Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO): cause, sintomi, diagnosi, cura e consigli

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO FUMO SIGARETTA NICOTINA TABAGISMO TOSSICODIPENDENZA UOMOLa BPCO, acronimo di “broncopneumopatia cronica ostruttiva” (in inglese “COPD” acronimo di Chronic obstructive pulmonary disease) è una malattia infiammatoria cronica dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree, di entità variabile a seconda della gravità. La BPCO è solitamente progressiva ed è associata a uno stato di infiammazione cronica del tessuto polmonare. La conseguenza a lungo termine è un vero e proprio rimodellamento dei bronchi, che provoca una riduzione consistente della capacità respiratoria. La malattia provoca disabilità, riduce la qualità della vita e – nei casi più gravi – è potenzialmente mortale.
Ad aggravare questo quadro clinico è l’aumento della predisposizione alle infezioni respiratorie di origine virale, batterica o fungina. Non esiste al momento una cura efficace, ma sono disponibili diversi trattamenti per controllare i sintomi, rallentare la progressione della malattia e per evitare pericolose complicanze. Fondamentale è invece la prevenzione, per ridurre al minimo i fattori di rischio, principalmente rappresentati dal fumo di sigaretta. Tra le prime descrizioni di probabili casidi BPCO ricordiamo quelle del grande medico ed anatomista italiano Giovanni Battista Morgagni nel 1769, che annota polmoni “turgidi in particolare nell’inspirio”.

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Cause

La causa principale di una BPCO è il processo infiammatorio cronico relativo alle vie respiratorie, che dura anni: ciò comporta una graduale perdita della funzionalità dei polmoni con una disfunzione non completamente reversibile anche se viene trattata. Il processo infiammatorio è promosso, nella maggioranza dei casi, dal fumo di sigaretta, ed in misura minore da esposizione professionale a sostanze irritanti e l’inquinamento ambientale. In genere, queste esposizioni avvengono diversi decenni prima che i sintomi si manifestino.

Fattori di rischio

Esistono diversi fattori di rischio, alcuni individuali, altri di origine ambientale. Tra i fattori individuali, ci sono molti geni che si ritiene possano essere associati all’insorgenza della BPCO. Al momento, i dati più significativi in proposito sono quelli relativi al deficit di alfa1-antitripsina, una condizione ereditaria piuttosto rara caratterizzata dalla carenza di questa proteina epatica che normalmente protegge i polmoni. Ci sono poi alcune patologie respiratorie complesse che possono contribuire allo sviluppo della malattia, in particolare l’asma e l’ipersensibilità bronchiale.
Tra i fattori ambientali, numerosi studi indicano che il principale fattore di rischio per lo sviluppo della BPCO è il fumo di tabacco, in particolare quello di sigaretta (meno quello di sigaro e pipa), che accelera e accentua il decadimento naturale della funzione respiratoria. Anche il fumo passivo e terziario può contribuire parzialmente allo sviluppo della malattia, in quanto favorisce l’inalazione di gas e particolato. Gioca un ruolo determinante anche l’esposizione a polveri, sostanze chimiche, vapori o fumi irritanti all’interno dell’ambiente di lavoro (per esempio silice o cadmio).
Altri fattori di rischio, seppure meno influenti, associati allo sviluppo della BPCO sono l’inquinamento dell’aria: non solo quello atmosferico causato da smog e polveri sottili, ma anche quello presente all’interno degli ambienti chiusi (provocato dalle emissioni di stufe, apparecchi elettrici, impianti di aria condizionata ecc.). Infezioni respiratorie come bronchiti, polmoniti e pleuriti possono predisporre infine al deterioramento dei bronchi. Altri possibili fattori di rischio sono: la povertà, la malnutrizione per difetto, un peso alla nascita inferiore alla media, alcune malattie infettive come quelle da HIV e la tubercolosi.

Sintomi e segni

Prima della diagnosi, i due sintomi e segni principali della BPCO sono la tosse e la dispnea, qualche volta accompagnati da respiro sibilante. Spesso la tosse è cronica, più intensa al mattino e caratterizzata dalla produzione di muco. La dispnea compare gradualmente nell’arco di diversi anni e nei casi più gravi può arrivare a limitare le normali attività quotidiane. In genere, queste persone sono soggette a infezioni croniche dell’apparato respiratorio, che occasionalmente provocano ricadute accompagnate da una sintomatologia aggravata. Con il progredire della malattia questi episodi tendono a divenire sempre più frequenti.

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Diagnosi

Gli esami utili alla diagnosi ed a determinare gravità e prognosi, sono:

  • Spirometria;
  • Saturazione arteriosa; se inferiore al 94% è utile eseguire:
    • Emogasanalisi
    • 6 Minutes Walking Test
    • Calcolo dell’indice di massa corporea (BMI)
    • Calcolo del grado di dispnea

Per la diagnosi differenziale potrebbero essere usati vari strumenti, tra cui esami di diagnostica per immagini (radiografia, TC, broncoscopia…) e/o indagini di laboratorio (tampone faringeo, esame del sangue venoso…). I segni caratteristici alla radiografia del torace sono polmoni iper-espansi, diaframma appiattito, aumento dello spazio aereo retrosternale e la presenza di bolle. La presenza di tali segni può aiutare a escludere altre malattie polmonari, come la polmonite, l’edema polmonare o uno pneumotorace. Nella TC del torace si possono notare le localizzazioni dell’enfisema nei polmoni e ciò può essere utile per escludere altre malattie polmonari, tuttavia, se non è previsto l’intervento chirurgico, tale segno raramente può influenzare il trattamento. Un’analisi del sangue arterioso (emogasanalisi) viene richiesta per determinare l’eventuale necessità di ossigeno supplementare. Questo esame è consigliato in coloro che presentano una FEV1 inferiore al 35% del normale, in coloro che presentano una saturazione arteriosa periferica inferiore al 92% e in coloro che hanno sintomi di insufficienza cardiaca congestizia. Nelle zone del mondo in cui è comune il deficit di alfa 1-antitripsina, si consiglia di effettuare questo esame a chi soffre di BPCO (in particolare in coloro con una età inferiore ai 45 anni e con un enfisema che interessa le porzioni inferiori dei polmoni). La misurazione del picco di flusso espiratorio, comunemente utilizzata nell’asma, non è sufficiente per la diagnosi di BPCO. Il principale strumento diagnostico per la BPCO rimane comunque la spirometria, che permette di misurare la capacità polmonare residua.

Spirometria

Le valutazioni spirometriche vengono effettuate allo scopo di stimare il grado di ostruzione delle vie aeree; generalmente seguono l’assunzione di un broncodilatatore. Per raggiungere una diagnosi vengono indagate due componenti principali: il volume espiratorio forzato in un secondo (VEMS o FEV1), che è il massimo volume di aria emesso nel primo secondo di un’espirazione forzata, e la capacità vitale forzata (FVC), il massimo volume d’aria che può essere emesso con un unico grande respiro. Normalmente, nel primo secondo si espira tra il 75% e l’80% della FVC; in un individuo che presenta sintomi di BPCO, un rapporto FEV1/FVC (chiamato “indice di Tiffeneau”) inferiore al 70% è indice di malattia. Sulla base di questi soli parametri, però, nei soggetti anziani la spirometria porterebbe a un eccesso di diagnosi di BPCO. La misurazione spirometrica viene ripetuta, dopo la somministrazione di 400 µg di β2 agonista (un broncodilatatore), a distanza di 40 minuti.

  • Se non migliorano i risultati, ma solo la sintomatologia, è possibile la diagnosi di BPCO: indice di Tiffeneau (FEV1/FVC) ridotto.
  • Un incremento di FEV1 di 200 ml o del 12%, rispetto al valore pre-broncodilatatore, è considerato un indice prognostico favorevole.
  • Se il valore di FEV1 torna nella norma, si esclude diagnosi di BPCO: è verosimile una diagnosi di asma.

Non vi è una evidenza certa che consigli di utilizzare la spirometria, nel tentativo di diagnosticare la malattia, in coloro che non presentano sintomi; pertanto tale pratica non è raccomandata. Per approfondire, leggi: Spirometria diretta ed indiretta: come si esegue ed a cosa serve

Diagnosi differenziale

La diagnosi differenziale si pone principalmente nei confronti di asma, di insufficienza cardiaca, di tubercolosi, di embolia polmonare di polmonite e di pneumotorace.

Gravità

La BPCO è stata classificata in quattro diversi livelli di gravità:

  • stadio 0: soggetto a rischio, che presenta tosse cronica e produzione di espettorato. La funzionalità respiratoria risulta ancora normale alla spirometria
  • stadio I: malattia lieve, caratterizzata da una leggera riduzione della capacità respiratoria
  • stadio II: malattia moderata, caratterizzata da una riduzione più consistente della capacità respiratoria e da dispnea in caso di sforzo
  • stadio III: malattia severa caratterizzata da una forte riduzione della capacità respiratoria oppure dai segni clinici di insufficienza respiratoria o cardiaca.

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Terapia

Non esiste una cura efficace per la BPCO che consenta di ripristinare la funzionalità respiratoria perduta. Esistono comunque tutta una serie di trattamenti per gestire la malattia e consentire di raggiungere i seguenti obiettivi:

  • prevenire la progressione della malattia;
  • ridurre i sintomi;
  • migliorare la capacità sotto sforzo;
  • migliorare lo stato di salute generale;
  • prevenire e trattare le complicanze;
  • prevenire e trattare l’aggravarsi della malattia;
  • ridurre la mortalità.

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Terapia farmacologica

I farmaci più indicati per la BPCO sono i broncodilatatori, somministrati per via inalatoria, che sono in grado di dilatare le vie aeree e garantire così il maggior flusso possibile di aria. In caso di forme gravi o acute, si possono usare antinfiammatori potenti come cortisone e suoi derivati, evitandone però l’uso prolungato a causa dei pesanti effetti collaterali. Esistono due tipologie principali di broncodilatatori: gli agonisti β2 e gli anticolinergici; entrambi esistono sia in forma a lunga durata sia a breve durata d’azione. Il loro utilizzo riduce la mancanza di respiro, limita il respiro sibilante e rende più facile compiere attività, migliorando conseguentemente la qualità della vita. Non è chiaro se vi sia anche un cambiamento nel decorso della malattia di base. In quelli che presentano una malattia lieve, farmaci a breve durata d’azione sono raccomandati in base alle necessità. In quelli con una condizione più grave si raccomandano invece agenti a lunga durata. Se i broncodilatatori a lunga durata appaiono insufficienti, vengono aggiunti anche corticosteroidi sempre per via inalatoria. Per quanto riguarda gli agenti a lunga durata d’azione non è chiaro se il tiotropio (un anticolinergico a lunga azione) o i beta-agonisti a lunga azione (LABA) portino a risultati migliori, e può essere indicato provarli entrambi per capire quelli che funzionano meglio. Entrambi gli agenti sembrano ridurre il rischio di riacutizzazioni del 15-25%. Vi sono diversi β2 agonisti a breve azione disponibili, tra cui il salbutamolo (Ventolin) e la terbutalina. Essi forniscono un sollievo dai sintomi per 4-6 ore. β2 agonisti a lunga durata, come il salmeterolo e il formoterolo, sono spesso usati come terapia di mantenimento. Alcuni ritengono che i benefici dal loro utilizzo siano limitati, mentre altri sostengono il contrario. L’uso a lungo termine appare sicuro nella BPCO, gli effetti collaterali includono tremori e palpitazioni. Quando vengono utilizzati insieme a steroidi inalatori aumentano il rischio di polmonite. Sebbene gli steroidi e i LABA possano lavorare meglio insieme, non è chiaro se questo leggero vantaggio superi i maggiori rischi. Ci sono due anticolinergici principali utilizzati nella BPCO, l’ipratropio e il tiotropio. L’ipratropio è un agente a breve durata d’azione, mentre il tiotropio a lunga. Il tiotropio è associato a una diminuzione delle riacutizzazioni e una migliore qualità della vita. Non sembra tuttavia influenzare la mortalità il tasso di ospedalizzazione. Gli anticolinergici possono causare secchezza alla bocca e sintomi del tratto urinario. Essi sono anche associati a un aumentato del rischio di malattie cardiache e ictus.

Altre terapie e consigli

Accanto ai farmaci, esistono altre possibilità di gestione della malattia, come per esempio l’ossigenoterapia, ovvero la somministrazione di ossigeno puro, e la ventilazione meccanica, che supplisce all’insufficiente attività respiratoria. Ai pazienti si raccomanda di vaccinarsi regolarmente contro malattie come l’influenza o la polmonite da pneumococchi, che potrebbero aggravare una funzionalità polmonare già fortemente compromessa. Un consiglio utile è quello di praticare giornalmente una serie di esercizi specifici per tenere in attività i muscoli del respiro. Non ci sarebbe neanche bisogno di specificarlo: il paziente deve smettere di fumare e dovrebbe evitare l’esposizione a smog, inquinanti ambientali e sostanze chimiche irritanti. Importante controllare il peso corporeo, per non affaticare ulteriormente il sistema respiratorio: il paziente sovrappeso od obeso dovrebbe seguire una dieta ipocalorica e svolgere regolarmente attività fisica adeguata. In ogni caso viene consigliato al paziente di seguire un’alimentazione equilibrata e ricca di vitamine e sali minerali, ad esempio ricca di frutta e verdura di stagione. Utile è anche assumere ogni giorno un integratore multivitaminico multiminerale completo, come questo: https://amzn.to/3Xz3PNY

Ossigenoterapia

La somministrazione di ossigeno supplementare è raccomandato nei soggetti con bassi livelli di ossigeno a riposo (pressione parziale di ossigeno inferiore a 50-55 mmHg o saturazione arteriosa inferiore all’88%). In questo gruppo di persone diminuisce il rischio di insufficienza cardiaca e di morte, se utilizzato per 15 ore al giorno. In persone con livelli normali o lievemente bassi di ossigeno, può essere necessario valutare il livello di saturazione sotto sforzo, ad esempio con il test del cammino 6 minuti, in tal caso la supplementazione di ossigeno può migliorare la dispnea e migliorare la capacità di esercizio. Vi è il rischio di incendi e di scarsi benefici in coloro che continuano a fumare nonostante la condizione. In questa situazione spesso si sconsiglia l’ossigeno. Durante le riacutizzazioni, è importante non somministrare alte concentrazioni di ossigeno senza tenere conto dei valori di saturazione sanguigna, ciò può portare a un aumento dei livelli di anidride carbonica, peggiorando la prognosi. In coloro che sono ad alto rischio di livelli di biossido di carbonio, una saturazione di ossigeno tra l’88% e il 92% è raccomandata, mentre per coloro senza questo rischio, i livelli corretti dovrebbero essere tra il 94% e il 98%.

Chirurgia

In coloro che presentano una condizione estremamente grave, è possibile prendere in considerazione la chirurgia e questa può includere un trapianto polmonare o la riduzione del volume polmonare. La chirurgia di riduzione del volume polmonare consiste nel rimuovere le parti del polmone più danneggiate da enfisema permettendo alla porzione restante di espandersi relativamente meglio. Il trapianto polmonare è talvolta eseguita per casi di BPCO molto severa e soprattutto negli individui più giovani.

Prognosi e mortalità

La BPCO solitamente peggiora nel tempo, e in ultima analisi, può portare alla morte. Si stima che il 3% di tutte le disabilità siano legate alla BPCO. La sopravvivenza a 10 anni dall’insorgenza è del 40%. La percentuale di invalidità da BPCO a livello mondiale è diminuita tra il 1990 e il 2010, grazie al miglioramento della qualità dell’aria all’interno delle abitazioni. La velocità con cui la condizione peggiora varia a seconda della presenza di fattori negativi, quali una grave ostruzione del flusso d’aria, la scarsa capacità di compiere sforzi, la mancanza di respiro, un significativo sottopeso o sovrappeso (una importante perdita di peso è un indice molto negativo), la presenza di insufficienza cardiaca congestizia, il continuare a fumare e il verificarsi di frequenti riacutizzazioni. Gli esiti a lungo termine nella BPCO possono essere stimati utilizzando l’indice BODE (o BODE index), che fornisce un punteggio da 0 a 10 a seconda dei valori di FEV1, dell’indice di massa corporea, della distanza percorsa in sei minuti e tramite la scala di dispnea mMRC. I risultati della spirometria possono essere un buon indice predittivo per la prognosi della malattia, ma mai quanto l’indice BODE.

Prevenzione

Eliminare il fumo di sigaretta, gli inquinanti ambientali e l’esposizione a sostanze chimiche irritanti, prevengono la BPCO e rallentano la sua progressione. Le vaccinazioni antinfluenzali annuali in coloro che soffrono di BPCO riducono le probabilità delle riacutizzazioni, di incorrere in ospedalizzazioni e di decesso.

I migliori prodotti per il fumatore che vuole smettere di fumare

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, pensati per il fumatore che vuole smettere di fumare o che ha smesso da poco:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Differenza tra globuli e granuli

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACI EFFETTI COLLATERALI INDICAZIONI CONTROINDICAZIONI EFFETTO DOSE DOSAGGIO PILLOLE CREMA PASTIGLIE SUPPOSTE SIRINGA INIEZIONE EMIVITA FARMACOCINETICALe forme farmaceutiche più frequentemente adoperate in omeopatia sono i globuli ed i granuli. In entrambi i casi si tratta di sferette di saccarosio, ricoperte di lattosio, sulle quali si fanno cadere – utilizzando particolari macchinari – gocce della singola sostanza, opportunamente diluita (i globuli sono 10 volte più piccoli dei granuli).
I granuli si presentano confezionati in tubi di circa 4 grammi; vengono assunti in numero di 2-5, utilizzando piccoli contenitori che consentono di collocarli in bocca.
I globuli si presentano invece in tubi – dose che ne contengono circa 200; il tubo – dose va assunto in un’unica somministrazione.
L’assorbimento di entrambi avviene per via perlinguale.
Al fine di sfruttare al meglio l’azione del prodotto è consigliabile rispettare alcuni semplici accorgimenti:

    • assumere il rimedio lontano dai pasti o da sapori forti (almeno mezz’ora prima e dopo);
    • limitare l’uso di sostanze nervine (thè, caffè, fumo di sigaretta);
    • non toccare i granuli con le mani: il calore od il sudore delle dita, infatti, potrebbero provocare il discioglimento di una parte della sferetta, e ridurre così il quantitativo di sostanza assunta.

Per i bambini che non sono capaci di succhiare i granuli, questi vengono diluiti in acqua.

Altre formulazioni comprendono le gocce (utilizzate prevalentemente per le diluizioni decimali e quelle cinquantamillesimali), le fiale (che possono essere iniettate oppure assorbite per via perlinguale), le supposte, gli ovuli, le pomate e gli sciroppi: per tutte queste le modalità di preparazione sono identiche a quelle previste dalla farmacopea degli equivalenti allopatici.
I prodotti omeopatici si possono acquistare in farmacia anche senza ricetta medica. Essi non sono accompagnati dal foglietto illustrativo perché ogni prodotto ha caratteristiche psico – fisiche tali che può essere usato per diverse patologie, e quindi il medico non prescrive quel prodotto per una sintomatologia, ma per un determinato biotipo.

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Che significa “effetto placebo” e perché un placebo funziona?

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICA EFFETTI COLLATERALI CONTROIl placebo (dal latino placere, letteralmente “io piacerò”) è una una sostanza priva di principi attivi specifici, ma che sono amministrate come se avessero veramente proprietà curative o farmacologiche. Lo stato di salute del paziente che ha accesso a tale trattamento in teoria non dovrebbe migliorare grazie ad un placebo, dal momento che non contiene alcun principio attivo farmacologico, cioè nessuna sostanza che possiede una attività biologica terapeutica. Nonostante ciò, la salute di un paziente può realmente migliorare grazie ad un placebo, ma solo a condizione che il paziente riponga fiducia in tale sostanza o terapia. Questo miglioramento indotto dalle aspettative positive del paziente è detto “effetto placebo”.
L’effetto placebo non è circoscritto solo ad alcune patologie ma si può manifestare nel corso di terapie sia di malattie mentali che di psicosomatiche e somatiche, potendo coinvolgere quindi ogni sistema o organo del paziente.

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Sperimentazione in doppio cieco
Nel caso di una terapia con principi attivi specifici, l’effetto imputabile alle aspettative del paziente può sovrapporsi e aggiungersi all’effetto diretto della terapia: per distinguere tra l’effetto placebo e l’effetto diretto della terapia bisogna ricorrere a studi clinici controllati. In particolare, nella sperimentazione clinica, un nuovo farmaco si giudica efficace solo se dà risultati significativamente diversi da un placebo. La sperimentazione circa l’effetto placebo avviene in “doppio cieco”, cioè una sperimentazione dove né chi compie il test, né il paziente sono al corrente di quale sia il farmaco e quale il placebo.

Come è possibile che il placebo funzioni?
L’effetto placebo e i suoi principi di funzionamento sono prevalentemente stati compresi ed interpretati in termini psicologici: il meccanismo alla base è psicosomatico nel senso che il sistema nervoso, in risposta al significato pieno di attese dato alla terapia placebica prescrittagli, induce modificazioni neurovegetative e produce una serie numerosa di endorfine, ormoni, mediatori, capaci di modificare la sua percezione del dolore, i suoi equilibri ormonali, la sua risposta cardiovascolare e la sua reazione immunitaria. In una certa misura possono confondersi con l’effetto placebo anche la guarigione spontanea di un sintomo o di una malattia, così come pure il fenomeno della regressione verso la media. In altre parole il paziente si rivolge al medico “quando proprio non ne può più” e poi i suoi disturbi rientrerebbero comunque nella media. Questo ritorno ai livelli normali del disturbo può essere scambiato per effetto placebo.
Alcuni sostengono che sia difficile analizzare il fenomeno del placebo e dell’effetto, poiché in base ai propri modelli culturali si privilegiano ora le caratteristiche del placebo, ora le dinamiche del rapporto medico-paziente, ora l’ipotesi di una determinante personologica; da qui anche la distinzione tra chi risponde al placebo (placebo responders) e chi non è ricettivo all’effetto placebo (non responders). Alcuni autori affermano che ci siano alcuni fondamentali elementi costitutivi dell’effetto placebo: il farmaco placebo o mezzo, l’operatore o terapeuta, la capacità del paziente di rispondere o di essere refrattario al placebo, l’ambiente nel quale si effettua il trattamento.
Negli studi clinici controllati (in cui un farmaco “nuovo” lo si confronta spesso con il placebo per definirne l’efficacia specifica) il dilemma etico è invece se sia corretto usare come confronto il placebo quando esistono già in commercio farmaci di efficacia documentata i quali potrebbero venire essi usati per il confronto con il farmaco nuovo.
Ci sono al riguardo posizioni più radicali negative e altre più conciliative, secondo le quali l’uso del placebo è ammissibile anche in questo caso, ma condicio sine qua non è che: 1) i soggetti avviati a trattamento con placebo abbiano dato ad hoc un consenso libero e adeguatamente informato e 2) che la non erogazione di un trattamento efficace già disponibile non comporti comunque pericoli o conseguenze gravi.
La determinazione e l’accertamento dei meccanismi d’azione del placebo è complicata dal numero di variabili che intervengono nel determinare l’effetto e ogni studioso tende a privilegiare ora una strada ora un’altra (ad esempio i ricercatori di indirizzo biologico cercano spiegazioni dell’effetto placebo in meccanismi molecolari e neurochimici, così quelli di indirizzo psicologico si rifanno alle teorie psicodinamiche).
È tuttavia plausibile sostenere che nell’effetto placebo entrino in gioco molteplici fattori, tra questi:

  • fattori biologici (ad es. le endorfine che medierebbero l’effetto antalgico placebo)
  • suggestione e l’autosuggestione

In definitiva, il placebo, sebbene mal definibile in termini di causazione, può essere inteso come un insieme di fattori extrafarmacologici capaci di indurre modificazioni dei processi, anche biologici, di guarigione intervenendo a livello del sistema psichico: non per nulla molti autori considerano quasi sinonimi i termini placebo e suggestione.

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Effetti del placebo
Per delle patologie con una rilevante componente psicosomatica (p. es. emicrania o insonnia) l’analisi di prove “in cieco” dimostrano un effetto placebo fino all’80% con un valore medio tra il 35 ed il 40%, variabilità che in misura rilevante dipende (ma non solo) dalla patologia. Anche negli studi in doppio cieco si può dimostrare che, raddoppiando la dose di placebo (che pure è privo di attività specifica), si ottiene un effetto terapeutico superiore a quello indotto da una dose minore. L’effetto placebo è riscontrabile anche in patologie organiche come l’artrite reumatoide, l’osteoartrite o l’ulcera peptica e persino in pazienti sottoposti ad intervento chirurgico. In alcuni interventi di cardiochirurgia, o in artroscopia, o anche attuati in soggetti sofferenti di dolore addominale persistente, sottoposti a precedenti interventi sull’addome per rimuovere le aderenze, la terapia chirurgica fasulla (sham operation) ha prodotto gli stessi benefici di quella vera. Moerman sottolinea come non si tratti solo di un effetto di suggestione ma di una risposta biochimica, ormonale e immunitaria del corpo, in risposta al significato attribuito dal soggetto all’atto terapeutico. È dimostrato che qualunque terapia medica, comprese quelle complementari alternative, se attuata in un clima di fiducia reciproca tra paziente e terapeuta, anche grazie all’effetto placebo, può apportare benefici al paziente stesso. Alcuni studi hanno provato a dimostrare che i placebo possono anche avere effetti positivi sulla esperienza soggettiva di un paziente che è consapevole di ricevere un trattamento senza principi attivi, rispetto a un gruppo di pazienti controllato che consapevolmente non ha ottenuto un placebo.

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Quali farmaci possono danneggiare l’erezione?

MEDICINA ONLINE FARMACO MEDICINALE PRINCIPIO ATTIVO FARMACIA PILLOLA PASTIGLIA DINITROFENOLO DNP DIMAGRIRE DIETA FARMACI ANORESSIZANTI MORTE EFFETTI COLLATERALI FOGLIO FOGLIETTO ILLUSTRANumerosi farmaci interferiscono con il desiderio, l’erezione e l’eiaculazione. Alcuni utilizzati per la cura della depressione come gli antidepressivi triciclici, a fronte di una elevata efficacia rispetto ai sintomi depressivi , determinano deficit erettile, riduzione della libido e dell’eiaculazione.

Possono causare deficit erettile gli antiandrogeni per la terapia del cancro della prostata, alcuni farmaci utilizzati nella terapia di malattie psichiatriche, gli H2 antagonisti come la Cimetidina e la Finasteride per la terapia della ipertrofia prostatica benigna.

Inoltre alcuni antipertensivi per esempio i betabloccanti possono causare deficit erettile ed anche cambiando la terapia antipertensiva, spesso non si recupera una normale capacità erettile, poiché non è il farmaco a provocare il danno ma è la alterata condizione dei vasi sanguigni che provoca la disfunzione sessuale.

Altri farmaci interferiscono con l’eiaculazione: come le fenotiazine (clorpromazina), l’aloperidolo e gli alfa bloccanti utilizzati nella terapia del disturbo di svuotamento vescicale, spesso associato a ipertrofia prostatica benigna.

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Reflusso gastroesofageo: terapia farmacologica e chirurgica

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Chirurgia Roma Cavitazione Pressoterapia Dietologo Cellulite Calorie Peso Dieta Sessuologia PSA Pene Laser Sesso Filler Rughe Seno Grasso Botulino CHIRURGO VA IN SCIPERO OPERAZIONE PAZIENTE ADDOME APERTOPrima di iniziare la lettura vi consiglio di leggere questo articolo: Reflusso gastroesofageo: sintomi, diagnosi e cura

La cura della malattia da reflusso gastroesofageo si basa su:

  • correzione dello stile di vita, in particolare modificazione della dieta e dello stile di vita (soprattutto cessazione del fumo ed evitare abbuffate prima di andare a dormire);
  • terapia famacologica;
  • terapia chirurgica.

La terapia è solitamente basata su alcune norme igienico-dietetiche di base, e sull’assunzione (per periodi più o meno prolungati) di farmaci appartenenti alle classi degli inibitori di pompa protonica/IPP (che inibiscono notevolmente la produzione acida nello stomaco) e degli anti-H2[10] (in gran parte però soppiantati dai più moderni e potenti IPP); non è comprovata l’efficacia dei procinetici. Gli antiacidi e gli alginati sono usati al bisogno a fini di sollievo sintomatico. L’intervento chirurgico viene relegato a quei casi in cui le norme comportamentali ed i farmaci, non hanno risolto il problema. Viene eseguito in chirurgia laparoscopia. Ha lo scopo di ripristinare la normale funzionalità dello sfintere gastroesofageo.

Complicanze

Nei casi più gravi, si verifica una grave esofagite, inoltre il danno epiteliale può evolvere verso una forma di metaplasia detta esofago di Barrett. In ogni caso il paziente con frequenza e persistenza di sintomi di MRGE è ritenuto ad alto rischio di sviluppo dell’adenocarcinoma del tratto distale dell’esofago, in presenza o meno dell’esofago di Barrett.

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Acidità di stomaco: come combatterla con i farmaci antiacidi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma STOMACO ANATOMIA FUNZIONI SINTESI macro Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneUn “antiacido” è un composto chimico, genericamente uno o più sali basici, che neutralizza l’acidità. I farmaci antiacidi sono una categoria di farmaci che comprende tutti quelli impiegati per contrastare l’acidità gastrica e i suoi effetti negativi.
L’ambiente interno dello stomaco è fisiologicamente caratterizzato da un certo grado di acidità, perché tale condizione è necessaria allo svolgimento della digestione.
Alcune cellule specializzate della mucosa gastrica (cellule parietali) secernono continuativamente acido cloridrico, aumentando la propria attività in occasione dei pasti fino a raggiungere il livello di acidità (la cui misura è il pH) indispensabile al funzionamento degli enzimi digestivi (pari a un pH molto basso: compreso tra 1 e 3).
Allo scopo di preservare la mucosa da questa forte acidità altre cellule (cellule mucipare) producono sostanze protettive, che creano sulla sua superficie una sorta di barriera.
L’attività delle varie cellule è regolata da un complesso sistema di ormoni e neurotrasmettitori: gastrina, acetilcolina e istamina stimolano le cellule parietali; prostaglandine E e I stimolano le cellule mucipare.

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Tipi di antiacido
I farmaci attivi contro l’acidità gastrica sono distinti in tre gruppi sulla base del loro meccanismo di azione:

  • composti che neutralizzano chimicamente l’acidità dei succhi gastrici (antiacidi propriamente detti);
  • molecole che inibiscono la secrezione di acido cloridrico da parte delle cellule della mucosa gastrica (antisecretori);
  • molecole che esercitano un’azione protettiva sulla mucosa gastrica (citoprotettori).

Antiacidi propriamente detti
Rappresentano il rimedio di effetto più immediato contro i sintomi da iperacidità gastrica, perché grazie alle loro caratteristiche chimiche neutralizzano i composti acidi direttamente nello stomaco.
Di uso comune sono i sali di magnesio, di alluminio di sodio o di calcio (bicarbonati e citrati).

Antisecretori
In questo gruppo esistono due tipi di farmaci:

  • gli inibitori della pompa protonica, che modificano il funzionamento delle cellule parietali (per esempio l’omeprazolo);
  • gli antagonisti del recettore H2, che impediscono all’istamina di stimolare la secrezione acida (per esempio la ranitidina).

Citoprotettori
Anche tra questi farmaci ci sono composti diversi. I più comuni sono:

  • il sucralfato (complesso di idrossido di alluminio e saccarosio solfato), che aumenta la resistenza dello strato protettivo prodotto dalle cellule mucipare e ne stimola l’attività;
  • il bismuto colloidale, che forma sulla mucosa gastrica una pellicola protettiva;
  • il misoprostolo (chimicamente simile a una prostaglandina E), che stimola le cellule mucipare;
  • gli alginati (composti di origine naturale), utilizzati in particolare per bloccare il reflusso gastro-esofageo perché formano un gel sopra il contenuto dello stomaco che ne impedisce la risalita.

Quando si usano?
I farmaci contro l’acidità gastrica sono indicati sia per attenuare i sintomi dovuti a un eccesso di acidità (dolore, bruciore) sia per curare le patologie conseguenti agli effetti diretti dell’acidità (gastrite, ulcera peptica, esofagite da reflusso).
Per il primo scopo possono essere utili gli antiacidi assunti al bisogno. Gli altri due gruppi di farmaci hanno invece un’applicazione più propriamente terapeutica, se utilizzati in presenza di gastrite e ulcera, o anche profilattica, se utilizzati, per esempio, per prevenire gli effetti collaterali gastrici degli antinfiammatori non steroidei (FANS).

Effetti collaterali
I farmaci contro l’acidità gastrica hanno raramente effetti indesiderati importanti.
Da tenere presente, invece, è il fatto che alterando l’ambiente chimico dello stomaco sono in grado di influenzare in modo sensibile l’assorbimento di molti altri farmaci (modificandone quindi gli effetti).

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Tendinite del rotuleo: cause, sintomi e rimedi dell’infiammazione

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma Ecografia Spalla Ginocchio Traumatologia Gambe Esperto Referto THD Articolare Sesso Sessualità Uomo ARTICOLAZIONE GINOCCHIO FATTA ESAMI PATOLOGIE Medicina Estetica Radiofrequenza Cavitazione Grasso HDLa tendinite del rotuleo è una patologia del ginocchio molto frequente che consiste nell’infiammazione del tendine rotuleo e che colpisce il tendine rotuleo maggiormente nel punto dove inizia, ovvero nella sezione inferiore della rotula. Il tendine rotuleo rientra nell’apparato estensore del ginocchio e quando il muscolo quadricipite si contrae, lo traziona insieme alla tibia e alla rotula, e il ginocchio si estende. Questa patologia è molto frequente fra gli sportivi che praticano il basket, la pallavolo, il calcio, l’atletica leggera ed il sollevamento pesi. Sono tutti sport che necessitano uno sforzo ripetitivo del muscolo quadricipite che sollecita continuamente il tendine rotuleo fino a procurargli una lesione.

Cause
La causa principale che provoca la tendinite del rotuleo, risiede della sollecitazione ripetuta del tendine rotuleo che porta a delle piccole lesioni che tendono a degenerare nel corso del tempo soprattutto continuando ad allenare la zona dei quadricipiti. Altre cause che, a lungo andare, possono far sviluppare la patologia sono:

  • – un disallineamento del femore e della rotula;
  • – la rotula alta;
  • – un eccessiva rotazione della tibia;
  • – una cattiva estensione del muscolo retto-femorale.

La tendinite del rotuleo può manifestarsi in maniera aggressiva anche a seguito di un utilizzo scorretto delle calzature.

Sintomi
Il sintomo principale della tendinite del rotuleo è un dolore localizzato nella parte anteriore del ginocchio che si presenta a seguito di uno sforzo prolungato (come un allenamento specifico del quadricipite) oppure quando si resta fermi nella medesima posizione per un lungo lasso di tempo (ad esempio quando si resta inginocchiati a lungo). Quando la tendinite del rotuleo inizia a manifestarsi, il dolore iniziale tende a scomparire a seguito di un periodo di riposo. Col passare del tempo e con il peggioramento della patologia, il dolore persiste anche durante e a seguito di un periodo di riposo. Per questo motivo è una patologia che va curata al principio, onde evitare che diventi cronica.

Rimedi
La tendinite del rotuleo, come già anticipato, va curata a partire dai primi sintomi per evitare conseguenze irreversibili come la rottura del tendine. E’ importante rivolgersi ad un medico specializzato per intraprendere una cura specifica perché è una patologia specifica per ogni paziente.
Tra i possibili rimedi vanno menzionati:

  • il riposo;
  • utilizzo del ghiaccio sulla parte dolorante;
  • stretching rotuleo;
  • farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS).

Solo in casi gravi è previsto l’intervento chirurgico che prevede la scarificazione, la pulizia del tendine e una lunga riabilitazione post-operatoria che permetta il recupero delle funzioni vitali del tendine rotuleo.

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Stitichezza o stipsi acuta e cronica: terapie farmacologiche

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma STITICHEZZA STIPSI ACUTA CRONICA FARMACI TERAPIE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata.jpgI farmaci usati nel trattamento della stipsi sono diversi: antrachinoni, lassativi di volume, emollienti/lubrificanti, anticolinesterasici (o para-simpaticomimetici), lassativi salini.

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Antrachinoni (o lassativi di contatto): agiscono aumentando la motilità intestinale, ma i loro effetti collaterali (crampi addominali) ne ostacolano l’impiego. Non sono raccomandati per la cura dell’ostruzione intestinale.

  • Bisacodile (es. Dulcolax, Stixenil, Alaxa): assumere per os 5-10 mg di farmaco la sera (effetto in 10-12 ore); in alternativa, assumere per via rettale 5 mg di farmaco alla mattina, sottoforma di supposte (effetto in 20-60 minuti)
  • Senna (es. Xprep, Agiolax, Pursennid, Falquilax): il farmaco esercita la propria attività terapeutica in 8-12 ore. Disponibile in polvere e solvente per soluzione orale, assumere uno o due cucchiaini di prodotto alla sera. Non superare la dose consigliata.
  • Docusato sodico (es. Macrolax, Sorbiclis): assumere per via orale max. 500 mg di farmaco al dì, preferibilmente in dosi frazionate.

Altri farmaci appartenenti a questa categoria possono essere costituiti da: olio di ricino, cascara, frangula, rabarbaro, aloe.

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Lassativi di volume: aumentando la massa fecale, i lassativi di volume favoriscono la peristalsi. È doveroso sapere che questi farmaci espletano la propria attività terapeutica dopo alcuni giorni di trattamento: l’effetto, pertanto, non è immediato. Sono indicati generalmente per i pazienti che non assumono fibre a sufficienza con l’alimentazione. I lassativi di volume devono sempre essere associati ad un’abbondante assunzione di liquidi, per evitare l’ostruzione intestinale.

  • Metilcellulosa: esercita la propria funzione anche come emolliente. Assumere il farmaco per la cura della stitichezza alla posologia di 2 tavolette da 1 grammo, con abbondante acqua, 6 volte al dì. Consultare il medico.
  • Gomma Sterculia (es. Normacol): assumere 2-4 bustine al dì, contenenti ognuna 6,1 grammi di gomma sterculia. Si raccomanda di assumere il prodotto con abbondante acqua per la cura di episodi saltuari di stitichezza.
  • Semi di Psillio (es. Fibrolax): si raccomanda di assumere il farmaco per via orale, alla posologia di 3,5 grammi dopo i pasti, 2-3 volte al dì, per 2-3 giorni. Assumere il prodotto per la cura della stitichezza con molta acqua, al fine di aumentare il contenuto fecale.

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Emollienti/lubrificanti: il capostipite di questa classe di farmaci è la paraffina liquida: gli attivi sono indicati in caso di emorroidi e ragadi nel contesto della stitichezza.

  • Paraffina liquida (es. Lacrilube, Paraf L BIN): la posologia indicativa è 10-30 ml, quando necessario.
  • Olio d’arachidi: formulato sottoforma di clismi, lubrifica ed ammorbidisce il contenuto intestinale (compatto), favorendo la motilità intestinale.
  • Glicerina (es. Supposte di Glicerina San Pellegrino): sottoforma di clismi, assumere 5,6 grammi di farmaco per via rettale; in alternativa, inserire una supposta da 2-3 grammi, al bisogno.

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Lassativi osmotici: attraverso un meccanismo osmotico, questi farmaci sono in grado di trattenere i liquidi nell’intestino, oppure agiscono modificando la distribuzione dei liquidi nella massa fecale:

  • Lattulosio (es. Duphalac, Epalfen, Normase): si raccomanda di iniziare la cura per la stitichezza con una posologia bassa (15 ml di soluzione al 62-74%), due volte al dì. La dose va modificata secondo la gravità della condizione.
  • Macrogol (es. Movicol, Isocolan, Selg Esse, Moviprep, Paxabel): la dose va stabilita in base al soggetto.

Anticolinesterasici (o para-simpaticomimetici): questi farmaci contro la stitichezza sono chiamati così perché aumentano l’attività del sistema parasimpatico nell’apparato digerente, favorendo di conseguenza la peristalsi. Non rappresentano i farmaci di prima linea per trattare la stitichezza, dato che comportano numerosi effetti collaterali di tipo gastro-intestinale.

  • Betanecolo(es. Myocholine): è un farmaco agonista colinergico utilizzato – seppur raramente – per svuotare la vescica, ed esercitare un blando effetto procinetico. In genere, viene assunto per via orale alla posologia di 10-50 mg tre volte al dì: la modalità di somministrazione va rispettata secondo le indicazioni del medico.
  • Neostigmina (es. Prostigmina): reperibile in fiale (1ml) per iniezione intramuscolare/endovenosa lenta o in compresse da assumere per bocca. La peristalsi intestinale è osservabile dopo 20-30 minuti dall’iniezione. Eventualmente, per facilitare il transito, è possibile applicare un clistere (150-200 ml al 15-20% di glicerina), dopo 30 minuti dall’iniezione.

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Lassativi salini: indicati per uso occasionale nel trattamento della stitichezza o prima di un intervento chirurgico a livello del colon (l’intestino dev’essere completamente pulito).

  • Fosfati (es. Sod Fos Sof Clisma, Sod Fos Zet Clisma): utilizzati per lo più prima di esami radiologici all’intestino o interventi chirurgici. La posologia va stabilita dal medico.
  • Idrossido di magnesio (ES. Magnesia, Maalox): sono impiegati quando è richiesto un rapido svuotamento dell’intestino. Assumere il farmaco preferibilmente al mattino: in genere è necessario un cucchiaino di prodotto con abbondante acqua (il farmaco è reperibile come polvere per sospensione orale da 90 grammi di attivo su 100 grammi di prodotto). L’uso smodato può dare coliche.
  • Sodio Citrato (es. Biochetasi, Novilax): per riequilibrare la motilità intestinale nel contesto della stitichezza, assumere due compresse effervescenti (425 mg di sodio citrato) tre volte al dì, con acqua.

Per approfondire: Farmaci lassativi per la stitichezza: i più efficaci, con e senza ricetta

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