È meglio mangiare o no prima di un allenamento?

MEDICINA ONLINE PALESTRA PESI MANGIARE PRIM MUSCOLI DOPO ALLENAMENTO MASSA PROTEINE AMMINOACIDI BCAA RAMIFICATI ESSENZIALI WHEY LATTE SIERO CASEINE CREATINA WORKOUT BICIPITI SPALLE GAMBE ESERCIZI DONNA GLUTEI STEROIDI SQUAT.jpgIl nostro corpo lavora meglio a stomaco vuoto. E se ci alleniamo prima di avere mangiato, il metabolismo funziona in modo più efficiente, bruciando i grassi meglio che se facciamo fitness dopo pranzo. È il risultato di uno studio condotto dalla University of Bath, in Inghilterra, che ha messo a confronto gli effetti dell’alimentazione rispetto all’esercizio fisico.

I test

Lo studio inglese è il primo nel suo genere e cerca di fare luce su un tema molto sentito dagli sportivi (ma non solo). Capire bene se e cosa mangiare prima di fare sport (in funzione del dimagrimento) è un’informazione essenziale. Il paper, pubblicato sull’American Journal of Physiology, racconta della ricerca degli endocrinologi di Bath e del metodo utilizzato: alcuni soggetti volontari in stato di sovrappeso sono stati invitati a camminare per un’ora con l’obiettivo di arrivare al 60% del consumo massimo di ossigeno. La prima volta lo hanno fatto a stomaco vuoto, la seconda due ore dopo il pasto (piatti a base di carboidrati ad alto contenuto calorico).

Il ruolo del tessuto adiposo

Le analisi del sangue e i campioni di tessuto adiposo raccolti sia prima che dopo i test sono serviti per dimostrare che fare attività fisica dopo il pasto è sostanzialmente contronidicato. Questo perché mangiare costringe il tessuto adiposo a ‘occuparsi del cibo’, cosa che impedisce al metabolismo di bruciare i grassi in modo efficiente. È risultato evidente come l’espressione di due geni (PDK4 e HSL) sia aumentata nel caso dell’esercizio dopo il digiuno e diminuita nel caso opposto. Quanto al PDK4, si pensa che l’aumento indichi che il grasso immagazzinato è stato utilizzato per alimentare il metabolismo durante l’esercizio fisico, lavoro che invece è stato effettuato dai carboidrati nei volntari dell’esercizio post-pasto. L’enzima HSL (responsabile della lipolisi, ovvero la mobilizzazione dei trigliceridi dal tessuto adiposo) è aumentato nello stesso modo durante l’esercizio.

Effetti e difetti

Dylan Thompson, autore dello studio, spiega che i risultati rafforzano l’idea che “il tessuto adiposo spesso affronta le sfide competitive. Se dopo aver mangiato è impegnato a reagire al pasto e no verrebbe stimolato nemmeno da una serie di esercizi, significa che “l’esercizio in uno stato di digiuno potrebbe provocare cambiamenti più favorevoli nel tessuto adiposo, con effetti benefici per la salute a lungo termine”. Lo studio ha evidenti limiti, ovvero il campione molto ridotto di volontari sui quali è stato condotto l’esperimento; sono necessari approfondimenti per avere conferme e determinare in modo più chiaro come viene messo in atto il meccanismo e come sfruttare queste informazioni per diete e programmi di fitness.

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La creatina fa ingrassare o dimagrire?

MEDICINA ONLINE INTEGRATORE ALIMENTARE DIETA DIETARY SUPPLEMENT COMPLEMENT ALIMENTAIRE SUPLEMENTO DIETETICO NahrungsergänzungsmittelUn esperto dell’allenamento coi pesi, direbbe che questa è una domanda che non ha senso: la creatina infatti, di per sé, non fa né ingrassare né dimagrire, poiché questo è un ruolo che tocca alla alimentazione ed alla attività fisica. Detto questo, oggi parlerò ai meno esperti, quelli a cui è stato consigliato un integratore di creatina ma non sanno esattamente cosa sia. La creatina è costituita da tre amminoacidi, questi tre aminoacidi sono la glicina ed arginina. Molti utilizzano la creatina come integratore che aiuta a far crescere i muscoli, e la assumono sotto forma di polvere, pillole, oppure in forma liquida con un contagocce . Ma in che modo la creatinapotrebbe influire sul peso?

Ma la creatina fa ingrassare o dimagrire?

Non vi preoccupare, stiamo per arrivarci, ma prima è necessario capire bene: quando si prende la creatina sotto forma di integratore, questa satura le cellule muscolari in quanto si riempiono di acqua. La creatina di fatto attira l’acqua presente nel corpo dentro ai nostri muscoli. Ma i muscoli non sono pronti ad accogliere questa grande quantità di acqua dunque per poterlo fare le cellule muscolari devono espandersi. Ecco che i muscoli cresceranno e diventeranno più forti. Ma se una donna non vuole che ciò avvenga, perché non vuole dei muscoli grandi, è necessario che stia attenta alle calorie che ingerisce, non devono mai eccedere. Infatti molte donne prendono la creatina, ma non hanno affatto muscoli enormi, anzi sono tonici.

Comunque sia, chi assume creatina, indipendentemente se uomo o donna, avrà un minimo aumento della grandezza muscolare. Ora, dal momento che i muscoli più grandi richiedono più calorie per mantenere la loro nuova dimensione (ricordate, questo non significa enormi, appena più grande di prima), i muscoli non avranno altra scelta che quella di attingere dalle proprie riserve di grasso per le calorie necessarie per mantenere la loro dimensione. Ecco come la creatina aiuta a dimagrire!

Inoltre, se si segue una dieta, una delle cose più difficili da fare è quella di mantenere la forma raggiunta. Ecco un altro buon motivo per cui prendere la creatina durante una dieta. La creatina vi aiuterà a mantenere la forma ed il peso raggiunti con tanta fatica.

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I carboidrati fanno davvero ingrassare?

MEDICINA ONLINE RISO RISOTTO CIBO DIABETICO INDICE GLICEMICO PASTA CARBOIDRATI GLICEMIA DIETA GRASSO PRANZOLa conversione dei carboidrati alimentari in grasso è sempre stata una preoccupazione per chi segue una dieta per dimagrire o cura la forma fisica. In realtà i carboidrati contribuiscono in maniera prevalentemente indiretta a far accumulare adipe, la loro conversione in grasso è piuttosto rara, e quindi sopravvalutata nella quotidianità. Questo articolo vorrà far luce sui dettagli poco conosciuti del processo di conversione dei carboidrati in grassi, approfondendo i rari contesti in cui questo effettivamente si verifica nel soggetto sano. Inoltre, si approfondirà l’influenza dell’attività fisica e delle diete con abbondanza calorica e glucidica per gli sportivi su questo processo metabolico.

Cenni fisiologici

Il processo di conversione dei carboidrati in grassi è meglio noto come de novo lipogenesi (DNL). La DNL indica generalmente la sintesi di acidi grassi da precursori non-lipidici, quali glucosio, aminoacidi ed etanolo, cioè da substrati dal cui catabolismo viene prodotto acetil-CoA, e che teoricamente possono essere convertiti ad acidi grassi nel metabolismo intermedio. Tuttavia, quando nella letteratura viene trattata la DNL si fa principalmente riferimento alla conversione dei carboidrati in grassi, poiché gli altri substrati non sembrano avere un ruolo importante nel processo.

Nell’uomo, la DNL da eccesso di carboidrati si verifica primariamente nel fegato, mentre nel tessuto adiposo questa sembra verificarsi più raramente, anche se la sua importanza in questo sito è discussa. Evidenze più recenti stanno invece avanzando l’ipotesi che la meno studiata DNL adiposa, al contrario della DNL epatica, rappresenti un processo positivo per la salute. La DNL ha inoltre un costo metabolico extra, circa il 28-30% delle calorie assunte viene disperso tramite il processo di termogenesi, poco conveniente quindi dal punto di vista dell’economia energetica.

Il principale prodotto della DNL è l’acido palmitico, un acido grasso saturo (SFA), ma da questo processo originano anche acidi grassi monoinsaturi (MUFA), principalmente l’acido palmitoleico. La DNL produce quindi trigliceridi e lipoproteine a bassissima densità (VLDL) all’interno delle quali vengono incorporati questi due acidi grassi, mentre riduce la presenza di acido linoleico – acido grasso polinsaturo (PUFA) – in queste stesse molecole. Nonostante questo processo permetta di gestire il forte eccesso di carboidrati, esso ha l’effetto collaterale di aumentare i livelli di grassi saturi nel sangue, che a loro volta possono peggiorare il rischio di malattie cardiovascolari e di insulino-resistenza.

Nel fegato, la DNL avviene anche indirettamente mediante l’inibizione dell’impiego energetico dei lipidi e il conseguente ri-deposito degli acidi grassi liberi (FFA) ad opera dell’insulina. Questo meccanismo biochimico comporta un aumento delle concentrazioni di malonil-CoA, un intermedio della lipogenesi che inibisce il trasporto degli acidi grassi nei mitocondri per essere impiegati energeticamente, e questo avviene in dipendenza dei livelli di saturazione del glicogeno nel fegato.

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Rilevanza della DNL nella vita reale

La DNL iniziò ad essere studiata più approfonditamente negli anni ottanta e novanta da alcuni Ricercatori, principalmente dai gruppi di Acheson e Hellerstein. Già all’epoca si osservò che nell’uomo sano questo processo non contribuisse in maniera significativa all’accumulo di grasso. Secondo queste prime conclusioni, risultava che l’uomo potesse ingerire grandi quantità di carboidrati senza portare la DNL a livelli maggiori dell’ossidazione di grassi.

Per fare in modo che la DNL consenta una sintesi e un guadagno netto di grassi dai carboidrati alimentari venne osservato che fosse necessaria la piena saturazione delle scorte di glicogeno: fin tanto che queste riserve dei muscoli e del fegato non sono completamente saturate, il corpo sarebbe quindi capace di depositare e ossidare immediatamente i carboidrati alimentari assunti in eccesso. Le principali condizioni in cui la DNL viene esasperata si verificano soprattutto nel caso molti carboidrati vengano assunti in una dieta ipercalorica. In sintesi, la ricerca sull’uomo sano ha rilevato che la DNL non contribuisca significativamente all’accumulo di grasso se non in condizioni rare o estreme.

Qui di seguito verranno riportati alcuni degli studi dell’epoca più emblematici sull’argomento: in un paio di studi a breve termine (Acheson et al., 1982; Acheson et al., 1987), i Ricercatori somministrarono a soggetti giovani e sani, prevalentemente maschi e normopeso, 500 g di carboidrati  (2000 calorie) nel giro di poche ore, osservando che la loro conversione in grassi fosse non significativa ammontando al massimo a soli pochi grammi.

Lo stesso gruppo (Acheson et al., 1988), in un’altra occasione fece seguire ai soggetti una dieta ipoglucidica-iperlipidica (low carb-hi fat: 10% CHO; 75% FAT) per 3 giorni prescrivendo varie forme di attività fisica per depletare le scorte di glicogeno. Il quarto giorno, a seguito della deplezione (esaurimento) del glicogeno muscolare e epatico, venne somministrata una dieta fortemente ipercalorica con 700-900 g di carboidrati e pochissimi grassi per diversi giorni consecutivi. Nelle prime 24 ore, con la risaturazione delle scorte di glicogeno non venne rilevata una DNL netta. Nei due giorni successivi, con un introito di carboidrati ancora molto elevato, venne osservato un aumento della DNL e quindi della sintesi dei grassi dai carboidrati. Nel protocollo descritto in The Body Chance, questi fenomeni spiegano perché sia possibile assumere 8-10 g/kg di carboidrati per 1-2 giorni senza riacquistare grasso corporeo.

Scorte di glicogeno

Sapendo che il processo di conversione dei carboidrati in grassi è dipendente dal grado di saturazione delle scorte di glicogeno muscolare e epatico, sarà utile approfondire le capacità di massimo stoccaggio in questi due depositi. Normalmente viene riferito che la capacità di accumulo di glicogeno nell’uomo ammonti a 500 g nel muscolo scheletrico e 100 g nel fegato, senza considerare le minime quantità situate in altri organi come il cuore, il tessuto adiposo, il rene o il cervello. In realtà questi dati sono indicativi, poiché le scorte di glicogeno muscolare basali aumentano con una dieta più ricca di carboidrati o con l’attività fisica. Uno sportivo che segue una dieta ricca di carboidrati subisce quindi un sensibile aumento delle scorte basali di glicogeno rispetto ad una persona media. Inoltre, è stato riconosciuto che le massime capacità di stoccaggio di glicogeno nell’uomo, ammessa una massa grassa nella norma, si aggirino approssimativamente attorno ai 15 g/kg, che per un uomo normopeso di 75 kg corrispondono a ben 1125 g (4500 kcal).

Queste quantità molto elevate possono essere tollerate in alcuni regimi alimentari specifici in cui si ciclizzano fortemente i carboidrati nel contesto dell’attività fisica: simili grammature vengono infatti suggerite nelle diete che prevedono periodi di forte restrizione glucidica e di deplezione del glicogeno alternati a fasi ristrette di ricarica dei carboidrati, dove viene provocata la “supercompensazione” delle scorte (oltre i livelli basali), come nel protocollo su citato.

Associando l’attività fisica per depletare fortemente le riserve di glicogeno nel corpo, si avrebbe la certezza che tali quantità di carboidrati molto elevate (15 g/kg), se assunte nel breve periodo imposto da questi regimi, non provochino la DNL almeno nelle prime 24 ore di ricarica. Tuttavia, nella normalità la DNL si verifica ben prima di raggiungere le quantità di 15 g/kg, sembra fisiologicamente attorno ai 500 g/die (2000 kcal).

In conclusione, valutare il rischio che la DNL si verifichi in base alle capacità medie di accumulo del glicogeno è fuorviante, perché questo può dipendere da diversi fattori come la dieta seguita nei giorni precedenti, il livello di saturazione delle scorte di glicogeno, e, come si vedrà, dal fabbisogno energetico, dall’apporto energetico o dall’eventuale attività fisica.

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Livelli di carboidrati nella dieta

Nella precedente sezione è stato detto che la DNL possa verificarsi indicativamente con almeno 500 g/die (2000 kcal) di carboidrati. Esistono però diverse altre analisi che hanno valutato le quantità di carboidrati minime nella dieta eucalorica (normocalorica) sufficienti per aumentare sensibilmente il processo di DNL. In generale, è stato osservato che la DNL aumenti significativamente quando i soggetti sani vengono nutriti con una dieta eucalorica eccessivamente ricca di carboidrati  (68-75%), e di conseguenza molto povera di grassi  (10-17%). Questo potrebbe essere significativo considerando che le linee guida del RDI, l’AMDR o i LARN suggeriscono un massimo apporto di carboidrati nella dieta del 65% sul fabbisogno calorico, cioè un livello solo poco inferiore alle quantità testate in queste ricerche. In questi studi tuttavia, anche oltre metà dei carboidrati era rappresentata da zuccheri, che sono associati ad una maggiore DNL. Altre analisi hanno osservato infatti che, con queste stesse proporzioni, la DNL potesse essere soppressa sostituendo gli zuccheri con gli amidi (2,5). Valutando le molecole glucidiche di base, il fruttosio (che compone il 50% del saccarosio) ha un maggiore impatto sulla DNL rispetto al glucosio (che compone interamente l’amido). Questo perché il fruttosio viene preferenzialmente accumulato nelle scorte epatiche che, una volta saturate, stimolano la DNL.

Se si valutano i dati dal punto di vista delle grammature, su una dieta eucalorica ipotetica di 2000 kcal il 75% di carboidrati ammonta a circa 375 gr, mentre su 2500 kcal ammonta a circa 470 gr. Questo indicherebbe che nella vita reale la DNL potrebbe verificarsi assumendo anche meno di 500 g/die di carboidrati se si fa riferimento ad una dieta eucalorica, ma questo sembrerebbe avvenire nel caso si assumano quantità di zuccheri esageratamente e improbabilmente elevate (attorno a metà dei carboidrati totali). Se con queste stesse proporzioni la maggior parte dei carboidrati assunti è composta da amidi, l’accumulo netto di grasso via DNL non sarebbe significativo.

Un aspetto meno considerato è che le donne potrebbero essere più esposte alla DNL rispetto agli uomini a parità di quantità totali assunte, perché queste presentano un peso e un fabbisogno calorico e glucidico generalmente inferiore: se per un uomo 500 g di carboidrati ipoteticamente corrispondono al 80-85% del fabbisogno, per una donna le stesse quantità possono corrispondere al 120-130% (surplus calorico da soli carboidrati). Pertanto, oltre a parlare di quantità assolute, si dovrebbe parlare di quantità relative al fabbisogno del soggetto per stimare le minime grammature capaci di attivare la DNL.

DNL nella dieta ipocalorica

Considerando che la restrizione calorica è un importante fattore per permettere la perdita di grasso, questo potrebbe significare che l’accumulo di grasso via DNL non dipenda solo dalle quantità di carboidrati di per sé, ma dal suo rapporto con il bilancio energetico. Come accennato, le ricerche sulla DNL sull’uomo analizzano la DNL nella dieta eucalorica o ipercalorica. Non sembra che sia stato approfondito l’effetto della restrizione calorica sull’uomo per verificare se questa possa attenuare o sopprimere la DNL pur in presenza di quantità glucidiche molto elevate come quelle citate in precedenza (>75% del fabbisogno calorico).

Questo può essere dovuto al fatto che la restrizione calorica impone come diretta conseguenza una restrizione dei carboidrati, poiché i grassi e le proteine non scenderebbero al di sotto di certi limiti minimi, non inferiori al 20% e al 10% dei livelli di mantenimento rispettivamente. Di conseguenza, se almeno il 30% delle calorie sul fabbisogno energetico viene coperto da questi due macronutrienti, il taglio calorico dovrebbe interessare i carboidrati, che scenderebbero ben al di sotto del 70%. Nella dieta ipocalorica quindi la DNL non rappresenta un problema, almeno in parte perché i carboidrati forniti risulterebbero insufficienti per attivare questo processo. Bisogna considerare che nella dieta ipocalorica le proteine andrebbero aumentate rispetto ai livelli minimi giudicati adeguati sul mantenimento, cioè superiori a 0.8 g/kg o al 10% dell’apporto calorico . Questo ha il fine di prevenire il declino del metabolismo basale e della massa magra, riflettendosi su un apporto di carboidrati ancora minore di quanto stimato in precedenza (i dettagli sono presenti nell’articolo “Alterazioni della massa magra nella dieta ipocalorica”).

Infine, la restrizione calorica promuove fisiologicamente un aumento dell’impiego energetico dei grassi e un decremento della massa grassa che l’apporto di carboidrati sia più o meno elevato. Negli studi comparativi dove le calorie e le proteine tra le diete sono equiparate e l’alimentazione è strettamente controllata, la perdita di grasso in soggetti sani avviene in maniera paragonabile quando la dieta ipocalorica ha un maggiore contenuto di carboidrati o di grassi. In conclusione, se nella dieta eucalorica la DNL può aumentare in condizioni che difficilmente riguardano la vita reale, nella dieta ipocalorica non c’è motivo di preoccuparsi che tale processo avvenga e tantomeno che contribuisca all’accumulo netto di grasso.

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DNL e dieta ipercalorica per sportivi

L’eccesso calorico in concomitanza con un elevato apporto di carboidrati è la condizione che più probabilmente esaspera la DNL, e un tipo di alimentazione simile viene adottato per brevi periodi dai bodybuilder nella cosiddetta fase di off-season o di “massa” (bulk -). La fase di off-season consiste in un apporto di calorie superiore ai livelli di mantenimento per consentire la massima crescita muscolare. Alcune review scientifiche dedicate all’alimentazione per il bodybuilding parlano di surplus calorici del 15%, e un apporto di carboidrati del 55-60% sul totale o 5-6 g/kg di carboidrati giornalieri. Altri Ricercatori suggeriscono nella fase off-season apporti ipercalorici di ben 44-50 kcal/kg. Questi valori potrebbero tradursi in surplus calorici tra le 400 e più di 1000 kcal/die, oltre che in quantità di carboidrati ben superiori al 65% del fabbisogno, cioè ai limiti teorici che preverrebbero la DNL.

Nella letteratura scientifica esistono poche evidenze comparative tra diete ipercaloriche ma dalle diverse proporzioni di grassi e carboidrati nella dieta. Questi studi documentano, a pari calorie, guadagni di grasso simili con un differente rapporto grassi/carboidrati, ma una possibile tendenza ad un maggior accumulo di grasso con l’eccesso di grassi. In alcuni si è rilevato un incremento della massa magra quando il surplus era dato dai carboidrati, in altri l’incremento di questa componente era simile : questo effetto tuttavia potrebbe essere dovuto almeno in parte agli aumenti di glicogeno e acqua o a componenti non-muscolari. Ogni analisi presenta le sue limitazioni (durata e numero di soggetti limitati, sesso, composizione della massa magra, variabilità individuale etc), tuttavia sembra che si tendano a favorire i carboidrati ai grassi. Anche su gruppi di bodybuilder, è stato osservato che una dieta ipercalorica (~1000 kcal/die in eccesso) con molti carboidrati e pochi grassi avesse permesso in due settimane maggiori guadagni di massa magra e inferiori guadagni di grasso, rispetto ad una dieta poco meno glucidica ma più lipidica, circa a parità di calorie.

Pur essendo che la DNL incrementi molto in condizioni di surplus calorico-glucidico, l’evidenza sembra confermare che gli accumuli di grasso netto possano essere inferiori con un eccesso di carboidrati che con i grassi (a parità di calorie), senza ignorare i maggiori aumenti di massa magra favoriti dai primi. In conclusione, questo può significare che anche se l’eccesso di calorie e carboidrati attiva significativamente la DNL, gli accumuli complessivi di grasso sarebbero simili o potenzialmente inferiori rispetto ad una dieta di circa pari calorie ma il cui eccesso è rappresentato maggiormente dai grassi. In questo senso predire gli aumenti del grasso prendendo in considerazione la sola influenza della DNL sarebbe fuorviante.

Impatto dell’attività fisica sulla DNL

Gli studi sulla DNL normalmente analizzano soggetti non-sportivi, pertanto i dati non potrebbero essere estesi alla popolazione degli atleti. L’attività fisica rappresenta un importante fattore di protezione verso l’accumulo di grasso, ed influisce positivamente anche sulla DNL. In primo luogo, l’attività fisica impone fisiologicamente un aumento dell’impiego energetico dei carboidrati (glicolisi) mediante la deplezione del glicogeno muscolare e epatico in maniera proporzionale all’intensità e alla durata dell’esercizio, quando è con la massima saturazione delle scorte di glicogeno che la DNL si verifica assumendo molti carboidrati. Nei casi invece in cui le scorte di glicogeno vengano fortemente esaurite – dalla combinazione tra attività fisica e restrizione glucidica protratta – nelle prime 24 ore la DNL può non verificarsi neppure assumendo 900 g di carboidrati. Bisogna inoltre considerare che l’esercizio fisico favorisce un aumento delle capacità di stoccaggio del glicogeno muscolare, e questo avviene in particolar modo nel gruppo di muscoli abitualmente sollecitato con l’esercizio. Per di più, l’attività fisica incide in negativo sul bilancio energetico, mentre la DNL sembra verificarsi con più facilità con un apporto glucidico molto elevato combinato con un bilancio energetico positivo (eccesso calorico).

Cosa più rilevante, nel post-allenamento la DNL risulta totalmente bloccata nel breve periodo e attenuata per molte ore. In questi studi su soggetti non allenati e sani si è osservato che anche assumendo quantità di carboidrati piuttosto elevate dopo l’esercizio (300 g di amido o 4-4.5 g/kg) la DNL rimanga soppressa, e che la DNL risulti diminuita per almeno 15 ore dal termine di un’ora di esercizio aerobico moderato. Il blocco acuto della DNL indotto dall’esercizio, avvenuto in condizioni di eccesso calorico, sembra essere dipendente dal livello di deplezione del glicogeno, e potrebbe quindi essere ancora più accentuato con l’attività intensa e/o più protratta, e con un bilancio energetico neutro o negativo. Su queste basi è stato proposto che l’attività fisica promuova un “accumulo sano” di carboidrati (specie nel muscolo scheletrico), mentre la DNL viene inibita e il metabolismo energetico post-esercizio fa eccezionalmente affidamento in prevalenza sui grassi anche assumendo grandi quantità di carboidrati . In conclusione, la preoccupazione nell’assumere grandi quantità di carboidrati a seguito dell’attività fisica per una presunta conversione in grasso sembra essere infondata.

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Conclusioni

In questo articolo sono stati approfonditi alcuni dettagli riguardanti il processo di conversione dei carboidrati in grassi (de novo lipogenesi, DNL). È stato osservato che, almeno per il soggetto sano, la DNL sia normalmente sopravvalutata nella vita reale:

  • La DNL assume una rilevanza soprattutto nella dieta ipercalorica (eccesso calorico) in cui l’apporto di carboidrati è elevato, specie quando questo copre interamente o eccede il fabbisogno calorico/dispendio energetico giornaliero (≥100% TDEE).
  • Nella dieta eucalorica (mantenimento), la DNL si verifica raramente, solo quando l’apporto di carboidrati supera abbondantemente i limiti massimi suggeriti dalle organizzazioni della salute (>65% TDEE), in particolare se questi carboidrati sono rappresentati da quantità di zuccheri esageratamente elevate  (50%).
  • Nella dieta ipocalorica, la DNL rappresenta un processo irrilevante, perché fisiologicamente viene promossa la riduzione del grasso corporeo, oltre che per il fatto che le quantità di carboidrati totali non raggiungerebbero i livelli necessari per attivare questo processo.
  • Per gli sportivi la DNL è ancora meno probabile, poiché l’attività fisica impone un aumento della spesa energetica anche a carico dei carboidrati (depletando le scorte di glicogeno) – incidendo quindi in negativo sul bilancio energetico, glucidico e lipidico – e blocca in acuto la DNL in risposta ad un’assunzione di carboidrati elevata per diverse ore a seguito delle sessioni.
  • La DNL viene attivata e contribuisce all’accumulo di grasso nelle fasi di sovralimentazione cronica e pianificata dello sportivo, questo a causa di un importante aumento dei carboidrati e delle calorie assunti. Sembra tuttavia che in questo contesto l’eccesso energetico a carico dei carboidrati tenda a favorire un accumulo netto di grasso inferiore (e un guadagno di massa magra maggiore) rispetto ad una dieta di pari calorie, ma con più grassi e meno carboidrati.

Il fatto che i carboidrati difficilmente vengano convertiti in grassi, non significa tuttavia che questo nutriente non contribuisca concretamente all’accumulo di grasso, come ben illustrato nella parte 4 dell’articolo “Come accumuliamo grasso”. Il principale meccanismo per cui i carboidrati favoriscono l’aumento del grasso corporeo è mediante la stimolazione dell’insulina (principale ormone lipogenetico), la quale inibisce il dispendio energetico dei grassi favorendo il loro accumulo. L’effettivo aumento del grasso corporeo, secondo questo processo, avviene nei casi in cui l’apporto calorico totale eccede il dispendio energetico totale (TDEE o mantenimento), ovvero con l’eccesso calorico.

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Tiroide: anatomia, funzioni e patologie in sintesi

MEDICINA ONLINE TIROIDE NODULO IPOTIROIDISMO IBSA EUTIROX ORMONI TIROIDEI METABOLISMO BASALE COLLO GOZZO SINTOMI PARATIROIDI TIROIDECTOMIA TOTALE PARZIALE CHIRURGIA OBESITA INGRASSARE PELa tiroide (in inglese “thyroid”) è una piccola ghiandola a forma di farfalla o di H, del peso di circa 25 grammi, posta nella regione anteriore del collo – come si intuisce guardando la figura in alto – a livello del secondo-terzo anello della trachea ed è costituita da due lobi connessi da una regione chiamata istmo. In condizioni normali la tiroide non è palpabile: lo diviene in condizioni patologiche. I lobi presentano un’altezza di circa 3 cm e una forma conica con uno spessore che varia da 0,5 cm negli apici e 2 cm nella base. La distanza massima tra i due margini laterali misura invece 7 cm. Il peso varia dai 0,2 g alla nascita ai 20 g dell’adulto.
La tiroide si presenta in condizioni fisiologiche con una superficie liscia di colore rosso bruno e una consistenza molle. Normalmente il volume tiroideo dell’adulto oscilla tra 6-12 ml nel sesso femminile e 8-16 ml nel sesso maschile. La tiroide presenta una straordinaria variabilità di peso e dimensioni che dipendono dall’età, dal sesso e dall’ambiente in cui si vive. Come tutti gli organi pieni, la tiroide è provvista da una capsula connettivale che riveste un parenchima ghiandolare. La capsula invia all’interno dell’organo tralci di tessuto connettivo che suddividono l’organo in aree irregolari, i lobuli e offrono passaggio a vasi e nervi.

Vasi e nervi della tiroide
La tiroide è vascolarizzata dalle arterie tiroidee superiori (rami delle carotidi esterne) e tiroidee inferiori (rami del tronco tireocervicale delle succlavie); le vene formano un ricco plesso nello spazio peritiroideo che drena per mezzo delle vene tiroidee superiori e medie alle giugulari interne e per mezzo delle inferiori ai tronchi brachiocefalici (o vene anonime).
I vasi linfatici formano una rete perifollicolare che drena in quelli della capsula, tributari dei linfonodi della catena giugulare interna, dei paratracheali e dei pretracheali.
La tiroide è innervata sia dal sistema adrenergico che da quello colinergico. Le fibre afferenti giungono ad essa per mezzo dei nervi laringei superiore ed inferiore (il nervo laringeo inferiore – destro e sinistro – decorre in stretto contatto con l’arteria tiroidea inferiore ed è proprio da questo rapporto anatomico che deriva la possibilità di un relativamente frequente danno chirurgico al nervo laringeo in seguito alla legatura delle arterie tiroidee) e regolano il sistema vasomotorio, modulando il flusso di sangue che giunge alla tiroide. In aggiunta all’innervazione vasomotoria vi è un sistema di fibre adrenergiche che termina in vicinanza della membrana basale della parete follicolare; le cellule tiroidee a loro volta possiedono recettori adrenergici sulla loro membrana plasmatica, ad indicare che il sistema adrenergico influenza la funzionalità tiroidea sia attraverso effetti sul flusso ematico, che attraverso effetti diretti sulle cellule follicolari.

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Funzioni della tiroide
La tiroide è una ghiandola endocrina deputata alla produzione di ormoni, chiamati T4 e T3. Quest’ultimo è l’ormone attivo, ed ha come compito principale quello di regolare il metabolismo energetico dell’organismo. In realtà, gli ormoni tiroidei hanno molte altre funzioni: ad esempio collaborano anche con altri ormoni nel controllare alcuni aspetti importanti quali lo sviluppo del sistema nervoso centrale, l’accrescimento corporeo e la funzione sessuale.
Funzionalmente la tiroide presenta una seconda componente endocrina: essa produce la calcitonina, prodotta dalle cellule C o parafollicolari, site all’esterno dei follicoli.
Gli ormoni T4 e T3 vengono prodotti, immagazzinati all’interno della tiroide in strutture chiamate follicoli tiroidei e successivamente rilasciati nel circolo sanguigno, in base alle necessità del nostro organismo.

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Le patologie più comuni della tiroide
La ghiandola tiroidea può a volte funzionare in modo non corretto, rilasciando ormoni in eccesso (ipertiroidismo) o in difetto (ipotiroidismo) rispetto alle reali esigenze del nostro organismo. Ecco una liste delle patologie più comuni che interessano la tiroide.

  • L’ipertiroidismo (morbo di Basedow, gozzo tossico) si caratterizza solitamente per un aumentato metabolismo, per cui il paziente appare spesso magro, tachicardico, pallido e sudato.
  • Nell’ipotiroidismo (tiroidite di Hashimoto, ipotiroidismo post chirurgico o post radioiodio), invece prevalgono l’astenia, il rossore e l’incremento ponderale.
  • L’utilizzo sempre maggiore dell’ecografia tiroidea ha permesso, inoltre, di aumentare la frequenza di riscontro di noduli della tiroide. Il nodulo della tiroide, quindi, è molto frequente e, nella maggior parte dei casi, è di natura benigna.
  • Un’altra patologia della tiroide molto frequente è il gozzo (gozzo semplice, uninodulare, multinodulare), che si caratterizza per un aumento del volume della ghiandola tiroidea. Le cause del gozzo possono essere molteplici e spesso anche molto diverse tra loro. Il risultato finale è, in ogni caso, la comparsa, più o meno rapida, di una tumefazione al collo che nei casi più avanzati può addirittura comprimere gli altri organi vicini, causando diversi sintomi compressivi come la difficoltà a deglutire, a respirare o molto più semplicemente la sensazione di un peso al collo.
  • Come tutti gli altri organi, anche la tiroide può essere soggetta a processi infiammatori determinando, quindi, il quadro di tiroidite che può manifestarsi, in modo più o meno acuto, con un dolore al collo e con una serie di sintomi correlabili all’iper o all’ipotiroidismo, o se si sviluppa in modo cronico, senza necessariamente provocare, all’inizio, dei sintomi evidenti.
  • La ghiandola, inoltre, può essere colpita anche da tumori. I tumori della tiroide però, salvo rare eccezioni, hanno un andamento clinico mediamente più benigno rispetto alle neoplasie che solitamente colpiscono gli altri organi. Pertanto la sopravvivenza media dei pazienti affetti da neoplasie della tiroide è molto elevata e la prognosi è ottima, specie grazie ad adeguato approccio chirurgico (tiroidectomia parziale e totale, che conduce all’uso di farmaci come l’eutirox).

In conclusione, quindi, la tiroide è una ghiandola molto importante sia per le funzioni metaboliche che svolge in condizioni di normalità, sia per la frequenza delle patologie che si verificano a suo carico.

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Cosa succede al tuo corpo quando smetti di mangiare pasta e pane?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COSA SUCCEDE AL CORPO SMETTI MANGIARE PASTA E PANE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie.jpgQualche tempo fa il sito “Eat this, not that!” ha stilato una interessante lista di cambiamenti che subisce il nostro corpo quando si decide di limitare l’assunzione di carboidrati. Pur essendo necessari per la nostra dieta, il loro consumo smodato non è certamente salutare. Riso bianco, pasta bianca, pane bianco, dessert e dolci, zucchero, sciroppi artificiali, bibite gassate e caramelle: ecco sei cose che accadono quando decidiamo di metterli da parte, tenendo presente che sono generalizzazioni, che non sono valide sempre e comunque e che eliminare completamente i carboidrati dalla dieta è un grosso errore.

1. Inizierai a bruciare grassi

Riducendo (non eliminando completamente!) il consumo di carboidrati, si ridurranno anche le calorie assunte giornalmente e la massa grassa tenderà a diminuire, specie se il metabolismo basale è elevato. Infatti, quando il corpo è costretto a non attingere dai carboidrati, per ottenere energia utilizza le riserve di grasso immagazzinate nel nostro corpo. Il consiglio del sito – che io condivido – è quello di fare un po’ di esercizio fisico al mattino, prima della colazione. In questo modo il corpo brucerà i grassi depositati invece di quelli contenuti nel cibo.

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2. Ti sentirai meno affamato

Non sono le calorie che saziano la tua fame, ma sono le sostanze nutrienti, come le proteine, le fibre o i grassi sani. Queste componenti sono assenti nei carboidrati raffinati, che finiscono, dunque, per riempire il nostro corpo solo di calorie “inutili”. Per questo, dopo averne fatto una scorpacciata possiamo sentirci ancora affamati: il corpo, assumendo carboidrati, sarà sempre in cerca di altro cibo. Diminuendo il consumo, invece, diminuirà anche il senso di fame. Il consiglio di “Eat this, not that!” è quello di iniziare la giornata mangiando qualcosa di molto proteico e salutare come le uova o lo yogurt greco.

3. Avrai la pancia più piatta

È uno dei cambiamenti più lampanti: quando i carboidrati vengono rimpiazzati da cibi ricchi di fibre, il ventre può sembrare più piatto. Questo perché le fibre, di cui ogni dieta dovrebbe essere ricca, aiutano a sgonfiare la pancia. Molti zuccheri invece fermentano nell’intestino facendoci sentire più gonfi e facendo apparire la pancia più grande di quello che in realtà è. Il consiglio di “Eat this, not that!” è quello di iniziare a sostituire alcuni alimenti con altri più salutari. E di mangiare noci, fonti di fibre e alleate nella digestione.

4. Diminuirà il rischio di soffrire di diabete

Gli zuccheri semplici possono essere dannosi, alla lunga, per la salute. Più ne digeriamo, più insulina produce il pancreas: questo può portare ad aumentare il rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Il consiglio del sito è quello di preferire carboidrati complessi, ricchi di fibre, più difficili da digerire per il corpo: in questo modo si impedirà il rilascio facile di insulina.

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5. I tuoi muscoli saranno più forti

Secondo i redattori di “Eat this, not that!”, assumere solo carboidrati semplici non farebbe bene alla crescita dei muscoli: “È preferibile mangiare qualsiasi altro tipo di alimento, dalla carne allo yogurt al gelato – scrivono -. In parte, questo si deve al fatto che ai carboidrati mancano le proteine, che sono veri e propri mattoncini nella costruzione dei muscoli e contribuiscono alla salute della pelle, dei capelli e delle unghie”. Aumentare il consumo di proteine e di altre sostanze nutritive, può apportare benefici al nostro corpo, senza il bisogno di assumere ulteriori calorie. Il consiglio del sito è quello di preferire snack proteici rispetto a quelli delle macchinette automatiche.

6. Ti sentirai più energico

È bene ricordare che all’interno di una dieta equilibrata non devono mancare i carboidrati: il corpo ne ha bisogno per funzionare correttamente, sono indispensabili per la salute del cervello e per il funzionamento degli organi. Alcuni, però, hanno un effetto “carburante” molto più di altri: frutta, verdura, pane, quinoa e riso sono solo alcuni di questi. Assicurano a chi ne mangia energia per lungo tempo ed evitano i tipici “sbalzi” causati da altri carboidrati semplici.

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Frequenza dei pasti e metabolismo: meglio pasti piccoli e frequenti o pochi ed abbondanti

MEDICINA ONLINE PALESTRA MUSCOLI IPERTROFIA ALLENAMENTO FIBRE MUSCOLARI ROSSE BIANCHE POTENZIALE GENETICO PESI PESISTICA WORKOUT PRE POST INTEGRATORI PROTEINE AMINOACIDI RAMIFICATI BCAA WHEY CASEINE CREATINA CARNITINA FISICO.jpgContrariamente alle credenze predominanti, il fatto che i pasti più frequenti siano migliori per la gestione del peso, per la crescita/preservazione muscolare e per i marker metabolici è stato ampiamente messo in discussione dalla letteratura scientificica, e non c’è consenso nel ritenere i pasti frequenti superiori ai pasti rarefatti per questi scopi (a parità di calorie e macronutrienti).

Mentre la termogenesi alimentare (DIT o TEF, cioè l’aumento dell’attività metabolica e della termogenesi in risposta ai pasti) non sembra subire alcuna variazione con pasti frequenti o rarefatti, in quanto i fattori in questo senso più condizionanti sono la quantità calorica totale, e le proporzioni dei macronutrienti all’interno dell’apporto calorico (a parità calorica: + proteine = + termogenesi), come descritto anche in questo articolo.

Anche se esistono molte ricerche contrastanti, c’è il rischio che i metodi comparativi dei ricercatori possano essere fuorvianti. Qui delle interessanti revisioni molto critiche da parte dei ricercatori Schoenfeld e Aragon sul tema.

Una cosa che però è meno risaputa, è che cambiare la regolarità dei pasti durante la settimana (giornate a pasti frequenti e giornate a pasti rarefatti, ad esempio), ha dimostrato di ridurre la termogenesi post-prandiale e di influire negativamente sulla sensibilità insulinica e sul profilo lipidico  rispetto a mantenere una frequenza dei pasti giornaliera stabile o cronica.

Questo può significare che, se ancora non è certo che preferire pasti piccoli e frequenti a pochi ed abbondanti (e viceversa), è invece sicuro che, scelto il modello di pasti, è meglio mantenerlo nel tempo (o comunque non alterarlo frequentemente), invece che variarlo con l’idea di “shockare” il metabolismo.

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Differenza tra tiroide e paratiroide

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA TIROIDE PARATIROIDI GHIANDOLA ENDOCRINA ORMONI T3 T4 CALCITONINA PARATORMONE PTH CALCIO METABOLISMO.jpgLa tiroide (in inglese “thyroid“) è una piccola ghiandola endocrina a forma di farfalla o di H, del peso di circa 25 grammi, posta nella regione anteriore del collo a livello del secondo-terzo anello della trachea. Le ghiandole paratiroidi (in inglese “parathyroid glands“) sono invece un gruppo di ghiandole endocrine poste nel collo in prossimità della tiroide, immerse nel parenchima di quest’ultima (vedi foto in alto). Ve ne sono solitamente quattro per individuo, due superiori (o interne), situate dietro alla tiroide, e due inferiori (o esterne), tuttavia in alcuni soggetti si possono trovare anche altre ghiandole paratiroidee (paratiròidi ectopiche) in altre regioni del collo, o nel mediastino.

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Pur essendo accomunate dal fatto di essere ghiandole endocrine, le funzioni di tiroide e paratiroidi sono differenti.
La tiroide è una ghiandola endocrina deputata alla produzione di ormoni, chiamati T4 e T3. Quest’ultimo è l’ormone attivo, ed ha come compito principale quello di regolare il metabolismo energetico dell’organismo. In realtà, gli ormoni tiroidei hanno molte altre funzioni: ad esempio collaborano anche con altri ormoni nel controllare alcuni aspetti importanti quali lo sviluppo del sistema nervoso centrale, l’accrescimento corporeo e la funzione sessuale. Funzionalmente la tiroide presenta una seconda componente endocrina: essa produce la calcitonina, prodotta dalle cellule C o parafollicolari, site all’esterno dei follicoli. Gli ormoni T4 e T3 vengono prodotti, immagazzinati all’interno della tiroide in strutture chiamate follicoli tiroidei e successivamente rilasciati nel circolo sanguigno, in base alle necessità del nostro organismo.
La funzione delle paratiroidi è di secernere invece l’ormone paratiroideo, o paratormone (PTH), importante regolatore del livello del calcio nel sangue, interferendo in molti processi biochimici del nostro organismo. Il paratormone, assieme alla calcitonina prodotta dalle cellule parafollicolari della tiroide ed alla vitamina D, concorre al conseguimento dell’omeostasi del calcio nel sangue. Infatti, in caso di alterazioni nei valori di calcemia, la calcitonina indurrà il deposito di calcio nelle ossa aumentandone il riassorbimento renale, mentre il paratormone attiverà la vitamina D a livello renale per favorire l’assorbimento intestinale di calcio, mobiliterà il minerale dalle riserve del tessuto osseo favorendo la produzione di osteoclasti ed aumenterà l’eliminazione urinaria dei fosfati.

Il nome “paratiroidi” deriva dal fatto che tale ghiandole sono situate presso la tiroide (il prefisso “para” significa infatti “presso” in greco).

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Jon Brower Minnoch: quanto è arrivato a pesare l’uomo più grasso del mondo?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma QUANTO PESA UOMO PIU PESANTE GRASSO MONDO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari An Pene.jpgJon Brower Minnoch viene considerato dal Guinness dei primati come l’uomo più pesante di tutti i tempi. Jon nacque a Bainbridge Island il 29 settembre 1941. Soffriva fin dall’infanzia di ipotiroidismo e di obesità, ma queste malattie non gli impedirono di laurearsi in filosofia con ottimi voti. Nel 1963, ovvero nell’anno della sua laurea, pesava 178 chili distribuiti in 185 centimetri di altezza. Da allora Minnoch sarebbe ingrassato ogni giorno. Questo eccessivo aumento di peso non si poteva spiegare con una semplice vita sedentaria o con un’alimentazione ricca di grassi, Minnoch era difatti affetto da una qualche malattia particolare che non gli faceva smaltire nulla di ciò che ingeriva. Già nel 1966 il suo peso era arrivato a 318 chili e ciò lo obbligò a dimettersi dall’incarico di professore. Nel settembre del 1976 arrivò a toccare quota 442 chili. Con un peso simile fu ricoverato per insufficienza cardiaca e polmonare, ma dopo due anni di dieta a 1200 calorie giornaliere la sua massa era diminuita fino a 216 chili. Per trasportarlo all’ospedale furono necessari 12 vigili del fuoco, una barella modificata ed una barca. All’University Hospital di Seattle fu posto su due letti affiancati: solo per rotolarlo su di essi erano necessarie 13 persone.

Lo stesso metabolismo di un individuo unicellulare
Le condizioni di Minnoch peggiorarono e nel 1981 fu nuovamente ricoverato perché era aumentato di 91 chili in una settimana. Quando venne ricoverato per insufficienza cardiaca, in base alle sostanze da lui ingerite e riemesse, il suo peso venne stimato in circa 635 chili. Il dottor Robert Schwartz della Clinica di Seattle, che lo aveva in cura, non riusciva a capire i motivi dell’accentuata iper-obesità. Dirà in seguito:”Jon Brower è un caso limite. Ha lo stesso metabolismo di un individuo unicellulare“. Nonostante questa confusione diagnostica, riuscì con una cura fatta di diete strettissime e di ginnastica passiva a dimezzare il peso di Jon, portandolo a 370 chili circa. Tuttavia il cuore di Minnoch si era indebolito a causa dei cambiamenti repentini di peso. Minnoch morì il 10 settembre 1983 a Seattle, nonostante un’ulteriore perdita di peso subita durante l’agonia. Quando spirò, pesava all’incirca 360 chili. Oltre al record di uomo più pesante nella storia della medicina, Jon Brower Minnoch insieme a sua moglie Jeannette detiene anche il record di maggiore differenza di peso tra coniugi, dato che la sua signora pesava solo 50 chili.

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