Coprostasi e colica: tumore, terapia, cosa mangiare e rischi

MEDICINA ONLINE BAGNO CACCA FECI WATER WC TOILETTE INTESTINO COLON STIPSI STITICHEZZA RETTO ANO EMORROIDI DOLORE COPROCULTURA ANALISI SANGUE FECI ANALISI INFEZIONE PESO DIETA DIMAGRIRE LASSATIVO URINA PIPI CISTITE BERE ACQUCon coprostasi in medicina si intende un transito del materiale fecale molto lento, tale che può evolvere in una accumulazione fecale priva di movimento a livello del retto, cioè della parte terminale dell’intestino crasso compresa tra il sigma e l’ano. Tale alterato transito all’interno dell’intestino condiziona, aumentandolo, l’assorbimento/sottrazione dell’acqua dalle feci, rendendo queste ultime in media più secche e dure, meno morbide. La coprostasi in media contribuisce ai sintomi della stipsi ed in particolare è frequente nella stipsi cronica, ma:

  • non coincide né con la stipsi né con la stipsi cronica;
  • non è una caratteristica obbligatoria né della stipsi né della stipsi cronica;
  • a differenza della stipsi e della stipsi cronica che sono “sindromi” e sintomi in cui il percepito e vissuto del paziente è parte fondamentale dei criteri diagnostici (si veda specie riguardo alla stipsi cronica), la coprostasi è un dato obiettivo sperimentalmente rilevabile a livello organico dai devices medici;
  • mentre la stipsi e la stipsi cronica in media sono anzitutto autodiagnosticate (e quindi percepite dal paziente) e poi eventualmente clinicamente confermate, la coprostasi non è per forza avvertita dal paziente.

Leggi anche: Coprolita (fecaloma): come si forma, quali sono i rischi, come eliminarlo

Cause e fattori di rischio della coprostasi

Molteplici possono essere i motivi per cui il fisiologico ciclo di eliminazione dei rifiuti dall’apparato gastrointestinale può subire delle modifiche di tipo temporale, ma, in ogni caso, occorre specificare che la coprostasi non è una patologia in quanto tale, bensì il sintomo di una patologia a monte. La coprostasi può generarsi anche in modo acuto quale sintomo di un impedimento alla normale canalizzazione all’interno del lume intestinale a causa di una occlusione intestinale (ad esempio da coprolita), o anche di una alterazione delle funzioni intestinali insorte in modo improvviso nello stesso intestino, la quale porti a spasmi a carico della tunica muscolare (ileo spastico) o, all’opposto, alla paralisi della stessa (ileo paralitico).

Leggi anche: Differenze tra ileo meccanico ed ileo paralitico: cause, sintomi e trattamenti

Alcune patologie di natura infettiva ed acute, tra le quali ricordiamo il tifo e la peritonite, possono dare origine a coprostasi (tifloatonia post-tifo). Qualora, al contrario, l’evento occlusivo di verifichi in modo lento, come può avvenire in presenza di carcinomi o esiti cicatriziali da ulcere che producono una restrizione progressiva del lume intestinale, la costipazione inizia a carattere appena accennato per subire poi aggravamenti successivi e progressivi in relazione e proporzionali all’entità della stessa occlusione.

I tumori possono essere causa di coprostasi, specie quelli del tratto discendente e terminale del colon, dal momento che in questa zona i tumori tendono a svilupparsi in modo circonferenziale sulla parete dell’intestino (e non longitudinale, come avviene più frequentemente nel colon ascendente) e quindi il lume del colon è ridotto. Inoltre le feci che transitano nel tratto più distale del colon sono mediamente più disidratate e dure rispetto ai primi tratti del colon. Questi sono entrambi fatti che aumentano il rischio di coprostasi.

Leggi anche: Tumore del colon retto: sintomi iniziali, tardivi e ritardo nella diagnosi

Altre tipologie di coprostasi abituale possono insorgere in caso si soffra di alcune malformazioni intestinali particolari e congenite, soprattutto all’intestino crasso ed ai legamenti relativi, in risposta alle quali alcuni tratti intestinali, e soprattutto il colon sigmoideo, il colon trasverso, ed il cieco possono presentare una morfologia ectopica o essere comunque troppo mobili, o, ancora, trovarsi fissi in posizioni non fisiologiche ed anche, magari, contemporaneamente angolati e stirati a causa di qualche aderenza peritoneale (malattia di lane, di Hirschsprung, periviscerite…).

Leggi anche: Fecaloma: tappo di feci durissime, cause, sintomi e rimedi

Segni e sintomi di coprostasi

In caso di coprostasi connessa a stipsi e specie stipsi cronica l’atto della defecazione o evacuazione è accompagnato a dolori che potranno essere anche intensi o molto intensi e può portare in casi gravi (se presente compattazione delle feci) all’occlusione intestinale. Altri sintomi e segni di una coprostasi, sono:

  • mancata defecazione;
  • malessere;
  • gonfiore addominale;
  • incontinenza fecale;
  • nausea;
  • vomito (anche di tipo fecaloide);
  • mal di testa;
  • anoressia (perdita di appetito);
  • calo del peso corporeo;
  • sintomi e segni di disidratazione;
  • sintomi e segni di emorragia intestinale;
  • febbre;
  • confusione;
  • letargia;
  • meteorismo;
  • diarrea;
  • emorroidi anche con sanguinamento rosso vivo;
  • melena (feci nere);
  • tachicardia (aumento della frequenza cardiaca);
  • tachipnea (aumento della frequenza respiratoria);
  • ipotensione arteriosa;
  • dolore anche molto intenso di tipo crampiforme ed intermittente a livello addominale (colica addominale);
  • alvo chiuso solo a feci o a feci e gas;
  • sintomi e segni di ischemia e necrosi intestinale.

Non tutti i sintomi e segni elencati sono necessariamente presenti: essi dipendono dalle cause a monte che hanno determinato la coprostasi.

Leggi anche: Le tue feci dicono se sei in salute: con la Scala di Bristol impara ad interpretarle

Rischi legati alla coprostasi

I disturbi che possono trarre origine da una coprostasi sono causati sostanzialmente dal riassorbimento di quei materiali di natura tossica i quali erano destinati all’espulsione insieme alle feci e che invece a causa del disturbo restano in sede a fare danni. Queste intossicazioni croniche si riflettono anche su altre funzionalità della vita di tipo vegetativo, e soprattutto su quelle relative allo stomaco (dispepsie, bocca impaniata, fenomeni di inappetenza…); sui centri nervosi superiori, con una attività di limitazione e disturbo delle funzioni più complesse ed importanti, anche, ad esempio, sulla prontezza nella ideazione e sulla memoria: in questo senso l’umore del paziente è facilmente influenzabile dalla coprostasi, potendosi manifestare fenomeni depressivi, tendenza ad essere insolitamente pessimisti ed eccessivamente irritabili. Di questo quadro sintomatologico fanno parte anche emicranie e cefalee ed anche frequentemente, poi anche vertigini, ronzio alle orecchie e sintomi simili. C’è poi da considerare che lo sforzo richiesto dall’evacuazione nel paziente con coprostasi, può essere causa di lesioni ed emorroidi; inoltre negli stadi avanzati, l’addome può dilatarsi e divenire diffusamente dolente, con crampi e, occasionalmente, con aumentati borbottii viscerali. L’aumentato tempo di contatto tra le feci e le pareti intestinali è un fattore di rischio per il cancro del colon. I casi più gravi di coprostasi (“compattazione fecale“) possono portare a coproliti, occlusione intestinale, (con vomito anche fecaloide), traumi alla mucosa del colon e “diarrea paradossa”, in cui feci morbide dall’intestino tenue bypassano la materia compattatasi nel colon. In caso di occlusione intestinale non trattata, possono comparire sintomi e segni di sofferenza ischemica e necrosi (morte) della porzione interessata dall’occlusione, con rischio di peritonite, perforazione della parete intestinale, setticemia, shock e perfino decesso del paziente.

Leggi anche:

Diagnosi di coprostasi

Per diagnosticare una coprostasi e soprattutto la causa a monte che l’ha determinata, il medico si può servire di vari strumenti diagnostici come l’anamnesi (la raccolta dei dati del paziente, dei suoi sintomi, delle sue altre patologie…), l’esame obiettivo (con palpazione, percussione ed auscultazione dell’addome), esami di diagnostica per immagini (radiografie e TC, con o senza mezzo di contrasto, ecografia addominale, colonscopia…) ed esami di laboratorio (esami del sangue, analisi di un campione di feci, ricerca di sangue occulto nelle feci, biopsie…). L’esame delle feci con coprocoltura e ricerca di sangue occulto è in molti casi utile al medico per raggiungere la diagnosi, come anche la defecografia e la colonscopia tradizionale e virtuale. Se coinvolto anche l’ano, può essere effettuata anche una visita proctologica con anoscopia ed esplorazione digitale rettale.

Leggi anche:

Terapia della coprostasi

Il trattamento per la coprostasi variare in base alle cause che l’hanno generata. Generalmente sono sconsigliati i lassativi, soprattutto se di natura salina, anche perché l’intestino ci si abitua rapidamente e facilmente, reagendo, poi, in modo esattamente opposto a quello per il quale abbiamo assunto il farmaco perché si ingenera uno stato spastico. Sono consigliate, invece, delle sostanze di natura oleosa, tra le quali oggi è molto frequente ed utilizzato l’olio di paraffina. Anche l’utilizzo di antispastici può essere ritenuto particolarmente utile, e tra questi ricordiamo l’atropina e la belladonna. Sono utilizzabili anche delle sostanze che subiscono un rigonfiamento quando si trovano nel tratto intestinale perché riassorbono l’acqua, come, ad esempio, alcune tipologie di alghe o alcuni estratti di questi tipi di alghe (agar – agar, ad esempio) che agiscono, a causa di questa loro caratteristica, al pari di masse estranee che eccitano la peristalsi dell’intestino. Tra le sostanze lassative ricordiamo il preparato di bile, la cascara sagrada ed il rabarbaro per citarne solo le più utilizzate. Se la stitichezza ostinata è legata a qualche particolare malformazione anatomica, si può intervenire con le terapie chirurgiche eseguite possibilmente in laparoscopia.

Leggi anche: Supposte di glicerina: come usarle in bambini, adulti, gravidanza

Dieta consigliata

Per migliorare il transito intestinale ed evitare coprostasi è sempre necessario adottare una dieta ricca in fibre ed acqua ed evitare cibi che possono acuire la stipsi quali riso, banane, pane, pizza, carote e finocchi crudi.

Leggi anche: Stitichezza acuta e cronica: tipi, cause, trattamenti medici e rimedi

I migliori prodotti per la salute dell’apparato digerente

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche per il benessere del vostro apparato digerente, in grado di combattere stipsi, fecalomi, meteorismo, gonfiore addominale, acidità di stomaco, reflusso, cattiva digestione ed alitosi:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn e su Pinterest, grazie!

Differenza tra carie, placca e tartaro dei denti

MEDICINA ONLINE DENTI BIANCHI CARIE TARTARO PUS ALITO ALITOSI DENTISTA IGIENE ORALE INCISIVI SPECCHIETTO BOCCA LABBRA DONNA

Placca dentale

La “placca dentale“, anche chiamata placca batterica o più semplicemente “placca”, è un aggregato di microrganismi incorporati tra loro e ben aderenti ai denti. È composta da batteri, cellule di sfaldamento della mucosa orale, sostanze che derivano dalla saliva e dagli alimenti. È la principale causa della carie e delle malattie parodontali. La placca è, dunque, il nemico numero uno dei denti e si annida negli spazi più nascosti ed in cui è più arduo arrivare con lo spazzolino:

  • spazi interdentali,
  • superfici occlusali,
  • irregolarità dentali,
  • in prossimità del colletto dei denti (quindi tra dente e gengiva).

Inizialmente la placca è morbida è la sua rimozione ostacola la formazione della carie. Dopo circa 24 ore la placca si indurisce, diventa tartaro ed è difficile da eliminare.

MEDICINA ONLINE DENTI BOCCA DENTISTA PLACCA DENTALE GIALLA GENGIVE.jpg

Tartaro

Tartaro

Il “tartaro” è un deposito dentale dovuto all’indurimento della placca batterica e alla presenza di sali di calcio nella saliva. È un insieme di composti minerali formato per circa l’80% da sali inorganici, contenenti fosforo, calcio e sodio, e per il restante 20% da sostanze diverse. Tali formazioni vengono rimosse tramite detartrasi da un dentista o da un igienista dentale. Il tartaro può essere:

  • sottogengivale, ha un colore rossiccio per la presenza di piccole emorragie gengivali, è più consistente e si deposita nelle profondità del solco gengivale. Trovandosi al di sotto della gengiva non è immediatamente visibile e contribuisce alla formazione della tasca parodontale collegata alla parodontite. Il tartaro sottogengivale provoca spesso alitosi.
  • sopragengivale, si forma in meno di due settimane. Si presenta sotto forma di piccole incrostazioni bianche o giallognole che ricoprono la superficie del dente intorno all’orlo gengivale.
MEDICINA ONLINE DENTI BOCCA DENTISTA CARIE DENTALE NERA EROSIONE GENGIVE.jpg

Carie

Carie

La “carie” è un processo patologico che consiste nell’erosione o nella distruzione del dente. A causarla sono i comuni microrganismi presenti nel cavo orale, principalmente quelli adesi al dente nella forma di placca batterica e – successivamente- di tartaro, che se non mantenuti sotto controllo attraverso le comuni pratiche di igiene orale, o nel caso di abbassamento delle difese immunitarie, riescono a dissolvere la matrice minerale e organica che costituisce il dente, creando lesioni cavitate. Le carie appaiono di colore nerastro.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Diabete: guida completa a carboidrati, proteine, grassi, fibre, condimenti, bevande e dolci

MEDICINA ONLINE CIBO DIETA ALIMENTAZIONE PASTA RISO SUGO DIABETE CIBI GLICEMIA CARBOIDRATI PRANZO CUCINA CENA RICETTALa dieta di chi soffre di diabete (in particolare di diabete di tipo 2, il più diffuso) non deve essere per forza fatta di privazioni. Anzi: carboidrati e zuccheri sono ammessi. Basta seguire qualche regola per tenere a bassa la glicemia e scegliere ricette pensate per chi ha problemi di insulina. Inoltre il ritmo dei pasti deve essere adattato alle necessità individuali e al tasso glicemico. Di certo non possono mancare colazione, pranzo e cena, intercalati da un paio di spuntini, che vanno introdotti se il paziente fa attività fisica, o si sottopone a terapie farmacologiche specifiche, o ha altre necessità ancora. Gli spuntini forniscono un apporto costante di glucidi ed evitano sia le punte di glicemia (iperglicemia) dopo il pasto che l’ipoglicemia tra un pasto e l’ altro. Ecco quali sono gli alimenti da inserire nel menu della dieta di chi ha problemi a tenere a bada l’insulina.

CARBOIDRATI

Pane e pasta fanno ingrassare, ma sono anche il carburante principale dell’organismo. Il 45-60% delle calorie quotidiane devono arrivare sotto questa forma di carboidrati. Una porzione di riso, pasta, pane o suoi derivati secchi dev’essere presente in ognuno dei tre pasti principali: colazione, pranzo e cena. Una porzione, però, non due! Quindi se c’è la pasta ci dev’essere poco pane. E soprattutto non ci devono essere grissini o cracker sgranocchiati prima del pasto. Meglio preferire il pane integrale o il pane di semola di grano duro, come quello pugliese di Altamura, che hanno un indice glicemico più basso rispetto alla maggior parte degli altri tipi di pane, o dei prodotti con farina di grano tenero. Altra cosa che spesso si ignora: gli spaghetti e i maccheroni del supermercato, di farina di grano duro, sono da preferire alle tagliatelle fatte in casa (con farina di grano tenero). Ancora meglio sarebbe scegliere una pasta prodotta con farina integrale. Quanto al riso, meglio mangiarlo integrale o arricchito con molta verdura, per ridurre l’indice glicemico (il riso in bianco bollito, da solo, fa invece alzare la glicemia). Infine, le patate : hanno un indice glicemico più elevato di pane e pasta, ma saltuariamente si possono gustare in loro sostituzione. Meglio se bollite e fredde, perché così si abbassa il loro indice glicemico.

PROTEINE E GRASSI

È importante sottolineare che gli alimenti ricchi di proteine spesso contengono anche un’abbondante quota di grassi saturi, che sono quelli più dannosi per le nostre arterie, quindi è consigliabile limitare il consumo di carne di vitello o manzo grassa, e di formaggi, specie se stagionati. Vanno poi evitati i salumi, mentre si possono mangiare, saltuariamente, prosciutto cotto o crudo, e bresaola. Molti a questo punto si chiedono: «E di secondo cosa metto in tavola?». Per cominciare carne bianca o pesce, anche surgelato (ma non impanato), e qualche volta il piatto unico, che contiene carboidrati e proteine insieme. Il segreto è variare. Le uova, per esempio: sono ricche di proteine e anche se contengono un po’ di grassi, una volta alla settimana, come secondo, ci possono stare. È importante incrementare il consumo di legumi, con il loro carico di proteine “buone”, carboidrati complessi e fibre. Ottimo associare cereali e legumi come piatto unico. Ecco, per esempio, un vero pasto ideale: pasta e fagioli, più verdura e frutta. E la spolverata di parmigiano sulla pasta? Concessa, come spolveratina. Però è bene ricordare che tutti i formaggi hanno un elevato contenuto di grassi saturi e colesterolo, e quindi è fondamentale limitarne il consumo a due o massimo tre volte la settimana, e preferire sempre ricotta o formaggi freschi, o light.

Leggi anche:

FIBRE

Le fibre sono importantissime nell’alimentazione di un diabetico, perché permettono di assorbire in modo graduale tutto il resto. Se inseriti in un pasto ricco di fibre, gli zuccheri di un dolce, ma anche quelli dei carboidrati complessi come pane e pasta, sono assorbiti più lentamente, aiutando a evitare un rialzo brusco della glicemia. E c’è anche un altro punto a favore: un pasto ricco di fibre sazia prima e di piùIl fabbisogno medio giornaliero raccomandato di fibre è di 40 grammi e non è facile arrivarci. Una mela da 150 grammi ne contiene 3 grammi, un etto di fagioli 5, un etto di piselli 7. Largo allora alle verdure e agli ortaggi, e largo ai prodotti integrali (pasta, riso, pane e altro ancora). Il consumo giornaliero di cinque porzioni di verdura o frutta, e di quattro porzioni a settimana di legumi, può risultare utile per fornire il minimo fabbisogno di fibre. Che significa una porzione? Per esempio, 100 grammi di legumi freschi (peso a crudo) o 50 grammi di insalata, oppure 150 grammi di frutta . Moderazione con uva, cachi, banane e fichi: gustosi, ma portano un surplus di calorie.

CONDIMENTI

All’olio bisogna stare un po’ attenti. È vero che i grassi vegetali sono sani, non hanno gli effetti negativi dei grassi animali, ma sono molto calorici. Un cucchiaio di extravergine ha circa 90 calorie. Se si usa tanto olio per condire l’insalata, quell’insalata farà ingrassare come una braciola di maiale. Bisogna limitarsi a non andare oltre i tre cucchiai di olio al giorno. E alla solita lamentela, «ma così è tutto insapore come in ospedale!», rispondiamo: «Abbiamo aglio, basilico, rosmarino, coriandolo, pepe, aceto, succo di limone… I grassi non sono necessari per dare sapore!». Per cucinare gli alimenti si possono usare sugo di pomodoro o vino (la parte alcolica evapora nella cottura).

BEVANDE

Bisogna bere molta acqua, sei-otto bicchieri al giorno. Vanno evitate invece le bevande zuccherate. L’alcol? Con moderazione. Uno o due bicchieri al giorno di vino, meglio se rosso, sono ammessi, mentre bisogna fare attenzione ai vini da dessert e ai superalcolici perché contengono zucchero e provocano un aumento del tasso glicemico.

DOLCI
L’apporto di carboidrati semplici (presenti nella frutta, nel latte, nello zucchero da cucina) non dovrebbe superare i 50 grammi al giorno. I dolci possono essere consumati con moderazione e al posto di altri alimenti contenenti carboidrati, ma meglio mangiarli alla fine del pasto e non a stomaco vuoto. Le torte fatte in casa sono da preferire a quelle confezionate.

Leggi anche:

Articoli sul prediabete:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Diabete: quale frutta mangiare e quale evitare? Guida completa

MEDICINA ONLINE DIABETE FRUTTA MANGIARE EVITARE GUIDA GLICEMIA CARBOIDRATI INDICE GLICEMICO CARICO GLICEMICO VALORI.jpg
La frutta indicata per i diabetici e per i prediabetici, è:

  • mele,
  • pere,
  • agrumi,
  • fragole,
  • ciliegie,
  • pesche,
  • albicocche,
  • kiwi,
  • avocado,
  • frutti di bosco,
  • melone,
  • cocomero.

Il consumo deve ovviamente avvenire sempre con moderazione e buon senso.

La frutta invece meno indicata per i diabetici e per i prediabetici, è:

  • uva,
  • fichi,
  • banane,
  • frutta essiccata,
  • frutta sciroppata.

Leggi anche:

Articoli sul prediabete:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenza tra colecisti e cistifellea

MEDICINA ONLINE BILE DOTTO EPATICO COMUNE CISTICO COLEDOCO CISTIFELLEA COLECISTI FEGATO DIGESTIONE ANATOMIA SCHEMA SISTEMA BILIARE SINTESI IMMAGINEPotrebbe sembrare una domanda banale ma, dal momento che il paziente non è quasi mai un “addetto ai lavori”, è importante fare chiarezza: qual è la differenza tra “colecisti” e “cistifellea”? Non c’è alcuna differenza: i due termini sono infatti sinonimi ed indicano il medesimo organo del corpo umano; a tal proposito leggi: Cistifellea: cos’è, a cosa serve e dove si trova

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Colecistite alitiasica: cause, dieta ed intervento

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-cistifellea-cose-cosa-serve-dove-si-trovariabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenza-ecoLa colecisti (o cistifellea), ha il compito di raccogliere la bile, una sostanza densa prodotta dal fegato, che serve per il metabolismo dei grassi di origine alimentare (ad esempio il colesterolo). Questo piccolo organo è soggetto alla formazione di calcoli, i quali, ostruendo i dotti biliari, possono provocare un’infiammazione, ovvero una colecistite.
Si tratta di un disturbo più comune di quanto non si creda, che si può curare con una dieta adeguata e una terapia a base di antibiotici e analgesici, soprattutto quando si manifesti sotto forma acuta. Tuttavia, questa infiammazione della cistifellea può verificarsi anche in assenza di calcoli, ed ecco perché parliamo di colecistite alitiasica. In genere si verifica in una percentuale bassa rispetto alla tipologia legata ai calcoli biliari, circa il 5-10% dei casi, ma è più grave rispetto all’altra. Le cause possono essere diverse, tra queste le più probabili sono:

  • conseguenza di interventi chirurgici importanti;
  • infezioni sistemiche dell’organismo;
  • traumi addominali;
  • ustioni gravi;
  • digiuno prolungato;
  • nutrizione con le flebo per mesi;
  • deficit immunitari.

Anche se le cause sono diverse, la colecistite alitiasica si manifesta con gli stessi sintomi di quella provocata dai calcoli, ovvero:

  • dolore forte e improvviso, quasi insopportabile, al quadrante superiore destro dell’addome con riflesso alla schiena (zona sotto la scapola destra);
  • dolore prolungato, che si mantiene costante per almeno sei ore;
  • febbre (oltre i 38°);
  • nausea;
  • vomito;
  • brividi;
  • malessere generale.

Quando chiamare il medico?
È necessario contattare rapidamente il medico in caso di improvviso e forte dolore addominale, soprattutto se non migliora dopo qualche ora o se è accompagnato da altri sintomi caratteristici come ittero e/o febbre. Nell’impossibilità di contattare il medico farsi accompagnare in pronto soccorso.

Leggi anche:

Pericoli
In assenza di una diagnosi e un appropriato trattamento alcuni casi di colecistite possono essere causa di gravi e pericolose complicazioni:

  • cancrena, con morte del tessuto della colecisti, che può ulteriormente causare complicazioni se l’infezione si diffonde nell’intero organismo (sepsi).
  • perforazione della cistifellea, con diffusione dell’infezione nell’addome (peritonite) e formazione di ascessi.

È infine possibile l’infiammazione del pancreas (pancreatite).

Diagnosi
La diagnosi è in genere formulata attraverso:

  • anamnesi (ricostruzione storia clinica del paziente, rilevazione fattori di rischio, stato di salute, storia clinica, …),
  • visita medica per l’osservazione di segni e sintomi caratteristici (come il segno di Murphy),
  • esami strumentali, primo fra tutti l’ecografia.

L’ecografia è il modo migliore per scoprire i calcoli biliari, ma può anche individuare la presenza di liquidi intorno alla cistifellea oppure l’ispessimento delle pareti, sintomi tipici della colecistite acuta. In molti casi, quando la bacchetta dell’ecografia viene appoggiata sull’addome in corrispondenza della cistifellea, i pazienti lamentano dolore. Sono talvolta necessari esami di imaging più sofisticati o di altro genere (risonanza magnetica, radiografia, …). La manovra di Murphy garantisce al medico una buona sensibilità nella diagnosi di colecistite acuta; viene effettuata attraverso una leggera pressione della colecisti del paziente mentre gli viene richiesto di inspirare profondamente, causando un dolore improvviso che lo costringerà all’interruzione dell’atto respiratorio. La patologia per cui più facilmente si osserva la positività della manovra di Murphy è la colecistite acuta, mentre in caso di colecistite cronica o semplice colica biliare il dolore sarà più sfumato.

Medicina di laboratorio
Gli esami del sangue possono in alcuni casi mostrare un aumento di:

  • gammaGT,
  • leucociti,
  • bilirubina (totale e diretta).

Gli altri esami possono individuare alcune complicazioni, ad esempio l’aumento di un enzima pancreatico (lipasi o amilasi) dovuto alla pancreatite. Se i globuli rossi sono alti, possono essere sintomo di infiammazione, ascesso, cancrena o perforazione della cistifellea.

Cura e terapia
La colecistectomia, cioè la rimozione chirurgica della cistifellea, è il trattamento di prima scelta della colecistite e viene quasi sempre effettuato a meno di gravi controindicazioni all’intervento chirurgico; può essere effettuata subito, entro un paio di giorni o nel giro di qualche settimana (a seconda dei rischi di complicazioni, dello stato di salute, dei sintomi, …). Rimandare l’intervento di solito diventa necessario per i pazienti affetti da disturbi che lo rendono rischioso (ad esempio se affetti da disturbi cardiaci, polmonari o renali). Se si sospetta una complicazione come un ascesso, la cancrena o la perforazione, è invece necessario intervenire d’urgenza perchè i rischi delle complicanze superano quelli legati all’intervento. Di solito l’operazione viene effettuata usando un tubicino flessibile, munito di telecamera a un’estremità e detto laparoscopio. Il laparoscopio, altri tubicini e gli strumenti chirurgici usati per rimuovere la cistifellea vengono inseriti attraverso piccole incisioni praticate nell’addome. Nei casi di grave infiammazione, shock o rischi insormontabili legati all’anestesia generale un radiologo interventista può intervenire inserendo un catetere di drenaggio percutaneo nella colecisti e trattando il paziente con con antibiotici fino a risoluzione dell’infiammazione acuta. Una colecistectomia può quindi essere valutata in seguito, se lo stato di salute dovesse migliorare. Alcuni pazienti potrebbero soffrire di coliche biliari anche dopo la rimozione della cistifellea e dei calcoli e la causa non è nota con esattezza, ma in genere i fastidi sono tutto sommato sopportabili/gestibili e tendono a sparire con il tempo.

Si può vivere senza cistifellea?
E’ possibile una vita senza cistifellea? A tale proposito leggi: Si può vivere senza cistifellea?

Dieta
Come accennato all’inizio dell’articolo, l’alimentazione influenza in maniera rilevante la comparsa dei calcoli nella cistifellea, che sono alla base della formazione del maggior numero di colecistiti. Non è certo un caso che la maggior parte delle persone che ne soffrono sono persone che hanno un’alimentazione squilibrata e ricca di grassi, o ancora coloro che sono particolarmente in sovrappeso, o ancora coloro che attuano delle diete molto drastiche per ridurre il peso. I calcoli alla colecisti sono infatti determinati soprattutto dall’eccesso di colesterolo nella bile: una cattiva alimentazione provoca il suo incremento all’interno di questo organo, e di seguito l’impossibilità di smaltirlo correttamente. Le quantità che rimangono all’interno della colecisti si solidificano creando i calcoli, piccoli “sassolini” delle dimensioni di pochi millimetri, di colore giallastro. Ebbene, per cercare di ridurre il rischio di calcoli è bene cercare di consumare molte fibre ed evitare i grassi. Mangiare dunque molta frutta e verdura, e incrementare l’apporto di fibre con la crusca, potrebbe essere il primo passo. Cercate inoltre di privilegiare le carni bianche e il pesce azzurro, evitando – di contro – le carni che sono ricche di grassi, o ancora i formaggi molto stagionati, il latte intero, gli insaccati, le fritture, i salumi.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenza tra aglio rosso, rosa e bianco: proprietà e coltivazione

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA AGLIO ROSSO ROSA BIANCO COLORE TAVOLA DIETA TIPO.jpgL’aglio ha moltissimi benefici per la nostra salute: oltre ad essere uno dei migliori antibiotici naturali, il suo consumo regolare ci aiuta a prevenire numerose malattie. Dal punto di vista nutrizionale l’aglio ha 41 kcal ogni 100 grammi. Inoltre è ricco di vitamine, come la vitamina A, C, E e le vitamine del gruppo B, e minerali come ferro, fosforo, calcio, sodio ed è estremamente ricco di potassio, circa 450 mg in 100 grammi di prodotto. Visti i suoi valori nutrizionali e le sue proprietà l’utilizzo dell’aglio viene consigliato anche a coloro che seguono diete dimagranti, infatti sembra che questo possa favorire la lipolisi, cioè favorisce lo scioglimento delle cellule adipose. L’azione dimagrante dell’aglio sarebbe da collegarsi anche alla sua capacità di stimolare il metabolismo, ed inoltre come vedremo in seguito, alle sue proprietà diuretiche. La quantità giornaliera di aglio da assumere è stimata intorno ai 4 g e può essere assunto ogni giorno salvo controindicazioni. L’assunzione può avvenire sia attraverso il consumo del bulbo fresco o secco, sia attraverso l’assunzione di compresse o sciroppi. E’ possibile anche assumere l’aglio sotto forma di tintura madre, 50 gocce tre volte al giorno. Esistono diversi tipi di aglio ed ognuno di essi ha specifiche caratteristiche.

Leggi anche: Proprietà dell’aglio: antibiotico, antitumorale, afrodisiaco, abbassa la pressione ed il colesterolo

Aglio bianco

L’aglio bianco è quello più comune e maggiormente coltivato in Italia, lo si può infatti trovare un po’ ovunque. Sono bulbi dal sapore deciso che possono essere seminati sia in autunno che a gennaio-febbraio, quando il terreno lo permetterà. Ma anche all’interno della ‘categoria’ aglio bianco, esistono diverse varietà.

  • Aglio ‘Piacentino’: ha il bulbo rivestito di tuniche bianco-argentate, è molto produttivo e si conserva a lungo. In genere si semina a settembre e novembre e si raccoglie a giugno-luglio. Dall’Aglio Piacentino è stato selezionato l’aglio Serena, esente da virosi, più tardivo e di buona pezzatura.
  • Bianco ‘Polesano’: bianco brillante ha forma regolare e compatta e si coltivava già nell’800. Si presta anch’esso, come tutti gli agli bianchi, ad ad essere conservato molto a lungo.
  • Bianco ‘Napoletano’: con striature rosate è molto ricco di oli essenziali, si raccoglie il 13 giugno (Sant’Antonio) e si fa seccare fino al 24 giugno (San Giovanni).

Aglio rosa

L’aglio rosa ha un sapore più delicato, si semina solitamente più tardi e ha una conservabilità, seppure buona, talvolta minore a quella dell’aglio bianco

  • Aglio ‘Rosa Primaticcio’: si presta a essere consumato fresco e per questo poco conservabile. E’ di buona pezzatura e tuniche rosa chiaro. Si semina a febbraio-marzo e si raccoglie a luglio quando le foglie sono ancora verdi. Molto simile al Rosa Primaticcio è il Rosa Napoletano e il Rosa di Agrigento, coltivati soprattutto al Sud Italia.
  • Aglio di Vessalico: viene coltivato in Liguria sui tipici terrazzamenti. Ha un aroma intenso, è digeribile e ben conservabile. Ha tuniche esterne bianco-rosato, o rosso-viola appena colto, e bulbilli bianchi. La semina si effettua tra ottobre e gennaio e la raccolta avviene verso la fine di giugno.
  • Aglio Rosa di Lautrec: come tutte i prodotti francesi è molto conosciuto e rinomato, ma non si tratta solo di ‘vana gloria’: l’aglio Rosa di Lautrec ha qualità gustative indiscutibili: aroma dolce e delicato, si adatta bene a quasi tutti i piatti e si presta anche ad essere mangiato a crudo. Se conservato in luogo fresco e arieggiato e a temperature intorno ai 12/13° può arrivare anche al raccolto successivo. Molto produttivo, i suoi bulbilli sono ricoperti da un involucro rosa. Periodo di semina dicembre/gennaio (ma comunque aspettiamo che il terreno sia agibile).

Aglio rosso

Ma non abbiamo ancora finito con i colori dell’aglio: ecco infine l’aglio rosso, che ha queste specifiche proprietà:

  • È molto ricco di vitamina C, tiamina e riboflavina, potenti antiossidanti necessari alla nostra salute generale.
  • Il suo sapore è intenso, piccante e apprezzato in gastronomia.
  • Questa varietà è molto utilizzata nella medicina naturale per elaborare compresse o estratti d’aglio.
  • A differenza del classico aglio bianco, quello rosso ha dimensioni più piccole, è stretto, la buccia esterna è di colore rosso intenso e di solito ogni testa contiene dagli 8 ai 12 spicchi.
  • Possiede una maggiore concentrazione di composti organici solforati, è ricco di zolfo, iodio e silicio. 
  • Contiene un livello molto elevato di allicina, quel composto con proprietà antibiotiche che dona il caratteristico odore e sapore all’aglio.

Ecco alcune varietà di aglio rosso:

  • L’aglio Rosso di Nubia (o di Paceco o di Trapani):  ha le tuniche dei bulbilli rosso acceso. In Sicilia si semina tra dicembre e gennaio e si raccoglie a maggio/giugno. Ha un gusto molto forte che si sposa benissimo con i saporiti piatti siciliani. Può essere consumato tutto l’anno.
  • L’aglio Rosso di Sulmona: è coltivato da secoli in Abruzzo, ha tuniche esterne bianche e bulbilli ricoperti da un involucro rosso vino. Si semina fino a fine gennaio e si raccoglie dopo sei mesi. Quest’aglio produce uno scapo floreale che va raccolto un mese prima del bulbo e può essere consumato fresco, sott’olio o in agrodolce.
  • L’aglio Rosso Maremmano: di pezzatura più piccola è rosso acceso, molto profumato e ha un bel sapore deciso. Purtroppo è poco diffuso e prodotto quasi esclusivamente per consumo proprio.

La differenza tra le varie tipologie di aglio è a livello di coltivazione in quanto l’aglio rosso ha un ciclo di coltivazione più breve e produce bulbi più grandi ma che hanno come caratteristica una minore conservabilità rispetto a quelli dell’aglio bianco.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su Mastodon, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Differenza tra cirrosi e fibrosi

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-cistifellea-cose-cosa-serve-dove-si-trovariabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenza-ecoLa cirrosi epatica è l’espressione di una tappa terminale di danno cronico del fegato indotto da fattori lesivi di diversa origine. Al danno cronico il fegato ripara compensando attraverso la formazione di “cicatrici” costituite da tessuto fibroso e attraverso la rigenerazione delle cellule perdute. L’espressione esasperata di tali processi porta ad una estesa fibrosi e ai noduli di rigenerazione; a lungo andare ne consegue una progressiva riduzione della massa funzionante epatica (causa di insufficienza dell’organo nelle fasi di malattia avanzata), fenomeni infiammatori e necrotici ed un sovvertimento della architettura vascolare intraepatica con conseguente ipertensione portale e cirrosi conclamata.

La differenza tra fibrosi e cirrosi consiste quindi nel fatto che la fibrosi è una fase pre-cirrotica. Per alcuni soggetti la progressione tra fibrosi epatica e cirrosi è molto lenta, anche decine di anni, per altri invece è più rapida.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!