Sempre preoccupati ed ansiosi? Siete i più intelligenti

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA TRISTE DEPRESSIONE TRISTEZZA CAPELLI PENSIERI PAURA FOBIAEssere preoccupati ed in ansia per un certo evento, soprattutto in questo periodo di crisi economica e disoccupazione così diffusa (e di esami universitari!), è un fatto abbastanza comune: ognuno di noi ci è passato almeno una volta nella vita. L’essere preoccupati, nonostante sia spesso considerato un elemento negativo, è invece un comportamento umano importantissimo, che ha permesso alla nostra specie di sopravvivere: fin dalla preistoria la paura blocca l’essere umano dal mettere in pratica comportamenti pericolosi, come avventurarsi in una tetra foresta o affrontare una bestia feroce da soli ed a mani nude.

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Ansiosi ed intelligenti

Da oggi essere “preoccupati”, assume ancor di più una sfumatura positiva: una ricerca canadese – che ha analizzato un gruppo di studenti – ha infatti scoperto che i grandi ansiosi sono in realtà mediamente più intelligenti di chi vive in pace con se stesso e tiene a bada le proprie emozioni. Sappiamo bene che l’intelligenza non è di un solo tipo: l’intelligenza presa in esame dalla ricerca è quella linguistico-verbale, ovvero la capacità di parlare e scrivere con facilità usando la giusta terminologia, che risulta nel’arte di ben spiegare, convincere ed insegnare.

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I risultati della ricerca

Lo studio è partito da un gruppo di studenti canadesi, messi alla prova dai ricercatori della Lakehead University nello stato dell’Ontario. I 126 giovani sono stati sottoposti a test di intelligenza, e a diversi questionari e prove che ne tracciavano i livelli di ansia, depressione, timidezza, paura, rimuginìo (la tendenza a ripensare ossessivamente al passato) e ruminazione mentale (ancora una volta un pensiero ossessivo, ma rivolto agli eventi futuri). Si tratta di comportamenti che scatenano una iperattivazione delle facoltà cognitive e spesso portano chi ne soffre a provare sentimenti negativi. I risultati sono chiari: al salire di preoccupazioni e ruminazione, aumentavano però anche i livelli e i risultati nei test di intelligenza verbale. Lo stesso legame è stato collegato anche alla depressione: chi mostrava segni conclamati di tale patologia psicologica, aveva ancora una volta ottimi risultati nei test intellettivi legati alla lingua. Per i ricercatori, esiste dunque una visione positiva delle ansie tipiche di chi pensa troppo, ed è quella che passa proprio dalla loro intelligenza, che li porterebbe a una maggiore abilità di analisi rispetto agli altri.

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Settembre è il lunedì dell’anno: i consigli utili per combattere la sindrome da stress da rientro, a casa e sul lavoro

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Durante le vacanze la prima cosa che il nostro corpo fa (o prova a fare) è eliminare tutti quei pensieri che ci hanno accompagnato fino a quel momento, per lo più negativi, e di conseguenza si “prende una pausa” da alcuni ormoni legati allo stress. Quando si ritorna a casa, purtroppo, e si ripiomba nella vita di tutti i giorni, ecco che possono comparire tutta una serie di disturbi più o meno gravi tipici della Sindrome da stress da rientro. La Sindrome da stress da rientro (anche conosciuta come post-vacation blues) colpisce circa un italiano su cinque e si manifesta ovviamente nei giorni successivi ad una vacanza più o meno lunga, con una moltitudine di spiacevoli sintomi: ansia, insonnia, stanchezza, irritabilità, leggera depressione. Altri sintomi possono essere il mal di testa, gli attacchi di colite, la gastrite, ed aritmie cardiache (tachicardia).

Normale se dura cinque o sei giorni

Una certa forma di stress da rientro è normale e fisiologica fino a quando dura meno di una settimana; ecco perché, generalmente, il consiglio è di tornare a casa qualche giorno prima rispetto alla ripresa dell’attività lavorativa. Rimanere a casa un paio di giorni dopo il rientro prima di tornare al lavoro, può essere un vero toccasana e permette al nostro organismo di riadattarsi in modo graduale ai soliti ritmi. Ecco ora una lista di consigli utilissimi per affrontare lo stress da rientro, sia a casa che sul posto di lavoro.

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Al lavoro

1) Fai spazio sulla scrivania: non lasciarti sommergere dalle pratiche. Metti un po’ d’ordine, fai una cernita e conserva solo lo stretto necessario. Decora la tua scrivania con degli oggetti personali, come delle foto o una pianta, che ti permetteranno di delimitare il tuo spazio e di distrarti per qualche minuto.

2) Cambia aria: durante la pausa pranzo esci e cammina un po’. In questo modo potrai rinfrescarti le idee e rilassare i muscoli, indolenziti a causa dell’immobilità a cui sei obbligato in ufficio. L’ideale sarebbe camminare almeno mezz’ora dopo aver pranzato o fare degli esercizi che ti aiutino a rassodare le gambe.

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3) Concentrati sulla respirazione: concentrarsi sulla propria respirazione per qualche minuto fa davvero bene. Chiudi gli occhi e cerca di immaginare l’aria pura che inspiri e l’aria negativa che espelli espirando. Questo esercizio ti permetterà di dimenticare ciò che ti circonda e di concentrarti su te stessa.

4) Allunga i muscoli: anche se mantieni una posizione corretta, stare seduto ore ed ore davanti al computer è stancante per il tuo corpo. A intervalli regolari tendi le braccia davanti a te o verso l’alto e stiracchiati. Se hai la fortuna di avere un ufficio tutto per te, fai qualche esercizio di stretching. Non dimenticare di riposare gli occhi fissando spesso un punto lontano, specie se lavori tutto il giorno al pc.

5) Sbadiglia: fallo discretamente, per non dare l’impressione che ti stai annoiando. Sbadigliare permette di rilassare i muscoli del viso e di ossigenare il cervello. Per forzarti a sbadigliare apri bene la bocca, inspira profondamente, tira la lingua e se serve fai qualche smorfia, magari non davanti ai colleghi!

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A casa

1) Ritagliati un momento per te stesso: concediti un momento di relax almeno una volta a settimana. Bagno caldo agli oli essenziali, maschera di bellezza, crema idratante e profumi come se fossi in un centro benessere. Occupati di te stesso e del tuo corpo.

2) Fai sport: l’attività fisica è un ottimo metodo per rilassarsi totalmente. Una sessione di sport intenso seguita da qualche esercizio di stretching aiutano il corpo a eliminare le tensioni: i muscoli contratti durante lo sforzo si distendono e una sensazione di relax invade il corpo e lo spirito.

3) Fai yoga: effettuare dei movimenti lenti e dolci, concentrarsi sul proprio modo di muoversi nello spazio circostante, migliorare la propria flessibilità: per tanti italiani lo yoga è l’attività zen per eccellenza. Per circa un’ora hai l’impressione di trovarti in una bolla impermeabile a tutte le tensioni negative.

4) Fatti fare un massaggio: in uno studio specializzato o magari a casa tua dal tuo partner. Chiedi a qualcuno di concederti un po’ di tempo per farti un massaggio oppure massaggiati da sola: la nuca, le spalle, il cuoio capelluto, le tempie, la pianta dei piedi. Per rilassarti ancora di più, perché non usare un olio da massaggio?

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5) Stai un po’ solo con te stesso: concediti una pausa e spegni lo smartphone e tutti gli apparecchi che potrebbero disturbarti. Ascolta pure della musica, di qualsiasi genere, se ti permette di distrarti. Non dimenticare le tue passioni e la tua creatività: coltivare con costanza un hobby può essere incredibilmente rilassante.

Abbronzati a settembre: consigli per far durare l’abbronzatura

Un altro motivo di stress dopo le vacanze estive è, per molti tra cui il sottoscritto, l’abbronzatura che se ne va. Giorni sotto il sole, pieni di olio abbronzante, tanti sacrifici e l’abbronzatura sbiadisce inesorabile, doccia dopo doccia. In realtà seguendo qualche piccolo accorgimento riusciremo ad essere abbronzati ancora per un po’. Ecco alcuni consigli:

1) Usate detergenti delicati: per il viso una mousse, per il corpo un olio doccia.

2) Preferite la doccia al bagno e tamponate la pelle invece di sfregarla.

3) Continuate ad usare il doposole, mattina e sera, e bevete sempre tanta acqua: idratare, dentro e fuori, è la parola d’ordine.

4) Se potete, scappate al mare durante il week end per far vostri gli ultimi raggi di sole. Anche se siete abbronzati, non dimenticate di applicare la protezione solare: è settembre il sole è ancora intenso!

5) Usate lo scrub! Ovviamente, al netto di tutti i consigli, l’abbronzatura, purtroppo, non è eterna! Quando inevitabilmente inizierà a sbiadire, il vostro migliore amico si chiamerà scrub! Da applicare sulla pelle bagnata (applicato su pelle asciutta è più aggressivo) con movimenti circolari. Eviterete così di andare in giro  macchiate come un leopardo, con il colorito tendente al grigio.

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Il peso aumenta, i cibi per non ingrassare dopo le vacanze

Ciò che succede a molti, in questo periodo, è di prendere qualche chilo in più e purtroppo anche in questo c’è una causa scientifica. Una recente scoperta, infatti, di ricercatori israeliani del Weizmann Institute’s Neurobiology Department ha scoperto come sia implicata nell’aumento di peso una particolare proteina che il cervello produce durante i periodi di stress. In ogni caso è sempre buona regola fare scorta di energie per iniziare il lavoro o lo studio al meglio. La natura è sempre dalla nostra parte ed è per questo motivo che bisogna approfittare degli alimenti che ci mette a disposizione in questo periodo dell’anno. Ecco alcuni rapidi consigli:

1) I fichi sono tra i frutti che riescono a combattere la stanchezza ricchi come sono di zucchero, proteine, fosforo, e calcio. Consumati a settembre, appena colti, regalano grandi quantità di vitamine C ed A.

2) I cereali, in particolare la quinoa, l’amaranto, il farro, tutte le verdure a foglia verde ,tutti gli ortaggi colorati ricchi di carotenoidi e la frutta di stagione, tanta, colorata non devono mai mancare dalla nostra tavola.

3) Attenti al colore! Un trucco per rimanere in forma è scegliere gli alimenti per colore: via quindi al rosso o giallo dei peperoni, all’arancione della zucca, al viola del radicchio, dell’uva, delle prugne. Un piccolo trucco consiste nell’aggiungere un cucchiaio di germe di grano a tutte le nostre pietanze in quanto servirà ad integrarli di vitamina B.

4) Andrebbero evitati o quantomeno limitati nel consumo, le carne grasse, i formaggi grassi, gli zuccheri raffinati, tutti i cibi fritti. Da privilegiare il consumo di pollo, tacchino manzo per il loro contenuto di aminoacidi, in particolare colina e tirosina, utili a migliorare la trasmissione degli impulsi nervosi, le funzioni cerebrali rafforzando memoria e concentrazione.

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Consigli finali

1) Stabilire delle priorità, partendo da obiettivi piccoli, semplici e più importanti e lasciare per un secondo momento quelli che possono attendere e gli arretrati accumulati (per esempio, le decine di email da leggere.

2) Se al rientro gli impegni sono troppi, imparare a delegare perchè lo stress aumenta quando le richieste ambientali superano in qualche modo le nostre risorse fisiche e psicologiche per poterle affrontare.

3) Finché il tempo lo consente, concedersi dei fine settimana dedicati al relax e alla famiglia, come se le vacanze non fossero ancora finite.

4) Valorizzare gli effetti positivi delle vacanze. L’estate insegna che lo svago è indispensabile per reggere la fatica. Godetevi la nostalgia delle vacanze riattivando emozioni positive: assaporate il piacere dei buoni ricordi di chi era con voi, le sensazioni, i rumori, la luce … E la ricerca dell’ottimismo può diventare duratura, lungo tutto l’anno.

5) Bevi caffè. E’ stato dimostrato che bere caffè ogni giorno (in quantità moderata) diminuisce il rischio di depressione e di suicidio. Per approfondire: La tazzina di caffè che ti salva dal suicidio

6) Mantenere un buono stile di vita: fare regolare attività fisica all’aria aperta (che produce endorfine e la luce solare migliora il tono dell’umore), dormire molto e bene, curare un’alimentazione regolare e bilanciata.

7) Integrazione. Per combattere lo stress ed aumentare le energie, sono molto utili i seguenti integratori alimentari:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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A cosa serve il magnesio e quali sono i cibi che ne sono ricchi?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO RAGAZZA TRISTE DONNA DEPRESSIONE STANCA PAURA FOBIA PENSIERI SUICIDIO FIUMA PONTEIl magnesio svolge un importante ruolo fisiologico per l’organismo umano: basti pensare che interviene come attivatore di circa 300 enzimi, che regolano fondamentali processi metabolici. Il contenuto corporeo normale di magnesio nell’organismo adulto è compreso tra 20 e 28 grammi: il 60% è presente nelle ossa, il 39% nei tessuti e circa l’1% nei liquidi extracellulari. Vi sono tuttavia alcuni periodi della vita in cui si possono perdere o consumare notevoli quantità di magnesio. Situazioni di stress prolungato tipiche della frenetica vita moderna, eccessiva sudorazione (soprattutto se legata a intensa attività fisica), gravi ustioni o lesioni, diarrea e vomito prolungati, malattie debilitanti. Per queste ragioni spesso occorre perciò intervenire con una sua integrazione.

Quali sono le funzioni e le proprietà del magnesio?

Il magnesio è impiegato in oligoterapia per le numerose proprietà terapeutiche: rilassa il sistema nervoso; svolge un’azione antidepressiva, cura le patologie cardiovascolari; migliora la rigenerazione cellulare; aumenta l’elasticità dei tessuti ed elimina le calcificazioni dannose dei tessuti molli e delle articolazioni.

1) Azione antidepressiva e calmante sul sistema nervoso

Il magnesio stimola la funzione nervosa, favorendone la trasmissione degli impulsi: al livello intracellulare, attiva l’esochinasi, enzima che converte il glucosio in glucosio-6-fosfato, primo gradino della glicolisi (processo attraverso il quale gli zuccheri vengono “bruciati” per produrre energia), necessaria per fornire energia a tutte le cellule; in particolare quelle nervose e muscolari che ne consumano una grande quantità.
Questo prezioso minerale tra le tante funzioni esercitate, stimola la produzione di serotonina, un’endorfina che agisce su recettori specifici del cervello, e che svolge azione analgesica, antidepressiva e stabilizzante del tono dell’umore. Lo stress tende ad esaurire le riserve di magnesio perché l’organismo lo utilizza per la sua capacità calmante e antidepressiva. Infatti una sua carenza produce depressione, nervosismo, ansia, tic nervosi e insonnia. Anche in sindrome pre-mestruale e in menopausa, a causa degli squilibri ormonali, si sono riscontrati notevoli abbassamenti dei livelli di magnesio, con conseguente depressione, senso di inadeguatezza e irritabilità.

2) Azione antispasmodica e rilassante della muscolatura

Il magnesio stimola le funzioni muscolari e normalizza il ritmo cardiaco e previene le malattie cardiovascolari: una carenza di questo minerale produce tensione muscolare e crampi. L’ipomagnesemia può produrre ipertensione arteriosa e sembrerebbe inoltre favorire l’insorgenza di aterosclerosi, soprattutto in caso di dieta ricca di colesterolo. Per queste proprietà è indicato per rilassare la muscolatura liscia in caso di intestino irritabile (ne favorisce la funzionalità, con delicato effetto lassativo), mal di testa causato da tensione nervosa, tachicardia, palpitazioni e dolori mestruali.

3) Azione remineralizzante

Il magnesio è essenziale per il processo di mineralizzazione e di sviluppo dell’apparato scheletrico. Rinforza lo smalto dei denti e insieme al calcio e al fosforo partecipa alla costituzione dello scheletro: più del 60% di tutto il magnesio presente nel nostro organismo si trova nel sistema osteoarticolare.

Quali cibi contengono più magnesio?

“Ho imparato a conoscere i due unici rimedi contro il dolore, la tristezza, le paturnie e piaghe simili del cuore umano: essi sono la cioccolata e il tempo”. Queste sono le parole di Tommaso Landolfi, uno degli scrittori italiani di maggior rilievo del ‘900 che ci forniscono un indizio su una delle maggiori fonti di magnesio tra gli alimenti: il cioccolato!
Tra gli altri alimenti ricchi di magnesio ricordiamo le verdure verdi fresche (essendo un elemento essenziale della clorofilla), legumi e cereali integrali (perché più dell’80% viene rimosso dai trattamenti di raffinazione), la soia, i fichi, il mais, le mele, i semi oleosi, in particolare le noci e le mandorle, le banane. Il magnesio è presente anche nel pesce, nell’aglio, nel tofu, nelle pesche e nelle albicocche.

Più presente nelle diete ricche in vegetali e cereali

Nel complesso, diete ricche in vegetali e cereali integrali hanno un contenuto di magnesio maggiore rispetto a quello di diete ricche di carni, prodotti caseari e alimenti raffinati. La dieta mediterranea prevede un consumo di 254 mg di magnesio al giorno. Mentre l’apporto di magnesio assunto attraverso l’acqua è variabile, ed è stato poco quantificato: sulla base di un consumo di un litro al giorno si può ipotizzare una quantità che varia da 1 a 50 mg. Il magnesio, oltre che attraverso gli alimenti e l’acqua, può essere assunto anche sotto forma di integratore naturale.

Quanto magnesio assumere al giorno?

Nel soggetto sano l’apporto di magnesio è da 3 a 4,5 mg/Kg (210 – 320 mg/die), sufficienti per il mantenimento del bilancio. L’assunzione raccomandata per la Commission of the European Communities (1993) è da 150 a 500 mg/die (il mio consiglio è quello di dividere la dose giornaliera in due diverse assunzioni al giorno).

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Disturbo da attacchi di panico: sensazione di morte imminente e angoscia

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Rughe Cavitazione Dieta Dimagrire Pancia Grasso Dietologo NutrizionistaDimagrire Sessuologo Aiuto Supporto psicologico Roma ATTACCHI DI PANICOCon disturbo d’ansia (in inglese “anxiety disorder”) in medicina ed in particolare in psichiatria, si identifica uno stato mentale caratterizzato da diverse forme di paura e di ansia patologica che si accompagnano spesso a manifestazioni psicosomatiche e che creano notevole disagio all’individuo, andando ad interferire con la sua vita sociale, relazionale e/o professionale. I più comuni disturbi d’ansia sono il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da attacchi di panico e le fobie. Il disturbo post-traumatico da stress, precedentemente inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito in una categoria denominata Disturbi correlati a trauma e stress. Il disturbo ossessivo-compulsivo, una volta inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito in una nuova categoria specifica, denominata Disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati. In alcuni casi un disturbo d’ansia può associarsi ad un disturbo dell’umore, come la depressione.

Differenza tra ansia e disturbo d’ansia

E’ importante ricordare che, nel linguaggio comune il termine “ansia” viene spesso usato in modo improprio, riferendosi a generiche condizioni di apprensione, nervosismo e stress, molto comuni nella vita quotidiana di ognuno di noi, che però nella maggioranza dei casi non hanno nulla a che vedere con il disturbo d’ansia, che è una patologia psichiatrica vera e propria. L’ansia presente nel disturbo d’ansia (“ansia patologica”) non è un semplice disagio transitorio e fisiologico che si verifica durante determinati episodi della nostra vita, bensì un sintomo abnorme che interferisce severamente con la nostra vita sotto diversi aspetti, da quello sociale e relazionale, fino a quello lavorativo.

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Disturbo da attacchi di panico

Il disturbo da attacchi di panico (da cui l’acronimo DAP), anche chiamato disturbo di panico, in inglese denominato panic attack o panic disorder (da cui gli acronimi PA e PD), è un tipo specifico di disturbo d’ansia caratterizzato da improvvisi ed intensi stati di fortissima ansia accompagnati da altri sintomi psicologici e fisici. Gli stati d’ansia, denominati “attacchi di panico“, si presentano in maniera imprevedibile, generalmente senza una causa scatenante razionale e specifica oppure, se presente, tale causa è rappresentata da un evento che, per la persona sana, non rappresenta fonte di timore. La terapia è di tipo psicoterapico con l’associazione, nei casi più gravi, dei farmaci. In alcuni casi un disturbo da attacchi di panico può associarsi ad una fobia.

Epidemiologia

Il disturbo da attacchi di panico rappresenta uno dei più comuni disturbi psicologici: si calcola che circa 10 milioni di italiani abbiano subito uno o più attacchi di panico nel corso della loro vita. Il disturbo di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta ed ha un’incidenza da due a tre volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini.

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Cause

Le cause specifiche del disturbo da attacchi di panico e degli altri disturbi d’ansia, come avviene per numerose altre patologie di interesse psichiatrico, non sono ancora state comprese del tutto. Si ritiene siano dovuti ad una combinazione di fattori genetici, psicologici, fisici e ambientali. Alcune caratteristiche predisponenti (come la famigliarità con la malattia, cioè aver dei casi in famiglia di disturbo da attacchi di panico o di altro disturbo d’ansia) unite ad episodi particolarmente traumatici e stressanti possono innescare un disturbo d’ansia. Eventi particolari capaci di tale innesco, sono ad esempio lutti, licenziamenti, difficoltà economiche o famigliari, patologie croniche ed invalidanti, una diagnosi di malattia terminale, violenza sessuale subita in tenera età, aver subito torture o aver vissuto un evento catastrofico come un incidente aereo o un terremoto. Alcune patologie organiche, come l’ipertiroidismo o altri squilibri endocrini, sono note per causare sintomi di nervosismo cronico e di ansia, quindi potrebbero essere un fattore di rischio per il disturbo da attacchi di panico. Patologie psichiatriche (come la depressione) e neurologiche (soprattutto se croniche, invalidanti e/o incurabili) potrebbero rappresentare un altro fattore di rischio per i disturbi d’ansia. La dipendenza da sostanze legali o illegali (alcol, caffeina, benzodiazepine, cannabis, cocaina, eroina ed altre sostanze psicotrope) e le dipendenze comportamentali (shopping compulsivodipendenza dal sessodisturbo da gioco d’azzardomasturbazione compulsivacleptomania, dipendenza da uso di doping, dipendenza dal lavoro, dipendenza dal cibo, piromaniadisturbo da interazione di più dipendenze…), potrebbero favorire o causare il disturbo da attacchi di panico o un altro disturbo d’ansia, oppure aggravare un disturbo preesistente. Gli studi sui possibili contributi genetici allo sviluppo del disturbo d’ansia generalizzato hanno esaminato le relazioni tra possibili geni implicati nelle strutture cerebrali coinvolte nell’identificazione di potenziali minacce (ad esempio, nell’amigdala) e anche implicati nei neurotrasmettitori e nei recettori dei neurotrasmettitori noti per essere coinvolti nei disturbi d’ansia. Alcuni farmaci antidepressivi (ad esempio gli SSRI), pur essendo spesso anche degli efficaci ansiolitici, possono causare in alcuni soggetti dei sintomi d’ansia che potrebbero essere confusi con un peggioramento della patologia iniziale. L’esposizione prolungata ad alcune sostanze chimiche, come i solventi industriali, possono favorire la comparsa di un disturbo d’ansia. Il mobbing ed il burn out sono possibili cause di un disturbo d’ansia. Un disturbo post-traumatico da stress), la dipendenza affettiva, la sindrome da abbandono, la dipendenza da un partner narcisista patologico, o la fine di una relazione possono innescare il disturbo da attacchi di panico o un disturbo d’ansia. Le “psico-tecnopatologie” (le malattie psicologiche causate da un abuso delle nuove tecnologie) come la dipendenza da smartphone, la dipendenza da notifiche, la dipendenza da internet e la dipendenza da social network possono causare o favorire il disturbo da attacchi di panico o altro disturbo d’ansia, o peggiorare un disturbo d’ansia già esistente nel paziente.

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Caratteristiche dell’attacco di panico

L’attacco di panico in genere è improvviso ed è caratterizzato da un intenso stato di ansia, paura, angoscia, desiderio di fuga immediata, paura di morte imminente. L’attacco si presenta in maniera imprevedibile, generalmente senza una causa scatenante razionale e specifica. Quando una causa specifica è presente, essa è rappresentata da eventi e circostanze assolutamente innocue e come tali percepite dalla maggioranza delle persone sane, eventi e circostante che invece vengono viste dal paziente come situazioni catastrofiche o realmente pericolose. L’attacco di panico può innescarsi anche in momenti assolutamente tranquilli e, apparentemente, senza alcuna circostanza specifica, ad esempio mentre il paziente sta tranquillamente seduto in poltrona a guardare la televisione o mentre legge un libro o nel sonno, mentre dorme.

Sintomi e segni associati

L’attacco di panico descritto nel paragrafo precedente, si può accompagnare a numerosi altri sintomi e segni, tra cui:

  • sensazione di asfissia o iperventilazione, con sindrome da iperventilazione psicogena;
  • tachipnea (aumento della frequenza respiratoria);
  • dispnea (“fame d’aria”);
  • tachicardia (aumento della frequenza cardiaca);
  • ipertensione arteriosa (aumento della pressione arteriosa);
  • tremori alle braccia e/o alle gambe;
  • vertigini;
  • pallore nel viso;
  • oppressione o fastidio al petto;
  • sensazioni di sbandamento, instabilità e svenimento;
  • ipotensione arteriosa (abbassamento della pressione arteriosa);
  • svenimento (sincope o lipotimia);
  • palpitazioni;
  • sensazioni di torpore;
  • paura di impazzire;
  • paura di perdere il controllo sulle proprie azioni;
  • nausea;
  • diarrea;
  • sensazioni di irrealtà, di stranezza, di distacco dall’ambiente e da sé stessi (derealizzazione e depersonalizzazione);
  • vampate o brividi di freddo;
  • paura di stare sempre peggio e di non riuscire a riprendersi;
  • sensazione di formicolio agli arti e alle mani (parestesia).

Conseguenze

Il disturbo da attacchi di panico, come gli altri disturbi d’ansia e le patologie psichiatriche in generale, è in grado di interferire severamente con la nostra vita sotto diversi aspetti, da quello sociale e relazionale, fino a quello lavorativo. Il paziente, per timore di avere un attacco di panico in pubblico, potrebbe ad esempio isolarsi e, nei casi più gravi, soffrire di depressione ed avere ideazioni suicidarie. Alcuni pazienti potrebbero, a causa della patologia, essere impossibilitati a svolgere un dato lavoro o essere licenziati per aver commesso azioni sconsiderate a lavoro a causa di un attacco di panico.

Durata dell’attacco di panico

Gli attacchi di panico possono avere una durata molto variabile: alcuni attacchi durano alcuni secondi, altri possono durare alcune ore. Nella maggioranza dei casi un attacco di panico non dura più di 30 minuti.

Diagnosi

La diagnosi di un disturbo da attacchi di panico si basa soprattutto sui suoi segni e sintomi caratteristici. Un’anamnesi familiare di disturbi d’ansia è d’aiuto, poiché la famigliarità (cioè, l’avere dei casi in famiglia di disturbo da attacchi di panico o altro disturbo d’ansia) sembra essere un importante fattore di rischio per il disturbo. E’ importante anche diagnosticare una eventuale altra patologia di interesse psichiatrico associata, come un disturbo dell’umore (ad esempio la depressione) o un disturbo da stress post-traumatico. All’insorgere delle prime crisi è frequente che tale disturbo non venga riconosciuto dal soggetto e di conseguenza non venga trattato e scambiato per altre patologie specialmente di natura cardiologica, polmonare o endocrina.

Disturbo di panico nel DSM-5

Secondo la quinta e più recente edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), per la diagnosi di disturbo di panico devono essere presenti entrambi i seguenti criteri diagnostici:

  • Presenza di attacchi di panico inaspettati ricorrenti (per la definizione di “attacco di panico”, vedi il prossimo paragrafo);
  • Almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese (o più) di uno (o più) dei seguenti sintomi:
    • preoccupazione persistente di avere altri attacchi;
    • preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”);
    • significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.

Se fossimo in presenza di agorafobia la diagnosi sarà di disturbo da attacchi di panico con agorafobia. Il medico deve valutare che gli attacchi non siano dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio una droga o un farmaco) o di una condizione medica generale (ad esempio ipertiroidismo) per questo tali condizioni dovranno essere escluse. Gli attacchi di panico non devono inoltre essere meglio giustificati da altro disturbo mentale, come fobia sociale, fobia specifica, disturbo ossessivo-compulsivo o disturbo post-traumatico da stress.

Attacco di panico nel DSM-5

La definizione di episodio di “attacco di panico” nel DSM-5 è un periodo preciso di intensa paura o disagio, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:

  • palpitazioni, cardiopalmo, o tachicardia;
  • sudorazione;
  • tremori fini o a grandi scosse;
  • dispnea o sensazione di soffocamento;
  • sensazione di asfissia (mancanza d’aria);
  • dolore o fastidio al petto;
  • nausea o disturbi addominali;
  • sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento;
  • derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi);
  • paura di perdere il controllo o di impazzire;
  • paura di morire;
  • parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio);
  • brividi o vampate di calore.

Ricordiamo che sono sufficienti quattro sintomi di quelli sopra descritti per essere in presenza di un attacco di panico.

Se pensi di soffrire di disturbo da attacchi di panico o di altro disturbo d’ansia, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere definitivamente il tuo problema.

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Abbuffarsi senza alcun controllo: è il disturbo da alimentazione incontrollata

MEDICINA ONLINE UOMO CHE MANGIA DOLCI CIBO MANGIARE DIETA DIMAGRIRE CRAVATTA CAMICIA GRASSI MASSA CORPOREA LAVORO UFFICIO STRESS MERENDA CALORIEIl disturbo da alimentazione incontrollata (in inglese “Binge Eating Disorder” da cui l’acronimo BED) è un disturbo alimentare di tipo bulimico che si manifesta con episodi di ricorrenti e protratte assunzioni di cibo, associate alla sensazione di perdere il controllo dell’atto del mangiare, ma NON seguite da manovre di eliminazione (come induzione del vomito o assunzione di diuretici e/o lassativi) o da altri comportamenti compensatori (come digiuno o attività fisica sostenuta). Quando l’abbuffata avviene di notte e non si verificano condotte compensatorie, si parla di “Night Eating Disorder” (NED). cioè di “disturbo da alimentazione notturna”: esso è caratterizzato da episodi di abbuffate notturne o dal mangiare per alcune ore durante la notte.

Cause e fattori di rischio

I fattori di rischio sono gli stessi per tutti i disturbi del comportamento alimentare:

  • la presenza di un membro della famiglia a dieta per un qualsiasi motivo
  • critiche di familiari su alimentazione, peso o le forme corporee
  • episodi di vita in cui si è stati presi in giro sull’alimentazione, il peso o le forme corporee
  • obesità dei genitori
  • obesità personale nell’infanzia
  • frequentazione di ambienti che enfatizzano la magrezza (es. danza, moda, sport)
  • disturbi dell’alimentazione in famiglia

Esistono, inoltre, delle caratteristiche specifiche di personalità che si riscontrano nei pazienti affetti da disturbo dell’alimentazione. Questi aspetti di personalità vengono considerati come fattori di vulnerabilità individuale, ovvero fanno sì che coloro che ne sono portatori siano più esposti di altri a sviluppare un disturbo dell’alimentazione. Una persona sarà tanto più a rischio se:

  • ha uno scarso concetto di sé (bassa autostima);
  • non ha fiducia in se stessa;
  • ha scarsa consapevolezza delle proprie emozioni;
  • è eccessivamente perfezionista;
  • tende ad estremizzare le cose, cioè “vede tutto bianco o tutto nero”;
  • manifesta comportamenti impulsivi o comportamenti ossessivi;
  • tende ad attribuire importanza eccessiva al peso ed alla forma del proprio corpo.

Sintomi e segni

Gli individui affetti da tale disturbo presentano ricorrenti episodi di alimentazione incontrollata (non per forza eccedono con il cibo in modo costante), ovvero abbuffate che presentano almeno tre delle seguenti caratteristiche:

  • mangiare più velocemente del normale;
  • mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati;
  • mangiare fino a sentirsi dolorosamente pieni;
  • mangiare da soli e di nascosto, per via della vergogna che si prova per quanto si sta mangiando;
  • sentirsi disgustati di sé, depressi o molto in colpa dopo un’abbuffata.

Le abbuffate degli individui affetti dal disturbo di alimentazione incontrollata sono tipicamente caratterizzate dalla presenza di due elementi in contemporanea:

  • il fatto di mangiare in un periodo definito di tempo una quantità di cibo nettamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe in quel lasso di tempo e in quelle stesse circostanze;
  • la sensazione di perdita di controllo durante l’episodio (incapacità di controllare cosa si mangia e quanto, e incapacità di fermarsi).

Ciò porta coloro che soffrono di BED, nel corso del tempo, ad evolvere verso l’obesità, che può essere di grado variabile. Il 20-30% dei soggetti che richiedono un trattamento per l’obesità e il 5-8% degli obesi in genere soffre di un disturbo da alimentazione incontrollata.

In caso di uso frequente di condotte di eliminazione, il paziente presenta spesso il segno di Russell; per approfondire: Segno di Russell in anoressia e bulimia: cause ed interpretazione

Differenze tra disturbo da alimentazione incontrollata e bulimia

I due disturbi sono molto simili tra loro, tuttavia nel disturbo da alimentazione incontrollata l’abbuffata non è seguita da alcun comportamento compensatorio inadeguato, quali l’epurazione (vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o clisteri), l’esercizio fisico eccessivo e/o il digiuno: questa è la principale differenza con la bulimia nervosa: nella bulimia nervosa tali condotte compensatorie sono invece presenti e seguono l’abbuffata. I due disturbi del comportamento alimentare, alimentazione incontrollata e bulimia, hanno tuttavia numerose caratteristiche in comune, come il fatto che il paziente tendenzialmente sia cosciente della sua situazione, ma se ne vergogni moltissimo e la viva con preoccupazione sia relativa alla perdita di controllo che relativa alle conseguenze delle abbuffate sul peso corporeo e sulla salute.

Conseguenze fisiche

Il disturbo da alimentazione incontrollata può portare – direttamente o indirettamente – a complicazioni mediche vere e proprie, come:

  • sovrappeso od obesità;
  • ridotta aspettativa di vita;
  • diabete;
  • malattie cardiovascolari;
  • apnee notturne;
  • certe tipologie di tumore;
  • dislipidemia;
  • colelitiasi;
  • ipertensione arteriosa;
  • infarto del miocardio.

Conseguenze psicologiche

I soggetti affetti da BED, dal punto di vista psicologico, sono tipicamente depressi o stressati a causa del proprio problema alimentare. Spesso questa sensazione si traduce in isolamento sociale, poiché essi si vergognano del proprio stile alimentare o della propria condizione di sovrappeso o obesità. In alcuni casi il soggetto soffre di depressione e può avere ideazioni suicidarie.

Terapia

Come tutti i disturbi del comportamento alimentare, il BED necessita di un approccio multidisciplinare che preveda una collaborazione tra psichiatra, internista, dietologo e psicologo. Si hanno quindi a disposizione diversi tipi di trattamento, ciascuno focalizzato su aspetti specifici del problema e su modalità peculiari di intervento. Tuttavia, il disturbo da alimentazione incontrollata sembra rispondere meglio ai trattamenti sia rispetto all’anoressia nervosa che alla bulimia nervosa.

Trattamento dimagrante convenzionale

Un trattamento dimagrante convenzionale ha efficacia a breve termine nel ridurre le abbuffate, ma la probabilità di ricaduta è estremamente alta, poiché non si va ad intervenire in alcun modo sui meccanismi disfunzionali che in primo luogo hanno generato il problema.

Auto-aiuto con manuali

L’auto-aiuto con i manuali, si è riscontrato utile nelle forme più lievi.

Psicoterapia

  • La terapia cognitiva-comportamentale è il metodo maggiormente studiato e supportato dagli specialisti per la cura dei DCA; si pone come scopo quello di aiutare chi soffre di un disturbo dell’alimentazione a imparare a gestire il proprio sintomo, a sostituirlo con comportamenti più adeguati e soddisfacenti, e a identificare e modificare alcune modalità di pensiero problematiche che favoriscono il mantenimento della patologia alimentare. Il trattamento prevede tre fasi per una durata complessiva di almeno un anno.
  • La terapia ad orientamento sistemico-relazionale cerca di intervenire sul problema attraverso la modificazione delle relazioni familiari problematiche all’interno del nucleo familiare, e presuppone dunque che sia l’intera famiglia a sottoporsi al trattamento
  • Il counselling dietetico-nutrizionale, attraverso il monitoraggio quotidiano dell’alimentazione mediante un diario alimentare dove la persona annota cosa ha mangiato durante il giorno, permette nei casi meno gravi di modificare le abitudini nutrizionali scorrette.

Sia la terapia cognitivo-comportamentale che la psicoterapia interpersonale danno dei tassi di remissione ≥ 60%; il miglioramento solitamente è ben mantenuto nel lungo termine. Tali trattamenti non producono però una significativa perdita di peso nei pazienti obesi, se non abbinati anche ad uno specifico piano alimentare.

Terapia farmacologica

  • farmaci antidepressivi – come gli inibitori della ricaptazione della serotonina. Hanno un’efficacia a breve termine nell’eliminare le abbuffate, ma quella a lungo termine non è nota.
  • lisdexamfetamina – approvata per il trattamento del disturbo da moderato a grave. Può ridurre il numero di giorni di abbuffata e sembra causare una lieve perdita di peso, ma la sua efficacia a lungo termine è sconosciuta.
  • farmaci che sopprimono l’appetito (come per esempio il topiramato).
  • farmaci dimagranti (come per esempio l’orlistat).

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Dipendenza da smartphone: ecco come capire se sei schiavo del tuo telefono

uomo ammanettato allo smartphoneSei tu che possiedi lui o è lui che possiede te? Secondo i crescenti studi condotti in tutto il mondo sull’argomento, la dipendenza da smartphone e relativo “tecno-stress” è un problema che colpisce principalmente i Continua a leggere

La tua vita è difficile? Ti spiego tutti i segreti per ritrovare la fiducia in te stesso ed aumentare la tua autostima

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA NATURA FELICE LIBERA ALLEGRA FORTE CORAGGIO FIDUCIA SOLE CALDO VACANZA RELAXEsiste un momento nella vita di una persona in cui la fiducia nelle proprie capacità viene messa duramente alla prova. Può trattarsi di un esame difficile all’università, come anche di un nuovo capo (da tutti considerato psicopatico) che vi da da fare un lavoro complesso da gestire, ma le situazioni che sfidano le nostre vite sono infinite. E le sfide, si sa, si possono vincere ma si possono anche perdere. In quest’ultimo caso ognuno di noi può reagire in maniera diversa: c’è chi nella sconfitta trova le motivazioni e la grinta giusta per rialzarsi subito, c’è chi non ne fa un dramma e ci riprova con calma. Purtroppo non tutti reagiscono bene, soprattutto se l’evento scatenante è sentito come particolarmente intenso e se magari già prima l’autostima non era certo ai massimi livelli. Immaginate una ragazza che non ha mai avuto particolare successo con l’altro sesso, poi trova un ragazzo e dopo poco tempo viene lasciata: una già scarsa autostima viene ancor più minata dall’evento e si rischia di cadere in un baratro a “feedback positivo”, ovvero minore fiducia in se stessi porta ad affrontare i problemi in maniera meno efficiente col risultato di non riuscire a risolverli e ritrovarsi ad avere ancora meno fiducia in se stessi, finendo in un circolo vizioso micidiale.

Come uscire dal circolo vizioso?

Scovare qualità, abbinare obiettivi, valutare le strategie per aggirare gli ostacoli: la lista… Ecco come fare.

1) Cominciamo con un piccolo compito che potete svolgere già a partire da adesso. Su un foglio di carta iniziate a stilare un elenco che contenga almeno dieci qualità che ritenete di possedere, onestamente ma senza modestia. Se proprio non vi vengono in mente tutte e dieci, provate a chiedere agli amici e ai parenti (i più onesti che conoscete!). Se non avete dieci qualità, ma ne avete “solo” sette, o cinque, o una soltanto, non importa: scrivetele ugualmente.

2) Per ognuna delle qualità, aggiungete accanto un possibile obiettivo che vorreste raggiungere. Se ad esempio avete scritto di essere persone determinate, un probabile traguardo da prefissarsi potrebbe essere quello di portare a termine un lavoro che vi è stato assegnato nonostante i numerosi impegni. A questo punto accadrà un fatto: vi verranno in mente tantissimi dubbi e molte perplessità circa le possibilità di riuscita del vostro progetto. Niente paura, mettete per iscritto anche le incertezze e le esitazioni.

3) Non resta che affrontare razionalmente le esitazioni che sono via via emerse. Cercate soluzioni reali agli ostacoli che impediscono al vostro obiettivo di concretizzarsi, tenendo sempre presente che a guidarvi non deve essere l’emotività, bensì la logica, il ragionamento rigoroso e sensato, la ragionevolezza e la lucidità. Chiedetevi se la colpa degli insuccessi è vostra o degli altri e rispondete sempre con sincerità. Quando avrete terminato, non dovrete fare altro che prendere solennemente un impegno con voi stessi affinché possiate con fermezza, tenere fede alle promesse fatte.

4) Tenete la lista che avete preparato sempre a portata di mano e di tanto in tanto rileggetela: vi accorgerete che quelle qualità che possedete sono sempre lì e nessuno ve le potrà mai togliere. Questo piccolo esercizio vi farà ricordare che anche gli altri credono in voi perché riescono a vedere dei lati positivi spesso invisibili ai vostri occhi.

Leggi anche: Preoccuparsi troppo del giudizio degli altri e temere il rifiuto

Non pensare di esserlo: CONVINCITI di esserlo!

Ancorare degli obiettivi da raggiungere (compilando una lista, come ho scritto precedentemente), senza sfidare le nostre forze e i nostri limiti, senza porci obbiettivi irraggiungibili, è un ottimo metodo per affrontare la vita. I risultati, sicuramente non tarderanno ad arrivare, e con essi la crescita della nostra autostima. Una volta raggiunti gli obiettivi raggiungibili, passiamo a quelli apparentemente “irraggiungibili”, vi stupirete di quello che siete capaci di fare, se solo riuscite a convincervi di essere in grado di farlo!

Chi siamo? Quali vestiti siamo?

1) Il primo passo importante da fare, è prendere coscienza della nostra personalità, e imparare ad accettarci per quello che siamo, conoscere i pregi dei nostri difetti. Il nostro essere, si distingue da ogni altro, ed è proprio questo valorizza l’essere umano, avere idee diverse, non significa avere idee sbagliate. Quando ci troviamo di fronte ad un discorso, non ci limitiamo ad annuire, ma esponiamo i nostri pensieri anche se sono differenti, senza però né offendere né essere scortese. Proviamo ad utilizzare questa tecnica, con le persone più vicine a noi, come parenti o familiari, poi anche con gli amici e infine al lavoro.

2) Curiamo il nostro look, in base alle nostre esigenze e ai nostri gusti, non copiando le persone che ci affiancano tutti i giorni ma cercando sempre il capo di abbigliamento con cui siamo a nostro agio e che rappresenta il nostro carattere. Non dimentichiamoci di curare la biancheria intima, e non parlo solo di quelle sere in cui prevediamo incontri galanti col nostro partner! Sul lavoro, a scuola, con gli amici, al parco a portare il cane: essere a posto “sotto” e non solo “sopra” vi farà sentire più a vostro agio e più fiduciosi nelle vostre capacità. Ciò vale anche per l’igiene intima.

Voce in capitolo e sassolini nelle scarpe

1) In casa, facciamo valere anche i nostri bisogni, anche nelle scelte più scontate, come quella di quale programma guardare in televisione: non ci facciamo “mettere sempre sotto” ma facciamo presente, in maniera educata e cortese, che anche noi abbiamo “voce in capitolo”.

2) Un altro passo importante, è “toglierci il sassolino dalla scarpa” Cosa vuol dire? Affrontare situazioni scomode, che ci mettono a disagio e che ci alterano l’umore durante la giornata. Mai rimandare inconvenienti, prolungherebbero la nostra ansia Un toccasana, per ritrovare la fiducia in se stessi, è assimilare un pizzico di ironia, saper prendersi gioco di se stessi, sdrammatizzare, ridere e pensare che a tutto c’è un rimedio

Leggi anche: Impara a non preoccuparti del giudizio degli altri in quattro passi

Repetita iuvant, ovvero: ripetitelo tante volte

Ottimo metodo per rafforzare la propria autostima è ripetersi più volte, durante il giorno, che abbiamo le potenzialità giuste per affrontare qualsiasi sfida. Ripeterlo mentalmente se siamo in pubblico, a voce alta se siamo soli e magari di fronte allo specchio: “io non valgo meno degli altri, casomai il contrario!”

Quando mi guardo allo specchio

1) Innanzitutto, se il problema è il vostro aspetto fisico, vi confido un segreto: non lo è! O meglio, non dovrebbe esserlo: smettete di guardarvi allo specchio in continuazione cercando ogni minimo difetto o inestetismo. Il mondo è pieno di persone: belle, brutte, splendide, orribili. Siamo tutti uguali, pur con le nostre diversità. Ciascuno di noi possiede qualcosa di bello e di meno bello. Il mio consiglio è di evitare di focalizzarvi sugli aspetti negativi, privilegiando sempre più quelli che sono i vostri pregi. Un esercizio quotidiano molto semplice consiste nel guardarvi ogni mattina allo specchio, per dieci minuti, allenandovi ad osservare solo quello che vi piace di voi, e cercando di apprezzare sempre più anche quelli che prima consideravate dei difetti. Ricordate sempre che “la vera bellezza è negli occhi di chi guarda”! Se poi il vostro difetto estetico è per voi estremamente  insopportabile, ricordate che la medicina e chirurgia estetica può sempre darvi una mano!

2) Quando vi fanno un complimento, evitate di pensare a quale sia il motivo per cui l’avete ricevuto: prendete e portate a casa! Provate una volta tanto a credere che, se vi viene offerto un complimento, è solo perché davvero ve lo meritate. Al contempo, se qualcuno vi insulta, lasciate correre: molto spesso è tutta invidia, poco ma sicuro, e la brutta figura l’ha fatta l’altro perchè è stato cafone! Ripetete questi semplici passi ogni mattino, ogni pomeriggio, ogni sera come un mantra, fateli diventare parte della vostra vita: forse non guadagnerete la stima di voi stessi da un momento all’altro, ma di sicuro potete provare a costruirla giorno per giorno, imparando a guardare il bicchiere mezzo pieno e chiudendo un occhio ogni volta che ne verserete un goccio! Sapete come dico io? Il bicchiere non solo è mezzo pieno, ma quello che manca me lo sono appena bevuto io!

Siamo solo umani, perdoniamoci ma assumendo la nostra responsabilità

1) Spesso siamo portati a perdonare più facilmente gli errori degli altri rispetto ai nostri: niente di più sbagliato! Siamo tutti esseri umani, ed in quanto tali siamo portati a sbagliare di continuo, fa parte del naturale cammino della vita: si sbaglia, quindi si impara. Quando commettiamo un errore, evitiamo dunque di arrabbiarci con noi stessi, ma cerchiamo piuttosto di capire dove abbiamo sbagliato e perché. Teniamo a freno la rabbia e contiamo fino a dieci. Non abbiamo paura di chiederci scusa. Sono semplici piccolezze, ma possono fare la differenza se ripetute nel tempo: lo scopo è quello di “abituarci” ad apprezzare noi stessi.

2) Il punto 1 però non deve portarvi all’estremo opposto: deresponsabilizzarvi! Una volta che avete preso atto dei vostri fallimenti, abbiate il coraggio di assumervene le responsabilità. Dare la colpa alla sorte di un traguardo non raggiunto forse attenuerà qualche senso di colpa, ma vi collocherà automaticamente in una dimensione di impotenza. La responsabilità di un evento -anche negativo- vi permette invece di considerare l’errore come vostro, spingendovi a non ripetere lo stesso comportamento in futuro. Nessuno è infallibile, e se imparerete a guardarvi intorno potrete vedere come le persone che stimate di più siano tutte accomunate dalla capacità di agire, sbagliare e metabolizzare i propri sbagli. La strada per il successo è disseminata di errori.

Leggi anche: Le dieci tecniche per toglierti qualcuno dalla testa

Il futuro non è scritto nel marmo, neanche la nostra autostima

Cercate di accantonare fin da subito l’idea che il vostro livello di autostima non possa cambiare, che sia scolpito nel marmo del vostro patrimonio genetico o nel destino. Non è così. “Autostima” è il nome che diamo all’immagine mentale che abbiamo di noi stessi, e in quanto tale è un’opinione destinata a mutare nel tempo a seconda di varie circostanze. Spesso influiscono su questa immagine circostanze esterne quali i fallimenti passati, le critiche, l’affetto di chi ci sta attorno. Altrettanto spesso, però, questa immagine non ha un reale aggancio con avvenimenti o motivazioni oggettive, che possono essere mal lette dall’interessato, o addirittura non essere reali. Per prima cosa, quindi, chiedetevi quanto di vero ci sia in quello che pensate di voi stessi. Potreste scoprire di essere troppo severi o impietosi nel giudicarvi.

Anche una maratona inizia con un passo

Quando mi sono iscritto a medicina la prima reazione di fronte alla mole di esami, frequenze obbligatorie ed esercitazioni è stata drammatica. Medicina è la facoltà più lunga in assoluto e quando sei al primo semestre del primo anno ti senti spaventato dai sei anni che ti aspettano, dagli infiniti esami che dovrai sostenere, dai libri da 2000 pagine che dovrai imparare a memoria. Il consiglio che proprio oggi ho dato ad alcuni studenti del primo anno che ho incontrato per caso all’Umberto I è stato: affrontate un esame per volta senza pensare agli altri! E quando avrete di fronte un libro da migliaia di pagine, non fatevi bloccare dalla paura: cominciate a studiare il primo capitolo, domani penserete al secondo, dopodomani al terzo e magari in un mese lo avrete comodamente finito! Tutto questo per dirvi che se la vita vi presenta tre o più problemi alla volta, se è possibile non cercate di risolverli tutti nello stesso momento: cercate di capire quale problema ha la priorità sugli altri e cercate di risolvere quello, poi penserete agli altri!

Leggi anche: L’abuso verbale ed emozionale nella coppia

Un problema tira l’altro

Spesso poi vari problemi sono uno la conseguenza degli altri e risolvere il primo crea le condizioni perché si risolvano gli altri. Un mio amico si ritrova a 30 anni fuoricorso con l’università, convive con i genitori e ci litiga spesso, non riesce a trovare una ragazza, ha problemi di erezione e di salute. I problemi sono irrisolvibili? Forse si, se vengono affrontati tutti insieme. Ma se invece il mio amico (generalizzando) spendesse tutte le sue forze nell’obiettivo di laurearsi forse riuscirebbe a trovarsi un lavoro, col lavoro potrebbe pagarsi un mutuo e lasciare la casa dei propri genitori, smetterebbe di litigarci, non apparendo “mammone” potrebbe avere più successo con le donne. Avendo casa propria non avrebbe problemi ad avere un rapporto sessuale “tranquillo e privato” come invece non accadeva quando viveva coi propri genitori quindi forse i problemi di erezione sparirebbero! E’ una generalizzazione ma è per farvi capire che bisogna sempre scegliere il problema chiave altrimenti il rischio di disperdere le forze tra vari problemi e non risolverne nessuno è alto.

Se credi di avere un problema di bassa autostima e non riesci a gestire da solo o da sola questa situazione, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere il tuo problema.

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Per quali motivi si ingrassa dopo aver smesso di fumare?

MEDICINA ONLINE DIETA UOMO PANCIA GRASSO DIMAGRANTE GRASSI CALORIE ATTIVITA FISICA SPORT DIMAGRIRE PERDERE PESODietro la difficoltà nel dire addio alle sigarette c’è spesso la paura di ingrassare. E in effetti la nicotina, la sostanza che crea la dipendenza dal tabacco, è anche tra i maggiori responsabili del temuto aumento di peso nel momento in cui cessa di essere assunta, cioè quando si smette di fumare.

Molti addirittura non smettono di fumare per la paura di ingrassare! Purtroppo non si tratta di una paura del tutto infondata, visto che sono numerosi gli studi che hanno dimostrato che quando si dice addio alle sigarette si tende ad accumulare dei chili di troppo, alcuni dicono 2 kg, altri dicono 6 kg. Io quando ho smesso di fumare sono aumentato di circa 10 kg in sei mesi e sono tornato ai livelli precedenti dopo circa un anno e mezzo rispetto a quando avevo smesso, ma solo con una dieta ipocalorica ferrea ed aumentando l’attività fisica.

Leggi anche: Smettere di fumare: quanto e per quanto tempo ingrasserò? L’esperienza mia e dei miei pazienti

Vi dico subito che smettere di fumare (sia le sigarette tradizionali che le elettroniche con nicotina) è la cosa migliore che voi possiate fare nella vostra vita quindi la paura di ingrassare non vi deve bloccare dal tentare di smettere! Come dicevo io stesso sono ingrassato di 10 kg, eppure in pochi mesi – con un po’ di impegno – sono riuscito a riperderli tutti tornando al mio peso forma. Quando faccio smettere un mio paziente, gli dico di concentrarsi inizialmente solo allo smettere di fumare, anche a costo di prendere qualche kg di massa grassa in più: sono successivamente, quando i sintomi di astinenza diminuiranno, cominceremo insieme un programma per tornare al peso forma.

Perché si ingrassa dopo aver smesso di fumare?

In questo articolo cominciamo con capire quali sono i motivi che ci fanno ingrassare dopo aver smesso, in modo che successivamente sapremo come muoverci per ritrovare il nostro peso forma. I motivi per cui ingrassiamo dopo aver smesso di fumare sono molteplici:

1) VIENE A MANCARE L’AUMENTO DEL METABOLISMO: SI BRUCIANO MENO CALORIE
Molti studi condotti sull’argomento hanno dimostrato che un adulto fumatore medio (10-12 sigarette al giorno) nel momento in cui smette di fumare ha una riduzione del metabolismo di circa 200 calorie quotidiane. Smettere di fumare un pacchetto di sigarette al giorno sembra che lo diminuisca di quasi 400 calorie! Ciò si spiega facilmente: la nicotina è un alcaloide facilmente assorbito dall’organismo che, oltre ad indurre dipendenza, esercita un potente effetto di accelerazione del metabolismo. Chi fuma brucia un po’ di calorie in più, rispetto ad un NON fumatore di uguale costituzione, dieta ed esercizio fisico. Un’azione che sembrerebbe simile a quella della caffeina, un altro noto stimolante del metabolismo, ma così non è. Il caffè ha un effetto transitorio, ed è tanto più stimolante quanto più il suo consumo è sporadico, altrimenti l’organismo si assuefà diminuendone l’efficacia. Al contrario, la nicotina accelera il metabolismo finché si ha l’abitudine al fumo e quando si smette inevitabilmente il metabolismo rallenta. Facendo i dovuti distinguo, è un po’ come succede agli ipertiroidei quando vengono “normalizzati” dai farmaci o agli sportivi che si mettono a condurre una vita sedentaria: il dispendio energetico diminuisce bruscamente ma le abitudini alimentari rimangono le stesse. E, inevitabilmente, l’ago della bilancia sale.

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2) VIENE A MANCARE L’AZIONE ANORESSIZZANTE: AUMENTA L’APPETITO
La nicotina ha un’azione anoressizzante di conseguenza una volta abbandonate le sigarette l’appetito giustamente aumenta. L’appetito aumenta anche per motivi legati alla chimica delle ghiandole salivari e delle papille gustative.

3) VIENE A MANCARE IL GESTO DI INTRODURRE QUALCOSA IN BOCCA
Gli ex fumatori lo sanno bene: esiste anche un fattore psicologico che può contribuire all’aumento di peso e riguarda l’aspetto orale del fumo. Si ha la necessità di sostituire la sigaretta con qualcos’altro, col rischio di “mangiucchiare” in continuazione, aumentando così l’introito energetico.

4) IL NERVOSISMO CI INDUCE A MANGIARE ALIMENTI GUSTOSI ED IPERCALORICI
Non appena la nicotina entra in corpo, questa viene rapidamente diffusa dalla circolazione sanguigna, tramite la quale arriva al sistema nervoso. In genere, giunge al cervello in circa sette secondi, dove agisce sui recettori dell’acetilcolina. A basse concentrazioni aumenta l’attività di questi recettori portando ad un aumento della produzione di adrenalina, un ormone stimolante. A concentrazioni elevate la nicotina blocca il recettore dell’acetilcolina e questa è la ragione della sua tossicità e della sua efficacia come insetticida. Oltre a ciò, la nicotina aumenta il livello di dopamina nei circuiti cerebrali del piacere. Questa genera una sensazione di piacere con un meccanismo analogo a quello innescato dalla cocaina e dall’eroina. La dipendenza da nicotina è quindi legata anche alla necessità biochimica di mantenere elevati livelli di dopamina. Quando si smette di fumare, calano i livelli di dopamina e ci sentiamo nervosi così cerchiamo tutti quegli alimenti che riportano in alto la concentrazione di molecole che ci fanno stare bene: i cibi ipercalorici!

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5) LE CELLULE DELLA LINGUA RINASCONO: SI SENTONO MEGLIO I SAPORI
Le papille gustative subiscono una modificazione nei fumatori e diventano meno attive, quindi i sapori si sentono meno bene. Smettendo di fumare si sentono meglio i sapori e purtroppo un bel piatto di pasta al sugo diventa in pochi giorni decisamente molto più gustoso di quando si fumava, invogliandoci a mangiarlo!

6) VIENE A MANCARE L’AZIONE ANTIDEPRESSIVA DELLA NICOTINA
La nicotina contenuta nelle sigarette agisce come antidepressivo tramite la stimolazione del rilascio di dopamina e norepinefrina; in aggiunta, la nicotina sembra esercitare un effetto antidepressivo per mezzo della desensibilizzazione dei recettori della nicotina a seguito della tolleranza. Anche la Vareniclina, un farmaco che agisce sui recettori della nicotina utilizzato per eliminare la dipendenza da nicotina (come il farmaco Champix) ha mostrato proprietà antidepressive. Quando si smette di fumare, il venire a mancare l’effetto antidepressivo della nicotina può determinare uno stato depressivo nel paziente. Dal momento che l’atto di mangiare, specie cibi grassi e ipercalorici, induce il rilascio di molecole che inducono sensazioni piacevoli come la dopamina, l’ex fumatore tende a mangiare di più per ripristinare le scorte di dopamina a cui era abituato quando fumava ed evitare lo stato depressivo. Per lo stesso motivo quando si smette di fumare aumenta il rischio di sviluppare comportamenti compulsivi, come masturbazione compulsiva, gioco d’azzardo e shopping compulsivo, tipici comportamenti che determinano un forte rilascio di dopamina.

Vi sono altri motivi per cui si ingrassa dopo aver smesso di fumare ed esiste una correlazione tra il numero di sigarette fumate ed i chili presi; per approfondire leggi la seconda parte dell’articolo: Per quali motivi si ingrassa dopo aver smesso di fumare? (seconda parte)

I migliori prodotti per il fumatore che vuole smettere di fumare
Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, pensati per il fumatore che vuole smettere di fumare o che ha smesso da poco e vuole perdere peso. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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