Si può vivere di sola aria senza mangiare né bere? Per quanto tempo?

MEDICINA ONLINE CIBO MANGIARE DIETA QUANTO SI PUO VIVERE SOLA ARIA CIBO ACQUA TAVOLA DIGESTIONE UVA FRUTTA DIETA CALORIE DIMAGRIRE CONSIGLI NUTRIZIONE VITAMINE SALI MINERALI DONNA VERDURA.jpgSi può vivere senza mangiare né bere, di sola aria? Domanda apparentemente banale che però – visto le ultime stravaganti mode in fato dietologico – diventa attuale. La risposta è NO, non è possibile vivere di sola aria. Il corpo dispone di riserve energetiche e liquide a cui attingere e può mettere in atto sofisticati sistemi per sopravvivere il più a lungo possibile in assenza di cibo e acqua, tuttavia, ad un certo punto, il nostro organismo cesserà di vivere senza questi preziosi carburanti?

Un adulto sano, di età media e con sforzi fisici quotidiani limitati, può arrivare a vivere mediamente ben un mese senza mangiare, tuttavia, se contemporaneamente viene privato dell’acqua, difficilmente raggiungerà questo traguardo temporale, dal momento che senza bere riuscirà a sopravvivere per una sola settimana.

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Sei vittima di un narcisista? Forse sei una donna dipendente

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-tattiche-usate-narcisisti-conversazioni-riabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenza-ecogPerché alcune donne ed alcuni uomini restano invischiati in relazioni amorose malsane, che spesso non hanno nemmeno l’ambire di sbocciare?
Perché – soprattutto le donne – rimangono per anni appese, agonizzando in lunghe e sospiranti attese, colmando vuoti, tollerando assenze, fughe e ritorni di lui o ancora peggio perché alcuni di noi, vivono relazioni di coppia e familiari deprivanti, umilianti, spesso ignorando chiari segnali di violenza psicologica e nei casi più gravi anche fisica?
Perché alcune donne ed alcuni uomini amano “troppo”? Perché si identificano sempre con l’archetipo della salvatrice (salvatore), della guaritrice (guaritore), della madre (padre) e si illudono di poter “cambiare” l’uomo (la donna) che incontrano?
Perché le donne, e alcune persone in genere, ognuna con un grado di gravità diverso, non si amano, non si stimano, non sanno stare con se stessi? Tutti noi abbiamo vissuto almeno una volta nella vita una relazione insoddisfacente, un amore non corrisposto, oppure non chiaro, ambiguo, soprattutto in adolescenza, quando la personalità è ancora in formazione e con essa anche la capacità di stare in una relazione affettiva matura ed appagante.

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Intrappolati nella relazione

La delusione d’amore, la scoperta che l’altro non è sempre disponibile solo perché noi lo desideriamo, è fonte di grande frustrazione e sofferenza, ma può anche rappresentare anche un’occasione di crescita, individuale o di coppia.
Che succede se invece si resta attaccati alla speranza che quella persona possa amarci come noi desideriamo? Che succede se la persona di cui ci innamoriamo si comporta con noi in modo ambiguo? Se si mostra interessata solo a tratti per poi sparire, se è fredda distaccata, inaffidabile e cinica?
Ce la prendiamo spesso con le persone anaffettive, aride, egoiste e distaccate che spesso identifichiamo con l’etichetta “narciso”, ma ci siamo mai chiesti perché noi, rimaniamo in relazioni affettive e sessuali deprivanti e insoddisfacenti?
C’è da dire che il partner narcisista si presenta sempre nel migliore dei modi: seducente, coinvolgente, interessato e spesso affrettato (sei la mia vita, sei l’unico vero amore della mia vita, andiamo a vivere insieme…), quindi è capace di intrappolarci in relazioni tossiche. In seguito, il narcisista tende a ritrarsi, soprattutto quando l’oggetto d’amore è stato conquistato. Non sempre il narciso è interessato all’aspetto sessuale, quello è un complemento, spesso anche noioso per lui/lei, che implica il donarsi anche se in parte all’altro e per questo è anche spesso il territorio in cui si dibatte meno volentieri. Lascia intendere, si concede brevemente per poi sparire, lasciando l’altro a desiderarlo/a, si pone sempre come dominante nella relazione, lui/lei ha le migliori idee, le migliori soluzioni, lui/lei è il/la più intelligente, il/la più scaltro/a.

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Qual è la vittima ideale del narcisista?

Quasi certamente è una persona insicura che ha subito abbandoni e traumi affettivi e che vede nella possibilità che il/la narciso/a la/lo ami, la conferma del suo valore, la vincita di una sfida ardua e anche l’occasione di colmare un grande vuoto affettivo. Non importa che età abbia, che lavoro faccia; sia che sia una persona timida e remissiva oppure audace ed aggressiva, di fondo soffre di una grave insicurezza affettiva.
E perché tentare di colmarla in una relazione con una persona anaffettiva ed arida? Che senso ha?
Se io voglio capire se sono in grado di aprire le porte, ne cercherò una chiusa. Inutile cercare di aprire una porta aperta. Solo quando comprendiamo che L’AMORE E’ UNA PORTA APERTA PER TUTTI, allora forse smetteremo di chiederci se noi ne siamo degni.
Tuttavia cresciamo con degli schemi di relazione e spesso, passiamo la nostra intera vita a cercare di disconfermarci il fatto di non essere degni di amore, perché così coi hanno fatto sentire da piccoli. TI AMERO’ SE…TI AMERO’ QUANDO…SARAI PULITO, AVRAI FATTO I COMPITI, SOMIGLIERAI A ME, FARAI IL BRAVO… e via dicendo.
Un amore non gratuito, al quale spesso non possiamo ambire, un ricatto affettivo di base: sei nato grazie a me.
Inutile dire che spesso questi genitori sono narcisi a loro volta e il figlio, deve rappresentare per loro la conferma del loro valore come genitori e come persone, un orpello, uno stemma, un premio da esibire più che un anima da amare.
Ecco allora che inseguire il mito del grande amore sfuggente, diventa il modo per conquistare quell’amore di cui non ci siamo ritenuti mai degni.
Una persona che dipende affettivamente, è una persona che non vuole scegliere di amarsi e di diventare genitore di sé stesso e continua a cercare nell’altro un genitore non disponibile.

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Maggiore autostima per superare vecchi traumi

Spesso si sceglie come partner proprio quel genitore dal quale avremmo voluto maggiore amore o con il quale abbiamo avuto un rapporto più conflittuale, nella speranza, con la relazione adulta, di colmare i vecchi vuoti. E’ per questo che se ci troviamo in una relazione con un narcisista anaffettivo, dobbiamo capire quanto deprivante sia per noi la relazione e rimboccarci le maniche, attraverso un percorso di terapia volta a riacquistare autostima ed a superare i traumi affettivi non risolti, per far si che non si ripetano, come una catena di tristi destini, che vede più spesso donne tra le sue vittime. Anche se negli ultimi anni le cose stanno radicalmente cambiando, c’è da dire che storicamente – tra i due sessi – è la donna ad essere culturalmente più incline a sottomettersi ad una relazione insoddisfacente perché la cultura patriarcale l’ha deprivata anche dei sui primari diritti come persona, addestrandola alla dipendenza affettiva; ecco che i concetti di sottomissione, pazienza e amorevolezza sono spesso esasperati, entrano in ballo moltissimo anche i fattori culturali, gli stereotipi di genere e di ruolo (una donna deve aiutare il suo uomo, una donna amorevole sa portare pazienza etc..), ma anche gli uomini spesso restano vittime di donne narciso, belle donzelle con infinite problematiche, che sono sempre a un passo da concedersi o che spesso sono già impegnate con altri che vorrebbero lasciare ma… Quindi anche l’uomo, sebbene più raramente può essere un dipendente affettivo.

Se credi di essere intrappolata o intrappolato in una relazione tossica o che il tuo partner sia un narcisista manipolatore, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a gestire ed a superare questa situazione.

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Il semplice gesto che fa aumentare la tua autostima

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma IL GESTO CHE FA AUMENTARE TUA AUTOSTIMA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgVuoi aumentare la tua autostima con un semplice gesto? Uno dei segreti per aumentare la fiducia in se stessi passa dalla postura che si assume: tenere il busto dritto, testa alta e petto in fuori può aumentare la tua autostima. E’ quanto emerge dallo studio della psicologa di Harvard Amy Cuddy, esperta in linguaggio del corpo, pubblicato sull’Independent (lo trovate a questo link). L’indagine rivela come le persone con forte autostima tendano ad assumere pose robuste e fiere. Il segreto per contrastare la mancanza di fiducia in se stessi, specie nelle donne, secondo l’esperta sarebbe quello di assumere la famosa posa da Wonder Woman (la famosa “the Wonder Woman pose che vedete in foto).

Testosterone, cortisolo e fiducia in se stessi
I benefici di questa postura non sono soltanto mentali, ma soprattutto fisici. Testosterone e cortisolo sono due ormoni che regolano le funzioni del corpo (il primo è quello che ci pone nell’ottica di correre dei rischi, mentre il secondo è quello che ci fa tentennare di fronte agli ostacoli della vita): grazie alla postura vincente riusciamo ad innalzare il livello del primo e ad abbassare quello del secondo. La posizione alla Wonder Woman altera il livello di questi ormoni dopo appena due minuti.

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Scala di Hoehn e Yahr e aspettativa di vita nel morbo di Parkinson

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SCALA HOEHN YAHR VITA MORBO PARKINSON Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa scala di Hoehn e Yahr viene usata in campo medico per descrivere i sintomi della progressione del morbo di Parkinson. È stata originariamente pubblicata nel 1967 sulla rivista Neurology da Melvin Yahr e Margaret Hoehn e comprendeva gli stadi da 1 a 5. Da allora, è stata proposta una scala modificata, con l’aggiunta degli stadi 1,5 e 2,5 che descrivono il decorso intermedio della malattia.

Stadio Scala di Hoehn e Yahr Scala di Hoehn e Yahr modificata
1 Coinvolgimento unilaterale, solitamente con solo una minima o nessuna disabilità funzionale Solo coinvolgimento unilaterale
1.5 Coinvolgimento unilaterale e assiale
2 Coinvolgimento bilaterale o mediano senza compromissione dell’equilibrio Coinvolgimento bilaterale senza compromissione dell’equilibrio
2.5 Lieve coinvolgimento bilaterale senza recupero sul test a trazione
3 Coinvolgimento bilaterale da medio a moderato; alcune difficoltà posturali; fisicamente indipendente Da lieve a moderato coinvolgimento bilaterale; instabilità posturale; fisicamente autosufficiente
4 Malattia gravemente debilitante, ancora in grado di camminare o stare in piedi senza assistenza Grave disabilità; ancora in grado di camminare o stare in piedi senza assistenza
5 Costretto a letto o sulla sedia a rotelle Costretto a letto o sulla sedia a rotelle

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Mortalità e aspettativa di vita
L’aspettativa di vita dei malati di Parkinson appare ridotta. I tassi di mortalità sono circa il doppio di quelli delle persone non affette. Il declino cognitivo e la demenza, l’esordio in vecchiaia, uno stato di malattia più avanzato e la presenza di problemi nella deglutizione, sono tutti fattori che aumentano il rischio di mortalità. D’altra parte, una malattia caratterizzata principalmente da tremore rispetto alla rigidità, prevede una sopravvivenza più lunga. La morte da polmonite ab ingestis è due volte più frequente nei soggetti con malattia di Parkinson rispetto alla popolazione sana.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Sindrome di Noonan: cause, sintomi nel neonato, aspettative di vita

MEDICINA ONLINE SINDROME DI NOONAN CAUSE SINTOMI NEONATO ASPETTATIVE DI VITA PROGNOSI MORTE BAMBINO TERAPIA CURA.jpgLa sindrome di Noonan è una malattia genetica dalle caratteristiche cliniche particolarmente variabili, con un’incidenza stimata di un caso ogni 1000-2500 nati. Le manifestazioni più frequenti includono cardiopatie congenite (nel 70% dei pazienti), bassa statura, un aspetto caratteristico del volto (abbassamento delle palpebre, occhi distanziati, orecchie grandi e ruotate posteriormente), malformazioni del torace, deficit cognitivi variabili, tendenza al sanguinamento e criptorchidismo (mancata discesa dei testicoli nello scroto).

Come si trasmette la sindrome di Noonan?

La sindrome può essere sporadica (il difetto genetico responsabile insorge in modo spontaneo) oppure  ereditata dai genitori. In questo caso la trasmissione avviene con modalità autosomica dominante: è sufficiente cioè una copia alterata del gene per sviluppare la malattia. In circa il 50% dei casi, la sindrome è causata da mutazioni del gene PTPN11, mentre in una piccola percentuale di pazienti sono state identificate mutazioni nei geni KRAS, NRAS, RAF1, BRAF e SOS1. Nel complesso, le mutazioni nei geni identificati si riscontrano in circa il 75% dei pazienti con diagnosi clinica della malattia. Mutazioni nei geni SHOC2 e CBL sono state riscontrate in soggetti con caratteristiche cliniche parzialmente sovrapponibili alla sindrome di Noonan.

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Come avviene la diagnosi della sindrome di Noonan?

La diagnosi avviene in base alle caratteristiche cliniche ed eventualmente all’analisi della storia familiare e può essere confermata con un’indagine genetica (ricerca di mutazioni nei geni PTPN11, RAF1, KRAS, SOS1, NRAS e BRAF). Va comunque ricordato che, per molti pazienti, la causa genetica della malattia non è ancora stata identificata. Inoltre, vista la variabilità clinica della malattia, l’analisi molecolare di altri geni implicati in malattie correlate (HRAS, MEK1, MEK2, CBL e SHOC2) può indirizzare verso una più corretta valutazione clinica. Se una mutazione responsabile è già stata identificata in un componente della famiglia, si può effettuare una diagnosi prenatale con l’indagine genetica del feto attraverso villocentesi o amniocentesi. L’età media alla diagnosi è di nove anni.

Quali sono le possibilità di cura attualmente disponibili per la sindrome di Noonan?

Non esiste una terapia specifica, anche se studi preclinici su modelli animali sono in corso per valutare l’efficacia di alcuni farmaci che inibiscono in maniera specifica l’attività degli enzimi “mutati” responsabili  della malattia. Alcune lesioni cardiache devono essere corrette per via chirurgica, mentre in alcuni casi è consigliata l’assunzione di ormone della crescita. In generale, i bambini affetti dalla sindrome vanno tenuti sotto controllo per quanto riguarda la funzionalità cardiaca, la crescita, lo sviluppo motorio, la coagulazione del sangue. Se seguita in modo adeguato, la maggior parte dei bambini colpiti cresce normalmente e raggiunge senza problemi l’età adulta.

Aspettative di vita

La speranza di vita è generalmente normale (paragonabile al resto della popolazione) se sono assenti difetti cardiaci congeniti importanti. L’aspettativa di vita diminuisce all’aumentare della gravità delle patologie cardiache.

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Trasforma la noia in una tua alleata

MEDICINA ONLINE FELICITA HAPPINES GIRL WOMAN CUTE YOUNG BIKE BICICLE FLOWERS WOODS NATURA NATURE BICICLETTA DONNA FIDUCIA CORAGGIO SUCCESSO SPORT VITA ALLEGRIAA tutti sarà capitato di sentirsi annoiati di tanto intanto, di essere vittime della noia. Lo si inizia a sperimentare da subito, fin da bambini. Si tende a far derivare la noia dalla mancanza di stimoli, dall’ambiente circostante, o comunque da qualcosa di esterno a noi. Aimè purtroppo, la noia, spesso, non è dovuta ad una causa esterna, ma nasce dentro di noi.

Dove attecchisce la noia
La noia è un fenomeno studiato da diversi lustri. Lo si è osservato da diverse prospettive sottolineandone diverse sfumature, ma una cosa sembra unire tutti i risultati e cioè che ci si sente annoiati principalmente quando si è sconnessi dal momento presente, dal mondo circostante, da se stessi. Questo rimanda ad una capacità fondamentale nell’essere umano: la capacità di auto-intrattenimento. Cioè, non si risolve quel particolare stato di insoddisfazione, chiamato noia, cercando nel mondo esterno qualche novità o stimolo, ma cercando dentro se stessi, diventando noi stessi parti attive. Chiunque dovrebbe essere capace di stare seduto in silenzio, come chi medita, senza annoiarsi, essendo in contatto con sé, con la vita che scorre, con la crescita di se stessi. Perché è proprio da quei momenti di vuoto, apparentemente improduttivo, che si aprono le porte alla creatività, alla capacità di risolvere i problemi, all’intuizione, alla bellezza.

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Generazioni a confronto
Oggi come oggi, i nostri bambini sono pieni di attività, di intrattenimenti, di cose da fare, tanto che non hanno il tempo di annoiarsi, di sperimentare il vuoto di cui prima. Conosco mamme che passano i pomeriggi dopo scuola a scarrozzare i loro figli da una parte all’altra della città. Questi bimbi, spesso, hanno agende piene di impegni. Forniamo ai nostri bimbi grandi quantità di intrattenimento, sotto forma di tablet, computer, iphone, ipad, attività extra scolastiche, ecc., tanto al punto che gli impediamo di sviluppare le difese naturali contro la noia.
Vi ricordate i pomeriggi di noia mortale che si passava noi da piccoli? “Godevamo così di un accesso illimitato alle sterminate miniere della noia, sperimentate lungamente in una gamma praticamente infinita di variabili. La noia scolastica, la noia pomeridiana, la noia dei viaggi in macchina… E quella potentissima, quasi metafisica noia domenicale, che forse è l’incubatrice di tutti i destini individuali, di tutti i caratteri” così scrive E. Trevi sul Corriere della sera. Questo accadeva non perché i nostri genitori ci amavano meno di quelli di oggi, ma perché semplicemente non ci vedevano niente di male ad annoiarsi un po’. La soluzione, comunque, non è abbandonando i figli a se stessi per fargli vivere a tutti i costi i nostri pomeriggi di noia mortale, né quella di iper-stimolarli. La soluzione sta nell’insegnarli a leggere la realtà, a farli entrare in contatto con se stessi, con le proprie emozioni e risorse.

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Noia e droga
Ci sono diverse ricerche che confermano questo connubio. Le persone che non sanno capire i propri sentimenti e quelle che si lasciano dominare dalle emozioni si annoiano più facilmente. E’ proprio per fuggire dalla noia, alla ricerca di nuove emozioni, che le persone entrano in contatto con la droga, il tabacco, l’alcool, il gioco d’azzardo. È paradossale pensare che spesso questo avviene nel tempo libero, cioè quando una persona dovrebbe impegnarsi in una qualche attività piacevole, e invece, non essendo in contatto con se stessa, pensa bene di allontanarsene ancora di più.

Quando senti la noia, chiediti dove sei
La noia ci spinge a fuggire, a cercare nuovi bisogni da soddisfare. Il problema è che, a volte, tendiamo a soddisfare i bisogni sbagliati. La noia, in senso positivo ed esistenziale, rappresenta uno stato nel quale sono stati raggiunti tutti i nostri obiettivi principali e il loro superamento ci provoca la necessità di perseguire nuovi progetti e nuovi risultati. Ma per non sbagliare strada occorre iniziare a chiedersi da dove partiamo, e per farlo bisogna sapere dove ci si trova in quel preciso momento.piramide maslow
Ci sarebbero tante mappe da utilizzare per sapere a che punto del nostro viaggio ci troviamo. Intanto, per iniziare, vi consiglio di guardare a quella postulata da Maslow (scienziato, psicologo americano): la piramide dei bisogni. Guardando la piramide potremmo chiederci: su quale scalino mi trovo? A quale prossimo gradino mi avvicino?
Per salire ogni gradino c’è uno sforzo da fare, delle energie da attivare, così come per superare la noia.

Riconoscere che “mi sto annoiando”
Fintanto che tentiamo di fuggire dalla noia rimaniamo ad essa legati, la nostra mente cercherà sempre più nuovi stimoli, effimeri (e in quantità sempre maggiore). È una battaglia persa in partenza. L’unica soluzione è entrare nella noia, con grado, fino ad arrivare giù in fondo. Riconoscere che “mi sto annoiando”. Attivare i cinque sensi e chiedersi: cosa mi sta accadendo? quello che sto facendo mi corrisponde, mi appartiene? C’è qualcosa da cui sto fuggendo? C’è qualcosa da modificare? Sono stanco?
Entrare in contatto con la noia in modo sano ci riporta al centro di noi stessi e ci aiuta a capire in che direzione spiegare le vele per continuare il nostro viaggio.

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Ridere fa bene alla salute: tutti i benefici della risata

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RIDERE FA BENE ALLA SALUTE BENEFICI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgUno studio dell’Università di Basilea, pubblicato sulla rivista scientifica Cerebral Cortex, si è concentrato nello scoprire quali siano le aree del cervello coinvolte quando ridiamo. I ricercatori hanno suddiviso alcuni volontari in tre gruppi: il primo gruppo veniva solleticato sotto la pianta dei piedi e aveva il permesso di ridere, il secondo veniva solleticato ma doveva cercare di non ridere, infine il terzo doveva ridere volontariamente senza essere solleticato. Durante l’esperimento i volontari sono stati sottoposti a Risonanza Magnetica per Immagini. Nel cervello del primo gruppo, dove i partecipanti ridevano in modo genuino, alcune regioni del cervello si attivavano in maniera più consistente rispetto agli altri due gruppi. Le aree stimolate erano:

  • Ipotalamo laterale, coinvolto in un grande numero di processi come l’eccitazione, ma anche il comportamento alimentare, la riduzione della percezione del dolore, le funzioni digestive e la pressione sanguigna.
  • Opercolo parietale, responsabile di parte dei processi legati ai sensi, come il tatto e la percezione della temperatura.
  • Amigdala, coinvolta nel processo di memorizzazione, nel prendere decisioni e nelle reazioni emotive.
  • Cervelletto, importante nella attenzione visiva e nel linguaggio.

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Ridere riduce la sensazione di dolore

Nello studio è stata misurata anche l’attivazione della sostanza grigia periacqueduttale, che gioca un ruolo chiave nella percezione del dolore, producendo encefalina, un neurotrasmettitore che appunto inibisce il dolore, tanto che è qui che vengono sistemati gli impianti che stimolano il cervello nei pazienti con dolore cronico. Mentre si ride si attivano anche le regioni della corteccia prefrontale ventromediale che rilasciano endorfine, che riducono il dolore e aumentano la sensazione di euforia.

Combatte l’ansia

Una risata libera sostanze che hanno una funzione benefica sul sistema immunitario e migliorano il tono dell’umore; tali sostanze, inoltre, eliminano lo stress aiutandoci a prevenire tutta una serie di disturbi ad esso correlati (attacchi di panico, depressione, ansia, malattie cardiovascolari). Uno studio, pubblicato sulla rivista Heart&Lung, ha indagato sui benefici psicologici per le persone con broncopneumopatia cronica ostruttiva e ha dimostrato che ridere migliora sensibilmente l’umore e lo stato psicologico dei pazienti. 

Regola la pressione

È ormai universalmente riconosciuto che gli stati emotivi negativi possono aumentare il rischio di malattie cardiovascolariUno studio, pubblicato sulla rivista The American Journal of Cardiology, ha messo sotto osservazione un gruppo di volontari mentre guardavano un film comico e un documentario. Mentre la visione del documentario non aveva alcun effetto sul sistema circolatorio, quella del film comico migliorava non solo la pressione, ma anche la flessibilità delle arterie e l’effetto durava 24 ore.

Meno rischio di infarti e ictus

Un’altra ricerca, pubblicata su the Journal of Epidemiology, si è concentrata sul rapporto tra ridere e il rischio di infarto e ictus. I ricercatori giapponesi hanno analizzato dati di quasi 21.000 persone che avevano almeno 65 anni. Chi non ride mai o ride poco ha il 21% di rischio in più di avere un attacco cardiaco rispetto a chi ride ogni giorno. Per quanto riguarda l’ictus il dato è eclatante: chi ride poco o mai aumenta la possibilità del 60% di esserne colpito.

Qualità del sonno

Uno studio sul rapporto tra qualità del sonno negli anziani e risate, pubblicato su Geriatrics and Gerontology, ha coinvolto 109 volontari. Solo la metà di loro è stata sottoposta alla terapia della risata (4 sessioni nel corso di un mese). In seguito sono stati interrogati da alcuni psicologi sul loro stato di salute mentale e sulla qualità del riposo prima e dopo l’esperimento. I risultati parlano chiaro: ridere ha migliorato la qualità del loro riposo, diminuendo ansia e tristezza.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Arrival (2016): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE 2016 TRAMA SPIEGAZIONE FINALE FILM RECENSIONE.pngRegia di Denis Villeneuve; con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma, Mark O’Brien. Titolo originale: Arrival. Genere Fantascienza – USA, 2016, durata 116 minuti. Uscito al cinema giovedì 19 gennaio 2017.

Trama senza spoiler

La pellicola, diretta da Denis Villeneuve, racconta di dodici misteriose navi aliene chiamate “gusci” apparse improvvisamente sul nostro pianeta. Sin dall’inizio non è chiaro né lo scopo di questa apparizione né il perché della scelta dei punti di atterraggio sulla Terra. Per questo motivo la linguista Louise Banks (una Amy Adams in gran forma) ed il fisico teorico Ian Donnely (Jeremy Renner) vengono contattati dal colonnello dell’esercito americano Weber (Forest Whitaker) e posti a capo di un team che ha come obiettivo quello di entrare in contatto con le forme di vita aliena.

Trama senza grossi spoiler ma che racconta qualcosa in più

Sin da subito la comunicazione con gli alieni si rivela possibile ma complessa: le misteriose forme di vita si esprimono infatti tramite dei simboli circolari con componenti tra loro collegati che si rivelano difficilmente interpretabili. Con l’aiuto di Ian, Louise riesce pian piano a decifrare e riprodurre il linguaggio alieno ma la difficoltà di comunicazione dà subito vita a forti incomprensioni. Gli omologhi team dislocati su tutto il pianeta interpretano con grandi differenze le risposte date dagli alieni alla domanda “perché siete qui”, traducendo la risposta con “offrire armi”, elemento che verrà colto dalla Cina come un segnale di pericolo che renderà inevitabile un attacco preventivo. Louise invece sosterrà che proprio la difficoltà di traduzione potrebbe aver creato un difetto di interpretazione laddove “arma” potrebbe in realtà essere tradotto anche come “strumento”. Solo qualcosa di apparentemente inspiegabile potrà impedire una guerra contro gli alieni.

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Recensione

Scritto da Eric Heisserer, Arrival è basato sul racconto “Storia della tua vita“, incluso nell’antologia di racconti “Storia della tua vita”, scritto da Ted Chiang. Lontano dal classico genere action-movie tipico di colossal come “Indipendence Day“, Arrival propone una componente di introspezione psicologica ed una presenza aliena che viene addirittura ribaltata rispetto all’immaginario collettivo dominato dall’unica, possibile dicotomia “amici/nemici”. Gli eptapodi compaiono sul pianeta ma “aspettano” di essere contattati. Le loro navi aprono letteralmente i portelli ogni 18 ore per dare l’opportunità agli umani di comunicare con loro, anche se questo all’inizio si rivelerà estremamente complicato. Il film si concentra dunque sulla necessità di capirsi e di capire. Capire gli alieni, comunicando con loro nella loro difficile lingua ma anche capire e comunicare a livello di specie uomo-alieno, ma soprattutto capirsi tra nazioni, in un mondo di 7 miliardi di persone che parlano (e quindi ragionano, come spiego più avanti) in modo diverso, azioni che – come vedremo poi – sono strettamente correlate. E non è un caso che l’errata traduzione di “arma” porti come immediata conseguenza la rottura del canale di coordinamento tra tutte le nazioni operanti e rischi di scatenare una guerra.

Arrival è un film di fantascienza pieno di scienza, concetti interessanti e cose tutt’altro che scontate. E’ un fatto scientifico appurato che qualsiasi cosa ripetuta a lungo, come una lingua scritta o parlata, plasmi il nostro cervello, cambiando alcuni circuiti neuronali ed influenzando quindi il nostro modo di ragionare (anche se nel film questo processo, che necessita di anni, avviene un po’ troppo rapidamente!). Sta piacendo molto sia ai critici che al pubblico perché è un film diverso da quelli tipici arrivano-gli-alieni, combatti-gli-alieni, sconfiggi-gli-alieni, e perché Amy Adams è molto brava nell’interpretare la linguista protagonista, un personaggio che supera i soliti stereotipi della donna usata solitamente nella fantascienza.

Ho apprezzato la scelta di astronavi con un design “minimal” che non passa mai di moda: ciò evita il solito fastidioso effetto delle astronavi che appaiono “vecchie” quando il film viene visto a distanza di anni. Altra nota di merito è all’uso della splendida On the Nature of Daylight,  composta da Max Richter, usata anche in numerosi altri film, ad esempio nella colonna sonora di Shutter Island di Martin Scorsese: violino, viola e violoncello che sarebbero capaci di emozionare anche un sasso. In definitiva un film fortemente consigliato, specie se amate una fantascienza più intimista e filosofica, con paradossi temporali tali che dovrete vedere il film due volte, per apprezzarlo davvero.

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SPIEGAZIONE DEL FINALE CON SPOILER 

Avete finito di vedere il film e la vostra faccia ha un grosso punto interrogativo al posto degli occhi? Niente paura, non siete i soli. Cerchiamo di capirci qualcosa, partendo da un piccolo accenno di neuro-psicologia.

La chiave di lettura di “Arrival” risiede nell’Ipotesi di Sapir-Whorf, non a caso citata anche nel film stesso, che sostiene – semplificando – che il modo in cui un popolo si esprime determini il suo modo di pensare. In altre parole, studiare un linguaggio porterebbe ad imparare a interpretare il mondo così come fa un determinato popolo. Addirittura imparare una certa lingua, può letteralmente cambiare la struttura del nostro cervello, ed è esattamente quello che accade alla protagonista. I segni circolari degli eptapodi, che non sono lettere né parole ma interi insiemi di significati connessi (un segno equivale ad un intero discorso “umano”) sono anche l’indicazione di come il loro cervello pensa/vede oltre l’orizzonte degli eventi. Scrivono in “due sensi” (i cerchi si compongono istantaneamente in entrambe le due metà) perché gli alieni “pensano e vedono tutto insieme”: passato, presente e futuro, quello che avviene ad esempio nel caso del Dottor Manhattan, celebre supereroe della serie a fumetti Watchmen.

Per approfondire: Ipotesi di Sapir-Whorf e determinismo linguistico: esempi e spiegazione

Quando Louise comprende come scrivere nella lingua degli alieni, comprende anche il loro modo di percepire il tempo e riesce ad osservare la propria vita (presente, passato e futuro) contemporaneamente. In pratica la protagonista impara a prevedere il futuro. Ecco il perché di tutti i flash forward (salti in avanti) che mostrano lei e Ian come una coppia, la nascita della loro figlia e la sua morte. Le scene iniziali, in cui lei si vede con una figlia e che noi pensiamo sia il suo doloroso passato, in realtà è il suo doloroso futuro. Tutti gli apparenti flash back del film, sono in realtà dei flash forward. Sin dall’inizio del film Villeneuve ci racconta la storia spostandosi tra presente e ciò che accadrà, in maniera istantanea, esattamente come Louise riuscirà a percepire la sua vita grazie allo studio della lingua aliena, che ha plasmato il suo cervello.

Ecco perché, proprio nel futuro, il generale dell’esercito cinese – sapendo ormai le doti di Louise, note al mondo in quel dato futuro – le parlerà dandole le istruzioni affinché in passato lui avesse potuto crederle scongiurando la guerra.
Questo è un paradosso temporale noto come “bootstrap paradox” ed è lo stesso di tanti altri film basati su paradossi, come l’affascinante Interstellar di Christopher Nolan. Semplificando: se Louise si ricorda quelle frasi solo perché le ha sentite in un futuro in cui la guerra è stata scongiurata grazie proprio a quelle frasi, come fa ad arrivare in quel dato futuro se prima non le conosceva? Semplicemente Louise trascende il presente per avere accesso alla futura conoscenza di un evento passato, percependo la sua vita come un unico blocco che vede dall’esterno. E’ difficile da capire per un motivo: la nostra mente è abituata ad elaborare un rapporto causa-effetto che nei paradossi viene scavalcato: non siamo abituati a pensare quadrimensionalmente, come direbbe Doc Emmett Brown di Ritorno al futuro. Per approfondire: Bootstrap paradox e paradosso della predestinazione: spiegazione ed esempi nei film

…o forse tutto il paradosso è solo un espediente narrativo che permette di correggere una trama lievemente diversa rispetto a “Storia della tua vita” di Ted Chiang, da cui è tratto Arrival.

Differenze con il libro

Parlavo prima di un espediente narrativo. Il racconto da cui è stato tratto Arrival era concettualmente lievemente diverso: nella storia di Chiang infatti gli alieni e la protagonista non prevedono il futuro, ma lo vedono così come sarà senza possibilità di cambiarlo, nel film invece si dà l’idea che il dono alieno permetta di prevedere il futuro e quindi cambiarlo, variazione apparentemente banale che è perfetta per un film di fantascienza accattivante per tutti (qualcuno direbbe “americanata“), ma che stravolge in parte il racconto originale ed ha fatto infuriare in tutto il mondo i suoi estimatori. Per alcuni nel film è stato banalizzato il tema del libero arbitrio: nel film Lousie lo usa cambiando liberamente il proprio modo di agire in base alla conoscenza del futuro e ciò cambia il proprio futuro, mentre nel racconto lei agisce in base al libero arbitrio, ma allo stesso modo però agisce adeguandosi a ciò che sa di aver compiuto nel proprio futuro, il quale è ineluttabile. È una situazione paradossale, quasi da dibattito ateo-religioso: come fa l’essere umano ad avere il libero arbitrio se il futuro è già scritto e Dio (o chi per lui) già conosce cosa succederà con certezza nel suo domani? Siamo liberi o schiavi piegati ad un destino ineluttabile? In questo, ogni volta che rivedo Arrival, mi viene in mente uno stupendo dialogo del meraviglioso film “Donnie Darko“, tra Donnie (Jake Gyllenhaal) e il suo insegnante Monnitoff (Noah Wyle):

Donnie: Ogni essere vivente si muove su un sentiero già tracciato, ma se uno vedesse il proprio sentiero fino in fondo potrebbe vedere il futuro. E questa non è una specie di viaggio nel tempo? 
Prof. Monnitoff: Beh, c’è una contraddizione nel tuo discorso: se potessimo vedere il nostro destino, avere davanti l’immagine di ciò che sarà, avremmo allora la facoltà di scegliere se tradirlo o no, questo destino. E per il solo fatto che esiste questa possibilità nessun destino si potrebbe considerare “prestabilito”. 
Donnie: Non se si viaggia lungo il sentiero di Dio. 

Il futuro di “Arrival libro” è quello immaginato da Donnie: lo possiamo vedere, ma rimane prestabilito ed immutabile in quanto, nonostante il libero arbitrio, è già incanalato lungo un sentiero già scritto e immutabile, contraddittorio verso ogni tipo di libera scelta, come se tutti i bivi del nostro diagramma di flusso di vita fossero stati già attraversati nel momento stesso in cui veniamo al mondo. Ad ogni bivio possiamo quindi scegliere o non scegliere da che parte andare? Abbiamo già scelto? Qualcuno ha già scelto per noi? Esistono davvero dei bivi, o il percorso è unico? Siamo davvero responsabili delle nostre scelte se non siamo noi a scegliere? Purtroppo questo trip mentale molto interessante, in “Arrival film” si perde completamente perché in quel caso il libero arbitrio non ha limiti nel poter cambiare il futuro e la visione “aliena” di passato-presente-futuro già incanalati, così originale del racconto, viene banalizzata in una mera previsione di un futuro mutabile, molto meno originale e già vista in tante altre opere di fantascienza.

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Nel film previsione di un futuro modificabile, nel libro visione di un futuro assoluto

Altra differenza apparentemente banale ma importantissima è la morte della figlia. Nel racconto di Chiang la figlia della protagonista muore in un incidente di montagna e Louise non può evitarlo. Non potrà pur sapendo cosa sta per accadere, perché ciò che lei conosce è ciò che dovrà accadere e che accadrà/è accaduto. Inevitabile ed inesorabile: anche se già lo sa non può cambiarlo perché se riesce a vederlo, quello è il futuro e le sue azioni la porteranno comunque lì. Non può neanche decidere di non mettere la figlia al mondo: quello è il suo futuro, è un domani già scritto e immutabile e dovrà affrontarlo soffrendo ogni giorno sapendo che sarà quello il loro destino e che sua figlia morirà comunque. Nel film il futuro diventa una previsione, e non una visione. Per questo motivo hanno scelto di far morire la figlia della protagonista di un male incurabile, non di un incidente evitabile, perché altrimenti ci si poteva chiedere: se Louise può prevedere il futuro e cambiarlo, perché lascia morire la figlia in un incidente evitabile? Ecco quindi nel film la scelta di una malattia incurabile ed inevitabile. Purtroppo però così facendo, la simpatia che si prova per la Louise del racconto (una donna costretta a vivere con la tragica consapevolezza costante di mettere al mondo una figlia che morirà in modo immodificabile), si trasforma in potenziale antipatia per una persona egoista che decide di avere una figlia pur sapendo che soffrirà di una malattia incurabile e morirà giovane, solo per poter godere di momenti di gioia che la riscatteranno dalla sua depressione. Tanto che suo marito la lascia per questo, qualcosa sul tipo: “sapevi di mettere al mondo una figlia che morirà, potevi impedirlo e l’hai messa al mondo lo stesso? Sei una egoista”.
Nel film gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, prevedono quello che avverrà nel futuro in base alle condizioni di quel dato momento: scrivere dello stesso fatto futuro dopo ad esempio mezz’ora potrebbe prevedere un futuro diverso, dal momento che la stessa osservazione del fenomeno tende a cambiarlo come se la scatola del gatto di Schrödinger fosse improvvisamente aperta. E’ un mondo perfetto per un film di fantascienza che vuole fornire tanti punti esclamativi al grande pubblico.
Nel libro gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, invece descrivono quello che avverrà nel futuro: pur osservandolo e ri-descrivendolo dopo mezz’ora, il futuro rimane quello perché immutabile e l’osservazione del fenomeno non cambia la predestinazione. Quello del libro è un mondo originale fatto dalla consapevolezza amara che i nostri destini, apparentemente di persone libere di scegliere, sia legato a catene indissolubili che ci rendono schiavi, concetto che vuole fornire tanti punti interrogativi a chi ha voglia di riflettere sul libero arbitrio.

Pur rimanendo quindi Arrival un gran bel film, soffre di alcuni espedienti narrativi che sono perfetti per attrarre le persone al cinema, ma elimina alcuni particolari che nel libro sono davvero molto originali e lasciano il cervello a lavorare per mesi sul significato delle nostre esistenze.

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Perché gli alieni sono venuti sulla terra?

Gli alieni sono venuti per aiutare l’umanità portando in dono la loro lingua, che è un “arma” o “strumento”, poiché in grado di cambiare la percezione del tempo (se ci pensate vedere in anticipo il futuro è davvero una gran bella arma, da ricevere in regalo!). Fanno questo perché, in cambio del loro dono, tra 3000 anni noi umani dovremo ricambiare il favore, aiutando gli alieni che – per una non specificata ragione – avranno bisogno del nostro sostegno. Ricordate: gli alieni sanno già oggi cosa accadrà nel loro futuro, quindi prevedono che grazie al loro dono gli umani li aiuteranno sicuramente.

Perché Ian lascia Louise?

Lei lo spiega, solo che quando lo spiega ancora noi spettatori non sappiamo che Ian è (sarà, era stato: fate voi) il marito di Louise. Lui la lascia perché scopre che, pur sapendo il futuro (e quindi che loro figlia sarebbe morta) lei ha scelto comunque di farla nascere (senza dire a lui che sarebbe morta).

Adesso che avete capito il finale (spero!), il mio consiglio è di rivedere il film dall’inizio e cogliere tutti quei particolari incomprensibili alla prima visione: resterete sorpresi!

La frase più bella del film, che secondo me ne racchiude il senso:

Se potessi vedere la tua vita dall’inizio alla fine, cambieresti qualcosa?

Curiosità sull’etimologia del nome “canguro”, citata nel film

Il nome dato all’animale canguro, deriverebbe da una incomprensione. La leggenda narra che durante una delle spedizioni di James Cook durante la seconda metà del ‘700, venne avvistato uno strano animale, mai visto prima, che si muoveva salterellando. Quando gli esploratori videro la creatura, incuriositi andarono subito a chiedere agli aborigeni del luogo: “Come si chiama quella strana creatura?” Al che gli aborigeni risposero: “Non capisco“, frase che nella lingua aborigena agli inglesi suonava come “Kan-ga-roo“…e da allora, Kangaroo divenne il nome di questo curioso animale. In realtà questa storia è un falso: la parola “canguro” deriva infatti dalla parola Guugu Yimithirr “gangurru”, che si riferisce ai canguri grigi. La leggenda prima citata è stata sfatata nel 1970 dal linguista John B.Haviland nella sua ricerca riguardo la lingua Guugu Yimithirr.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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