Fare un clistere evacuativo: procedura semplice con peretta

MEDICINA ONLINE ENTEROCLISMA PERETTA CLISTERE EVACUATIVO PULIZIA COLON INTESTINO STIPSI COSTIPAZIONE FECALOMA FECI DURISSIME PALLINE TAPPO DIGIUNO DEFECAZIONE DIARREA ODORE CIBO TEMPO ESCon “clistere” in medicina si indica una tecnica che permette l’iniezione di un liquido nell’ano con lo scopo principale di stimolare l’evacuazione, ma anche utile in caso di irregolarità intestinali e irritazioni della mucosa intestinale, preparazione ad un intervento chirurgico o ad una procedura d’indagine come l’anoscopia, la rettoscopia o la colonscopia, oppure in caso di fecalomi. Vediamo oggi come praticare un clistere tramite una “peretta“, anche denominata “pompetta” (i due termini sono sinonimi). In inglese la peretta viene chiamata “rubber syringe” o “bulb syringes“).

Precisazione: in questo articolo descriviamo come fare un clistere tramite peretta, cioè l’apparecchio che vedete nella foto in alto, se cercate invece il metodo per fare il clistere con un enteroclisma o con un microclisma, leggete:

Occorrente

Per praticare un clistere tramite peretta, occorrono:

  • un kit nuovo per clistere a peretta, acquistato in farmacia;
  • vasellina o gel ipoallergenico o un cucchiaino di olio di mandorle organico, olio di oliva o di cocco, per lubrificare l’ingresso della sonda;
  • cestino per rifiuti biologici.

Abbiamo un ampolla un contenitore di piccole dimensioni con una cannula all’estremità: niente di complesso, la cannula ha una misura utile per restare entro l’ampolla rettale.

Procedura

Se devi praticare un clistere tramite peretta, segui questi step:

  1. Fare stendere il soggetto sul letto, preferibilmente sul fianco sinistro.
  2. Individuare la sede di introduzione, che deve essere visibile e possibilmente sana: può sembrare banale ma potremmo avere infezioni o emorroidi vegetanti all’esterno dell’ano che mostrano false vie o peggio formazioni neoplastiche che possono sanguinare facilmente e possono richiedere a nostra valutazione di non proseguire.
  3. Lubrificare la sonda.
  4. Inserire la sonda fino all’ampolla rettale.
  5. In caso di ostacoli, tornare lievemente indietro e trovare nuova via.
  6. Procedere con l’introduzione del liquido.
  7. Far rimanere il soggetto almeno 10 minuti in posizione sdraiata e sul fianco sinistro.

Se si procede da soli, specie la prima volta, sarebbe opportuno evitare di farsi il clistere. Nonostante eseguire un clistere con peretta è generalmente una pratica sicura, è opportuno avere comunque accanto una persona di fiducia per qualsiasi evenienza. In caso di comparsa di dolore molto intenso o di sanguinamento dal retto, interrompere le operazioni e contattare immediatamente un medico: la peretta potrebbe aver determinato una lesione che non deve essere sottovalutata.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Singhiozzo: perché viene e come farlo passare?

MEDICINA ONLINE ACQUA WATER DEMINERALIZZATA DEIONIZZATA IONI SALI ACIDA SALUTE DISTILLATA IDROGENO CHIMICA OSSIGENO DRINK POTABLE WALLPAPER PICS HI RES IMAGE PHOTO PICTURESIl singhiozzo è causato da uno spasmo del muscolo diaframma, che si contrae in maniera involontaria e anomala generando il famoso, “hic”. Questo  suono è causato dalla glottide, quando il diaframma si contrae, a causa dell’aria  che compie il suo percorso in maniera veloce. Le cause sono riconducibili a una cattiva deglutizione di liquidi, o ad uno sbalzo di temperatura. Inoltre il fumo, i cibi piccanti, un pasto molto ricco, una grande risata o una forte emozione sono anche essi potenziali cause della comparsa del singhiozzo. Per far passare il singhiozzo si può ricorrere a rimedi antichi ed efficaci, tramandati da secoli.

Alcuni consigli per far passare il singhiozzo

  • Trattenere il respiro il più a lungo possibile (almeno una decina di secondi), distrae il cervello dall’irritazione e rilassa il diaframma.
  • Bere diversi piccoli sorsi (almeno dieci) senza respirare in quanto seda i nervi.
  • Provocare uno spavento: infatti una sorpresa può scombussolare il nervo vago e far cessare il singhiozzo.
  • Otturarsi le orecchie (per almeno 10 secondi) per scombussolare il nervo vago e far cessare il singhiozzo.
  • Gonfiare un palloncino, in quanto si aumenta la quantità di anidride carbonica nel sangue che distrae il cervello dal nervo vago.
  • Solleticare il palato sotto la lingua con un cotton fioc.
  • Mettere un cucchiaino di zucchero sul dorso della lingua (quindi non sulla punta): il dolce distrarrà le terminazioni nervose.
  • Assumere  sostanze naturali e calmanti quali la camomilla, valeriana, menta e lavanda;sono ottimi rimedi per rilassare la muscolatura del diaframma.
  • Ingerire dell’aceto o del succo di limone.
  • Si può anche intervenire con l’agopuntura localizzata nell’orecchio.
  • L’eruttazione sembra essere un ottimo metodo per togliere il singhiozzo

Come prevenire il singhiozzo

  • Evitare di bere troppi alcolici in quanto irritano la digestione e le mucose
  • Non mangiare velocemente:infatti la cattiva masticazione può provocare degli intrappolamenti di aria che scompensano il nervo vago. Dicasi la stessa cosa se si beve velocemente.
  • Evitare cibi piccanti in quanto irritativi della mucosa drastica.
  • Soprattutto non dimenticare che il singhiozzo è un segnale di sovraccarico di cibo quasi a dire di smetterla di mangiare!

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Vomitare sangue ed ematemesi: cos’è, cosa fare, cause e terapie

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Cause

Le cause dell’ematemesi sono da ricercarsi in problemi gastrointestinali. Una possibile causa potrebbe essere un’ulcera gastrica o duodenale. Infatti, la metà dei pazienti affetti da queste patologie presenta ematemesi. L’ulcera è una lesione della mucosa che può essere causata da diversi fattori, tra cui l’assunzione di farmaci antiinfiammatori non steroidei che provocano una gastrite erosiva. L’ematemesi si verifica anche in seguito a un trauma fisico, come potrebbe succedere dopo un incidente stradale o dopo un allenamento sportivo che porta alla rottura di vasi sanguini del tratta gastrointestinale. Una causa simile a questa appena descritta è la angiodisplasia gastrica che porta alla rottura dei vasi sanguini a causa di una loro malformazione. Altra causa dell’ematemesi potrebbero essere le varici esofagee che sono delle dilatazioni dei vasi dell’esofago che hanno luogo in seguito a ipertensione venosa, cioè quando aumenta la pressione del sangue. Questo genere di ipertensione con la formazioni di varici è anch’essa un sintomi di una patologia: la cirrosi epatica. Anche tumori a stomaco, intestino, pancreas, fegato e esofago possono avere come sintomo l’ematemesi. La sindrome di Mallory – Weiss è una patologia che non ha ancora individuato con precisione la sua causa ma pare certo che è indicata dalla presenza di ematemesi. Pare che frequenti episodi di vomito a causa di abuso di alcol portino alla lacerazione dello sfintere che provoca una piccola emorragia. Infine, l’ematemesi può essere sintomo della malattia emorragica del neonato. Si tratta di una patologia che colpisce i bambini e i neonati, come si può capire dal suo nome. In corrispondenza a una mancanza totale di vitamina K, il sangue non è coagulato per una mancata formazione del fegato e così il neonato presenta ematemesi.

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Terapia

Come già detto, l’ematemesi è il sintomo di altre patologie, quindi è possibile curarla solo diagnosticando le cause a monte ed intervenendo su di esse. Quando si presenta l’ematemesi, si deve correre all’ospedale, dove il paziente è sottoposto a misurazione della pressione sanguigna per verificare che non sia in atto una grave emorragia. Con una perdita di sangue, i medici immettono subito per via endovenosa altri liquidi, perché il volume ematico si riduce con l’ematemesi. Si procede, inoltre, con esami del sangue per contare globuli rossi, elettroliti e concentrazione di emoglobina. Con perdite di sangue ingenti, si deve ricorre anche a delle trasfusioni. Per trovare l’origine dell’ematemesi è eseguita una gastroscopia che individua la presenza di ulcere gastriche o duodenali da dove potrebbe provenire il sangue. Sono prescritti farmaci anti emorragici per fermare la fuoriuscita di sangue. Una volta individuata la causa, si può cauterizzare i vasi che provocano il sanguinamento. Nei casi più gravi, si deve intervenire chirurgicamente; l’intervento dipende dalla patologia in corso. Dopo aver avuto l’ematemesi, è sempre consigliabile restare a digiuno per un paio di giorni e, in quelli successivi, seguire una dieta a base di liquidi evitando i cibi solidi.

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Sangue occulto nelle feci: da cosa dipende e come si cura

MEDICINA ONLINE INTESTINO COLON TENUE CRASSO APPENDICE TRASVERSO ASCENDENTE DISCENDENTE RETTO ANO COLECISTI STOMACO DUODENO ILEO PARALITICO ADINAMICO MECCANICO OSTRUZIONE OCCLUSIONE SUBOIl sangue occulto nelle feci è uno scenario nel quale gli escrementi presentano delle tracce di sangue non tali da essere visibili a occhio nudo, ma comunque sufficienti da poter essere apprezzate attraverso delle analisi di laboratorio. Si tratta dunque di un test molto importante per lo screening per il tumore del colon-retto, che i medici consigliano di ripetere almeno una volta ogni due anni, superata la cinquantina. Naturalmente, come spesso avviene attraverso tali test di screening, anche questa analisi non ha valenza diagnostica, ma serve unicamente per identificare le persone a rischio per tale tipologia di patologia, e per i polipi intestinali.

Da cosa può dipendere il sangue occulto nelle feci

Sancito quanto precede, è altrettanto ovvio che per poter diagnosticare quali siano le motivazioni sottostanti al sangue occulto nelle feci è necessario indirizzare il paziente verso altri specifici esami, come la colonscopia. Il sangue occulto nelle feci può infatti dipendere da un lungo elenco di diverse condizioni come, tra i principali, l’ulcera duodenale o gastrica, le varici esofagee, la colite ulcerosa, il morbo di Crohn, la diverticolite, le fistole anali, o ancora la possibile contaminazione del campione con sangue mestruale o delle urine, emorroidi, ragadi, dieta inadeguata e così via. Nonostante non sia utile per poter diagnosticare correttamente la patologia alla base del sangue occulto nelle feci, effettuare regolarmente questo esame risulta essere molto utile per una prognosi tempestiva di qualche problema. Stando ai risultati di alcuni studi recenti, ad esempio, la ricerca di sangue occulto nelle feci ha mostrato una riduzione del 33% se il test veniva effettuato ogni anno, e del 21% se effettuato ogni due anni.

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Come prepararsi al test

La preparazione al test per il sangue nelle feci può essere effettuata secondo le indicazioni specifiche del medico, considerando che dipenderà dalla tecnica di diagnostica scelta. In linea di massima, le tecniche tradizionali si basano sull’uso del guaiaco, sfruttando delle striscette di carta che sviluppano un colore definito in presenza di sangue. Per evitare dei falsi risultati positivi, è comunque consigliabile, nei giorni precedenti l’esame, astenersi dal consumo di carni rosse crude o semicrude, salumi, fonti ricchi di vitamine C, alcolici, medicinali antinfiammatori. È ancora consigliato pulire i denti con delicatezza al fine di evitare emorragie gengivali, e seguire un’alimentazione ricca di fibre.

Esistono ad ogni modo delle nuove tecniche di diagnostica molto più avanzate di queste tradizionali, in seguito alle quali non è più necessario rispettare tali norme. I test sono tuttavia in grado di evidenziare solamente la presenza di sangue occulto che proviene dal colon e dal retto, poiché la globina (la porzione proteica che viene impattata da anticorpi diretti attraverso tali test) non supera “indenne” il tratto gastrointestinale superiore, essendo sostanzialmente digerita.

Di norma, questi test più innovativi vengono riservati dunque per i soli test di screening per il cancro al colon / retto, anche per il plus determinato dall’indipendenza dei risultati da possibili emorragie dei tratti iniziali del tubo digerente.

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Qualche ulteriore consiglio

Si ricorda infine che per poter incrementare l’utilità dei test, è importante – durante la raccolta delle feci – campione – cercare di rispettare le indicazioni che il centro di analisi fornirà a tutti i pazienti. Di solito, queste indicazioni sono abbastanza basilari, e fanno riferimento alla necessità di usare un apposito recipiente sterile, ed emettere le feci in un recipiente, evitando di mescolarle con altre sostanze come urine, acqua del wc, detergenti. Quindi, occorre procedere a raccogliere il campione con un’apposita spatolina in almeno tre punti diversi delle feci, fino a riempire metà del recipiente (ottenendo così un campione quanto più omogeneo possibile). Si dovrà infine procedere a scrivere il nome sull’etichetta del sistema per la raccolta delle feci, condurre il campione in laboratorio entro alcune ore o, nella necessità di raccogliere più campioni, conservare le stesse all’interno del frigorifero. Per i motivi e le intuizioni che dovrebbero essere ben chiare a questo punto, evitare di eseguire il test di ricerca del sangue occulto nelle feci durante le mestruazioni, in presenza di emorroidi sanguinanti o quando si perde del sangue con le urine: in tutte queste ipotesi, infatti, i test potrebbero essere inficiati e contaminati da altre sostanza che potrebbero fornire falsi risultati.

Quale contenitore sterile usare?

Per raccogliere e conservare correttamente il campione di feci da inviare in laboratorio, è necessario usare un contenitore sterile apposito, dotato di spatolina. Il prodotto di maggior qualità, che ci sentiamo di consigliare per raccogliere e conservare le feci, è il seguente: http://amzn.to/2C5kKig

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Indice glicemico, carico glicemico e densità glucidica: perché sono importanti?

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Indice glicemico

L’indice glicemico (da cui l’acronimo “IG”; in inglese glycemic index) rappresenta la capacità dei carboidrati contenuti negli alimenti di innalzare la glicemia. La glicemia è il valore che indica la quantità di glucosio presente nel sangue. Per quantificare l’indice glicemico di un alimento è necessario assumerne 50 grammi e monitorare i livelli glicemici nelle due ore seguenti. Tali valori andranno poi confrontati con quelli dello standard di riferimento che nella fattispecie è il glucosio, che ha un indice glicemico pari a 100. Se un alimento ha indice glicemico pari a 60 significa che ingerendo 50 grammi di quel dato alimento la glicemia sale del 60% rispetto a quanto avviene con 50 grammi di glucosio.

La definizione precisa di indice glicemico di un alimento, sulla base di quanto detto, è: la velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all’assunzione di un quantitativo di quel dato alimento contenente 50 g di carboidrati, ottenuto misurando la glicemia due ore dopo l’assunzione, espresso in percentuale rispetto al valore standard sulla velocità di aumento della glicemia con la stessa quantità di glucosio.

Dal punto di vista dell’indice glicemico, non tutti i carboidrati sono uguali:

  • alcuni vengono assorbiti più velocemente e determinano un aumento più rapido della glicemia (indice glicemico alto);
  • alcuni vengono assorbiti più lentamento e determinano un aumento più lento della glicemia (indice glicemico basso).

L’indice glicemico può essere considerato:

  • molto basso: indice glicemico fino a 40
  • basso: indice glicemico tra 41 e 55
  • moderato: indice glicemico tra 56 e 69
  • alto: indice glicemico da 70 in su.

Parlando in generale, possiamo dire che:

  • tanto più un carboidrato è digeribile e tanto maggiore sarà il suo indice glicemico;
  • i carboidrati con basso indice glicemico determinano un senso di sazietà che dura più a lungo rispetto a quelli con alto indice glicemico;
  • i carboidrati con basso indice glicemico sono da preferire per i diabetici e per chi è sottoposto a dieta ipocalorica;
  • se la persona ha problemi di ipoglicemia, un alimento con alto indice glicemico le permette di vedere un rapido rialzo dei valori di glucosio ematico.

Leggi anche: Valore biologico: significato, alimenti con proteine ad alto e basso valore biologico

Carico glicemico

Quando si parla di indice glicemico è molto importante specificare anche il concetto di carico glicemico (in inglese glycemic load). Questo parametro si ottiene rapportando l’indice glicemico di un certo alimento alla sua porzione, diviso 100. E’ quindi sufficiente moltiplicare l’IG di un dato carboidrato (ad esempio fruttosio, che ha un IG pari a 20) per la quantità assunta (ad esempio 30 grammi). Nel caso specifico il carico glicemico del pasto è pari a 20 x 30 = 600 : 100 = 60. Maggiore è il carico glicemico maggiore è il conseguente innalzamento dei livelli glicemici e il rilascio di insulina nel sangue. Il carico glicemico può essere considerato:

  • basso: carico glicemico fino a 10
  • moderato: carico glicemico tra 11 e 19
  • alto: carico glicemico da 20 in su.

Il carico glicemico e la quantità di cibo assunto, sono concetti più importanti rispetto all’indice glicemico preso singolarmente: spesso – infatti – si assiste ad una superficiale ed errata valutazione che vede i cibi ad alto indice glicemico come la causa di una iperglicemia (alto indice glicemico uguale iperglicemia), quando in realtà ciò che deve essere considerato per prevenirla è unicamente il carico glicemico. È quest’ultimo metodo di calcolo infatti che serve a comprendere in che quantità può essere assunto un cibo glucidico per prevenire l’iperglicemia. In base a queste considerazioni si può capire che i cibi ad alto indice glicemico non causano iperglicemia in termini assoluti, ma la causano in base alla quantità in cui vengono assunti. Quindi come un cibo con indice glicemico non determina necessariamente iperglicemia se assunto in quantità ridotte, allo stesso tempo una grande quantità di cibi a basso indice glicemico può comunque determinare iperglicemia. Semplificando questi concetti, possiamo dire con certezza che – per non ingrassare e tenere sotto controllo glicemia ed appetito – la quantità di ciò che si mangia è più importante dell’indice glicemico del singolo alimento. Escludere dalla propria dieta alcuni cibi solo perché hanno un indice glicemico elevato non ha alcun senso: basta, semplicemente, avere un rapporto equilibrato con il cibo evitando gli eccessi e – nel dubbio – seguendo i consigli di un bravo nutrizionista.

Leggi anche: Fabbisogno calorico: quante calorie “mangiare” ogni giorno?

Tabella con indice glicemico degli alimenti più diffusi

La seguente tabella riporta l’indice glicemico di alcuni alimenti appartenenti a gruppi differenti. Per una più facile identificazione abbiamo diviso gli alimenti in tre gruppi:

INDICE GLICEMICO MODERATO/ALTO INDICE GLICEMICO BASSO/MODERATO INDICE GLICEMICO MOLTO BASSO
ALIMENTI IG ALIMENTI IG ALIMENTI IG
Maltosio 109 Ananas 59 ± 8 Prugna 39±15
Datteri (secchi) 103±21 Gelato da 57 a 80 Albicocca 38 ± 2
Maltodestrine 100 Kellogg’s Special K da 54 a 84 Pere 38±2
Glucosio 100 Muesli da 39 a 75 Bastoncini pesce 38
Pane bianco da 30 a 110 Coca Cola 58±5 Yogurt 36 ± 4
Cornflakes (Kellog’s) 91 Spaghetti Barilla cotti 10 minuti 57 Piselli bolliti 32.9
Miele da 32 a 95 Banana 52 ± 4 Latte magro 32 ± 5
Patate al forno 89±12 Kiwi 53±6 Latte di soia 32±2
Pizza al formaggio (Italia) 80 Mango 51±5 Pesche in Scatola da 30 a 71
Gatorade 78±13 Pane di Segale da 50 a 64 Fagioli bolliti 29 ± 9
Pane di frum. senza glutine 76±5 Succo d’Ananas 50 ± 4 Pesca fresca da 28 a 56
Patate fritte 75 Succo di Pompelmo 48 Mela da 28 a 44
Zucca 75 ± 9 Maccheroni 47±2 Salsiccia 28
Crackers da 52 a 98 Carota 47 ± 16 Latte intero 27 ± 4
Melone 75 Uva da 46 a 59 Ciliegie 22
Cocomero 72 ± 13 Pere in Scatola 46.0 Lenticchie da 22 a 34
Popcorn 72±17 Yogurt magro alla frutta 45 Fruttosio puro 19 ± 2
Riso arborio 69 ± 7 Arancia 42 ± 3 Fagioli di Soia bolliti 18 ± 3
Fanta 68 ± 6 All-Bran 42 ± 5 Yogurt magro da 14 a 45
Saccarosio e Zucchero di Canna 68 ± 5 Succo di Mela 40 ± 1 Arachidi 13
Croissant 67
Biscotti (Oro Saiwa, Italia) 64±3
Patate comuni bollite da 56 a 101
Patate dolci 61 ± 7

Variabilità dell’indice glicemico e del carico glicemico

Osservando la tabella prima riportata, possiamo notare come alcuni alimenti abbiano un indice glicemico molto variabile. Prendiamo ad esempio i pop corn, che hanno un indice glicemico pari a 72±17. Ciò significa che l’IG dei pop corn può oscillare tra 55 e 89. I punteggi assegnati alla maggior parte degli alimenti sono variabili, e spesso questa variabilità può essere anche molto marcata. Ad eccezione dei carboidrati puri (come glucosio, fruttosio, saccarosio, galattosio, lattosio ecc. che hanno un IG stabile), i cibi glucidici (che sono composti solo in parte da carboidrati) sono soggetti ad un’estrema variabilità in base a molteplici fattori che alterano il punteggio dell’indice glicemico:

  • varietà dell’alimento: le diverse varietà di un frutto o un ortaggio hanno un diverso IG (ad esempio le mele verdi hanno un IG più basso delle rosse);
  • grado di maturazione: maggiore è la maturazione di frutto, maggiore è l’IG;
  • rapporto tra diversi carboidrati: il diverso rapporto tra glucidi contenuti in un alimento determina un diverso IG (come il rapporto glucosio/fruttosio per il miele, o il rapporto amilosio/amilopectina per l’amido);
  • formato della pasta: in base al formato, una pasta può avere un diverso indice glicemico;
  • zona di coltivazione: la diversa provenienza e il diverso clima causano una variazione dell’IG;
  • eventuale raffinazione: i cibi glucidici raffinati, come i farinacei nel caso del grano o di altri cereali, hanno un IG più alto;
  • contenuto degli altri macronutrienti: il maggiore contenuto di grassi e di proteine determina un IG più ridotto, ma un indice insulinico maggiore;
  • contenuto in fibre: il maggiore contenuto di fibre (specie solubili) determina un IG più ridotto;
  • grado di idratazione: un cibo glucidico maggiormente idratato è più digeribile di uno secco (l’amido crudo è indigeribile);
  • grado di masticazione: un cibo masticato meno ha un IG inferiore allo stesso cibo masticato di più;
  • eventuali tempi di cottura: la cottura di un alimento amidaceo aumenta l’IG in maniera proporzionale;
  • pasti precedenti e orari: l’impatto glicemico di un pasto glucidico varia in base agli orari e alla composizione dei pasti precedenti.

Fatte queste premesse, si capisce che non è possibile stabilire con esattezza l’indice glicemico di un alimento glucidico, salvo alcune eccezioni. Anche il conseguente calcolo del carico glicemico di conseguenza, dal momento che si basa sul valore dell’indice glicemico, non potrà rivelarsi fisso.

Leggi anche: Glicemia alta o bassa: valori normali, che patologie indica e come si controlla nei diabetici

Densità glucidica

Fondamentale per la valutazione del carico glicemico è il riconoscimento della densità o percentuale di glucidi contenuta in un alimento, poiché è necessario anche questo dato per poterne stabilire il valore. A poco serve conoscere l’IG di un alimento se poi non si considera la quantità di carboidrati contenuti al suo interno. Se infatti un alimento ha un alto IG ma una bassa densità di carboidrati (prevalentemente per l’alto contenuto di acqua), il suo consumo potrà comunque essere relativamente più abbondante, senza che venga raggiunto un alto CG, ovvero il risultato che interessa prevalentemente la prevenzione di un evento di iperglicemia. Al contrario se un alimento ha un moderato IG ma un’alta densità glucidica, il suo consumo dovrà essere più contenuto.

  • se l’IG medio del cocomero è 80, e la sua densità media di carboidrati è del 5%, per ottenere una porzione dal carico glicemico medio si potrà consumarne al massimo poco meno di 500 grammi.
    IG (80) x quantità di carboidrati (25 su 500 di peso) / 100 = 20
  • se l’IG medio delle patate bollite è di 80, e la loro densità di carboidrati è di circa il 20%, per ottenere un pasto dal carico glicemico medio si potrà consumarne al massimo poco più di 120 grammi.
    IG (80) x quantità di carboidrati (24 su 120 di peso) / 100 = 19,2
  • se l’IG medio degli spaghetti è 57, e la loro densità di carboidrati medio sul peso secco è del 75%, per ottenere un piatto dal carico glicemico medio si potrà consumarne al massimo circa 40 grammi sul peso secco.
    IG (57) x quantità di carboidrati (30 grammi su 40 di peso) / 100 = 17,1

Osservando questi esempi si può capire che non è solo l’indice glicemico di un alimento a rivelarsi essenziale per conoscere e controllare il carico glicemico, ma anche la percentuale glucidica. Sono entrambi questi valori che, assieme, hanno un ruolo ugualmente determinante sul risultato del carico glicemico. Alimenti ad alto indice glicemico ma a bassa densità di carboidrati (5-20 %) come il cocomero o le patate bollite, possono essere consumate in quantità notevolmente più abbondanti (100, 200, 500 gr) rispetto ad un cibo a IG medio come gli spaghetti (40 gr secchi), ma dall’alta densità glucidica (75 %). L’alta densità di carboidrati negli spaghetti comunque è dovuta al fatto che l’alimento viene pesato secco; in seguito alla cottura, il peso degli spaghetti aumenta a causa dell’idratazione: se la percentuale di acqua incrementa, di conseguenza diminusice quella dei macronutrienti (quindi anche dei carboidrati). Allo stesso modo la bassa densità di glucidi nelle patate e nel cocomero sono daterminate soprattutto dal loro alto contenuto di acqua.

Leggi anche: Indice glicemico: perché è importante per il paziente diabetico

Indice insulinico e carico insulinico

Ai concetti prima espressi, bisogna aggiungere altri due, che sono l’indice insulinico ed il carico insulinico dei cibi:

  • indice insulinico: è un parametro che misura la produzione di Insulina nell’organismo in risposta all’ingestione di un qualsiasi alimento. Esso quindi rappresenta l’effetto di un alimento esclusivamente e direttamente sull’insulinemia, e non sulla glicemia, permettendo una valutazione più precisa della risposta insulinica. L’indice insulinico è un valore assoluto che stabilisce il diverso potere insulinogenico degli alimenti sulla base della stessa quantità calorica (239 kcal, equivalenti di 1000 kj), e quindi guarda ai diversi tempi di assimilazione e all’intensità di secrezione dell’ormone a parità di valore calorico;
  • carico insulinico: è un parametro che stabilisce l’impatto sull’insulinemia di un cibo in base al suo indice insulinico ed al suo valore calorico. In analogia con quanto fa il carico glicemico in relazione al indice glicemico per valutare i livelli della glicemia in base alla specifica quantità di carboidrati di un alimento glucidico, il carico insulinico misura i livelli dell’insulinemia indotti da una specifica quantità dei cibi calorici in base al loro indice insulinico, cioè al potere dei cibi di stimolare l’insulina in termini assoluti sulla base della stessa quantità isocalorica standard, senza considerare però la quota di carboidrati contenuti al loro interno. Il carico insulinico viene calcolato moltiplicando i valori dell’indice insulinico per l’apporto calorico totale.

Leggi anche: Differenza tra indice glicemico e insulinico

Alimenti ad alto indice glicemico

Consumando alimenti ad alto indice glicemico:

  • la glicemia sale di più e più in fretta
  • la risposta insulinica è più marcata
  • l’organismo si abitua ad utilizzare, preferenzialmente, gli zuccheri al posto dei grassi; anche la trasformazione dello zucchero in grassi tende ad aumentare (sovrappeso)
  • lo stress ossidativo aumenta (invecchiamento precoce, rischio oncologico)
  • dopo 2-4 ore la glicemia scende e torna la fame
  • nel tempo si crea un sovraccarico di lavoro per il pancreas che causa inizialmente insulinoresistenza e successivamente la comparsa del diabete
  • Il rischio di carie dentaria è maggiore

Una dieta troppo ricca di alimenti ad alto indice glicemico (carico glicemico complessivo elevato) incrementa il rischio di cancro soprattutto all’apparato gastrointestinale e all’ovaio. Non è ancora chiaro se tale relazione sia dovuta all’eccessivo consumo di alimenti ad elevato IG, al conseguente sovrappeso, oppure ad una dieta troppo ricca di zuccheri e povera di frutta e verdura. Per lo sportivo è importante evitare di assumere troppi alimenti ad alto indice glicemico prima della competizione o allenamento. Il consumo di zuccheri semplici farebbe infatti aumentare rapidamente la glicemia stimolando una pronta secrezione di insulina con conseguente ipoglicemia secondaria, diminuzione dell’ossidazione dei grassi e possibile rapida deplezione delle scorte di glicogeno. I carboidrati ad alto e moderato indice glicemico sono invece utili per favorire il recupero nel postallenamento.

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Alimenti a basso indice glicemico

Gli alimenti a basso indice glicemico hanno un notevole effetto sul rischio cardiovascolare in quanto attenuano l’iperinsulinemia postprandiale e favoriscono un aumento del colesterolo buono (HDL). E’ interessante notare che l’indice glicemico degli alimenti non dipende soltanto dal tipo di carboidrati in esso contenuti. Riso e patate, pur essendo ricchi di amido (polisaccaride) possiedono un indice glicemico superiore al fruttosio e a molti frutti zuccherini. La fibra alimentare rallenta infatti il tempo di transito gastrico, con riduzione della velocità di assorbimento degli zuccheri assunti insieme alla fibra. Un analogo discorso può essere fatto per i grassi (il latte scremato ha un indice glicemico superiore rispetto a quello intero) e in misura minore per le proteine. L’assunzione di alimenti a basso indice glicemico prima della competizione ha un effetto positivo sulla performance degli sportivi.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Sangue occulto nelle feci: come interpretare il risultato dell’esame

MEDICINA ONLINE PRELIEVO VALORI ANEMIA DONAZIONE SANGUE ANALISI BLOOD LABORATORI VES FORMULA LEUCOCITARIA PLASMA FERESI SIERO FIBRINA FIBRINOGENO COAGULAZIONE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIASTRINE WALLPAPER HI RES PIC PICTURE PHOIn condizioni normali lo stomaco e l’intestino perdono una quantità di sangue minima durante la digestione, quindi la presenza nelle feci è trascurabile e non è rilevabile dall’esame del sangue occulto.

Quando sono presenti polipi, cioè le piccole sporgenze simili a dita all’interno dell’intestino o del retto, questi possono essere fragili e sanguinare, ad esempio quando vengono a contatto con i prodotti della digestione. Il sangue di solito non è visibile ad occhio nudo nelle feci, ma può essere individuato con l’esame del sangue occulto. I polipi benigni sono relativamente comuni dopo i 50 anni, ma possono diventare maligni e diffondersi anche in altre parti dell’organismo (tumore metastatico).

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La maggior parte dei casi di tumore del colon-retto ha infatti origine da polipi intestinali benigni che si trasformano in polipi maligni. Il sangue nelle feci, quindi, può indicare che il paziente ha dei polipi intestinali che, se non controllati, potrebbero trasformarsi in un tumore maligno. In molti casi le tracce di sangue sono il primo e unico segno del tumore al colon-retto, quindi l’esame del sangue occulto nelle feci è uno strumento di screening fondamentale per questo tipo di tumore. L’esame del sangue occulto nelle feci può essere eseguito con metodi diversi a seconda del laboratorio ma, indipendentemente dalla tecnica di analisi usata, è consigliabile eseguire l’esame su almeno tre campioni raccolti in giorni diversi, perché il sanguinamento, in particolare quello causato dai polipi e dai tumori, è intermittente. Con i test di ultimissima generazione potrebbe essere sufficiente, almeno a livello di screening, l’esecuzione su un unico campione.

In media, per ogni 100 persone che fanno l’esame, cinque risultano positive (fonte: AIRC). In caso di esito positivo saranno necessari ulteriori approfondimenti per capirne l’origine, in quanto l’esame permette solo di sapere se sia presente o meno, e distinguere così le diverse possibili spiegazioni (oltre al tumore il test potrebbe essere positivo a causa di emorroidi, ragadi, diverticolosi…). Il grande vantaggio di questo esame è che, a differenza della colonscopia, non è assolutamente invasivo e non richiede alcun tipo di preparazione. È inoltre economico e permette di mettere in atto programmi di screening a livello dell’intera popolazione (in base all’età, ovviamente).

I lati negativi sono invece i seguenti:

  • Potrebbe non rilevare un tumore che non sanguina,
  • Può essere causa di falsi positivi,
  • Richiede di essere fatto relativamente spesso (una volta all’anno secondo alcune società scientifiche),
  • La colonscopia è necessaria in caso di esito positivo.

Interpretazione

Un risultato negativo indica che non è presente sangue nelle feci e, anche se non consente di escludere con assoluta certezza la presenza di un tumore, permette una ragionevole tranquillità. Un esito positivo indica che c’è un sanguinamento anomalo nell’apparato digerente, la cui causa può essere per esempio:

  • ulcera,
  • diverticolite,
  • polipi,
  • malattia infiammatoria cronica intestinale,
  • emorroidi,
  • tumore.

Alcuni test di vecchia generazione potrebbero positivizzarsi anche in caso di sanguinamento presente a livello di gengive o naso, mentre nei test più recenti (immunochimici) viene individuato solo il sangue proveniente dal tratto digestivo inferiore. Se l’esito dell’esame è positivo, a prescindere dalla metodologia usata è necessario eseguire ulteriori accertamenti, ad esempio la sigmoidoscopia o la colonscopia.

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Valori Alti

  • Diverticolite
  • Emorroidi
  • Malattia infiammatoria intestinale
  • Polipi intestinali
  • Tumore al colon
  • Tumore al retto
  • Ulcera peptica.

Fattori che influenzano l’esame

L’esame può dare un esito falso positivo se:

  • le gengive sanguinano, perché si è andati dal dentista o si soffre di gengivite,
  • il paziente soffre di sanguinamento gastrico provocato dai FANS (antinfiammatori non steroidei), come l’aspirina, il naprossene e l’ibuprofene,
  • (per alcune metodologie) il paziente assume alimenti come la carne rossa, i broccoli, le rape, il cavolfiore, le mele, le arance, i funghi e il rafano, e farmaci come la colchicina, medicinali contenenti ferro e gli ossidanti (come lo iodio e l’acido borico).
  • L’esame può dare un esito falso negativo se il paziente assume integratori e alimenti contenenti la vitamina C.

I risultati possono essere falsati se il campione è contaminato da urine contenenti sangue o dal sangue mestruale.

Quando viene richiesto l’esame

L’esame del sangue occulto nelle feci viene quasi sempre eseguito insieme agli altri esami di routine ed è usato principalmente per la diagnosi precoce del tumore al colon. È uno strumento di screening, e non diagnostico. I medici del Ministero della Salute consigliano ai soggetti di età compresa tra i 50 e i 69 anni di sottoporsi all’esame ogni due anni, mentre l’American Cancer Society americana e altre organizzazioni consigliano di eseguirlo una volta all’anno a partire dai 50 anni di età, oppure seguendo la prescrizione medica basata sulla famigliarità del paziente. La maggior parte dei pazienti che si sottopone all’esame è asintomatica. In alcuni casi il medico può prescrivere la ricerca se il paziente soffre di un’anemia inspiegabile che potrebbe essere causata da sanguinamenti occulti nell’apparato digerente, oppure anche solo sintomi correlati: spossatezza, emoglobina ed ematocrito bassi, feci più scure del normale.

Preparazione richiesta

Prima di eseguire l’esame del sangue occulto nelle feci bisogna osservare diverse precauzioni e raccomandiamo di chiedere indicazioni in merito al medico od al laboratorio. Per gli esami eseguiti con i metodi immunochimici, i più recenti, non ci sono particolari necessità di preparazione, perché l’esame usa gli anticorpi che individuano soltanto il sangue proveniente dal colon. In caso di tecnologie meno recenti è invece possibile che vengano suggerite alcune avvertenze prima di sottoporsi al test:

  • Farmaci: Alcuni medicinali sono in grado di causare sanguinamenti e/o falsi positivi, verrà quindi valutato con il medico se e come sospenderli. Ricordiamo per esempio l’aspirina e gli antinfiammatori in genere, ma non solo. L’American Cancer Society ne raccomanda la sospensione a partire da una settimana prima.
  • Alcuni alimenti (ad esempio la carne rossa, i broccoli, le rape, il cavolfiore, le mele, le arance, i funghi e il rafano, …) possono reagire con il reagente del test ed essere causa di falsi positivi. Utile sospenderne il consumo da 3 giorni prima.
  • La vitamina C, al contrario, può inibire la reazione ed essere causa di falsi negativi; andranno quindi evitati gli integratori che la contengono, così come gli alimenti che ne sono ricchi (arance, limoni, kiwi, …) nei 3 giorni precedenti la raccolta.
  • La ricerca del sangue occulto potrebbe positivizzarsi anche in caso di sangue proveniente dalla bocca, il paziente deve quindi evitare gli interventi dentistici nei tre giorni precedenti la raccolta del campione perché, se le gengive sanguinano, l’esito dell’esame sarà positivo.

Quale contenitore sterile usare?

Per raccogliere e conservare correttamente il campione di feci da inviare in laboratorio, è necessario usare un contenitore sterile apposito, dotato di spatolina. Il prodotto di maggior qualità, che ci sentiamo di consigliare per raccogliere e conservare le feci, è il seguente: http://amzn.to/2C5kKig

Altre informazioni

Screening del tumore del colon-retto

La ricerca del sangue occulto può essere preceduta o seguita dall’esplorazione digitale del retto, che serve per individuare eventuali polipi rettali. Se la ricerca di sangue occulto dà esito positivo, possono essere seguiti da altri accertamenti, per individuare i polipi, rimuoverli e sottoporli alla biopsia. Questi altri accertamenti possono anche essere svolti in alternativa all’esame delle feci, se il medico lo ritiene opportuno. Tra di essi ricordiamo:

  • La rettosigmoidoscopia, che viene talvolta usata anche a livello di screening; è un esame simile alla colonscopia, ma che si limita alla valutazione del tratto terminale dell’intestino e richiede quindi una preparazione meglio tollerata dai pazienti. L’AIRC consiglia di effettuarla un’unica volta se l’obiettivo è lo screening, tra i 58 e i 60 anni.
  • La colonscopia è un esame più invasivo: il retto e il colon sono esaminati con un tubicino flessibile. Anche durante la colonscopia possono essere rimossi gli eventuali polipi. Questo esame viene consigliato in caso di precedente diagnosi di polipi (in genere ogni 5 anni) oppure nei soggetti con famigliarità per il tumore al colon. Se usata come screening è sicuramente l’esame più affidabile, la l’invasività la rende un’opzione poco pratica.
  • La colonscopia virtuale è un esame meno invasivo che usa la stessa tecnologia della TAC per visualizzare il colon, minimizzando così i disagi per il paziente rispetto all’esame classico. È molto più accurata rispetto alla ricerca del sangue occulto e, essendo meno invasiva, potrebbe permettere un’applicazione su vasta scala per individuare con largo anticipo la presenza di tumore, ma esistono alcuni dubbi che sono ad oggi ancora in fase di valutazione prima che possa essere proposta in sostituzione dell’esame del sangue.

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Diverticolite, diverticolosi e stato prediverticolare: cause, sintomi, diagnosi e trattamento

MEDICINA ONLINE ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO SCOPIA APPARATO DIGERENTE CIBO DIGESTIONE TUMORE CANCRO POLIPO ULCERA DIVERTICOLO CRASSO FECI SANGUE OCCULTO MILZA VARICI CIRROSI EPATICA FEGATO VOMITOI diverticoli del colon sono delle estroflessioni delle pareti intestinali, di forma ed istologia variabile. Tutti i settori del canale alimentare possono dare origine a diverticoli ma il colon è quello in cui la loro presenza è più comune. La presenza di diverticoli può dare origine a diverticolite o a diverticolosi:

  • il termine “diverticolosi” indica la presenza di diverticoli senza interessamento flogistico (diverticoli non infiammati); la diverticolosi è quasi sempre asintomatica, cioè il paziente può non avvertire alcun sintomo della sua presenza;
  • il termine “diverticolite” indica invece la presenza di diverticoli con interessamento flogistico (diverticoli infiammati); la presenza dell’infiammazione è la principale responsabile dei sintomi e delle complicanze della malattia diverticolare (in pratica è l’espressione sintomatica della diverticolosi).

Lo “stato prediverticolare” è invece considerato da alcuni come un periodo di transizione fra la sindrome del colon irritabile e la malattia diverticolare vera e propria.

Leggi anche: Colonscopia: cos’è, quando si fa, preparazione e rischi

Incidenza

Quasi il 40% della popolazione di età compresa tra i 40 ed i 55 anni è portatrice di diverticoli. Nella fascia compresa tra i 70 e gli 80 anni l’incidenza della diverticolosi raggiunge quasi il 70-80% della popolazione. Sebbene siano più frequenti tra gli anziani i diverticoli possono comparire a qualsiasi età e tanto più precocemente insorgono i sintomi e tanto maggiore è il rischio di complicanze (diverticoliti ricorrenti, ulcerazioni ecc.). La prevalenza della malattia nei soggetti sotto i 30 anni pur essendo molto bassa (1-2%) è destinata a salire a causa del continuo peggioramento delle abitudini dietetiche e dello stile di vita. Le donne hanno circa due volte più probabilità di sviluppare diverticoli rispetto agli uomini.

Leggi anche: Colonscopia tradizionale o colonscopia virtuale?

Sintomi e segni diverticolosi

Essendo asintomatica, la diverticolosi non dà segni di sé e viene spesso scoperta occasionalmente durante una visita di controllo. Solo quando i diverticoli si infiammano (diverticolite) insorgono i sintomi tipici della malattia diverticolare.

Se la risposta alle seguenti domande è affermativa potreste soffrire di diverticolite:

  • avete dolori addominali di recente insorgenza?
  • questi dolori cominciano dopo il pasto? In particolar modo dopo che avete mangiato alimenti particolari?
  • questi dolori sono alternati a diarrea o stitichezza?
  • avvertite un dolore localizzato nel fianco di sinistra?

Leggi anche: Colonscopia: rischi, effetti collaterali e complicanze

Sintomi e segni diverticolite

Il rischio che i diverticoli si infiammino evolvendosi in diverticolite fortunatamente è abbastanza basso. In genere solo il 20% delle persone portatrici di diverticoli manifesta sintomi e solo il 10-15% sviluppa la malattia diverticolare o diverticolite. Sebbene le percentuali siano apparentemente modeste si tratta comunque di cifre di tutto rispetto dato che in realtà, considerando la grossa incidenza della malattia, si parla di milioni di persone. La diverticolite del colon è quindi una patologia ad altissimo impatto sociale. I sintomi e segni della malattia diverticolare sono piuttosto variegati ed includono:

  • sensazione di fastidio e dolore addominale
  • meteorismo, flatulenza
  • crampi addominali
  • dolori addominali generalmente localizzati nel fianco di sinistra
  • alterazioni dell’alvo con alternanza di stitichezza-diarrea
  • febbre e dolori addominali
  • complicanza emorragica (sanguinamento intestinale) nel 3-5 % dei pazienti

Solo il 20% dei portatori di diverticoli manifesta sintomi:

  • di questi, il 2% necessita di uno o più ricoveri.
  • di questi, lo 0,5% richiede un intervento chirurgico.
  • la mortalità per cause legate ai diverticoli è di 1/10.000.

Complicanze gravi

La complicanza più grave della diverticolite è la peritonite (cioè l’infiammazione del peritoneo, una sorta di sacca che riveste la cavità addominale). I diverticoli infiammati possono infatti rompersi rilasciando le scorie intestinali all’interno dell’addome. In alcuni casi, una peritonite grave e non trattata, può essere fatale.

Leggi anche: Peritonite: tipi, cause, sintomi, diagnosi e terapie

Diverticolite e sindrome del colon irritabile

La malattia diverticolare può causare dei disturbi non direttamente collegati all’infiammazione ma causati dall’alterazione della funzionalità del colon(modificazioni della motilità e della flora batterica). I microrganismi che popolano il colon possono infatti aumentare andando a contaminare l’intestino tenue dove accelerano i fenomeni putrefattivi e fermentativi. I risultati di questi processi sono il gonfiore addominale (quello che in termini medici viene chiamato meteorismo) e la comparsa di disturbi dell’alvo (diarrea alternata a stitichezza). Si realizza così una condizione molto frequente e sottodiagnosticata chiamata “sindrome da contaminazione batterica dell’intestino tenue”. I batteri che migrano dal colon al tenue iniziano a loro volta ad utilizzare precocemente le sostanze nutritive dando origine ad una condizione chiamata intestino irritabile caratterizzata da meteorismo, dolori addominali e diarrea. Prima di dare la diagnosi di colon irritabile occorre escludere tutte le altre forme con sintomatologia simile come appunto la malattia diverticolare. Il paziente che soffre di colon irritabile non sempre sviluppa diverticoli. Spesso però queste persone seguono una dieta squilibrata che può predisporle alla diverticolite.

Leggi anche: Sindrome dell’intestino irritabile: sintomi, dieta e cibi da evitare

Diverticoliti e cancro al colon

Non esistono dati che supportino un aumentato rischio di cancro al colon nei pazienti colpiti da diverticolosi. Per una serie di motivi chi soffre di diverticolite, indirettamente, corre tuttavia un rischio lievemente maggiore rispetto alla popolazione sana:

  • entrambe le malattie hanno infatti fattori di rischio comuni come la dieta e lo stile di vita;
  • i sintomi precoci del tumore al colon sono gli stessi della diverticolite e ciò, ovviamente, potrebbe rallentare la diagnosi. Il paziente potrebbe infatti non dare troppo peso ai sintomi di allarme tipici del tumore al colon (come un piccolo sanguinamento intestinale) esitando ad eseguire una visita di controllo.

In chi soffre di diverticolite la diagnosi di cancro al colon potrebbe essere più difficoltosa. La malattia diverticolare spesso si complica in peridiverticolite dando luogo a delle piccole aderenze che potrebbero oscurare la presenza di un piccolo polipo.

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Diagnosi

Essendo la diverticolosi una malattia tipica del colon, l’esame di elezione è l’endoscopia. Tuttavia in caso di diverticolite acuta la colonscopia è controindicata (rischierebbe di perforare i diverticoli) ed assume un grande valore l’esame radiologico (clisma opaco a doppio contrasto con Bario). La TAC riesce invece a fornire informazioni molto importanti sull’eventuale presenza di malattie associate (come il cancro al colon). Dato che solo il 10-15% dei pazienti colpiti da diverticolosi soffre di malattia diverticolare una diagnosi di diverticoli non dovrebbe assolutamente preoccuparci. Caso mai dovrebbe essere interpretata come un avvertimento per adeguare e migliorare la nostra dieta ed il nostro stile di vita. La videocapsula, una delle più recenti meraviglie della scienza, è particolarmente utile per studiare l’intestino tenue ma non il colon, poiché a causa del diametro maggiore del tubo digerente viene “sballottata” lungo il suo percorso impedendo una esplorazione precisa dell’organo.

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Dieta e diverticolite

Una alimentazione sana dovrebbe sempre includere una adeguata quantità di frutta e verdura di stagione, indipendentemente dalla presenza o meno di diverticolosi o di diverticolite. I residui vegetali contenuti nella fibra tendono infatti ad aumentare la motilità intestinale, regolando la consistenza delle feci ed irrobustendo le pareti dell’intestino. Per questo motivo chi soffre di diverticolosi deve prestare molta attenzione alla propria dieta, assumendo ogni giorno la giusta quantità di fibre (almeno 30 grammi). In particolare, in chiave preventiva, sembra importante consumare soprattutto fibre insolubili (cellulosa, lignina e derivati) contenute in alcuni vegetali e nei cereali integrali. La fibra insolubile assorbe infatti grosse quantità di acqua aumentando il volume delle feci ed il transito intestinale; accelerando lo svuotamento del colon, questo tipo di fibra contribuisce ad evitare il ristagno delle feci, il cui accumulo preme sulle pareti intestinali favorendo la comparsa dei diverticoli e la loro infiammazione. La componente insolubile delle fibre, in particolare la cellulosa, si è dimostrata fortemente associata ad una riduzione del rischio di malattia diverticolare; tale relazione, tuttavia, non sembra valida per la fibra dei cereali. Va comunque precisato che entrambi i tipi di fibre sono importanti per la salute, ed è altrettanto raccomandabile il loro inserimento in una dieta ricca di liquidi. Non a caso, frutta e vegetali, raccomandati come fonte di fibre insolubili per la prevenzione della malattia diverticolare, sono anche apportatori della frazione solubile. Al contrario, nei cereali, si ha una netta prevalenza di quele insolubili. Per chi soffre di diverticolosi è quindi importante associare ad un elevato apporto di fibre un’abbondante quantità di liquidi. Le fibre prevengono sia la formazione dei diverticoli sia la loro infiammazione. Sono quindi utili sia per prevenire la diverticolosi, sia per evitare che questa si trasformi in diverticolite. I pazienti colpiti da diverticolite potrebbero invece avere qualche problema ad assumere fibre, soprattutto nella fase acuta della malattia. All’interno dei diverticoli, soprattutto quando sono molto grandi, possono infatti accumularsi piccole sostanze come i semi contenuti nella frutta. Per questo motivo alimenti come kiwi, pomodoro e  cocomero potrebbero dare dei problemi in caso di diverticolite ricorrente. Inoltre la malattia diverticolare, alterando la motilità e la funzionalità di tutto l’intestino, predispone il soggetto ad un maggior rischio di intolleranze alimentari. Purtroppo non esistono alimenti o integratori magici in grado di invertire i cambiamenti strutturali delle pareti enteriche; ciò significa, che una volta formati, i diverticoli non possono regredire per effetto della dieta. Per quanto riguarda la carne, si è visto che un elevato consumo di carne rossa è associato alla comparsa della diverticolosi sintomatica. Non a caso, l’incidenza della condizione è nettamente inferiore nei soggetti vegetariani. Anche l’obesità sembra favorire la comparsa di malattia diverticolare. Molte persone, spesso spinte da consigli o pubblicità fuorvianti, tendono ad assumere fermenti lattici per regolarizzare la propria funzionalità intestinale. In realtà in chi soffre di malattia diverticolare i fermenti lattici potrebbero addirittura complicare la sindrome da contaminazione batterica ed avere effetto contrario a quanto sperato. Questi prodotti, se assunti in eccesso, potrebbero potenziare ulteriormente la flora batterica del colon favorendo la sua risalita nell’intestino tenue e la comparsa di meteorismo, flatulenza, diarrea e stitichezza. Il movimento e l’attività fisica aiutano a mantenere tonici i muscoli della parete addominale, migliorando la motilità colica e riducendo il ristagno di feci nei diverticoli. Sia in caso di semplice diverticolosi, sia in presenza di diverticoli infiammati è importante correggere fattori di rischio fumo, l’eccesso di alcolici, di grassi e di carboidrati semplici.

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Consigli alimentari

Consigli alimentari in caso di diverticolosi:

  • Preferire alimenti ricchi di fibre, accompagnandoli ad un’abbondante assunzione di liquidi (acqua non gassata).
  • Se necessario, integrare la propria dieta con supplementi dietetici a base di fibre (psillio, crusca… ), ma evitare l’uso di lassativi.
  • Consumare un’abbondante colazione.
  • Aumentare il movimento fisico (jogging, camminate a passo veloce, cyclette ecc.).

Consigli alimentari in caso di diverticolite:

  • Abolire spezie, cibi piccanti (pepe, peperoncino, curry, noce moscata), alcolici, bevande, gassate, thè (ammesso quello deteinato), caffè (ammesso quello decaffeinato) e cioccolato.
  • Ridurre o addirittura eliminare il consumo di latte; sono invece tollerate modiche quantità di yogurt e latticini (tranne i formaggi piccanti).
  • Evitare semi oleosi, legumi, cereali integrali e più in generale gli alimenti meteorizzanti (champagne, acqua gassata, panna montata, maionese…).
  • Consumare frutta senza buccia e centrifugata (ma non frullata, per evitare che l’alimento inglobi eccessive quantità di aria).
  • Evitare tutte le verdure.

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Cura e trattamento

Dato che la diverticolosi, di per sé, non è una malattia, l’unica raccomandazione utile in questi casi è l’adozione di uno stile di vita. In presenza di malattia diverticolare si rendono invece necessari una serie di trattamenti medici abbinati al rispetto delle regole dietetiche viste in precedenza. Nella profilassi della diverticolite (per prevenire nuovi episodi) si utilizza soprattutto la terapia antibiotica non assorbibile. Questi farmaci percorrono tutto l’intestino esercitando i loro effetti benefici senza essere assorbiti dall’organismo. Nella fase acuta della malattia si rende invece necessaria una terapia antibiotica sistemica. Questa terapia deve infatti andare ad agire anche all’esterno in modo da combattere le infiammazioni della parete intestinale esterna (peridiverticolite). Gli antibiotici sistemici, essendo assorbiti dall’organismo, hanno tuttavia degli effetti collaterali come l’alterazione della flora batterica “buona” e la perdita di efficacia in caso di ripetute somministrazioni. Attenzione all’utilizzo di antidolorofici in caso di diverticolite acuta: la ridotta percezione del dolore potrebbe infatti ritardare la diagnosi di peritonite sottoponendo il paziente a rischi estremamente gravi. Solo il 10-15% delle diverticoliti in fase avanzata richiede l’intervento chirurgico.

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Differenza tra polipi e diverticoli: sintomi comuni e diversi

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Poliposi del colon

polipi del colon sono tumori benigni piuttosto frequenti che si sviluppano a carico del grosso intestino. Esistono molti tipi di polipi del colon che differiscono tra loro per natura istologica, eziologia e comportamento: alcuni sono piatti mentre altri si sviluppano in lunghezza fino ad essere molto rilevati rispetto alla parete intestinale e determinando un interruzione parziale al transito del materiale alimentare. In alcuni casi si riconoscono fattori ereditari e familiari responsabili dello sviluppo della poliposi colica, oltre che a cause che risiedono in diete errate. La ricerca e l’identificazione dei polipi colici riveste un ruolo molto importante nella prevenzione del cancro del colon, alcuni tipi tra di essi sono infatti lesioni precancerose è possono portare, pertanto, con il passare del tempo allo sviluppo di neoplasie maligne, per questo è importante eseguire una biopsia in caso di dubbio e procedere ad indagine istologica.

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Diverticolosi

Si parla di diverticolosi per indicare una condizione patologica in cui la parete del colon (più frequentemente a livello del sigma) presenta piccole estroflessioni (diverticoli). La diverticolosi è una condizione molto frequente e si ritiene che colpisca circa la metà delle persone in età avanzata. Tra le cause che ne possono facilitare lo sviluppo una dieta povera di scorie e alterazioni della motilità intestinale.
In corrispondenza dei diverticoli si possono sviluppare processi infiammatori per cui si parla di peridiverticolite o diverticolite.
Il quadro clinico della diverticolite può aggravarsi a per l’insorgere di alcune complicanze, si parla in questi casi di malattia diverticolare complicata. Le possibili complicanze della malattia diverticolare sono rappresentate da emorragia massiva, stenosi (riduzione del calibro del lume del colon), fistole (si creano delle comunicazioni abnormi tra il colon ed altri organi vicini come la vagina, la vescica o il pccolo intestino) e la peritonite.

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Vista endoscopica di polipi gastrointestinali

Diagnosi

La diagnosi si effettua in entrambi i casi con la diagnostica per immagini: radiografia e TAC addominale con mezzo di contrasto (che mostrano dei plus di riempimento in caso di diverticoli o dei minus in caso di poliposi), colonscopia e gastroscopia (con eventuale biopsia). Si associa spesso anche l’indagine di ricerca di sangue occulto nelle feci.

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Sintomi

Polipi e diverticoli possono essere spesso asintomatici, cioè non dare alcun sintomo, anche per lunghi periodi. La diagnosi di poliposi viene effettuata solo quando il paziente si sottopone ad alcuni esami quali la ricerca del sangue occulto nelle feci o la colonscopia, a volte effettuati solo in seguito a mal di pancia prolungato. Seconda della sede e delle dimensioni si possono manifestare, dolore, presenza di sangue nelle feci e alterazioni dell’alvo, fino anche ad occlusione intestinale. Anche i pazienti portatori di diverticolosi del colon sono frequentemente asintomatici. I sintomi, quando presenti, possono essere rappresentati da stitichezza e lievi dolori addominali saltuari. Nei quadri patologici più avanzati è possibile il riscontro di dolore addominale intenso, febbre, nausea e vomito, perdita di sangue, occlusione intestinale.

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Terapia

I polipi intestinali devono essere asportati, molto frequentemente questa manovra può essere effettuata durante la colonscopia, in alcuni casi è tuttavia necessario ricorrere ad un intervento chirurgico per raggiungere questo scopo. Nel caso di diverticolite, invece, la terapia medica e comportamentale riesce nella maggior parte dei casi a controllare le forme meno complicate di diverticolite. L’intervento chirurgico consiste nell’asportazione del tratto di colon contenente i diverticoli ed è solitamente riservato ai casi di malattia diverticolare complicata o di ripetuti episodi di diverticolite.

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Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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