della fame, predisponendo di fatto a patologie croniche come ledislipidemie, ipertensione, obesità.
L’associazione statunitense “The American Diabetes Association” sconsiglia l’uso di fruttosio come dolcificante ma precisa che non c’è ragione di evitare la quantità di fruttosio naturalmente presente negli alimenti come frutta e vegetali. La porzione come sempre fa la differenza.

Zucchero di canna integrale o panela
E’ diverso dallo zucchero di canna che si è abituati a conoscere (più simile allo zucchero raffinato) e rappresenta il primo prodotto estratto dal succo di canna senza subire ulteriori processi chimici di raffinazione. Si presenta granuloso, umido, di colore marrone e dal retrogusto di liquirizia. Contiene sostanze che vengono allontanate nei successivi passaggi chimici per ottenere lo zucchero bianco come zinco, cromo, ferro, potassio, magnesio, selenio, vitamine e fibra. La presenza di minerali e vitamine fa si che lo zucchero di canna integrale sia un valido sostituto dello zucchero bianco.
Ha un indice glicemico medio-basso e può essere consumato dai diabetici in alternativa allo zucchero raffinato ricordando di moderarne il consumo e di calcolare sempre l’apporto di zuccheri totali fatto con la dieta.

Sciroppo d’acero e succo d’agave
Sono dolcificanti estratti dalla linfa di queste piante. Oltre agli zuccheri sono ricchi di oligoelementi e vitamine. Possiedono un sapore caratteristico che può essere più o meno adatto in varie situazioni.
Questi sciroppi possono rappresentare una valida alternativa allo zucchero per i diabetici ma se ne raccomanda un uso moderato e controllato come per tutti gli alimenti zuccherati. In particolare è l’elevata percentuale di fruttosioche potrebbe essere dannosa nell’uso eccessivo e cronico (vedi la voce precedente).
Inoltre lo sciroppo d’acero è particolarmente ricco di sostanze antinfiammatorie e polifenoli, potenti antiossidanti, sui quali la scienza sta verificando la potenziale azione positiva sulla prevenzione del diabete di tipo 2 e sulcontrollo della glicemia.

Stevia
La stevia è un dolcificante estratto dalle foglie della pianta Stevia rebaudiana, in commercio in Europa dal 2011 quando l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha stabilito che l’estratto non è tossico e/o cancerogeno.
In realtà sarebbe più corretto parlare di glicosidi steviolici, ai quali è legata l’azione dolcificante e per i quali si è inserito il codice E960 tra gli additivi alimentari. Il parere dell’EFSA è che nella dose giornaliera ammissibile(DGA) di 4 mg/kg/giorno i glicosidi steviolici non risultano genotossici o cangerogenici.
Non ci sono molti studi sulla tossicità nell’uso cronico anche se si evidenzia una tossicità molto bassa. Ad oggi è considerato sicuro ma la cautela dovrebbe essere sempre massima davanti a un prodotto i cui effetti non sono del tutto chiari o controversi.
A livello metabolico il dolcificante a base di stevia sembrerebbe essere particolarmente indicato per coloro che soffrono di ipertensionediabete di tipo 2 e/o insulino-resistenza in quanto sembrerebbe favorire il trasporto dello zucchero dentro le cellule con una riduzione dell’insulino-resistenza e un effetto ipoglicemico.

Succo d’uva concentrato
Il succo d’uva concentrato è un dolcificante naturale che condensa gli zuccheri naturalmente presenti nella frutta. Guardando la tabella nutrizionale si scopre che può arrivare a contenere il 50 % di zuccheri semplici. La quantità di zuccheri presenti suggerisce un consumo moderato e controllato, soprattutto per chi soffre di sovrappeso,sindrome metabolicadiabete di tipo 2 insulino-resistenza.
I vantaggi potenziali derivano dalla presenza di antiossidanti come polifenoli e licopene e dalla presenza di micronutrienti oltre agli zuccheri.
Non ci sono molti studi scientifici sul consumo specifico di questo dolcificante tra i diabetici pertanto se ne consiglia un uso moderato.

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Lo staff di Medicina OnLine

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