Emorragia cerebrale: non operabile, coma, morte, si può guarire?

MEDICINA ONLINE MORTE COSA SI PROVA A MORIRE TERMINALE DEAD DEATH CURE PALLIATIVE TERAPIA DEL DOLORE AEROPLANE TURBINE CHOCOLATE AIR BREATH ANNEGATO TURBINA AEREO PRECIPITA GRATTACIELO GL’emorragia cerebrale (in inglese conosciuta come intracranial hemorrhage, intracranial bleed o ICH), corrisponde ad una fuoriuscita più o meno abbondante di sangue da un vaso arterioso o venoso dell’encefalo. La fuoriuscita di sangue ha la principale conseguenza di un danno alle cellule celebrali, a causa sia della privazione del nutrimento garantito dal flusso sanguigno, che della compressione dell’ematoma sul tessuto cerebrale che si crea all’interno del cranio dal momento che quest’ultimo è inespandibile. Tale fuoriuscita di sangue è provocata dalla rottura di un vaso sanguigno che può essere sia il risultato di un picco ipertensivo che è andato a rompere un vaso cerebrale già dilatato (aneurisma cerebrale), oppure la conseguenza di un trauma, ad esempio una caduta o un incidente stradale in cui la testa viene sottoposta ad una forte decelerazione ed impatto.

Conseguenze dell’emorragia cerebrale

Le conseguenze di una emorragia variano grandemente in base a molti fattori come ad esempio:

  • lo stato di salute del paziente;
  • la sua età;
  • la zona in cui si è verificata l’emorragia;
  • la tempestività con cui il paziente è stato sottoposto a cure mediche.

L’emorragia cerebrale è comunque un evento grave, in alcuni casi gravissimo, che mette a rischio la sopravvivenza di chi lo subisce. Le sue conseguenze possono essere irreversibili o solo lievemente reversibili e rappresentare il motivo di serie disabilità cognitive e/o fisiche per il resto della vita che diminuiscono solo parzialmente con le terapie riabilitative attualmente conosciute. In alcuni casi più gravi il paziente può morire in pochi minuti per le conseguenze dell’emorragia, in altri casi altrettanto gravi il paziente sperimenta una serie di sintomi prima di entrare in stato di coma. Tali sintomi di norma compaiono all’improvviso subito dopo il trauma e possono evolvere anche molto rapidamente. Essi sono:

  • cefalea intensa ed improvvisa (descritta spesso come un colpo di pugnale alla nuca);
  • vomito;
  • nausea;
  • compromissione dello stato di coscienza e del controllo degli sfinteri;
  • emiparesi o emiplegia;
  • disturbi del linguaggio (disartria o afasia);
  • disturbi della sensibilità;
  • disturbi della coordinazione.

Molto spesso tali eventi si verificano molto presto la mattina, ciò a causa del tipico aumento della pressione arteriosa che si verifica in questi orari e che rende più probabile, ad esempio, una emorragia cerebrale da rottura di un aneurisma. Capita quindi non di rado che il soggetto venga ritrovato dai famigliari la mattina nel suo letto, in uno stato compromesso che gli ha impedito di chiedere aiuto e ciò tende a peggiorare la prognosi, dal momento che ritarda il momento delle cure.

Purtroppo spesso accade che il paziente colpito da emorragia cerebrale, entri in coma e rimanga in stato di incoscienza fino alla morte, che può sopraggiungere in tempi estremamente variabili in base all’età, alla gravità del danno cerebrale ed allo stato di salute generale del paziente. In tali casi, specie se il coma si protrae a lungo, anche se il paziente esce dal coma, difficilmente potrà tornare a svolgere una vita normale, a causa dei danni irreparabili dovuti all’emorragia cerebrale.

In altri casi il paziente rimane cosciente, ma può avere dei danni molto variabili, che riflettono la zona e la gravità del danno cerebrale, come ad esempio disturbi del linguaggio (afasie), anosognosia, disturbi del movimento, della vista… Sono comunque disponibili dei trattamenti riabilitativi che riducono, per quanto possibile, le invalidità del paziente.

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Si può guarire?

Le reazioni dell’organismo ad una emorragia, come abbiamo visto, sono estremamente variabili. Ciò dipende anche molto dalla tempestività in cui si effettuano i trattamenti medici. L’intervento chirurgico per la riduzione dell’ematoma può migliorare la situazione. Nei pazienti per i quali non è necessario l’intervento chirurgico è fondamentale un attento e continuo monitoraggio dello stato neurologico e dei parametri vitali: particolare attenzione deve essere rivolta al controllo dell’ipertensione arteriosa. In caso di importante edema cerebrale non operabile può essere richiesta la somministrazione di diuretici osmotici per ridurre l’edema (riassorbimento dell’ematoma) e ridurre la possibilità di danni al tessuto cerebrale. In caso di emorragia cerebrale in concomitanza con una terapia anticoagulante si fa solitamente uso di preparati in grado di ripristinare la normale coagulazione del sangue (vitamina K, protamina, concentrati piastrinici).

Una volta stabilizzate le condizioni del paziente, la sua prognosi rimane generalmente molto variabile in base alla tipologia di sanguinamento, dalle dimensioni dello stesso e dalla causa che lo ha provocato. Inoltre, le condizioni cliniche morbose preesistenti nel paziente possono influire in maniera negativa sulla prognosi. Molto temibili sono le problematiche di natura non neurologica che si possono sovrapporre in un paziente affetto da emorragia cerebrale. Le più frequenti sono di ordine infettivo (infezione delle vie urinarie e polmoniti in prima battuta). Seguono complicanze di ordine cardiaco in particolar modo aritmie cardiache, problematiche legate alla formazione di lesioni da decubito nei pazienti in coma o parzialmente immobilizzati, e non dimentichiamo la possibilità di un ulteriore episodio di sanguinamento cerebrale durante la degenza.

I pazienti che sopravvivono ad una emorragia cerebrale possono giovare di alcuni interventi riabilitativi, che possono migliorare la condizione cognitiva e/o fisica del paziente, anche se, per la mia esperienza, difficilmente un paziente colpito da emorragia cerebrale – specie se entrato in coma e/o anziano e/o già debilitato per altre patologie – tornerà ad essere lo stesso di prima, questo è un dato spiacevole ma deve essere chiaro fin da subito ai famigliari del paziente. Ciò però non significa che si deve perdere ogni speranza. 

Riabilitazione

L’emorragia cerebrale determina una lesione cerebrale, ed il cervello è quell’organo che ci permette di organizzare attraverso i processi cognitivi, il nostro comportamento e movimento, oltre alle nostre facoltà di linguaggio e di ragionamento.  Pertanto tutte le conseguenze di una emorragia cerebrale, vanno analizzate considerando l’alterazione dei processi cognitivi causata dall’emorragia stessa. Ho ritenuto necessario fare questa ovvia precisazione, perché comprendere al meglio le conseguenze di emorragia cerebrale, significa scegliere la migliore riabilitazione per il recuperoInfatti purtroppo spesso, le conseguenze di una emorragia cerebrale vengono individuate nei soli effetti visibili quali emiparesi e spasticità (condizione di ipertono dei muscoli), tralasciando gli aspetti cognitivi prima citati, questo non fa altro che indurre a scegliere una riabilitazione incentrata sui muscoli.  La riabilitazione post emorragia cerebrale deve coincidere con il reale problema che ha determinato le conseguenze appena descritte, dovrà quindi coinvolgere e riattivare i processi cognitivi alterati dell’emorragia cerebrale.  Attualmente la riabilitazione cognitiva, conosciuta anche come Metodo Perfetti è la risposta riabilitativa post emorragia cerebrale più adatta e corente con le reali problematiche e conseguenze. 

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Morto il bodybuilder Rich Piana a causa degli anabolizzanti e dell’abuso di droghe

MEDICINA ONLINE BREAKING NEWS Rich Piana Is DEAD DEATH COMA OVERDOSE MORTE BODY BUILDING DOPING LETTERA MUSCOLI COME RICONOSCERE DOPATO IN PALESTRA ATLETA TEST ANTIDOPING RECORD ANABOLIZZANTI GH ORMONE CRESCITA DIURETICI 01Oggi, 25 agosto 2017, è purtroppo deceduto un altro bodybuilder: dopo la morte di Dallas McCarver, avvenuta appena tre giorni fa, ci ha lasciato anche Rich Piana. Ancora ignote le cause precise della morte del celebre culturista ed imprenditore statunitense, forse dovuta ad arresto cardiaco. L’abuso di farmaci dopanti e di droghe sembrerebbe aver avuto un ruolo fondamentale nella tragica fatalità. Quello che si sa con certezza è che dallo scorso 11 agosto Rich Piana lottava tra la vita e la morte. Il famoso bodybuilder statunitense, nato da madre di origine armene e padre di origini italiane, era in coma farmacologico dal 17 agosto, quando aveva perso i sensi e, cadendo a terra, aveva battuto la testa. “Overdose da farmaci anabolizzanti“, la prima diagnosi dei medici accorsi nella sua abitazione dopo una chiamata della compagna, anche se altre fonti parlano invece di “overdose da eroina“. L’uomo aveva perso i sensi nella sua casa in Florida dove sono stati poi ritrovati 20 flaconi di anabolizzanti, oltre a vari altri farmaci. Piana aveva 46 anni ed era uno dei culturisti più famosi del mondo, noto con il soprannome di “Hulk“. Tempo fa aveva pubblicamente ammesso di aver assunto steroidi per 30 anni nella sua carriera, cioè da quando aveva appena 16 anni.

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Supermutante da 143 kg

Sui social Richard Eugene “Rich” Piana si definiva atleta ma anche «supermutante». “Non mi pento di nulla, rifarei tutto” ha detto alcuni mesi fa commentando i suoi eccessi. Figlio di una culturista, ha iniziato con il body building quando aveva solo 11 anni, seguendo le orme della madre, e gareggiava già a 15 anni. Rich era una superstar su Instagram ed era ormai diventato milionario. Era alto 183 cm ed il suo peso oscillava tra i 100 ed i 143 kg. Dai 18 anni in poi, Piana è arrivato settimo e undicesimo nei campionati di bodybuilding nazionali. Ha raccolto diversi titoli da uno Stato all’altro ed ha vinto un primo premio in California. Ha vinto il titolo “IFBB Mr. Teen California” nel 1989, “IFBB Mr. California” nel 1998 e la competizione NPC nel 2003 e 2009. Nel 2014 ha fondato una sua linea di integratori e abbigliamento, la “Rich Piana 5% Nutrition”. Piana stimava di aver speso fino a 2500 dollari al mese nei momenti più intensi della sua dipendenza dagli steroidi.

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Se potete, rimanete puliti, ma…

L’ultima sfida del culturista nato a Glendale (Los Angeles) il 26 settembre 1970 è stata seguita dai suoi numerosissimi fan sui social: si tratta del programma «Bigger By The Day», che significa “più grosso ogni giorno”. Un programma mostruoso il suo, a base di allenamenti estremi, 9/10 pasti quotidiani a base di proteine ed il supplemento di steroidi e vari altri tipi di farmaci per aumentare massa, definizione e prestazioni. Il culturista è stato sepolto nel Forest Lawn Memorial Park a Hollywood Hills, in California. Piana ha più volte pubblicamente ammesso l’uso di steroidi anabolizzanti durante la sua carriera nel bodybuilding, iniziando quando era addirittura minorenne. Piana, travolto sui social dalle critiche, spiegava così la sua filosofia:

“Se potete, rimanete puliti, ma se volete diventare bodybuilders professionisti, non avete scelta. Non c’è motivo per usare gli steroidi, si sta male e fa male al corpo, se però non ne potete fare a meno come me, sarete completamente soddisfatti della scelta”

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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L’ultimo sorpasso: la morte del grande Gilles Villeneuve

MEDICINA ONLINE GP BELGIO GILLES VILLENEUVE MORTO INCIDENTE FOTO DIED DEATH PICTURES ROSSI WALLPAPER MOTO GP GRAN PREMIO PILOTE MORT PICTURES HI RES PHOTO LOVE MEMORY REST IN PEACE RIP HEART CASCO TESTA TRAUMALa nostra storia inizia qualche giorno prima dell’incidente. Era il 25 aprile 1982, si correva il Gran Premio di San Marino di Formula Uno, a Imola, ed i due piloti della Ferrari Gilles Villeneuve e Dider Pironi furono protagonisti di una rivalità che generò anche molte polemiche all’interno del team, a causa di alcuni ordini di scuderia poco chiari. A causa di queste incomprensioni, Villeneuve, che era saldamente in testa alla corsa, rallentò e si fece raggiungere da Pironi: i due battagliarono per diversi giri, ma alla fine Pironi superò il compagno di squadra alla quartultima curva della gara. Da quel giorno, dopo la gara di Imola, Villeneuve, infuriato, non rivolse più la parola a Pironi. Il canadese fino a quel momento aveva vinto poco ma era amatissimo dai tifosi della Ferrari per il suo stile di guida molto aggressivo e spettacolare. Sarebbe morto solo 13 giorni dopo in Belgio, a Zolder, durante le prove del successivo Gran Premio.

L’incidente

Era l’8 maggio 1982. La Ferrari 126 C2 di Gilles Villeneuve era scesa in pista per le qualificazioni e stava tornando ai box quando – alle 13.53, a sette minuti dalla fine delle qualifiche del Gran premio del Belgio – si trovò di fronte la March di Jochen Mass, che procedeva lentamente. Villeneuve cercava di passarla sulla destra, proprio dove il pilota tedesco indirizzava la sua vettura per dargli strada. La sfortuna volle che la ruota anteriore sinistra della Ferrari, molto più veloce, centrò la posteriore destra della March. La monoposto rossa è decollata letteralmente e quando la macchina rimbalzò sull’erba, uno dei pannelli honeycomb della scocca, posto tra lo schienale del sedile e la paratìa frontale del serbatoio, cedette, trascinando con sé gli attacchi delle cinture di sicurezza: Villeneuve fu sbalzato fuori dall’abitacolo con il sedile ancora attaccato a lui, e ricadde scompostamente dopo un volo di 50 metri. Nelle immagini televisive lo si intravede volare, e precipitare su un paletto di plastica che sostiene una rete di protezione. L’impatto contro il paletto di plastica provoca un distacco netto fra prima e seconda vertebra cervicale. La situazione appare drammatica fin da subito. Nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Gilles verrà tenuto in vita grazie a stimolazioni elettriche al cuore ma le conseguenze dell’impressionante incidente furono purtroppo fatali per il pilota canadese. I rottami della macchina volarono in tutte le direzioni: nella carambola, Villeneuve perse anche le scarpe, che vennero ritrovate ben a duecento metri dal luogo dell’incidente, e il casco, che ricadde a cento metri, mentre il volante della Ferrari volò a centottanta metri di distanza.

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I soccorsi

Sul posto si trovavano alcuni commissari ed un medico, che immediatamente diedero l’allarme e soccorsero il pilota. La direzione di gara espose la bandiera rossa. Si fermarono nel frattempo alcuni piloti (lo stesso Mass, John Watson, René Arnoux, Derek Warwick, Eddie Cheever), che si precipitarono a verificare la situazione. Le condizioni di Villeneuve erano palesemente gravissime: era privo di sensi, flaccido, cianotico ed edematoso su viso e collo. Altre lesioni non si scorgevano, e il pilota presentava comunque attività cardiaca regolare, dunque gli uomini del soccorso e il dottor Sid Watkins (che giunse sul posto due minuti dopo il fatto) conclusero che doveva esservi una frattura della colonna vertebrale. Posero allora il suo collo in trazione e gli praticarono massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca. Una crescente folla di curiosi accorse sul luogo dell’incidente per capire cosa fosse accaduto: per evitare che intralciassero le operazioni di soccorso, commissari e piloti formarono un cordone umano per bloccare l’accesso, mentre altri nascondevano il corpo di Gilles con dei teli neri. Passò di lì nel frattempo anche Didier Pironi, che tuttavia si fermò per pochi secondi, tornandosene subito dopo ai box.

Il trasferimento

Dopo qualche minuto il pilota fu caricato a bordo dell’automedica, condotta dal direttore di gara Roland Bruynseraede, e trasferito al centro medico dell’autodromo, dove fu stabilizzato, per poi essere trasportato in elicottero alla clinica universitaria St. Raphael di Lovanio, dove un’équipe di medici rianimatori era pronta per prestargli le prime cure. Il dottor Watkins, che accompagnò Gilles lungo tutto il tragitto, nutriva tuttavia ben poche speranze. Gli stessi piloti che avevano visto le condizioni di Villeneuve tornarono ai box profondamente scossi: John Watson disse a tutti che Gilles era già morto. Intanto, Jody Scheckter, ex compagno di squadra di Villeneuve e suo caro amico, informato dell’accaduto dallo stesso dottor Watkins, telefonò alla moglie di Villeneuve, Joanna, che era rimasta a casa, a Monte Carlo, per la prima comunione della figlia Mélanie. Le disse che Gilles aveva avuto un incidente gravissimo, avvertendola di partire subito per il Belgio. Joanna diede in escandescenza, e la moglie di Scheckter, Pam, che era accorsa a casa Villeneuve, dovette somministrarle dei calmanti. Qualche ora dopo, Pam e Joanna salirono sul primo aereo per Bruxelles.

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La lesione

Giunto alla clinica di Lovanio, il capo rianimatore, professor De Looz, lo sottopose subito ad una TAC, che evidenziò la presenza di una grave lesione del tronco encefalico e la rottura (con conseguente distacco) delle vertebre cervicali, con gravissime lesioni midollari alla base del cranio. Tale lesione fu indotta o dall’impatto con il paletto della rete o dalla tremenda decelerazione (calcolata in 27 G) o, più probabilmente, dalla violentissima trazione esercitata sul collo dalle cinture di sicurezza nel momento in cui il sedile si era staccato dal telaio. De Looz concluse che non c’era nulla da fare e che se anche, per assurdo, Villeneuve fosse sopravvissuto, sarebbe comunque rimasto paralizzato dal collo in giù e in uno stato puramente vegetativo per quel che gli sarebbe restato da vivere. Gilles fu tenuto in vita artificialmente, fino alle 21,12 di quell’8 maggio 1982, il giorno della sua morte ad appena 32 anni.

Nella sua carriera ha disputato 68 Gran Premi (di cui 6 vinti), raggiunto 2 pole, 13 podi, 107 punti ed 8 giri veloci. Il suo miglior piazzamento fu il secondo posto nel campionato del 1979 con la Ferrari 312 T3 (T4 dal GP del Sudafrica).

Suo figlio Jacques è diventato nel 1997 il primo ed unico canadese campione del mondo dei piloti di Formula 1, sulla sua Williams Renault FW19, ai danni di Michael Schumacher sulla Ferrari F310B.

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Perché l’acqua di mare non si può bere?

MEDICINA ONLINE SOLE MARE COPPIA AMORE UOMO DONNA USTIONE SOLARE RADIAZIONE ABBRONZATURA PISCINA ACQUA NUOTO NUOTARE SPIAGGIA NUVOLEIn un normale regime alimentare assumiamo senza problemi il cloruro di sodio e, anzi, i suoi due componenti (Na e Cl) sono fondamentali per il corpo, eppure, Continua a leggere

Puntura di vespa e shock anafilattico: cosa fare e cosa NON fare?

MEDICINA ONLINE ITALIAN AMBULANCE DOCTOR NURSE AMBULANZA STRADA EMERGENZA INFERMIERE MEDICO PORTANTINO ITALIA PRONTO SOCCORSO OSPEDALE BARELLA CORSA MORTE MALATTIA DOLORE INCIDENTE ICTUS INFARTO WALLPAPER PIC HI RES.jpgIn caso di shock anafilattico da puntura di vespa, o anche solo di dubbio di shock anafilattico:

Cosa fare se si sospetta uno shock anafilattico:

  • Allertare immediatamente i soccorsi sanitari senza perdere tempo, magari cercando informazioni su internet!
  • Sebbene la terapia vera e propria sia di esclusiva competenza medica, è bene che il soccorritore conosca a grandi linee gli interventi da porre in essere. Il farmaco salvavita in corso di shock anafilattico è rappresentato dall’adrenalina (o epinefrina) somministrata per via endovenosa, preferibilmente in infusione lenta e continua. Ad essa si associano soluzioni infusionali di tipo elettrolitico o colloidale per compensare la vasodilatazione periferica, l’ipotensione e la fuoriuscita di fluidi intravascolari nei tessuti. Ulteriori farmaci possono rendersi necessari in relazione allo stato di compromissione funzionale degli organi interessati.
  • Se nei casi più lievi è generalmente sufficiente la somministrazione combinata di adrenalina ed antistaminici (che al pari dei corticosteroidi ostacolano l’attività dei mediatori vasoattivi coinvolti nello shock), in quelli più gravi è necessario assicurare il mantenimento della pervietà delle vie aeree, ricorrendo all’ossigenoterapia o ad interventi chirurgici in caso di necessità.
  • Di fronte al sospetto di shock anafilattico, in attesa dei soccorsi sanitari il malcapitato dev’essere posto nella posizione antishock → supino con le gambe sollevate di circa 30 cm (ad esempio con l’ausilio di una sedia). Se possibile, il paziente andrà posizionato in modo che il capo si trovi inferiormente a ginocchia e bacino. Questa posizione, detta di Trendelenburg, risulta particolarmente utile perché favorisce il ritorno venoso agli organi vitali (cuore e cervello) per semplice effetto della gravità.
  • In attesa dei soccorsi sanitari, la persona colpita da shock anafilattico dev’essere rassicurata e per quanto possibile confortata sulle sue condizioni e sull’arrivo dell’ambulanza.

Cosa NON fare se si sospetta uno shock anafilattico:

  • Se lo shock anafilattico è causato dalla puntura di un’ape, il pungiglione non dev’essere estratto con le pinzette o con le dita, dal momento che la compressione dello stesso aumenterebbe il rilascio del veleno; piuttosto, si consiglia di raschiarlo via con un’unghia o con carta di credito. Ad ogni modo, recenti studi hanno dimostrato che ciò che conta realmente è la rapidità di intervento; più tempo passa tra la puntura e l’estrazione del veleno, maggiore è il rilascio dello stesso; secondo questi studi, non sarebbe quindi tanto importante la tecnica di estrazione, quanto piuttosto la rapidità d’intervento.
  • La posizione antishock non dev’essere adottata qualora si sospettino traumi a livello della testa, del collo, della schiena o delle gambe.
  • Se il malcapitato lamenta difficoltà respiratorie non porre rialzi o cuscini sotto la testa, né tanto meno somministrare pillole, liquidi o alimenti; queste operazioni, infatti, rischiano seriamente di aggravare l’ostacolo al passaggio di aria nelle vie aeree che tipicamente accompagna gli episodi di shock anafilattico.

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Mark Sloan e il recupero fittizio: il mistero del cervello pochi attimi prima di morire

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MARK SLOAN RECUPERO FITTIZIO LUCIDITA TERMINALE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata.pngNella seconda emozionante puntata della nona stagione di Grey’s Anatomy Ricordando il passato“, il chirurgo Mark Sloan, dopo i profondi traumi riportati in un incidente aereo, alcuni minuti prima di entrare nel coma che lo condurrà alla morte trenta giorni dopo, torna straordinariamente lucido per un breve periodo che viene chiamato “recupero fittizio”.

Esiste davvero?

Un mio paziente, appassionato come me di questa serie tv – mi ha chiesto se l’episodio fosse scientificamente corretto oppure fosse solo una invenzione di Shonda Rhimes, la sceneggiatrice di Grey’s Anatomy. Pur con la dovuta drammatizzazione ed il pathos che da sempre caratterizza questa serie televisiva, bisogna dire che questo tipo di recupero è in effetti presente in molti malati terminali, nei minuti che precedono la morte. Persone colpite da schizofrenia, morbo di Alzheimer ed altre condizioni patologiche che causano grave menomazione del funzionamento mentale, sono – a volte – inspiegabilmente in grado di recuperare ricordi e lucidità poco prima della morte. In quei momenti, le loro menti sembrano tornare straordinariamente in una forma completa e coerente, anche se i loro cervelli risultano ugualmente deteriorati e danneggiati. Questi pazienti che magari da anni non sono in grado di ricordare nemmeno i loro nomi, possono improvvisamente riconoscere i loro familiari ed avere normali conversazioni con loro su passato, presente e futuro. Nessuno sa con esattezza come questo fenomeno – chiamato “lucidità terminale” – possa accadere. A tal proposito, il Dr.Scott Haig scrisse in un articolo per il ‘Time Magazine’, di un giovane paziente di nome David, al quale un tumore aveva distrutto il cervello, pur non impedendogli di trovare momenti di lucidità prima della morte.

Se siete appassionati di Grey’s Anatomy come il sottoscritto, non potete perdervi questi due articoli:

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La storia di David

David aveva smesso di parlare e muoversi nelle settimane precedenti la sua morte, e dalla RM era risultato che non era rimasto quasi più nulla del suo cervello. Malgrado ciò, la notte stessa in cui David morì, trascorse circa cinque minuti di piena consapevolezza per dire addio alla sua famiglia. “Non era il cervello di David che si era svegliato per dire addio”, ha detto il dottor Haig. “Il suo cervello era già andato distrutto. Le metastasi tumorali non si limitano ad occupare spazio e premere sui tessuti sani lasciando intatto il cervello, in realtà, esse lo sostituiscono… In pratica, il cervello non esiste più. Ciò che svegliò il mio paziente fu semplicemente la sua mente che aveva trovato la strada attraverso un cervello non più funzionante: l’atto finale di un padre per confortare la sua famiglia“.

Mente e cervello

Per il Dr. Haig, è chiaro che la mente esiste separatamente dal cervello, ma altri studiosi guardano a possibili ragioni fisiologiche per spiegare la lucidità terminale. I diversi stati fisiologici di persone che soffrono di lucidità terminale, suggeriscono che non vi sia un unico meccanismo responsabile di tale fenomeno, secondo quanto affermato dai ricercatori della University of Virginia e dell’Università d’Islanda, che hanno pubblicato il documento “Terminal Lucidity: A Review and a Case Collection,” (Archives of Gerontology and Geriatrics) nel 2012. “Allo stato attuale, riteniamo che non sia possibile individuare meccanismi definitivi per spiegare la lucidità terminale”, hanno scritto i ricercatori Michael Nahm, Bruce Greyson ed Emily Williams Kelly, tutti della University of Virginia, e il Dr. Elendur Haraldsson dell’Università d’Islanda. “Infatti, la lucidità terminale in differenti disturbi mentali potrebbe derivare da processi diversi, a seconda della eziologia delle diverse malattie. Ad esempio, la cachessia (debolezza e deperimento del corpo) in pazienti affetti da malattie croniche, potrebbe plausibilmente provocare contrazione del tessuto cerebrale, alleviando la pressione esercitata da lesioni intracraniche che occupano spazio, permettendo così il ritorno fugace di qualche funzione cerebrale”.

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Casa Iride: viaggio nella clinica delle vite sospese tra carezze e speranze di risveglio

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CASA IRIDE CLINICA VITE SOSPESE RISVEGL  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgC’è un luogo a Roma, dove ci si prende cura delle vite spezzate. Si chiama Casa Iride. Un posto dove le esistenze stanno sospese tra il cielo e la terra, incapaci di esserci e incapaci di andarsene, come Alessandra, che ha poco più di 40 anni e faceva la barista. Nelle foto che la sua mamma ha appeso al muro della stanza sul parco, sembra una concorrente di miss Universo. E’ mora, luminosa e ha gli occhi che dicono: guardami. Anche sua figlia era molto fiera di lei. Poi Alessandra ha sbandato con la macchina sulla strada ghiacciata ed è andata a sbattere contro un albero. Il suo corpo l’hanno tirato fuori dalle lamiere, ma un pezzo di lei si è perso da qualche parte che nessuno sa dove sia. Ecco. Le vite spezzate sono queste. Uomini e donne ridotte allo stato vegetativo a causa di gravi lesioni cerebrali, incastrate in un limbo irreale destinato a durare per un tempo infinito che nessun medico è in grado di pronosticare. Eluana Englaro è stata la più famosa di tutti. Poi è arrivato il silenzio. Come se il problema non esistesse più. Invece esiste ancora. Ed è enorme.  Ogni quindici secondi una persona subisce un trauma cranico. E ogni cinque minuti una di queste persone muore o diventa invalida, trascinando nell’invalidità tutta la famiglia.

Come ci si prende cura delle vite spezzate? A Casa Iride, struttura pubblica unica in Italia, una risposta ce l’hanno. Ci si arriva guidando verso Cinecittà e poi girando in via di Torre Spaccata. La si riconosce perché è incastrata nel verde e perché la struttura, in legno, sembra un quadro norvegese. Lì ci abitano due uomini e quattro donne prigionieri nell’acquario della loro mente, ma di fianco hanno i padri, le madri, i fratelli e le sorelle. «Casa Iride non è un ospedale, ma il posto dove queste persone abitano davvero. Hanno i loro spazi singoli, ma anche spazi condivisi, come la cucina o la palestra. I loro cari possono entrare e uscire quando vogliono, continuando a vivere un’esistenza accettabile. Siamo una grande famiglia». L’avvocato Francesco Napolitano, Claudio Taliento e la neurologa e psichiatra Maria Rachele Zylberman dell’Associazione Risveglio, si sono inventati questa formula che non esisteva poco meno di dieci anni fa. La Città Metropolitana di Roma ha messo a disposizione l’immobile, la Asl garantisce la parte infermieristico assistenziale e l’associazione Risveglio quella organizzativa. Ci sono infermieri, logopedisti, fisiatri, psicoterapeuti. E se uno degli inquilini ha un problema specifico – un’infezione, per esempio – viene portato all’ospedale, curato, e riportato a casa.

Le famiglie non sono più prigioniere e le spese si dimezzano. Patrick, che ha quasi 30 anni ed è arrivato qui quando ne aveva 29, è rimasto incastrato nel limbo per colpa di un incidente in motorino mentre stava andando a giocare a pallone. C’è suo zio che si prende cura di lui, mentre Daniela è arrivata due settimane fa. Ha due figli e un marito che le sta di fianco da mattina a sera. Una famiglia classica straziata da un incidente d’auto. Raffaella invece ha avuto un’ipossia. Anche lei era molto bella. Ed è entrata nel limbo durante un intervento chirurgico. Una anestesia sbagliata. Gianfranco, che faceva il vigile invece è rimasto prigioniero di un versamento cerebrale. Suo fratello non lo molla un momento. Qual è il loro futuro? Difficile dirlo. Non reagisco agli stimoli vocali e neppure a quelli acustici. O almeno così sembra.

Ma gli scienziati americani dicono che: «the absence of evidence is not the evidence of absence». L’assenza dell’evidenza non è l’evidenza dell’assenza. E’ un labirinto complicato come nessun altro. «I circuiti del dolore sono attivi. Ma non è detto che queste persone ne abbiano coscienza», spiega la professoressa Zylberman. Ci provano ogni giorno ad aiutarli un po’. Ma nessuno sa fino a che punto serva. «E’ nostro dovere garantire loro assistenza e attenzione», dice l’avvocato Napolitano.  Per Alice, che con i suoi 21 anni a Casa Iride è la più giovane, qualche speranza di miglioramento c’è. Il suo non è uno stato vegetativo, ma uno stato di minima coscienza. No ha avuto un incidente. Le hanno fatto male. A botte. Una persona che doveva volerle bene, La sua mamma la imbocca fissandola con curiosità, come se volesse orientarsi nella folla di ombre che intasano la testa della figlia. Alice abbozza un sorriso. Forse. E la segue con lo sguardo. Ha piccole reazioni. Il papà le accarezza la testa. Dice: «la mia bambina», con una tenerezza che spacca il cuore. Sei ospiti, una sola esperienza in Italia (che funziona meravigliosamente). Non è un po’ poco? «Lo è. E noi spingiamo perché il modello di Casa Iride si allarghi. La buona notizia è che la Asl ci ha appena comunicato l’intenzione di esportare questa esperienza anche in altri distretti», dice Napolitano. «Le famiglie che passano da noi si sentono più leggere. Aiutarle è un dovere. Mia moglie è rimasta per sei anni in stato vegetativo.

E a me e a mio figlio il mondo è crollato addosso. Poi è stato un tumore a chiudere la sua vita, portandosi via anche un pezzo di me. Eppure ogni volta che una persona spicca il volo personalmente dico: forse è meglio così, lei e la sua famiglia hanno sopportato un peso enorme. Ecco, noi cerchiamo di farci carico di parte di quel peso», dice Claudio Taliento.  E’ mezzogiorno. La cucina è piena. E c’è davvero un’aria casalinga. La mamma di Alice si rimette a imboccare la figlia, continuando con questa forma di accudimento che si spinge fino alle soglie del mistero.

Si sente male a scuola e va in coma: rischia la vita a 15 anni per colpa dell’assorbente

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COMA RISCHIA VITA ASSORBENTE Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Pressoterapia Linfodrenaggio PeneSi sente male mentre è in classe e finisce in coma. Rylie Whitten rischia la vita a 15 anni per colpa di un assorbente. La ragazza ha accusato forti mal di testa, nausea e un forte senso di spossatezza, così i genitori hanno deciso di portarla in ospedale. Al pronto soccorso la situazione è peggiorata e la 15enne è andata in coma. I medici, come riporta il Daily Mail, hanno escluso la meningite e credono si tratti di uno choc tossico causato dal tampone. Rylie, infatti, aveva le mestruazioni e al momento del ricovero indossava un assorbente interno. E’ possibile che la ragazza abbia tenuto il tampone per un tempo troppo lungo e che ciò abbia dato il via a un’infezione degenerata in modo assai grave.
Secondo i medici, infatti, questo tipo di assorbenti non dovrebbero essere usati per più di 5 ore.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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