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Differenza tra trauma, contusione e trauma contusivo
Trauma
Un “trauma” nel nostro organismo si verifica quando una forza esterna di vario tipo ed intensità colpisce il corpo in un dato punto, ad esempio un Continua a leggere
Tetraplegia: significato, cause, cure e riabilitazione
Con tetraplegia (anche chiamata quadriplegia) si intende una paralisi sia del torso che degli arti superiori ed inferiori, causato da svariate patologie e traumi, ad esempio in caso di incidenti stradali o sportivi. Anche una lesione cerebrale in età infantile precoce (paralisi cerebrale infantile) o in epoche successive della vita possono provocare una tetraplegia nel caso vengano danneggiate estesamente le aree encefaliche deputate al controllo della motilità volontaria. Questa grave patologia, che fa perdere forza e sensibilità alle parti colpite, viene provocata da lesioni o traumi del midollo spinale e delle arterie vertebrali , in modo particolare delle prime sette vertebre cervicali che sorreggono il cranio, identificate con le sigle C1- C2 – C3 – C4 – C5 – C6 – C7.
Cause di tetraplegia
La tetraplegia in genere è la conseguenza di un grave trauma avvenuto in questa particolare e delicata frazione della colonna vertebrale composta dalle vertebre sopra descritte. Il trauma più frequente è quello provocato da un incidente d’auto e da cadute da motociclette e motorini ( il casco protegge la testa ma non quel tratto del collo). Può essere anche causato da un violento impatto da cadute accidentali, o da traumi derivati da attività sportive (equitazione, hockey, paracadutismo, tuffi ecc.) insomma in tutti quei casi per cui il midollo spinale viene coinvolto o danneggiato da lesioni in quel tratto di vertebre cervicali. Volendo calcolare percentualmente questi traumi:
- il 45% derivano da incidenti d’auto o motociclette
- il 21% da cadute
- il 16% da atti violenti
- il 13% da infortuni sportivi
Il deficit neurologico che ne consegue è la tetraplegia incompleta ( circa il 30% dei casi), la tetraplegia completa ( nel 26 % dei casi ), quindi la paraplegia incompleta (nel 20% dei casi). Quasi il 60% di questi devastanti infortuni riguarda giovani-adulti tra i 16 e i 30 anni, con tutte le conseguenze e i costi sociali che comportano patologie di questa gravità che prevedono la non autosufficienza per il resto della vita.
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Conseguenze della lesione
Volendo semplificare e rendere più chiare le conseguenze che derivano da traumi subiti dalle prime sette vertebre, possiamo dire che:
- La lesione che colpisce le vertebre C1 e C2 è il trauma più grave che in genere provoca la morte o la dipendenza da ventilatore meccanico.
- La lesione che dovesse colpire la vertebra C3 in genere provoca oltre alla probabile paralisi del tronco, la perdita della funzionalità del diaframma.
- La lesione che dovesse colpire la vertebra C4, può provocare la perdita della funzionalità delle spalle e del bicipite brachiale e difficoltà nella respirazione.
- Un trauma alla vertebra C5 può provocare oltre alla probabile paralisi del tronco, l’incapacità del movimento dei bicipiti,delle spalle, dei polsi e delle mani.
- Una lesione alla vertebra C6 può provocare, oltre alla perdita completa del movimento delle mani anche i movimenti del polso, la paralisi del tronco e degli arti inferiori.
- Il trauma alla vertebra C7, generalmente provoca ,oltre alla possibile paralisi del tronco, una limitazione al movimento degli arti superiori impedendo anche l’articolazione di mani e dita.
Il risultato finale purtroppo è quello che le persone che subiscono incidenti in queste prime sette vertebre, non sono più in grado di poter gestire la loro vita normale. Tra le altre lesioni che possono colpire il midollo osseo di questo segmento di colonna vertebrale, e che possono provocare forme progressive di tetraplegia, vanno aggiunti anche alcuni tipi di tumori cerebrali, forme di necrosi del midollo, o poliomelite (fortunatamente pressoché scomparsa), oppure gravi forme di distrofia muscolare, o da sclerosi a placche in fase avanzata.
Diagnosi
La persona ferita e colpita da presunta tetraplegia va urgentemente ricoverata presso una struttura dotata di unità spinale. Un team specializzato provvederà ad effettuare rapidamente approfonditi esami per individuare la collocazione della lesione e valutarne il grado di gravità attraverso test neurologici, TAC, analisi radiologiche con liquido di contrasto alle membrane delle meningi, oltre a stimolazioni magnetiche del cranio per valutare la funzionalità dei circuiti che riconducono al Sistema Nervoso Centale.
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Terapie e riabilitazione
Si può guarire da una tetraplegia? Purtroppo allo stato attuale delle ricerche e della conoscenza scientifica non esiste un intervento risolutivo per questa grave patologia. Le più recenti e promettenti ricerche sono orientate verso terapie innovative che si basano sulla rigenerazione delle parti lese del Sistema Neurologico Centrale con l’utilizzazione di cellule staminali. Solo ripristinando queste funzionalità sarà infatti possibile recuperare parte dei movimenti e della sensibilità. In attesa, le opzioni terapeutiche per le persone colpite da tetraplegia si basano in genere sulla somministrazione di corticosteroidi e medicinali per rilassare i muscoli ed alleviare il dolore. Oltre ad eventuali trazioni spinali e a sedute fisioterapiche e riabilitative, durante la riabilitazione non è escluso l’intervento chirurgico per rimuovere detriti ossei o liquidi che possano premere sul midollo spinale.
Le tecniche riabilitative più usate per tentare il recupero delle funzioni neurologiche sono:
- Metodo Kabat;
- Metodo Bobath;
- Metodo Perfetti.
A queste si aggiungono:
- Mobilizzazioni articolari;
- Stretching;
- Terapia respiratoria;
- Trattamento di disturbi sfinterici;
- Terapia occupazionale.
Complicazioni
La tetraplegia porta purtroppo con sé varie problematiche legate alla riduzione della mobilità, con diminuzione della qualità della vita del paziente. I pazienti necessitano di un’assistenza quotidiana in quanto quasi totalmente non-autosufficienti negli spostamenti, nell’alimentazione, nel vestirsi e nell’espletare i bisogni fisiologici. Inoltre varie complicanze rendono precaria la salute generale, esse sono generalmente:
- lesioni da pressione;
- trombosi;
- polmonite;
- danni mio-osteo-articolari: limitazioni articolari, retrazioni muscolo-tendinee;
- complicanze psicologiche: disturbo post traumatico da stress, depressione, pensieri suicidari;
- complicazioni nervose.
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Emorragia cerebrale da caduta e trauma cranico: sintomi, diagnosi e cure
L’emorragia cerebrale (in inglese conosciuta come intracranial hemorrhage, intracranial bleed o ICH), corrisponde ad una fuoriuscita più o meno abbondante di sangue da un vaso arterioso o venoso dell’encefalo. La fuoriuscita di sangue ha la principale conseguenza di un danno alle cellule celebrali, a causa sia della privazione del nutrimento garantito dal flusso sanguigno, che della compressione dell’ematoma sul tessuto cerebrale che si crea all’interno del cranio dal momento che quest’ultimo è inespandibile. Tale fuoriuscita di sangue è provocata dalla rottura di un vaso sanguigno che può essere sia il risultato di un picco ipertensivo che è andato a rompere un vaso cerebrale già dilatato (aneurisma cerebrale), oppure la conseguenza di un trauma, ad esempio una caduta o un incidente stradale in cui la testa viene sottoposta ad una forte decelerazione ed impatto.
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Tutti i traumi cranici determinano emorragia cerebrale?
Fortunatamente no. Non tutti i traumi cranici hanno come conseguenza una emorragia cerebrale: ciò dipende principalmente dal tipo di trauma e dalla presenza o meno di alcuni fattori di rischio che possono favorire la rottura del vaso sanguigno, come ad esempio la presenza di:
- malformazioni vascolari (aneurismi, malformazioni artero-venose);
- depositi di sostanza amiloide all’interno delle pareti vasali (angiopatia amiloide);
- neoplasiecerebrali.
Inoltre il trauma ha un maggior rischio di determinare un maggior danno emorragico, in caso di:
- presenza di coagulopatie (malattie della coagulazione del sangue);
- impiego di alcuni farmaci (come gli anticoagulanti);
- paziente con pregresso ictus cerebrale o infarto del miocardio;
- uso cronico di sostanze stupefacenti;
- presenza di ipertensione arteriosa;
- paziente già debilitato (anziano, con altre patologie come il diabete).
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Quali sono i sintomi dell’emorragia cerebrale?
I sintomi di norma compaiono all’improvviso subito dopo il trauma e possono evolvere anche molto rapidamente. Essi sono:
- cefalea intensa ed improvvisa (descritta spesso come un colpo di pugnale alla nuca);
- vomito;
- nausea;
- compromissione dello stato di coscienza e del controllo degli sfinteri;
- emiparesi o emiplegia;
- disturbi del linguaggio (disartria o afasia);
- disturbi della sensibilità;
- disturbi della coordinazione.
In alcuni casi tuttavia l’emorragia da traumi può essere lieve e rimanere asintomatica, cioè non determinare alcun sintomo, motivo per cui, in caso di urti alla testa, è comunque importante tenere sotto controllo medico il soggetto.
Il decorso poi può essere complicato da:
- crisi comiziali
- irregolarità respiratorie
- instabilità o aumento della pressione arteriosa
- anomalie della temperatura corporea che peggiorano la prognosi del paziente.
Vi può poi essere la comparsa di edema cerebrale che determina un peggioramento del quadro neurologico fino al coma.
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Diagnosi
Per la diagnosi di emorragia cerebrale vengono utilizzati – in emergenza – i seguenti esami diagnostici per immagini:
- tomografia computerizzata (TC) cerebrale, che in fase di urgenza può essere eseguita anche senza mezzo di contrasto, che permette di visualizzare il sanguinamento e permette la diagnosi differenziale nei confronti di un ictus ischemico;
- la risonanza magnetica dell’encefalo, con gadolinio come mezzo di contrasto, viene utilizzata per escludere la presenza di malformazioni sottostanti, pregresse emorragie e microsanguinamenti (che possono suggerire la presenza di angiopatia amiloide);
- lo studio angiografico con angio-TC, angio-RM permette infine di evidenziare eventuali malformazioni vascolari.
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Trattamenti
L’intervento chirurgico di riduzione dell’ematoma è solitamente richiesto per i pazienti con ematoma lombare e deterioramento progressivo delle condizioni neurologiche e per i pazienti con ematoma del cervelletto (cerebellare) di dimensioni superiori ai tre centimetri.
Nei pazienti per i quali non è necessario l’intervento chirurgico è fondamentale un attento e continuo monitoraggio dello stato neurologico e dei parametri vitali: particolare attenzione deve essere rivolta al controllo dell’ipertensione arteriosa. In caso di importante edema cerebrale può essere richiesta la somministrazione di diuretici osmotici. In caso di emorragia cerebrale in concomitanza con una terapia anticoagulante si fa solitamente uso di preparati in grado di ripristinare la normale coagulazione del sangue (vitamina K, protamina, concentrati piastrinici).
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Conseguenze dell’emorragia cerebrale
L’emorragia cerebrale è un evento grave, in alcuni casi gravissimo, che mette a rischio la sopravvivenza di chi lo subisce e le sue conseguenze possono essere irreversibili o solo lievemente reversibili e rappresentare il motivo di serie disabilità per il resto della vita. In alcuni casi, purtroppo, il paziente colpito da emorragia cerebrale, può entrare in coma e rimanere in stato di incoscienza fino alla morte, che può sopraggiungere in tempi estremamente variabili in base all’età, alla gravità del danno cerebrale ed allo stato di salute generale del paziente. In altri casi il paziente rimane cosciente, ma può avere dei danni molto variabili, che riflettono la zona e la gravità del danno cerebrale, come ad esempio disturbi del linguaggio (afasie), anosognosia, disturbi del movimento, della vista… Sono comunque disponibili dei trattamenti riabilitativi che riducono, per quanto possibile, le invalidità del paziente.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
Posizione laterale di sicurezza: come, quando e perché può salvare una vita
La posizione laterale di sicurezza (PLS) è una particolare posizione in cui si dispone – su una superficie preferibilmente piana – il corpo di un soggetto infortunato, ad esempio a causa di un incidente stradale, ed in stato di incoscienza, con il principale scopo permettergli di respirare liberamente e con il secondario obiettivo di non procurargli ulteriori danni.
Cosa fare PRIMA
Nonostante questa manovra possa in alcuni casi salvare la vita del soggetto, chiunque si trovi di fronte ad un infortunato NON DEVE MAI operarla immediatamente, ma deve sempre osservare un preciso comportamento, volto a garantire innanzitutto la sicurezza del soccorritore e, quindi, la sicurezza e la salvaguardia del soggetto da soccorrere, evitando movimenti che potrebbero solo essere controproducenti. Prima di eseguire qualsiasi manovra, è di vitale importanza ricordarsi che:
- posizionando un soggetto in PLS si determina un movimento della colonna vertebrale, ed è quindi una manovra da evitare qualora si abbia il sospetto, o la certezza, di un trauma alla stessa in base alla dinamica dell’incidente o ai dati evidenti: fate estrema attenzione a questa raccomandazione, visto che un movimento sbagliato potrebbe avere risultati drammatici, come ad esempio la paralisi a vita del paziente;
- bisogna assicurarsi il soggetto respiri ed abbia un battito cardiaco presente. In caso contrario bisogna subito allertare il 118 e successivamente il paziente NON deve essere messo in posizione laterale, bensì in decubito supino (a pancia in alto) su un piano rigido e praticare immediatamente massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca;
- i pazienti traumatizzati devono essere trattati esclusivamente da personale addestrato, salvo quei casi di grave necessità in cui ci siamo solo noi ed il soggetto incosciente.
Posizione laterale di sicurezza: lato destro o lato sinistro?
Non c’è una risposta univoca: il lato scelto è indifferente salvo particolari situazioni in cui particolari traumi e feriti possono rendere preferibile un lato piuttosto che l’altro.
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Per quali motivi mettere il paziente in posizione di sicurezza?
La posizione laterale di sicurezza ha il principale scopo di evitare il rischio di soffocamento per ostruzione delle vie respiratorie, il che può avvenire, in particolare, se la persona è supina e priva di coscienza. Il soffocamento avviene per due cause possibili:
- Ostruzione meccanica: un oggetto blocca le vie respiratorie. In molti casi si tratta della lingua della persona stessa, che cade all’indietro (quindi nella faringe) a causa della perdita di tono muscolare dovuta allo stato di non coscienza. In alternativa alla PLS, la fase A (Airways) della procedura ABC permette di gestire questa eventualità.
- Ostruzione dovuta a fluidi, ad esempio nel caso in cui il vomito del malcapitato si fermi nella faringe, ostruendola. Può capitare che la perdita di tono muscolare porti alla fuoriuscita di parte del contenuto dello stomaco; in questo caso, si parla di passive regurgitation. È possibile, inoltre, che parte dei contenuti rigurgitati finisca nei polmoni, corrodendoli a causa della acidità degli acidi dello stomaco.
La PLS permette all’infortunato di respirare liberamente proprio perché impedisce alla lingua di scivolare verso la gola e, in caso di vomito, i liquidi non vanno ad ostruire le vie aeree ma scorrono verso l’esterno del cavo orale.
Come fare a mettere il paziente nella posizione di sicurezza?
A partire da un soggetto in posizione supina con gli arti allineati lungo il corpo si deve innanzitutto individuare il lato su cui questo andrà ad appoggiare, dopodiché:
- il soccorritore si posiziona dal lato scelto, controlla che nella bocca non ci siano oggetti (dentiera, gomme da masticare, etc…) in grado di ostruirlo. Se sono presenti bisogna asportarli
- sul suo lato il soccorritore piega il ginocchio dell’infortunato ed estende accanto a sé il braccio del soggetto, lasciando il gomito flesso. Il braccio ed il torace formano così un angolo di circa 90 gradi sul terreno, il ginocchio forma invece un angolo meno esteso e verticale.
- il soccorritore posiziona la mano dell’arto superiore opposto a sé tra la testa dell’infortunato e la spalla dal proprio lato, o poco più in basso.
- infine afferra il soggetto per la spalla e per il fianco opposti a sé e, tirando, fa ruotare il corpo dell’infortunato, che dovrebbe ritrovarsi accovacciato sul lato prescelto, con la mano del lato opposto sotto la testa. Se presente, un secondo soccorritore può sostenere il capo durante la rotazione per evitare movimenti bruschi.
Dopo aver eseguito la manovra, è importante restare per effettuare il controllo periodico della presenza e della regolarità del respiro e del battito cardiaco e, comunque, non abbandonare il soggetto fino all’arrivo dei soccorsi qualificati.
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Linee guida
Si noti che esistono diverse versioni della posizione laterale di sicurezza. Ci sono piccole differenze tra le une e le altre, ma tutte condividono gli stessi principi di base:
- la bocca è rivolta verso il basso, in modo che eventuali liquidi possano scorrere all’esterno e non ostruire le vie aeree del soggetto;
- il mento è rivolto leggermente verso l’alto in modo da mantenere l’epiglottide aperta;
- le braccia e le gambe sono incrociate, in modo da rendere stabile questa posizione;
- se possibile, si può cercare di mantenere l’allineamento della colonna vertebrale tramite un cuscino o la mano stessa del soggetto.
La posizione ottenuta dovrebbe essere il più naturale possibile e non dovrebbe generare pressioni sul petto che possano rendere difficoltosa la respirazione.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Differenza tra costole e vertebre
Vertebre e costole (o più correttamente “coste”) sono ossa importanti del nostro corpo, poiché costituiscono la gabbia toracica e contribuiscono alla stabilità dello scheletro. La gabbia toracica è formata dalle cartilagini costali, dallo sterno, dalle coste e dalle vertebre toraciche, così suddivise:
- posteriormente, 12 vertebre (vertebre toraciche);
- latero-anteriormente, 12 paia di costole (o coste);
- anteriormente, le cartilagini costali e un osso chiamato sterno.
Le 12 vertebre toraciche formano (assieme alle 7 cervicali, 5 lombari, 5 sacrali e 3 coccigee) la colonna vertebrale o rachide o spina dorsale, che è il principale sostegno del corpo umano. Dalla colonna vertebrale partono le 12 paia di costole: ogni paio di costole origina infatti da una delle 12 vertebre toraciche.
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Costola incrinata: cause, sintomi, diagnosi, terapia e tempi di recupero
Una costola si dice “incrinata” quando – principalmente in seguito a un trauma nella zona del torace – risulta essere indolenzita, specialmente durante gli atti di respirazione profonda. A volte l’incrinatura è anche più estesa, interessando anche i muscoli intercostali, quelli che sono frapposti fra costola e costola. Per poterla diagnosticare correttamente, oltre all’anamnesi ed all’esame obiettivo, è opportuno procedere con alcuni esami strumentali di tipo radiologico.
Cause
L’incrinatura della costola (in medicina più correttamente denominata “costa“) è in genere la conseguenza di un trauma diretto o – meno frequentemente – indiretto, alla gabbia toracica. Ad esempio una costa si può incrinare in seguito ai colpi che è possibile ricevere al torace durante la pratica di un’attività sportiva, agli incidenti automobilistici, a quelli domestici o, perfino, ai contraccolpi al torace di una tosse violenta o di lunga durata. Un mio paziente una volta si incrinò una costa stando seduto su una sedia dotata di robusti braccioli: il mio paziente si piegò lateralmente e velocemente su di un lato ed il suo torace sbattè su un bracciolo. Questo per farvi capire che anche banali gesti quotidiani possono risultare in un trauma alla gabbia toracica che può incrinare una o più costole adiacenti.
Leggi anche: Differenza tra costola incrinata e rotta
Sintomi e segni
Quando una costola si incrina, si determina una infiammazione che genera dolore e, a volte, anche gonfiore ed ematoma, in corrispondenza dell’area traumatizzata. Il dolore tipico della costola incrinata è generalmente intenso, ma quando il busto è fermo in posizione di riposo, è in molti casi del tutto assente. Il dolore in genere compare o peggiora durante il compimento di alcune azioni, come:
- il respiro profondo;
- la compressione della zona toracica infortunata;
- i movimenti di torsione e di piegatura del corpo;
- gli sforzi a livello dell’addome e del torace;
- tossire;
- starnutire;
- singhiozzare;
- “tirare” il naso;
- urinare;
- defecare;
- emettere gas intestinali;
- sbadigliare;
- mangiare esagerate quantità di cibo e liquidi.
L’eventuale presenza di una massa anomala (ad esempio un tumore) a livello di torace e/o addome, può aumentare la sensazione dolorosa. Il dolore in genere aumenta di intensità la notte ed è estremamente fastidioso in quanto rende spesso impossibile dormire sul fianco della zona traumatizzata, inoltre anche il semplice cambiare posizione, può generare dolore.
Diagnosi
La presenza della costola incrinata determina sintomi e segni molto simili a quelli prodotti da una costola fratturata. Per cercare di giungere a una corretta diagnosi, al medico saranno richieste un’attenta anamnesi (raccolta dei dati del paziente, delle sue abitudini, di altre sue patologie e soprattutto del tipo di evento che ha fatto scaturire il dolore) un esame obiettivo che indaghi a fondo la zona traumatizzata e l’uso di esami strumentali di tipo radiologico, come la radiografia, la TC e la risonanza magnetica nucleare.
Terapia
La terapia prevista per le costole incrinate consiste principalmente nel riposo, con applicazione di ghiaccio sulla zona dolorante e con l’assunzione di paracetamolo (Tachipirina) o di FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei, come l’aspirina e l’ibuprofene) per diminuire il dolore, soprattutto assumendo i farmaci la sera, prima di andare a dormire, in modo che l’effetto antidolorifico si estenda a tutta la notte. L’obiettivo principale sarà quello di garantire il corretto respiro, considerando che un respiro non profondo può predisporre all’insorgenza di polmoniti e di infezioni polmonari, specie negli anziani e negli allettati cronici. In aggiunta ai farmaci antidolorifici sarà necessario mantenersi al riposo da qualsiasi attività fisica (sportiva o lavorativa) che includa torsioni e movimenti del busto. Utile l’applicazione del ghiaccio sulla zona gonfia e con l’ematoma (sono sufficienti almeno 15-20 minuti 3-4 volte al giorno) e ancora eseguire sporadici colpi di tosse “controllata” almeno una o due volte ogni ora per ridurre il rischio di polmoniti e di infezioni polmonari. È opportuno non avvolgere il torace con bendaggi, il che renderebbe ancora più difficile la respirazione profonda, non fumare e non eseguire movimenti improvvisi o sollevare pesi. In alcuni casi meno gravi, in palestra è possibile eseguire alcuni esercizi, ad esempio usando manubri per potenziare i bicipiti, purché il torace e l’addome restino fermi.
Leggi anche: Frattura costale multipla, volet costale e pneumotorace
Prevenzione
Non sempre è facile cercare di prevenire le costole incrinate, tenendo in considerazione che gli infortuni alla cassa toracica possono avvenire in diversi contesti e in differenti situazioni, alcune domestiche e quasi “banali”. È tuttavia opportuno cercare di ridurre i rischi indossando sempre l’appropriato equipaggiamento sportivo, utilizzando la cintura di sicurezza alla guida dell’auto e arredando la propria casa in maniera tale che possano essere minimizzati i rischi di caduta: si tratta infatti delle tre principali indicazioni mediche che è opportuno seguire per poter prevenire questo e altri infortuni tipici alla gabbia toracica. Quando si svolge qualsiasi movimento del torace, anche quello più banale, bisogna mettere in conto che una compressione a livello costale può esitare in una dolorosa incrinatura, quindi tale movimento deve essere eseguito con attenzione se c’è possibilità di urtare da qualche parte.
Tempi di guarigione
Di solito, se non vi sono particolari complicazioni, le costole incrinate guariscono in un arco temporale che oscilla tra le 2 e le 4 settimane. Generalmente il dolore è più intenso nella prima settimana e diminuisce gradatamente giorno dopo giorno, in particolare durante la seconda settimana. Se l’evento traumatico è piuttosto forte e vi è un interessamento dei muscoli intercostali, il processo di guarigione di una costola incrinata potrebbe essere anche molto più lungo, e in grado di durare anche un mese e mezzo od oltre, specie nei pazienti anziani oppure in quei pazienti che – nonostante le indicazioni al riposo da parte del medico – continuino a sforzare e traumatizzare la zona costale.
Rischi
I possibili rischi e complicanze legate ad una incrinatura costale, sono:
- polmonite;
- stipsi (a causa del dolore che avverte durante l’evacuazione delle feci, il paziente potrebbe evitare intenzionalmente di andare a bagno per più giorni di seguito e ciò può portare a costipazione);
- infezioni delle vie urinarie (urinare potrebbe aumentare il dolore e ciò spinge il paziente a trattenere a lungo l’urina, con maggior rischio di cistite e cistouretrite).
Uno dei rischi è quello di interpretare il dolore costale come causato da una incrinatura, quando potrebbe essere invece causato da una frattura della costa.
Quando andare dal medico?
In caso di infortunio lieve, in pazienti che non presentano sintomi né segni, in particolare difficoltà respiratoria ed ematomi, non è strettamente inecessario l’intervento medico. Il parere del medico sarà necessario in presenza di:
- sintomi e segni che possono indicare complicanze, come la dispnea e l’ematoma;
- gravidanza;
- paziente in età pediatrica;
- osteoporosi grave;
- tumore delle ossa;
- incremento graduale del dolore al torace (anziché la sua diminuzione);
- dolore intenso che si estende alla spalla o all’addome;
- tosse continua;
- febbre, che potrebbe essere correlata ad una polmonite;
- sospetto che in realtà l’incrinatura sia una frattura costale.
Per approfondire:
- Cos’è una costa? Differenza tra costole e coste
- Gabbia toracica: dove si trova, a che serve e da cosa è composta
- Costola rotta (frattura costale): sintomi, diagnosi e terapia
- Differenza tra costole e vertebre
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Costola rotta (frattura costale): sintomi, diagnosi e terapia
La frattura di una costola (più correttamente “costa”) è un infortunio abbastanza comune, che consiste nella Continua a leggere