Differenza tra ipertrofia muscolare sarcolplasmatica e miofibrillare

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA IPERTROFIA MUSCOLARE MIOFIBRI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgCon “ipertrofia muscolare” (muscle hypertrophy in inglese) ci si riferisce all’aumento di volume di un muscolo determinato dall’aumento di volume degli elementi che lo compongono (fibre, miofibrille, tessuto connettivo, sarcomeri, proteine contrattili ecc.). Per approfondire leggi: Ipertrofia muscolare: cosa significa e come si raggiunge

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Esistono due tipi di ipertrofia muscolare: sarcolplasmatica e miofibrillare.

  • L’ipertrofia muscolare miofibrillare consiste nellaumento delle miofibrille. La miofibrilla è il modulo costitutivo filamentoso della muscolatura striata, della quale quest’ultima è ordinatamente percorsa e consiste in una catena molecolare costituita da meccanoproteine (l’actina e la miosina), rispettivamente di colore chiaro e scuro che permettono la contrazione muscolare. Questo tipo di ipertrofia si ottiene privilegiando quantità di peso più elevate associato ad un numero di ripetizioni più basso.
  • L’ipertrofia muscolare sarcoplasmatica consiste nell’espansione di ciò che non è miofibrilla ma piuttosto del fluido all’interno del quale le miofibrille sono immerse: questo tipo di ipertrofia si ottiene usando una quantità di peso minore associato ad un numero di ripetizioni elevato.

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Ipertrofia muscolare: cosa significa e come si raggiunge

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma IPERTROFIA MUSCOLARE COSA SIGNIFICA RAGG Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIn campo medico, con il termine “ipertrofia” si intende l’aumento del volume delle cellule che compongono un tessuto o un organo. Questa modificazione non altera il numero di cellule all’interno del tessuto o dell’organo considerato, ma ne aumenta le dimensioni.
Quando si parla di ipertrofia muscolare quindi, si intende una serie di modificazioni del muscolo che porta ad un aumento delle dimensioni delle fibre muscolari e quindi della massa muscolare, osservato quando un muscolo raggiunge un diametro maggiore o un aumento della sua sezione trasversa. Esistono due tipi di ipertrofia muscolare: sarcolplasmatica e miofibrillare. Per approfondire leggi: Differenza tra ipertrofia muscolare sarcolplasmatica e miofibrillare

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Come si ottiene l’ipertrofia di un muscolo?

I’ipertrofia muscolare è un processo che avviene in modo lento e graduale: un adeguato esercizio fisico che preveda lavoro muscolare con sovraccarichi progressivi costringe il corpo all’adattamento biologico che porta ad un aumento della massa muscolare.
L’ipertrofia muscolare è il risultato di una cascata di eventi, che è stata definita come upstream signalling (segnalazione a monte), la quale provoca effetti a valle (downstream). Questa cascata di eventi comprende in sequenza:

  • sollecitazioni meccaniche e metaboliche che portano a danni strutturali (micro-traumi) alla miofibrilla (il modulo costitutivo filamentoso della muscolatura striata, della quale quest’ultima è ordinatamente percorsa, che consiste in una catena molecolare costituita da meccanoproteine – l’actina e la miosina – rispettivamente di colore chiaro e scuro che permettono la contrazione muscolare);
  • segnalazioni dallo stress meccanico sulle fibre muscolari;
  • risposta ormonale (testosterone, GH, MGF, IGF-1, cortisolo), e risposta infiammatoria;
  • sintesi proteica che porta all’ipertrofia muscolare.

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Articolazione temporo mandibolare (ATM): anatomia, funzioni e patologie

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Anatomia dell’articolazione temporo-mandibolare

L’articolazione temporo-mandibolare (da cui l’acronimo “ATM“), mostrata nel quadrato evidenziato in rosso nella figura in alto, è una diartrosi condiloidea doppia che si occupa di articolare i due condili mandibolari con le fosse mandibolari delle due ossa temporali. L’articolazione viene considerata doppia perché tra il condilo mandibolare e le fosse mandibolari si inserisce un disco che va a suddividere l’articolazione in:

  • temporo-meniscale;
  • mandibolo-meniscale.

Entrambe le superfici articolari sono rivestite da fibrocartilagine composta da 4 strati sovrapposti. Il disco invertebrale invece ha una forma ovolare ed è formato da una parte di tessuto e una parte di cartilagine.

Le ossa presenti nell’articolazione sono:

  • processo condiloideo: ha una forma oivoidale che anteriormente e inferiormente si ristringe;
  • fossa mandibolare: è laterale all’ala dello sfenoide e posteriore al tubercolo articolare; risulta essere inclinata di 25° rispetto al piano occlusale.

I legamenti presenti sono:

  • legamento temporo-mandibolare;
  • legamento collaterale;
  • legamento sfeno-mandibolare;
  • legamento stilo-mandibolare.

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Funzioni dell’articolazione temporo-mandibolare

L’articolazione temporo-mandibolare si occupa di far muovere la mandibola per favorire la fonazione e la masticazione. In particolare si distinguono i seguenti movimenti:

  • movimenti simmetrici: apertura, chiusura, protusione, retrusione;
  • movimenti asimmetrici: lateralità, masticatori, movimenti automatici;
  • movimenti limite;
  • movimenti di contatto: quelli che prevedono il contatto fra i denti;
  • movimenti liberi.

Leggi anche: Angolo goniaco (angolo goniale): dove si trova e quanto deve misurare per avere un bel profilo?

Patologie dell’articolazione temporo-mandibolare

Come qualsiasi parte del nostro corpo, anche l’articolazione temporo-mandibolare può essere interessata da patologie, traumi e malformazioni che vanno trattate con dei trattamenti specifici, tra queste le più diffuse sono:

  • sindrome temporo-mandibolare;
  • lussazione temporo-mandibolare;
  • dislocazione del menisco;
  • frattura della mandibola;
  • sindrome di Costen.

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Le funzioni del cervelletto: apprendimento e correzione dei movimenti del corpo

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CERVELLETTO FUNZIONI CORREZIONE MOVIMENTI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari An Pene.jpgIl cervelletto è una parte del SNC (sistema nervoso centrale) coinvolta in moltissime importanti funzioni del corpo: nell’apprendimento e nel controllo motorio, nel linguaggio, nell’attenzione e, probabilmente, in alcune funzioni emotive, come le risposte alla paura o al piacere. Le connessioni con il sistema limbico gli permettono di intervenire anche nei processi di memorizzazione e apprendimento, potendosi così parlare di cervelletto cognitivo. Sebbene sia ampiamente coinvolto nel controllo del movimento, il cervelletto non vi dà origine.

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Confronto di segnali periferici e centrali
Le informazioni che arrivano dalla periferia portano i dettagli dei movimenti nel corso della loro esecuzione permettendo al cervelletto di controllare il tono muscolare nel durante dei movimenti stessi e quindi di adattare subito lo stato di contrazione muscolare alle variazioni di carico o delle richieste fisiologiche per quanto concerne l’ampiezza, l’efficacia, la traiettoria e la durata del movimento. Nel fare questo permette, quindi, di ridurre al minimo le contrazioni non coordinate dei muscoli antagonisti che causano piccole oscillazioni durante il movimento, il cosiddetto tremore fisiologico (in questo è implicata la porzione posterolaterale del cervelletto).
Sia i segnali periferici che centrali vengono confrontati in ogni istante e usati per produrre una risposta efficiente per modulare, ed eventualmente correggere, il segnale sia nel tragitto discendente che ascendente. Qualora sussistano delle differenze tra il movimento programmato e quello effettivamente realizzato, il cervelletto è in grado di correggere, con un meccanismo di feedback negativo, il movimento durante il suo realizzarsi.
Il modulo di funzionamento del cervelletto si ripete invariato nonostante le diverse connessioni e funzioni attribuite. La corteccia è costituita ovunque dagli stessi strati che sono raggiunti dalla stesse fibre afferenti e da cui dipartono l’unico tipo di fibre efferenti dirette ai nuclei intrinseci del cervelletto.
E’ importante ricordare che un danno cerebellare non impedisce l’utilizzo di una determinata funzione, ma ne riduce l’efficienza.

Apprendimento motorio
Queste capacità del cervelletto si applicano sia durante i processi cognitivi (che coinvolgono le aree corticali limbiche e paralimbiche) sia durante la ripetizione di movimenti complessi (apprendimento motorio). La ripetizione nel tempo di determinati schemi motori, modifica i circuiti cerebellari (effetto plastico) accrescendo l’efficienza di controllo nell’atto motorio e quindi anche l’efficacia con cui viene effettuato. Si parla soprattutto di azione che richiedono schemi elevati di coordinazione (suonare il pianoforte) e in cui l’esecuzione dei singoli atti che compongono il movimento sia indipendente dall’intervento cosciente della corteccia cerebrale.
Nel cervelletto si crea quindi un ben preciso schema motorio che viene trasmesso al complesso olivare inferiore tramite proiezioni collaterali del fascio corticospinale. Anche alcune informazioni cerebellari uscenti attraverso il peduncolo cerebellare superiore che raggiungono il nucleo rosso vengono poi ritrasmesse all’oliva inferiore per il confronto con lo schema motorio originale.

Correzione del movimento
In ogni caso sembra che proprio per questo motivo, il sistema delle fibre rampicanti olivocerebellari sia implicato nella correzione degli errori motori durante la replicazione di uno schema già preimpostato e memorizzato. Le fibre rampicanti, infatti, aumentano la loro scarica di potenziali complessi generando un aumento di Ca2+ intracellulare molto evidente. Questo, sommatosi all’aumento relativo alla stimolazione delle stesse cellule da parte delle fibre parallele, induce in queste ultime un processo di depressione sinaptica a lungo termine (long term depression) causato fondamentalmente da un’endocitosi dei recettori AMPA per il glutammato con conseguente diminuzione di scarica delle cellule del Purkinje sui nuclei. Così il movimento tenderà ad essere corretto tramite le vie di controllo del cervelletto sulla corteccia e sulle vie motorie discendenti.

Mantenimento della stazione eretta
A questo riguardo svolge un ruolo essenziale il verme del cervelletto essendo implicato in quella serie di movimenti muscolari inconsci che permettono di mantenere la stazione eretta mentre si compie un’azione e nell’insieme noti come anticipazione motoria. Nel momento in cui si prende un libro da uno scaffale, per esempio, vengono attivati per prima i muscoli flessori plantari della caviglia e non i flessori della spalla, del gomito o delle dita. Questo permette che la parte anteriore del piede spinga indietro gli arti inferiori e il tronco nel momento in cui si afferra il libro permettendo di mantenere la stabilità. Nel momento in cui solleviamo il libro, poi, i muscoli erettori della colonna vertebrale correggono il peso del libro e del braccio impedendo lo sbilanciamento in avanti di testa e tronco. Nello stesso tempo recettori labirintici informano il cervelletto di ogni variazione dell’equilibrio permettendogli di effettuare una risposta coerente con le intenzioni e i movimenti effettuati.

Tempistica e cooperazione
Un esempio dell’importanza della tempistica con cui devono avvenire i movimenti motori e la coordinazione fra i muscoli si ha nella lettura. Per leggere una pagina di un libro è necessario che ad ogni riga gli occhi che scorrono le lettere nelle righe scattino indietro per iniziare la riga successiva. Errori in questa azione può causare la dislessia.

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Pubalgia del podista: cause, diagnosi e rimedi

DIFFERENZA PUBE OSSO ILIACO INGUINE PUBALGIA ANATOMIA FUNZIONILa pubalgia del podista è una sindrome dolorosa che può colpire sia a livello della sinfisi pubica che a livello delle inserzioni muscolo-tendinee degli adduttori e degli addominali. I principali sintomi della pubalgia del podista sono il dolore e l’impotenza funzionale. Il dolore interessa tutto il distretto inguinale dell’atleta, in particolar modo il retto addominale e gli adduttori, nella loro inserzione sul pube.
Il dolore può comparire improvvisamente durante un gesto sportivo (solitamente un cambio di direzione o un brusco scatto) e tende a scomparire con il riposo. Esistono tuttavia anche delle forme croniche, in cui il dolore tende a diventare persistente.

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Cause
Le cause principali di pubalgia del podista possono essere differenti da soggetto a soggetto, ma possiamo individuarne alcune principali:

  • Sovraccarichi eccessivi;
  • Squilibri muscolari (scarso equilibrio fra la muscolatura degli arti inferiori e quella addominale) e tendinei;
  • Microtraumi ripetuti nel tempo;
  • Allenamenti svolti in condizione di affaticamento muscolare e articolare;
  • Allenamenti svolti con intensità troppo elevate;
  • Allenamenti svolti senza il dovuto riscaldamento;
  • Utilizzo di scarpe inadeguate;
  • Infortuni precedenti non ben recuperati;
  • Sovrappeso.

Ecco alcuni dati interessanti: il 30% dei casi di pubalgia del runner è causata dal non rispetto del rapporto tra la distanza massima consigliata e suo rapporto peso/altezza dell’atleta; il 15% dei casi di pubalgia deriva da allenamenti collinari frequenti con ritmi eccessivi in discesa.
Per determinare in maniera più specifica quali possono essere i fattori principali che hanno causato questa patologia la causa scatenante di questa patologia è necessaria una attenta anamnesi e un esame posturale del soggetto. Spesso si sente dire che sport come il calcio a 5 e il podismo non vanno molto d’accordo. Basta riflettere su un dato: il 45% dei casi di pubalgia è causato dal binomio corsa-calcio. La ragione di questa affermazione è da ricercare nei ripetuti infortuni occorsi a podisti che giocano saltuariamente a calcio a 5, sport dove vengono effettuati continui cambi di direzione, scatti, brusche frenate. Gli infortuni sono connessi al fatto che la muscolatura dei maratoneti e podisti in generale è composta da fibre muscolari prevalentemente lente, poco reattive agli sforzi rapidi e intensi deve tipici del calcio a 5. I muscoli non sono quindi abituati a contrarsi e ad allungarsi velocemente per permettere i movimenti laterali e cambi di direzione. Tra i fattori scatenanti possiamo distinguere tra:

  • Fattori intrinseci: tutti quei fattori del nostro organismo che non riguardano strettamente la sfera sportiva ma la vita in generale, che dipendono dalle abitudini, dalla postura, dall’equilibrio generale del corpo;
  • Fattori Tecnici: più strettamente legati a cause sportive.

Tra i fattori intrinseci troviamo:

  • Asimmetria degli arti inferiori;
  • Appoggio del piede in pronazione o supinazione;
  • Ginocchio valgo o ginocchio varo;
  • Minor flessibilità ed elasticità a livello dell’articolazione coxo-femorale;

Tra i fattori tecnici rientrano:

  • Allenamenti su terreni non idonei;
  • Allenamenti svolti utilizzando posizioni e andature da sprinter;
  • Tecniche di corsa non corrette;
  • Allenarsi con compagni che hanno ritmi differenti dal proprio;
  • Allenamenti svolti in maniera frettolosa, senza riscaldamento o con intensità troppo elevata.

Sintomi
Il principale sintomo associato a questa patologia è uno stato di dolore che può presentarsi già nella fase iniziale del riscaldamento, per poi attenuarsi quando i muscoli si riscaldano, ma spesso persiste e non consente la prosecuzione dell’allenamento, costringendo l’atleta a fermarsi. Il quadro clinico si presenta con una dolenzia marcata in tutto il distretto inguinale dell’atleta, in particolar modo a carico del retto addominale e degli adduttori, nella loro inserzione sul pube. Il dolore al pube il più delle volte è dovuto a tensioni muscolari eccessive, squilibri di forza legati a tensioni muscolari del gruppo dello psoas, degli adduttori, del quadrato dei lombi e del medio gluteo.

Rimedi
Il trattamento della pubalgia del podista può prevedere diverse attività, tra cui:

  • riposo;
  • laserterapia;
  • tecarterapia;
  • fare esercizi di stretching con i muscoli adduttori: molte volte sono gli adduttori sono contratti e poco elastici, quindi è opportuno programmare sempre degli esercizi di allungamento muscolare;
  • assumere farmaci antinfiammatori.

Ma come spesso di dice “prevenire è meglio che curare”. L’ideale sarebbe quindi adottare una serie di accorgimenti che consentano di non arrivare a sviluppare questa fastidiosa patologia. Per esempio sarebbe opportuno:

  • allenarsi in modo intelligente, rispettando il principio della gradualità del carico di allenamento;
  • alternare momenti di carico più intenso a momenti di riposo;
  • alternare sedute di corsa, a sedute di potenziamento muscolare, in particolare addominale e degli ischio-curali;
  • fare stretching dinamico, preferendolo a quello balistico, evitando posture prima dell’allenamento e in condizioni di eccessivo affaticamento.

Parte della sintomatologia dolorosa riferita al bacino può essere prevenuta o alleviata con un trattamento mirato ed è consigliato utilizzare delle scarpe e delle solette adatte a dare dei benefici alle articolazioni del corpo.

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Sindrome temporo-mandibolare: cause, sintomi, diagnosi e cure

MEDICINA ONLINE ARTICOLAZIONE TEMPORO MANDIBOLARE ATM MANDIBOLA MASCELLA ANATOMIA FUNZIONI FISIOLOGIALa sindrome temporo-mandibolare è un disturbo che interessa l’articolazione omonima che collega l’osso temporale del cranio alla mandibola oppure i muscoli e i legamenti a supporto. L’articolazione temporo-mandibolare deve essere perfettamente allineata in modo da favorire la corretta masticazione; nei casi in cui non è presente un corretto allineamento, i muscoli e i legamenti a supporto si sforzano per compensare i movimenti errati e viene danneggiata tutta l’articolazione. Tra le cause più accrediatate che possono provocare la patologia vi sono: artrosi dell’articolazione, traumi della mandibola, traumi al collo e altre cause che analizzeremo nel prossimo paragrafo. I pazienti colpiti dalla patologia mostrano una certa difficoltà nell’apertura della bocca accompagnata da schiocchi, blocchi improvvisi e scricchiolii. Esistono diversi trattamenti medici per alleviare il dolore e la tensione muscolare e tra questi sono consigliate anche delle sedute di Agopuntura.

Cause e fattori di rischio

Le cause che spesso provocano la sindrome temporo-mandibolare sono:

  • trauma alla mandibola;
  • trauma al collo;
  • trauma alla testa;
  • artrosi dell’articolazione temporo-mandibolare;
  • malocclusione;
  • otturazione eseguita male;
  • protesi dentale eseguita male;
  • dislocazione articolare;
  • digrignamento notturno dei denti.

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Sintomi e segni

La sindrome temporo-mandibolare si caratterizza per la difficoltà ad aprire correttamente la bocca. Spesso la bocca si può bloccare in una determinata posizione provocando dolori improvvisi, scricchiolii, schiocchi e blocchi momentanei. Oltre a ciò possono manifestarsi altri sintomi come:

  • mal di testa;
  • mal di denti;
  • cefalea;
  • dolore al collo;
  • dolore al viso;
  • dolore alle orecchie;
  • vertigini;
  • ronzii;
  • muscoli mandibolari indolenziti.

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Diagnosi

Per diagnosticare la sindrome che colpisce l’articolazione temporo-mandibolare è necessario effettuare:

  • anamnesi (raccolta delle informazioni del paziente, delle sue abitudini alimentari, di altre patologie, dei suoi sintomi…);
  • esame obiettivo (osservazione della zona interessata e raccolta dei segni);
  • indagini di laboratorio come analisi del sangue;
  • indagini strumentali come radiografia, TC o risonanza magnetica dell’articolazione.

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Terapie

Per trattare il dolore è consigliato assumere: aspirine, FANS e miorilassanti. Poi è necessario utilizzare un Bite (apparecchio in resina che si appoggia sull’arcata dentaria superiore o inferiore) per evitare di digrignare i denti. Per alleviare la tensione muscolare, i dolori e il mal di testa è consigliato effettuare delle sedute di Agopuntura. E’ consigliato preferire cibi morbidi ai cibi croccanti. Nei casi in cui è presente una malformazione anatomica dell’articolazione, può essere opportuno l’intervento chirurgico.

Per approfondire:

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Allenamento ad alta intensità e cedimento muscolare per spingerti oltre ogni limite

MEDICINA ONLINE PALESTRA PESI MUSCOLI MASSA PROTEINE AMMINOACIDI BCAA RAMIFICATI ESSENZIALI WHEY LATTE SIERO CASEINE CREATINA CARNITINA DIMAGRIRE WORKOUT ALLENAMENTO BICIPITI SPALLE DORSPrima di entrare nel merito del discorso, vediamo cosa si intende per allenamento ad alta intensità nel bodybuilding. Un allenamento ad alta intensità si ottiene spremendo ogni serie al massimo del massimo; il massimo di un allenamento ad alta intensità, entra in gioco solo quando il muscolo è spinto fino al limite massimo, producendo il massimo della forza possibile in quel momento.

Durante una serie normale di 10 ripetizioni con il bilanciere il livello di intensità cresce dopo ogni ripetizione e raggiunge il livello estremo nel corso delle ultime ripetizioni. Solo alla fine, si raggiunge un momento di esaurimento conosciuto come cedimento muscolare. Se fosse possibile fare l’undicesima ripetizione vorrebbe dire che non si è mai raggiunto il massimo livello di intensità. L’intensità massima, infatti, si raggiunge solo se l’esercizio è portato al punto di momentaneo esaurimento dove non è più possibile eseguire un altra ripetizione.

Per diventare “grossi” con questa strategia di allenamento, che ha vari metodi al suo interno, bisogna osservare scrupolosamente 13 punti per non cadere nel sovrallenamento cronico.

ALLENAMENTO AD ALTA INTENSITA’

1) SERIE TOTALI

Eseguire non più di 20 serie totali in una sessione di allenamento.

2) ALLENAMENTI SETTIMANALI

Allenarsi non più di 3 volte la settimana. Alcuni celebri preparatori dell’allenamento ad alta intensità, prediligono l’allenamento in total body rispetto a quello frazionato classico del bodybuilding.

3) RANGE DI RIPETIZIONI

Per ogni esercizio selezionare un carico che permette l’esecuzione di 8-12 ripetizioni. Per gli esercizi della parte inferiore del corpo, si può adottare un range di ripetizioni più alto dalle 15 alle 20.

4) INCAPACITA’ MUSCOLARE

Continuare ogni esercizio fino all’incapacità muscolare momentanea. Quando sono eseguite più ripetizioni di quelle indicate, nell’allenamento successivo aumentate il carico di circa il 5%. Si consiglia sempre e comunque di adottare una tecnica di esecuzione corretta in quanto lo scopo non è una gara di panca o stacco, ma quello di aumentare la massa dei muscoli lavorati.

5) PRIORITA’ MUSCOLARE

Allenare prima i muscoli grandi e poi i muscoli piccoli. Questa regola vale sia per quanto riguarda l’allenamento del giorno, sia per quanto riguarda la collocazione dei muscoli nella settimana. In un allenamento di schiena e bicipiti, non bisogna mai allenare i bicipiti prima dei dorsali, in quanto andrebbero in sovrallenamento e non avreste poi la forza per affrontare trazioni e rematori; inoltre potreste subire anche un serio infortunio.

Per quanto riguarda la collocazione muscolare settimanale, consigliamo di inserire l’allenamento di spalle e braccia sempre dopo gli allenamenti di petto e dorsali. Esercizi duri come panca, stacco, distensioni varie e rematori vanno affrontati con energie fresche sia fisiche che mentali.

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6) FASE ECCENTRICA O NEGATIVA

Accentuare la fase eccentrica o negativa degli esercizi. Sollevate il carico in 2 secondi e abbassatelo in 4 secondi.

7) MOVIMENTI LENTI

In caso di dubbio, nell’allenamento ad alta intensità bisogna lavorare in maniera lenta e controllata, per aumentare il tempo sotto tensione dei muscoli.

8) AUMENTO DEL CARICO O RIPETIZIONI

Anche in questa tipologia di allenamento, bisogna cercare di aumentare i fattori che determinano l’aumento dello stimolo nei muscoli, ovvero il carico o il numero di ripetizioni con lo stesso carico. Nell’allenamento ad alta intensità però bisogna ricercare questi miglioramenti conservando una buona tecnica di esecuzione.

9) RIPOSARE MOLTO

I muscoli crescono durante il riposo, pertanto ogni allenamento intenso deve avere poi il giusto riposo. Le canoniche 48 ore devono essere assolutamente rispettate, anche se a volte non sono sufficienti soprattutto dopo allenamenti super intensi.

10) PIU’ PROTEINE

Senza i mattoni il palazzo non si può costruire. Un allenamento ad alta intensità equivale ad un muratore con il martello pneumatico che rompe le fibre con estrema facilità e velocità, pertanto serviranno più proteine per la costruzione successiva.

11) ALLENARSI CON UN COMPAGNO

Ripetizioni Forzate, negative ed altri metodi ad alta intensità, prevedono l’ausilio di un buon compagno di allenamento che aiuti durante l’esecuzione del movimento. Inoltre è risaputo che in compagnia si affrontano meglio le avversità di un duro lavoro.

12) DIARIO DI ALLENAMENTO

Soprattutto con metodi così invasivi è bene annotare tutti i dati dell’allenamento nonché feedback positivi e negativi riscontrati.

13) NON PER TUTTI

L’allenamento ad alta intensità non è per tutti. Questo non significa non allenarsi duramente lo stesso. Molte persone non riescono a recuperare da allenamenti troppo intensi e magari sono più inclini ad un allenamento ad alto volume. Il concetto è che ognuno di noi risponde in maniera diversa agli stimoli forniti con gli esercizi; ecco spiegato perchè Arnold Schwarzenegger era grosso con un’allenamento ad alto volume e Mike Mentzer era ugualmente grosso ma con un’allenamento ad alta intensità.

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Quante proteine assumere dopo l’allenamento con i pesi (post-workout)?

MEDICINA ONLINE INTEGRATORE ALIMENTARE DIETA DIETARY SUPPLEMENT COMPLEMENT ALIMENTAIRE SUPLEMENTO DIETETICO NahrungsergänzungsmittelPratica comune degli atleti, specie di potenza, è quella di assumere una certa quantità di proteine a rapido assorbimento subito dopo l’allenamento. L’idea è quella di sfruttare l’aumentata sintesi proteica indotta dall’allenamento, fornendo immediatamente aminoacidi e rendendoli così disponibili per sintetizzare nuovo tessuto muscolare. Anche se le questioni riguardanti il timing di consumo dei nutrienti sono state ampiamente rivisitate, sia per quanto riguarda i nutrienti in generale che per quanto riguarda le proteine, la Ricerca prova comunque a dare indicazioni sulle quantità ottimali da assumere post-allenamento. Uno studio, di seguito analizzato, ha infatti osservato gli effetti di diverse quantità di whey protein assunte dopo l’allenamento.

Quante proteine assumere dopo l’allenamento?

La quantità analizzata nello studio ha portato a dei risultati piuttosto chiari. 20-30 grammi di proteine dopo l’allenamento sembrano essere la dose ideale.

Proteine: prima o dopo l’allenamento?

Non ha senso parlare di una definizione univoca in base a dei parametri rigidamente controllati. Nello studio viene analizzata unicamente la finestra post allenamento e non quella prima dell’allenamento, in cui le esigenze biochimiche sono totalmente diverse e basate più sul carico glicemico e sulla stimolazione insulinica non eccessiva.

Proteine nei cibi

Nello studio viene analizzata la quota proteica proveniente da whey protein e non viene calcolato l’introito totale (o si presume non sia stato fatto) modificando solo questa variabile.

Quante proteine assumere durante la giornata

Lo studio analizzato non ne parla, tuttavia è lecito da tutte le altre review scientifiche citate dedurre che calcolare quante proteine assumere durante la giornata, ossia l’intake proteico giornaliero, sia molto più importante rispetto al timing del singolo integratore.

Design di studio

Allo studio hanno partecipato 48 giovani uomini con un passato di almeno 6 mesi di allenamento contro resistenza “ricreazionale”. I soggetti sono stati divisi nei seguenti gruppi:

  • 0 grammi di whey protein dopo l’allenamento.
  • 10 grammi di whey protein dopo l’allenamento.
  • 20 grammi di whey protein dopo l’allenamento.
  • 40 grammi di whey protein dopo l’allenamento.

Ogni soggetto faceva colazione e poi eseguiva una sessione allenante unilaterale basata sugli esercizi leg press e leg extension (8 serie da 10 ripetizioni all’80% del massimale su 1 ripetizione, con 2 minuti di riposo tra una serie e l’altra). Subito dopo l’allenamento venivano date le dosi di whey protein; prima, subito dopo e a 4 ore di distanza venivano eseguite le biopsie muscolari dal muscolo vasto laterale. Tramite biopsia venivano misurate sia sintesi che ossidazione proteica grazie alla precedente infusione di traccianti aminoacidici radioattivi.

Risultato

Come atteso da risultati di altri studi, la risposta insulinemica alle sieroproteine era direttamente correlata alla quantità assunta, essendo le whey potenti stimolatrici dell’ormone insulina. Per quanto riguarda sintesi e ossidazione proteica, i risultati sono rappresentati dai grafici presentati qui di seguito:

MEDICINA ONLINE PALESTRA MUSCOLI IPERTROFIA ALLENAMENTO FIBRE MUSCOLARI ROSSE BIANCHE POTENZIALE GENETICO PESI PESISTICA WORKOUT PRE POST INTEGRATORI PROTEINE AMINOACIDI RAMIFICATI BCAA WHEY CASEINE CREATINA CARNITINA FISIC.jpg

In termini di sintesi proteica, le differenze sono risultate significative tra il gruppo con 20 grammi di sieroproteine e i gruppi con 0 e 10 grammi, ma non con li gruppo con 40 grammi (non in modo statistico). L’ossidazione è invece stata simile per i gruppi con 0, 10 e 20 grammi di sieroproteine, notevolmente aumentata per il gruppo con 40 grammi:

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Dallo studio, sembra che la quantità ottimale di whey protein da assumere post-allenamento sia pari a 20 grammi. Questa è la dose alla quale è stata fatta registrare la massima sintesi proteica netta, dal momento che una dose di 40 grammi ha fatto elevare enormemente l’ossidazione (i.e. le proteine assunte venivano utilizzate come fonte energetica). Comunque, rimane il fatto che la dose di 40 grammi abbia fatto registare la massima sintesi proteica in assoluto. I risultati, insieme, suggeriscono che tra i 20 e i 40 grammi si incontra un plateu nella sintesi proteica netta (sintesi meno degradazione). Questo plateu non è stato rilevato dallo studio, perché non ha analizzato dosi proteiche intermedie.

Un’altra limitazione riguarda il fatto che non sono state fatte differenziazioni in riferimento al peso corporeo dei soggetti presi in esame. Probabilmente, la sintesi proteica per persone di 100 chilogrammi è diversa da quella di persone di 60 chilogrammi (gli uomini dello studio pesavano, in media, 80 chilogrammi), in termini assoluti.

Un’altra importante limitazione dello studio è relativa alla durata dell’esperimento, in particolare i tempi ai quali sono state prese le biopsie muscolari. Lo studio ha analizzato solo la finestra temporale di 4 ore dal termine dell’allenamento, ma la perturbazione del metabolismo proteico indotta dall’allenamento permane 24-48 ore: sarebbe opportuno analizzare gli effetti delle proteine ingerite almeno in questo intervallo di tempo. Infatti, una recentissima review ha analizzato l’importanza del timing delle proteine, suggerendo che è minimale rispetto alla quantità totale assunta sul lungo termine. Comunque, i risultati di questo studio non sono da buttare via. Suggeriscono o, meglio, ribadiscono che per stimolare la massima sintesi proteica occorrono 20-30 grammi di proteine del siero di latte (whey protein) dopo l’allenamento. In ogni caso, non bisogna perdere di vista il quadro generale delle cose: assumere 20-30 grammi di proteine del siero subito dopo l’allenamento, avendo uno scarso apporto proteico generale, non garantisce guadagni in termini di forma e performance fisiche.

Considerazioni

A cosa ci serve uno studio del genere, che analizza solo una minima parte della vita di una persona impegnata in un programma di allenamento (senza considerare il fatto che i soggetti dello studio si allenavano in modo “ricreazionale”)? Cosa ci interessa sapere che 20 grammi di whey protein stimolano la massima sintesi proteica netta mentre a 40 grammi si ha la massima sintesi ma anche un grande aumento dell’ossidazione?

È vero che ogni studio è uno studio a sé e non può essere decontestualizzato: questo, in particolare, ci dice che 20 grammi di proteine del siero di latte stimolano l’anabolismo in maniera superiore rispetto alle altre dosi, quando si esegue un allenamento da 8 serie per 10 ripetizioni sulla Leg Press e Leg Extension, in soggetti con almeno 6 mesi di allenamento ricreazionale alle spalle. Qualcosa di estremamente specifico. È anche vero che gli studi possono sempre essere utilizzati nella realtà pratica, “basta” ricreare le condizioni che sono state create dai Ricercatori.

In questo particolare caso, sappiamo che dopo un allenamento con i pesi in cui viene eseguito un esercizio multiarticolare con 8 serie da 10 ripetizioni (o, in maniera più vicina alla realtà, due esercizi con 4 serie da 10 ripetizioni) e a seguire un esercizio (o due) con 8 serie da 10 ripetizioni (o 4 da 10), 20 grammi di whey piuttosto che 10 o 40 producono la massima sintesi proteica. Occorre considerare l’assunzione delle proteine dopo il consumo della colazione, per cui l’altro parametro da considerare è l’allenamento dopo aver fatto colazione.

Potremmo essere frettolosi e dire che la soluzione migliora sia inserire quei 20 grammi di whey protein dopo allenamento dopo colazione; in realtà non sappiamo bene come sono stati modificati gli altri fattori, primo tra tutti l’alimentazione dei giorni precedenti. Si deve tuttavia considerare la presenza degli altri gruppi, quelli da 0, 10 e 40 grammi, che ci fanno supporre che l’unico fattore realmente variato sia proprio quello controllato dai Ricercatori: la quantità di sieroproteine.

Si potrebbe dunque concludere che 20 grammi di sieroproteine post-allenamento stimolano la massima sintesi proteica netta… ma questo significa che, sul lungo termine (mesi/anni), l’assunzione costante di 20 grammi di whey protein e non 10 o 40, dopo allenamento, determini un miglioramento dell’anabolismo? Cosa succederebbe se la dose fosse sempre di 40 grammi? O di 0 grammi, con un aumento di 20 grammi di proteine dal resto della dieta? Questo, purtroppo, non è analizzato dallo studio. Come analizzato nella recente review di Schoenfeld e colleghi, il timing proteico non cambia le cose, se la quantità di proteine assunta sul lungo termine rimane costante. Ovviamente, anche questa review può soffrire di alcune limitazioni e non è detto che sia priva di errori di valutazione.

Cosa fare, dunque? La strategia migliore si riflette sempre nell’utilizzo del buon senso: uno sportivo che vuole aumentare la massa muscolare dovrebbe concentrarsi, nutrizionalmente parlando, su un generoso surplus calorico, molto più importante del “quando” assumere proteine o del tipo di proteine da assumere. In spiccioli, non importa assumere la cosa giusta al momento giusto, importa che in tempi più o meno lunghi sia stato assunto abbastanza nutrimento per consentire all’organismo di mettere in atto i processi che portano alla sintesi proteica.

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Lo staff di Medicina OnLine

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