Non sono grasso: ho la costituzione robusta e le ossa grosse

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO OSSA GROSSE RADIOGRAFIE OBESITA GRASSO

Ricostruzione, generata al computer, di come potrebbe essere lo scheletro di Keith Martin, un uomo inglese arrivato a pesare oltre 400 kg

Quante volte si sentono queste frasi, che giustificherebbero una siluette non proprio da ballerina/o? Moltissime! Ma dal punto di vista scientifico, è davvero così? Ovviamente no: la cosiddetta costituzione robusta è un vero e proprio alibi utilizzato per giustificare uno stato di sovrappeso o addirittura obesità dovuto semplicemente a un eccesso di grasso. Per dimostrarlo è sufficiente analizzare la questione dal punto di vista scientifico e, in particolare, “bioimpedenziometrico”. Ma cominciamo dalle basi, facendoci questa semplice domanda:

Da cosa dipende il peso corporeo?

Il nostro corpo è formato prevalentamente da:

  • ossa;
  • organi interni;
  • muscoli;
  • grasso corporeo.

La nostra “costituzione” dipende quindi dalla somma di questi quattro componenti a cui bisogna aggiungere il peso di altre componenti minori, come feci, urina e cibo ingerito, abbastanza ininfluenti per il nostro ragionamento a meno che non prendiamo in considerazione alcuni casi limite come ad esempio il globo vescicale in cui vari litri di urina si accumulano patologicamente in vescica ed aumentano il peso corporeo totale anche di alcuni kg. Escludiamo quindi le patologie e torniamo ad un organismo sano facendoci questa domanda: quando si parla di “costituzione” o “corporatura” cosa si intende di preciso? Due soggetti della stessa altezza, ma corporatura differente, avrebbero pesi differenti pur se con la stessa percentuale di grasso corporeo. Dunque la corporatura è legata al concetto di peso forma, nel senso che due soggetti con la stessa altezza possono avere un peso forma differente anche se hanno la stessa percentuale di grasso corporeo. Analizziamo allora questi fattori per capire quali di essi possono cambiare da soggetto a soggetto e l’entità di queste variazioni.

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Ho le ossa grosse

Il peso delle ossa è pari a circa il 20% del peso corporeo (in un soggetto in peso forma), cioè circa 15 kg in un adulto di 75 kg.
Anche ammessa (e non concessa) una variabilità individuale molto alta, pari al 15%, del peso delle ossa tra due persone della stessa altezza, stiamo parlando di 2 kg di differenza, e cioè uno scostamento dalla media di un peso veramente esiguo. In un soggetto che pesi 60 kg, il peso dello scheletro è 12 kg ed ammettendo una variabilità individuale al 10 %, stiamo parlando di poco più di un kg di differenza. Tali dati non giustificano dunque una differenza sostanziale nel peso forma: un soggetto che pesi 10 o 15 kg in più rispetto al peso forma, se dice che ciò dipende dalle “ossa grosse”, sta dicendo ovviamente una bugia. Per approfondire, leggi: Quanto pesano scheletro ed ossa?

I miei organi interni pesano tanto

E gli organi? Quanto influiscono sul peso totale? La prima cosa da dire è che il peso degli organi interni non varia molto: non esistono soggetti sani con fegato, intestino, cuore enormi che giustifichino un peso di diversi chili superiore agli altri; mentre totalmente diverso è il discorso per individui malati in cui gli organi interni possono variare volume e peso anche in modo notevole in virtù di una data patologia. Chi pesa 10 kg di più rispetto al proprio peso forma e imputa la colpa “all’enorme peso dei propri polmoni”, sta dicendo ovviamente una bugia. A tale proposito leggi anche: Differenze di peso tra gli organi interni di un uomo e di una donna

Muscoli e grasso

Rimangono i muscoli ed il grasso corporeo, i quali certamente possono variare tantissimo. Dunque, la corporatura robusta, visto che non può essere dovuta al peso delle ossa e degli organi interni, dovrebbe in teoria dipendere solo dai muscoli.
La muscolatura è senz’altro un fattore genetico: ci sono persone naturalmente molto muscolose e altre molto poco. Le prime in genere ottengono buoni risultati a seguito di un programma di potenziamento, con aumenti sostanziali di massa muscolare, gli altri ottengono risultati meno buoni o scarsi, tuttavia quando si parla di costituzione non si intende la massa muscolare, altrimenti si direbbe “sei un soggetto muscoloso”, ma dato che spesso questa affermazione non sarebbe supportata dall’evidenza… si parla di costituzione!
I soggetti che pensano di essere di costituzione robusta in realtà associano due fattori: un buona muscolatura ed un eccesso di massa grassa. Sono per esempio gli “armadi” che non “hanno la pancia”, ma sono enormi grazie a una distribuzione del grasso uniforme e non localizzata, supportata da una buona muscolatura. Ovviamente il peso forma di questi soggetti è più alto del normale, ma anche in questo caso, analizzando a fondo la questione, si scopre che una muscolatura naturale non può giustificare un aumento di peso di svariati chili: ne può giustificare solo alcuni. Un soggetto di questo tipo, con magari 15 o 20 kg in più rispetto al peso normale, non può giustificarsi con “è colpa della mia costituzione” dal momento che solo pochi kg in eccesso sarebbero dovuti ai muscoli e la maggior parte è invece dovuta all’adipe.
L’Indice di Massa Corporea di un soggetto muscoloso può arrivare a 23, al massimo a 24 ma stiamo già parlando di soggetti con muscolature da bodybuilder, in cui le percentuali di massa grassa sono bassissime (ben al di sotto del 10 %) ed i muscoli sono elevatissimi.
Ci sono persone con IMC di 26 e oltre che pensano di essere normopeso, quando in realtà la loro massa grassa è ben oltre il 15% nel caso degli uomini e del 20% per le donne, quindi sono oggettivamente in sovrappeso a causa del grasso in eccesso, non certo per i muscoli, le ossa o gli organi interni!

“Peso tanto perché non vado in bagno!”

Più di un nostro paziente in evidente sovrappeso, ha spesso giustificato il proprio peso con un “dottore, peso tanto perché sono stitico e sono pieno di cacca!”. Purtroppo per il soggetto, è veramente facile smentire la sua affermazione, visto che ogni giorno l’organismo umano emette circa 100-150 grammi di feci: non andare in bagno per un paio di giorni non può giustificare un sovrappeso di 10, 20 o addirittura 30 kg! Stesso discorso vale per chi si giustifica con “peso tanto perché sono pieno di aria e di pipì”. L’aria non aggiunge peso sulla bilancia, al più determina meteorismo e flatulenza, mentre la quantità di urina emessa ogni giorno è di circa un litro e mezzo e non può certo giustificare uno stato di obesità.

Leggi anche: Quanto peso perdiamo ogni volta che andiamo in bagno?

Come sciogliere ogni dubbio?

Se pensate di essere veramente di costituzione robusta, fate una semplice misurazione con bioimpedenzometria e verificate di avere una massa grassa uguale o inferiore al 15% se siete uomo o 20% se siete donne: questo è l’unico dato veramente oggettivo che può dirvi se siete “robusti” o se in realtà, più probabilmente, siete in sovrappeso (o addirittura obesi) a causa dell’eccesso di grasso. E prima di chiudere vorrei ricordarvi un ultimo concetto: avere “spalle larghe” o fianchi larghi”, non è una giustificazione per essere in sovrappeso. Esistono persone ad esempio con spalle larghe per motivi genetici legati alla conformazione dello scheletro o semplicemente perché hanno deltoidi pronunciati (vedi i nuotatori), ma non per questo sono necessariamente in sovrappeso: esistono persone con spalle larghe ma con % di massa grassa normali (e quindi persone “normopeso”) ed esistono persone con spalle strette ed obese.

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Il diabetico può mangiare le nespole? Quante calorie hanno?

MEDICINA ONLINE BERE GELATO NESPOLE FRUTTA DIABETE BEVANDA CALORIE SODIO GLICEMIA GASSATA OLIGOMINARALE DISTILLATA INGRASSARE DIMAGRIRE INSULINA GLICATA COCA COLA ARANCIATA THE BERE ALCOL DIETA CIBO PASTO LONTANO DAI PASTILe nespole contengono soltanto 47 calorie per 100 grammi, circa 12 grammi di carboidrati ed 1,7 grammi di fibra alimentare. Inoltre contengono tanta acqua, fibre, sali minerali (come potassio, fosforo, magnesio e calcio) e vitamine (vitamina C, vitamina B). Possono essere assunti dal diabetico, in dosi moderate e possibilmente lontano dai pasti principali.

Importante: in caso di dubbio, il paziente diabetico può – sotto controllo medico – monitorare la propria risposta glicemica all’assunzione di certi alimenti, annotando i valori su un taccuino e raffrontando le relative glicemie.

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Differenza tra caffeina e caffeina anidra

MEDICINA ONLINE CAFFE CAFFEINA THE TE TEINA ECCITANTE ASTINENZA GINSENG LUNGO CORTO ORZO MACCHIATO CALDO FREDDO TAZZA GRANDE VETRO DIFFERENZE COFFE ESPRESSO AMERICANO WALLPAPER PIC PICTURE HI RES PHOTOLa caffeina è una sostanza introdotta nell’organismo principalmente mediante l’assunzione di caffè o di tè, apprezzata per i sue proprietà energetiche ed utile per chi sta seguendo una dieta dimagrante, al punto che, soprattutto per chi va in palestra, ne è stato tratto un tipo di integratore alimentare, la caffeina anidra. Procedendo con ordine, vediamo quali sono gli effetti della caffeina e le sue caratteristiche, per poi passare ad analizzare la caffeina anidra, cercando di rendervi consci dei possibili rischi di un uso errato di questa sostanza, in termini di quantità, di modalità di utilizzo, di tempistica, di regime alimentare e di stile di vita in generale che ruotano intorno alla sua assunzione regolare, che siate sportivi o meno.

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La caffeina è presente nel caffè in quantità pari a 100 mg per una tazzina, si trova nel tè ed anche nel cacao. Dopo averla assunta, viene assorbita rapidamente fino al picco di presenza nel plasma intorno ai 120 minuti dopo ma con una durata degli effetti pari solo a 2-4 ore. Viene distribuita ai diversi tessuti e metabolizzata nel fegato in dimetilxantine. Gli effetti della sua introduzione nell’organismo sono i seguenti:

  • Aumento della concentrazione nel sangue degli acidi grassi, grazie alla stimolazione della lipolisi
  • Mediazione della vasodilatazione a livello muscolare
  • Rilascio della muscolatura bronchiale e facilitazione della respirazione
  • Miglioramento delle capacità cognitive e dello stato di veglia, anche notturna
  • Aumento della diuresi
  • Riduzione della sensazione di dolore, grazie alla limitazione dell’attivazione dei nocicettori
  • Rilascio di adrenalina e conseguente aumento del battito cardiaco
  • Vasodilatazione a livello muscolare e degli organi vitali
  • Aumento dei secondi messaggeri tipo l’AMPc e attivazione dei segnali intracellulari, atti al funzionamento delle cellule

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Per gli sportivi, la caffeina è utile a:

  • migliorare le prestazioni in termini di resistenza e di forza, grazie al risparmio del glicogeno muscolare in cambio di quello lipidico, ed al migliore afflusso di calcio nei muscoli scheletrici con una contrazione agevolata, oltre alla vasodilatazione muscolare;
  • ridurre il senso di affaticamento fisico, grazie al miglioramento del metabolismo ossidativo ed all’effetto analgesico
    ottenere un effetto ergogenico, utile sia negli sport di endurance, che intermettenti, che di forza.

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Viene spesso associata all’uso di altre sostanze, come ad esempio la taurina, e risulta determinante perché è essa che agisce anche nelle veci dell’altra sostanza implicata nei processi di miglioramento delle prestazioni dell’organismo, attivandosi nel produrre i benefici ricercati. La dose consigliata è tra i 2 ed i 4 mg/kg, fino ad un massimo di 300 mg/giorno(3-5 tazzine di caffè), sempre per uno sportivo (non per un lavoratore sedentario!). L’ideale, visti i tempi di assorbimento e di termine della sua efficacia, è tra due ed un’ora prima della prestazione o dell’allenamento. Assumere caffeina per tempi prolungati ne riduce l’effetto energizzante; per beneficiare nuovamente dell’effetto ergogenico è pertanto consigliabile eliminarne il consumo per una settimana, per poi riprenderlo. Se l’atleta, nelle urine del controllo antidoping, presenta un valore di caffeina superiore a 0,012 mg/ml, ossia circa 6-8 tazzine di caffè, viene considerato positivo e punibile con la squalifica.

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La caffeina si potrebbe associare a carboidrati a medio indice glicemico oppure a vitamine come la niacina, che sono ambedue presenti nel caffè in tazza. Non è utile invece associarvi un integratore come la creatina, poiché la presenza di caffeina riduce la biodisponibilità della sostanza. Bisogna fare attenzione al consumo eccessivo, che può condurre ad effetti quali tremori muscolari, ansia, tachicardia, insonnia, eccitazione; l’uso cronico può causare reflusso gastroesofageo, ulcere, esofagiti, ipertensione, tachicardia, emicrania, impedimento nell’assorbimento di calcio e ferro. Chi ha una malattia epatica, renale, cardiovascolare, è al di sotto dei 12 anni o è in stato di gravidanza, non ne dovrebbe assumere. Si possono verificare interazioni con sostanze quali farmaci antiepilettici e anticompulsivi, così come l’uso di contraccettivi ne aumenta l’efficacia del 50%.

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La caffeina anidra è un integratore alimentare presentato con l’aspetto di una polvere bianca, solubile in acqua bollente, in etere o etanolo anidro, è nociva se ingerita allo stato puro, è di grado farmacopea quindi non ha restrizioni in campo dermo-cosmetico, mentre per uno scopo dimagrante si deve necessariamente essere seguiti da un medico. Impiega circa 60 minuti per agire, contro i 45 della caffeina, e molto più tempo per mobilitare i grassi; si trova confezionata anche in pastiglie di 200 mg ciascuna, quindi la dose consigliata è di mezza tavoletta, dato che si tratta pur sempre di caffeina, ma senza acqua (anidra). Alcuni sportivi o “fissati” per la palestra la sniffano, saltando il metabolismo epatico, per raggiungere una maggiore concentrazione ematica, correndo così il rischio di intossicarsi, se per caso hanno aggiunto altre sostanze che ne favoriscono l’assorbimento; la dose di 800 mg che alcuni suggeriscono (pari a 10 tazzine di caffè) può essere talmente nociva da causare gravi danni a tutti i livelli.

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Spesso la caffeina viene usata nelle creme anticellulite, per trattare le adiposità localizzate favorendo la mobilitazione dei trigliceridi dell’adipe sottocutanea, e nelle diete dimagranti, in particolare 5-6 tazzine di caffè aumentano il metabolismo basale del 10-15%, con il consumo di 100-500 calorie in più al giorno, in relazione alla taglia ed alla massa muscolare dell’individuo (che deve essere perfettamente in forma e nutrirsi in modo corretto o superiore al necessario, quindi in sovrappeso, e non in sottopeso o normale).

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E’ importante sapere che il caffè dopo il pasto non facilita la digestione, ma la rallenta, soprattutto se vi si aggiunge molto zucchero, panna o alcolici, anche se la sensazione è quella di una digestione facilitata.

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Allattamento: quali sono gli alimenti da evitare?

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Sostanze da evitare
E’ importante avere dunque un’alimentazione varia e sana, con qualche accortezza in più evitando, se possibile, di assumere farmaci, nicotina e alcol, poiché potrebbero portare ad una diminuzione del consumo del latte da parte del bambino e di conseguenza uno sviluppo irregolare.
Un bicchiere di vino, caffè e tè, sono concessi di in quantità moderate, ogni tanto.

Alimenti da evitare
Succhi di frutta, bevande zuccherate e in generale bibite o dolci che contengono un’elevata quantità di zucchero, sono da evitare poiché possono provocare disturbi gastrointestinali nel neonato.
Crostacei, frutti di mare, mirtilli, pesche e fragole invece potrebbero in futuro provocare allergie nel bambino.

Alimenti da consumare moderatamente
Oltre agli alimenti da evitare ci sono dei cibi particolari che possono essere assunti con moderazione, poiché il bambino potrebbe in un primo momento rifiutare di prendere il latte.
Si tratta di alimenti dal sapore deciso e forte, come castagne, asparagi, cavoli e derivati, peperoni, porri, aglio e cipolla; ma anche le carni molto saporite, come selvaggina, cavallo o salumi piccanti e anche il pesce affumicato. Meglio evitare inoltre le spezie forti o piccanti, come il curry o il peperoncino.
E’ dunque opportuno assumere certi cibi in quantità moderata, questo per vedere la reazione del bambino: se piacciono significa che è possibile continuare a consumarli, se invece il neonato sembra non gradire il sapore del latte, meglio evitarli.

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Pesche sciroppate fatta in casa: ricetta facile, veloce e gustosa

MEDICINA ONLINE PESCHE PESCA CALORIE PROPRIETA FRUTTA VITAMINE DIETA MARMELLATA LIGHT ZUCCHERO CARBOIDRATI SCIROPPATA SCIROPPO SALI MINERALI COLTIVAZIONE VARIETA MANGIARE DIMAGRIRELe pesche sciroppate sono una delle conserve più amate da grandi e piccini: semplici, dolci al punto giusto, croccanti ma non dure, nutrienti ma non troppo caloriche. Ideali per essere gustate al naturale, per preparare torte o dolci di piccola pasticceria, per accompagnare creme o gelati. Da sempre le pesche sciroppate sono una conserva di facile realizzazione che si tramanda da madre in figlia e che in estate si fa spazio tra le conserve più gettonate per affrontare l’inverno in compagnia di questo frutto tanto apprezzato! Nel fare le pesche sciroppate, la scelta delle pesche è fondamentale per ottenere un ottimo risultato. La pesche migliori per questo tipo di conserva sono le percoche, pesche gialle dalla polpa bella dura e compatta. Io le preparo senza precottura, perché le preferisco belle sode, se voi invece preferite avere delle pesche più “morbide” scottatele qualche minuto in acqua bollente prima di tagliarle e seguire il resto della ricetta.

Come fare le pesche sciroppate
Le pesche sciroppate sono una delle più diffuse conserve dell’estate. Ottime per essere gustate in tutte le stagioni, le pesche sciroppate si mantengono sode e gustose per tutto l’inverno.

Ingredienti:

  • 2 kg di pesche (percoche);
  • 500 gr di zucchero (semolato);
  • 1 l di acqua.

Tempo di preparazione: 50 minuti
Tempo di cottura: 30 minuti

Preparazione:

  1. preparate uno sciroppo con acqua e zucchero facendo sciogliere lo zucchero e facendo poi bollire un po’ lo sciroppo per 5 minuti.
  2. Spegnete il fuoco e lasciate intiepidire lo sciroppo.
  3. Lavate accuratamente le pesche, avendo cura di scegliere quelle sode e non rovinate.
  4. Sbucciatele pelandole a vivo, cercando di mantenervi il più possibile sottili nell’eliminazione della buccia.
  5. Tagliatele poi a metà o in quarti, eliminando il nocciolo.
  6. Nel frattempo sterilizzate i vasetti di vetro come indicato qui: leggi come sterilizzare i vasetti per le conserve.
  7. Sistemate le pesche tagliate nei vasetti e riempite con lo sciroppo.
  8. Fate attenzione che le pesche siano completamente ricoperte dallo sciroppo e lasciate 1 cm dal bordo del vasetto.
  9. Sistemate i vasetti in una pentola capiente ed utilizzate un canovaccio pulito per proteggerli dagli urti.
  10. Riempite la pentola d’acqua, portatela ad ebollizione e fate sterilizzare i vasetti facendoli bollire per una mezz’oretta.
  11. Spegnete il fuoco e lasciateli raffreddare, poi togliete i vasetti dall’acqua e conservateli in un luogo fresco e asciutto.
  12. Le vostre pesche sciroppate sono pronte.

Le pesche sciroppate devono essere state conservate per almeno un mese prima di essere consumate.

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Il prediabete porta sempre al diabete di tipo 2?

MEDICINA ONLINE DIABETE MELLITO TIPO 1 2 PREDIABETE PRE-DIABETE SANGUE VALORI GLICEMIA EMOGLOBINA GLICATA ZUCCHERI DIETA CARBOIDRATI PASTA PANE INSULINA RESISTENTE DIPENDENTE CIBO MANGIARE VERDURA FRUTTAIl riscontro di alterata glicemia a digiuno (valori di glicemia tra 100-125 mg/dl) e/o di ridotta intolleranza al glucosio (glicemia a 120 minuti compresa tra 140-199 mg/dl) e/o di emoglobina glicata (Hb glicata) compresa tra 42-48 mmol/mol, configura il quadro di “prediabete”.

La condizione di prediabete rappresenta un più elevato rischio di sviluppo futuro di diabete di tipo 2 per il paziente, tuttavia il prediabete – pur sembrando implicitamente lasciare intendere che il passaggio al diabete tipo 2 sia obbligato – non conduce necessariamente al diabete conclamato. Il prediabete è infatti a volte reversibile, se vengono adottati in tempo particolari suggerimenti dietetici.

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Differenze tra noci ed arachidi: calorie ed idee in cucina

MEDICINA ONLINE NOCI ARACHIDI DIFFERENZE CIBO DIETA CALORIE DIMAGRIRE INGRASSARE GUSCIO PROPRIETA.jpgIl noce è una pianta ad alto fusto di origine asiatica, pare del Kashmir, regione attualmente contesa fra Pakistan e  India (che ne governano due diverse porzioni territoriali) e Cina (che ne rivendica l’interna sovranità). La sua presenza in Italia è però antichissima: gli antichi Romani se ne nutrivano abitualmente e i loro figli giocavano con i frutti utilizzandoli come bilie. Anche diversi toponimi medievali (sono molte le località che ancor oggi si chiamano Nocera o Noceto) stanno a indicare una presenza antica. Attualmente, la sua coltivazione è soprattutto concentrata in Campania, anche se non mancano importanti noceti in altre regioni, come Piemonte e Veneto. Le qualità più apprezzate sono la “Sorrento”, dal frutto di medie dimensioni e particolarmente saporito, coltivata generalmente al Sud; la “Hartley”, presente su tutto il territorio nazionale e di dimensioni più grandi; la “Feltrina”, ormai prodotta quasi esclusivamente in Veneto, nella provincia di Belluno; “Eureka” e “Chandler”, varietà importate dalla Central Valley in California.

L’arachide è invece di origine sudamericana, quasi certamente brasiliana, giunta in Europa dopo la scoperta dell’America; è un arbusto ipogeo, che si sviluppa cioè soprattutto sottoterra: i suoi fiori, dopo l’impollinazione, si allungano penetrando nel terreno, diventando frutti maturi in assenza totale di luce. In Italia la sua coltivazione ha origini ottocentesche e si è concentrata in Piemonte, Veneto e Campania, proprio come la noce. A differenza di quest’ultima, però, la produzione nazionale è oggi quasi cessata e non è assolutamente in grado di soddisfare le richieste del mercato; attualmente, tutto il fabbisogno di arachidi della Comunità Europea è d’origine extracomunitaria. La non completa appartenenza di questi frutti alla nostra cultura è dimostrata anche dal fatto che essi non godono di una denominazione uniforme: sono infatti conosciuti come noccioline americane, spagnolette, bagigi, pistacchi di terra, scacchetti e in mille altri curiosi modi regionali.

Il consumo odierno

Il consumo della noce avviene generalmente “a crudo”, cioè non modificando termicamente i gherigli (la parte edibile del frutto), che si degustano interi o tritati in varie preparazioni gastronomiche. I frutti migliori vengono destinati all’alimentazione, mentre i più scadenti sono utilizzati per produrre l’olio di noce, ricavato dal mallo (la sostanza polposa che riveste il guscio del frutto), molto usato in erboristeria e ebanisteria. I gusci, tritati finemente, sono molto usati nell’alimentazione animale. Con la noce si prepara il nocino, il più diffuso liquore di fabbricazione domestica, dal blando potere digestivo; il frutto rientra anche nelle miscele-base di molti amari.

L’arachide si consuma generalmente tostata, al naturale o salata. I frutti meno grandi sono utilizzati per la fabbricazione di olio alimentare e burro di arachidi, poco presente da noi ma molto apprezzato negli Stati Uniti e in tutto il mondo anglosassone (Canada, Regno Unito, Australia).

Valori nutritivi

Per 100 grammi di noci secche intere, si hanno 660 kilocalorie, 15,8 gr. di proteine vegetali, 6,3 gr. di carboidrati, 63,7 gr. di grassi, 2,1 gr. di fibre, 83 mg. di ferro, 83 mg. di calcio, 2 mg. di vitamina C.
Per 100 grammi di arachidi tostate, non salate, si hanno 597 kilocalorie, 29 gr. di proteine vegetali, 8,5 gr, di carboidrati, 50 gr. di grassi, 3,5 gr. di fibre, 64 mg. di ferro, 64 mg. di calcio.
Alla noce, se consumata con moderazione, si riconoscono proprietà regolatrici dei livelli di colesterolo e trigliceridi, una elevata digeribilità e una alta fornitura di energia. A vantaggio dell’arachide, invece, si segnala un maggiore contenuto proteico e una apprezzabile funzione antinvecchiamento.

Idee in cucina

Belga alle noci

Scegliete le foglie più interne della Belga, lavatele bene e tagliatele in strisce di circa 4 centimetri; tagliate una mela a dadini non troppo piccoli e mescolatela insieme alla Belga. Aggiungete gherigli di noce e uvetta tritati, aggiustando di sale dopo aver condito l’insalata con senape (meglio quella meno cremosa e più “ruvida”, tipo à l’ancienne), aceto e olio. Spolverizzate di pepe bianco macinato al momento.

Tagliatelle Thai

Cuocete per pochissimi minuti in abbondante acqua salata delle tagliatelle di semola di grano duro in modo che restino molto al dente. Appena scolata la pasta, rimettetela nella pentola aggiungendo germogli di soia crudi, una salsiccia sbriciolata precedentemente arrostita in un padellino antiaderente, una manciata di arachidi tostate tritate finemente. Condite a piacere o con olio di arachidi o con salsa di soia.

In conclusione

Entrambi i frutti secchi presi in esame hanno proprietà molto simili, nonostante le loro profonde differenze vegetative (la noce nasce e matura alla luce del sole, l’arachide sottoterra). A quasi parità di proprietà nutritive, scegliamo la noce perché prodotto nazionale e quindi reperibile anche “a km zero”, a tutela dell’ambiente.
La maggior diffusione delle arachidi si deve soprattutto alla loro “comodità” (per sgusciarle non serve lo schiaccianoci) e, come snack rompi digiuno o aperitivo, al fatto di essere disponibili, salate, in sacchetti sottovuoto.
Non ci sembrano comunque motivazioni valide dal punto di vista nutrizionale e quindi, raccomandandone comunque il consumo non eccessivoil nostro voto va alla noce.

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Epatiti croniche: cosa sono, sintomi, diagnosi e cura

MEDICINA ONLINE ESOFAGO STOMACO DUODENO INTESTINO TENUE DIGIUNO ILEO SCOPIA APPARATO DIGERENTE CIBO DIGESTIONE TUMORE CANCRO POLIPO ULCERA DIVERTICOLO CRASSO FECI SANGUE OCCULTO MILZA VARICI CIRROSI EPATICA FEGATO VOMITOLe epatiti croniche sono un insieme di malattie del fegato caratterizzate da infiammazione cronica e da elevati livelli plasmatici delle transaminasi (enzimi della cellula epatica).
Sono provocate da infezione cronica da parte dei virus dell’epatite B o C, a seguito di epatite acuta non guarita. In casi più rari possono avere origine autoimmune o accompagnare malattie autoimmuni (ad es. lupus eritematoso sistemico) o essere indotte da farmaci. L’infiammazione cronica può sviluppare cirrosi epatica; il tempo necessario affinché avvenga questo processo è variabile, dipendendo dal grado di attività infiammatoria presente. Se l’attività infiammatoria è minima o assente l’evoluzione verso la cirrosi non avverrà mai; se è presente attività infiammatoria la velocità di evoluzione dipenderà dal grado dell’infiammazione.

COME SI RICONOSCONO?

I sintomi sono assenti nella maggior parte dei casi. Quando presenti, i sintomi più frequenti sono: astenia e facile affaticabilità, malessere generale, inappetenza, nausea, dolori articolari e perdita di peso.
Il riscontro della malattia è spesso del tutto casuale, in occasione di esami di laboratorio eseguiti magari per tutt’altro motivo. Infatti, l’epatite acuta, specie nel caso dell’epatite C, spesso decorre senza provocare alcun sintomo. Le epatiti croniche sono a loro volta asintomatiche. Vi è un aumento dei valori di alcuni esami di funzione epatica (transaminasi, gamma-gt) e gli esami di laboratorio mostrano positività dei cosiddetti markers per epatite B o C. L’ecografia epatica è per lo più nei limiti di norma. La diagnosi viene confermata dalla biopsia epatica.

COME SI CURANO?

Le terapie di cui si dispone (interferone o, nel caso della epatite C, interferone più ribavirina) sono in grado di curare solo una percentuale di pazienti con epatite cronica attiva, ma un tentativo terapeutico, se non vi sono controindicazioni, è sempre doveroso per cercare di evitare o rallentare l’evoluzione della malattia verso la cirrosi epatica. In presenza di epatite autoimmune, l’unica terapia efficace sarà il cortisone. Non esistono altre terapie efficaci.

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