Pokémon Go, boom di neonati con i nomi dei mostriciattoli del gioco

Tra le nuove bizzarre tendenze del 2016, sta prendendo piede quella di chiamare i propri figli con i nomi dei Pokèmon. Lo sottolinea Babycenter, un sito web che si occupa di genitorialità e gravidanza, denunciando l’impennata di nomi correlati ai mostriciattoli di Satoshi Tajiri. La nuova app per smartphone, che solo nella prima settimana di lancio ha fatto impazzire 65 milioni di americani, ha spolverato vecchie passioni e impatterà anche sulle generazioni future. Il portale, di norma, chiede ai propri utenti di registrare i nomi dei propri figli in modo da tracciarne la diffusione e suggerire ai futuri genitori quello più adatto ai bimbi in arrivo.

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Allergia ai pollini: sintomi, diagnosi e regole per evitarla

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO BAMBINO BIMBO PRATO FIORI NATURA FELICE FELICITA RELAX ALLEGRIA ALLEGO (3)I più piccoli sono i soggetti che più di altri subiscono gli effetti del passaggio dall’inverno ai mesi più tiepidi. La cosiddetta mezza stagione porta con sé intense pollinazioni (un problema per oltre un milione di bambini in tutta Italia), giornate più lunghe con sbalzi termici, repentina alternanza tra sole e pioggia e variazioni dei ritmi biologici (ora legale). Questi cambiamenti coincidono con l’aumento della frequenza degli attacchi di cefalea e soprattutto con il picco delle manifestazioni allergiche e anche con maggiore irritabilità e difficoltà di concentrazione.

Il polline, nemico invisibile

Il polline è un particolare pulviscolo giallognolo/arancione prodotto dalle piante, che in misura sempre crescente crea disturbi nella salute dei soggetti allergici, soprattutto in primavera. Primavera e stagione dei pollini è infatti un binomio sempre più stretto, sia perché il numero delle persone allergiche in Italia aumenta sempre più, sia perché i periodi di fioritura si allungano a vista d’occhio. I pollini sono trasportati dal vento e solo i pollini molto piccoli, al di sotto della ventesima parte del millimetro (circa 50 µm), provocano in soggetti predisposti la reazione allergica. Sono pericolose per il nostro organismo solamente le microspore (o granuli pollinici) non visibili.
Il momento peggiore per il bambino allergico è il “periodo di impollinazione”. Ogni pianta è caratterizzata da uno specifico periodo di impollinazione in relazione al clima e alla regione. Qui a Roma, ad esempio, le graminacee fioriscono tra marzo e luglio, la parietaria tra metà febbraio-marzo e novembre, il cipresso tra fine gennaio e aprile, l’olivo tra aprile e maggio.

Quando e dove aumenta la concentrazione di pollini?

La concentrazione di pollini cresce da marzo a luglio, soprattutto nelle giornate più calde, assolate e ventose perché i pollini sono più leggeri e meglio trasportati nell’aria. La stessa concentrazione si riduce con la pioggia ed è più elevata la sera rispetto al primo mattino.
Ovviamente ci sono più pollini in prossimità delle piante e delle erbe che li producono; ad esempio, col taglio dell’erba del prato intorno a casa, si ha una maggiore esposizione ai pollini e i disturbi nei bambini allergici possono aumentare.

Quali sono i sintomi dell’allergia ai pollini?

Nel periodo dell’impollinazione i granellini possono determinare il raffreddore, la congiuntivite, i sibili respiratori, l’asma e la sindrome orale allergica. Quest’ultima rappresenta una manifestazione di cross-reattività tra alimenti e pollini (molecola antigenica comune tra alimento e polline) e può insorgere nell’arco di pochi minuti dal contatto con l’alimento fino a 30-60 minuti dall’assunzione dello stesso. Si manifesta con prurito, bruciore e comparsa di vescicole nel cavo orale, ma in alcuni soggetti può comparire anche raffreddore, congiuntivite, asma e reazioni cutanee come l’orticaria. Il tratto digerente in genere non reagisce ma possono esserci delle eccezioni con difficoltà nella deglutizione, vomito, dolore gastrico e diarrea. Nella maggior parte dei casi si risolve spontaneamente in poco tempo.

Come fare diagnosi di allergia al polline?

La diagnosi di allergia al polline si basa prevalentemente su di una storia clinica accurata (la familiarità, una descrizione accurata dei sintomi con informazioni relative alla stagionalità e durata dei sintomi) e su di un altrettanto accurato esame obiettivo del bambino. Se il piccolo manifesta sintomi di sospetta allergia può essere sottoposto a prick test con l’allergene sospetto fin dalle prime settimane di vita. Il prick test rappresenta lo strumento diagnostico indispensabile per scoprire o confermare la presenza di allergie fin dalle prime settimane di vita del bambino; esso consiste nell’applicare sulla cute dell’avambraccio una goccia di estratto dell’aeroallergene, nel pungere la goccia con una lancetta e nell’osservare la reazione locale. Se vi è reazione, compare un pomfo di diametro superiore a 3 millimetri con o senza alone di arrossamento.
Nel caso di situazioni che impediscono l’esecuzione delle prove cutanee (pelle molto irritata o molto reattiva o nel caso in cui non si possa sospendere la terapia con antistaminici che interferisce con il risultato delle reazioni cutanee) può essere opportuno a completamento dell’iter diagnostico ricorrere alla ricerca nel siero di anticorpi IgE specifici per gli allergeni che si sospettano come causa dei sintomi allergici.

Le regole da seguire per evitare i pollini:

  • Evitare gite in campagna nelle ore mattutine, soprattutto nei giorni di sole con vento e clima secco.
  • Scegliere come meta delle proprie vacanze località di alta montagna o di mare. Ricordare che per altitudini medie (600-1000 metri) le stesse piante liberano i pollini circa un mese più tardi rispetto alla pianura.
  • Verificato la pulizia dei filtri di condizionamento dell’auto e della casa.
  • Non tagliare l’erba del prato e non sostare nelle vicinanze di altri spazi in cui sia stata tagliata l’erba.
  • Evitare il contatto con il fumo di tabacco, polveri e pelo di animali.

Comportamenti solitamente usati dalle famiglie con bambini allergici, ma che in realtà servono a poco:

  • Evitare i prati, i campi coltivati e i terreni incolti: i pollini diffondono dovunque, sono progettati per questo.
  • Chiudere le finestre di casa.
  • Evitare che il bambino esca di casa.
  • Abitare ai piani alti.
  • Mettere mascherine sul viso del bambino a coprire e proteggere il naso e la bocca, mettere occhiali da sole o cappelli con visiera.
  •  Fare lavaggi endonasali: le prove di efficacia sono tenui, il fastidio per il bambino è certo.

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Credo poco alle parole, credo molto agli esempi

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO MADRE MAMMA FIGLIA FIGLI GENITORI ESEMPIO TRAMONTO PARLARE BAMBINI SILHOUETTECredo poco alle parole, credo molto agli esempi. Lavo i piatti a casa perché fin da bambino ho visto mio padre lavarli per far riposare mia madre quando era stanca; rispetto le persone a torto considerate “diverse” perché da piccolo ho visto mia madre rispettarle.
Ho smesso di fumare perché non voglio ipocritamente dire a mio figlio “smetti di fumare che fa male” se mai dovesse iniziare a fumare. Allo stesso modo credo poco ad un politico che inneggia al taglio del mio stipendio in nome dello sforzo comune, se lui stesso non si è prima tagliato il proprio, di stipendio.
Voglio esempi: le azioni rimangono, le parole contano poco e si disperdono nel vento

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Palloni ovali e caviglie slogate

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Estetico Medicina Estetica Roma PALLONI OVALI E CAVIGLIE SLOGATE Pallone Calcio Amore Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Pulsata Pressoterapia Linfodrenante Mappatura Nei Dietologo DermatologiaQuando ero piccolo si giocava a calcio per strada (fermi tutti, passa una macchina, gioco fermo!), oppure nei parchi (erba alta che neanche nella jungla). Porta ottenuta abbinando un albero con zaini Invicta e felpe varie (che si riempivano inesorabilmente di polvere) con larghezza misurata coi passi o addirittura ad occhio (ovviamente le due porte avevano larghezze diverse ed una delle due squadre era inevitabilmente avvantaggiata). Quando la palla rotolava “sopra” la cartella/palo, si litigava per mezz’ora: era palo? Era fuori? Era palo interno/gol? L’altezza della porta era variabile visto l’assenza della traversa: si andava sulla fiducia ma poi si litigava su gol/non gol. Falli e rigori erano giudicati un po’ come veniva, cioè a casaccio. Fallo laterale inesistente, calci d’angolo battuti un po’ dove capitava. Fuori gioco? Ma quando mai!
Ginocchia sanguinanti ma si continuava a giocare lo stesso, rischio frattura scomposta tibia+perone sempre in agguato. Difensori che volevano segnare gol alla Van Basten ma erano giocatori ritenuti scarsi e venivano appunto relegati in difesa, scaricavano la frustrazione puntando i piedi diritto sugli stinchi degli attaccanti avversari. Ferite importanti. Sangue. Aver più paura di chiamare i propri genitori che il 118. A fine giornata vinceva la squadra che aveva meno feriti e più sopravvissuti, in stile partita a calcio di Fantozzi tra scapoli ed ammogliati. Il mattino dopo, a scuola, i lividi erano insostituibili medaglie al valore.
Nessuno voleva andare in porta, si faceva a turno, si cambiava ad ogni gol subìto e c’era chi si faceva segnare apposta, per abbandonare i pali e tornare a fare il trequartista. Erano tutti attaccanti, nessuno voleva essere il Maldini della situazione, tutti Diego Armando Maradona, nessuno che passa mai la palla. Si segna, si irride l’avversario con la faccia di Leonida che ha appena ucciso un migliaio di persiani alle Termopili, fosse anche il proprio compagno di banco che il giorno prima ti aveva passato tutto il compito di matematica.
Quando si organizzava la solenne partita, 45 minuti prima del fischio di inizio mancava sempre qualcuno per un impegno urgente, e giù di telefonate per cercare un tizio qualsiasi, disponibile da sostituire al volo. Si trovava il sostituto, ma era un pirlone alla Iturbe e nessuno lo voleva con se: giocherà il primo tempo con una squadra ed il secondo con l’altra, a mo’ di handicap, tornerà a casa abbattuto più di Fedez ad un concerto di Eminem.
Si giocava con impegno, erano tutte partite di coppa (del nonno, si lo so: battuta banale) dei campioni, tanto che a volte tutti si dimenticavano il punteggio, ed i più furbi provavano ad aggiungere uno o due gol alla propria squadra. I più fortunati avevano la maglietta di Giannini della Roma, o di Signori della Lazio, o di Hugo Sánchez del grande Real Madrid, tutti gli altri il tutone della Standa e le scarpe Superga bianche tarocche comprate alla bancarella del mercato o ereditate dal fratello più grande (una taglia più grandi fisso).
Il primo tempo finiva quando veniva sete e si correva tutti alla fontanella, chi arriva prima beve per primo. Il secondo tempo finiva quando tuo padre ti veniva a prelevare perché non avevi ancora finito i compiti per il giorno dopo, se non volevi ti prendeva per l’orecchio e ti portava via così, come un trolley all’aeroporto. Non ci facevi una gran bella figura.
Giocavi meglio quando le compagne di classe venivano a vedere la partita: se poi c’era la ragazza che ti piaceva diventavi all’istante Gianluca Vialli, solo più basso ma con più capelli. Le ragazze dopo cinque minuti si stufavano e se ne andavano e tu non te ne accorgevi e continuavi a giocare col boost inserito che manco Batistuta. Poi te ne accorgevi e acquisivi l’espressione di chi continua a parlare al telefono e si accorge che era caduta la linea dieci minuti prima.
Il solito esibizionista provava sempre a fare giocate impossibili che quando riuscivano diventavano leggendarie e si tramandavano a scuola alle matricole. Sempre lo stesso esibizionista era solito tirare super-pallonate, il pallone finiva lontano e nessuno voleva andare a raccattarlo, quando andava bene si faceva a turno. A volte finiva sotto le macchine, dietro le ruote, ci si sdraiava per terra per recuperalo e si continuava a giocare con la polvere negli occhi ed il grasso dell’automobile sulle calze e sulle caviglie. Quando la palla finiva su un balcone? Ci si attaccava al citofono e se nessuno rispondeva ci si attaccava a… un’altra cosa: fine anticipata della partita e si ritorna domani per riprendersi il pallone, che era quello buono e non il “super santos” da cinquemilalire che va a vento. Finestra rotta da una pallonata: fine ancora più anticipata e super-fuga dalle proprie responsabilità, di corsa, trasformarsi da Del Piero a Mennea e fare il nuovo record del mondo dei 200 metri piani, ma correndo con la sensazione di essere un gran fantasista.
Era sempre difficile, all’inizio della partita, ricordarsi chi erano i tuoi compagni di squadra e chi gli avversari: a quelli dell’altra squadra in possesso di palla si gridava sempre “passala a me” contando sul fatto che si confondevano e te la passavano pensando tu fossi un compagno. La paura di essere l’ultima scelta quando i “capitani” sceglievano a turno i componenti del proprio team. I capitani erano quelli che avevano più successo con le ragazze. Il proprio migliore amico diventava il più acerrimo avversario quando capitava con l’altra squadra. Se il pallone buono di pelle era il tuo, sceglievi tu chi giocava ed eri il re della partita.
Si giocava fino ad il pomeriggio tardi, quando d’inverno è buio pesto e non si vede più se quello è il pallone o una grossa pietra finita nel “campo di gioco”. Si giocava al buio della poca luce dei lampioni mezzi rotti della fredda periferia di Roma. Si giocava col gelo che, finché non ti riscaldavi un po’, stordisce e ti entra nella testa e nelle ginocchia. Si giocava quando pioveva, almeno finché le gocce non diventavano proiettili, nella tempesta ti sentivi eroico come Zola che segna il gol decisivo all’Inghilterra nel freddo gelido di quel 1997. Litigate interminabili per chi doveva tirare il rigore. Cani che interrompevano il match facendo roboanti irruzioni di campo. Partita maschi contro femmine? No mischiamo le squadre che sono sbilanciate! Quando avevi la palla al piede e correvi in porta partendo dalla tua difesa, il campo diventava lunghissimo ed in salita che in confronto quelli di Holly e Benji erano una passeggiata di salute. Tiravi come se volessi buttare giù un panzer tedesco della Seconda Guerra Mondiale. Segnavi ed esultavi come Zoff l’11 luglio dell’82.
Palloni che finiscono sulle cacche dei cani e se ne accorgeva il primo che la prendeva di testa. Palloni che rimbalzano poco perché sempre troppo sgonfi, “ti avevo detto di andarlo a gonfiare al distributore di benzina”. Palloni sempre troppo duri, che a prenderli di testa si rischiava il trauma dell’osso frontale del cranio. Palloni comprati con la colletta di 15 persone e poi si fa la conta per chi lo tiene a casa propria. Pallone nuovo, regalo di Natale, quello di cuoio cucito a mano e lo stemma del Barcellona, così bello che dici ai tuoi amici di calciarlo piano che hai paura di rovinarlo. Palloni ovali, che ci si può giocare a rugby. Palloni super tele, super economici, più leggeri di una piuma, arriva il vento e se lo porta via, difficili da controllare che manco Shevchenko o il Totti di dieci anni fa ce la potevano fare. Palloni che finiscono in mezzo alla strada e “stai attento che passano le macchine”. Palloni calciati con così tanta forza che bucano la rete che neanche Oliver Hutton. Ah no, la rete era già bucata prima, bisognava rammendarla. Palloni bucati, inservibili, sepolti in cantina perché ti dispiace buttarli perché ci hai giocato quella famosa partita in cui hai conosciuto la tua futura moglie.
“Domani abbiamo l’orale di maturità!” “Ma che ti frega, giochiamo ancora un po’”. Mamme in ansia. Mamme affacciate alla finestra. Quante “finali di coppa del mondo” interrotte da “Ninoooo è pronta la cena”. E la paura di tirare il calcio di rigore lasciava il posto ai rigatoni al sugo e basilico. Mangiare come un matto grazie alle due ore di corsa forsennata appena fatta ed al metabolismo ancora lungi dall’abbandonarti.

Tornare a casa dopo aver perso e sentirsi come Roberto Baggio dopo quel rigore sbagliato.

Tornare a casa dopo aver vinto e sentirsi come Fabio Grosso dopo quel rigore dodici anni dopo…

Quando ero piccolo, la sera tornavo a casa con le caviglie slogate; ora i bambini al massimo tornano a casa con i pollici slogati.

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Sì al bagno dopo mangiato, ecco le vere 8 cause più frequenti di morte in acqua

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO MARE SPIAGGIA ESTATE CALDO NUOTARE COSTUME DA BAGNO PISCINA (10)Come ogni anno impazza il ritornello “Non fare il bagno dopo mangiato“. Si, sto parlando di quella canonica attesa di due ore (per alcuni addirittura tre ore) sotto i raggi infuocati ad aspettare che la digestione faccia il suo corso, spada di Damocle che ci portiamo dietro fin da bambini e che ha sconvolto le nostre estati! Supplizio non risparmiato praticamente a nessuno di noi, letteralmente sequestrati sotto l’ombrellone. Una tortura, però, che sembrerebbe essere del tutto inutile, come spiega a Tgcom24 il pediatra Alberto Ferrando, che è anche istruttore di rianimazione cardiopolmonare.

Si tratta di una bufala?
“Sì, peraltro molto italiana, visto che negli altri Paesi non è consueto. In realtà non esiste un’esigenza scientifica che prescriva di aspettare prima di fare il bagno”.

Ci sono degli accorgimenti che si possono prendere?
“Non bisogna naturalmente abbuffarsi, quindi il primo suggerimento che posso dare è di evitare pranzi pantagruelici. Gli adulti, inoltre, non devono assumere sostanze alcoliche. La cosa più importante è che l’immersione in acqua sia graduale. Bisogna evitare i tuffi da accaldati, non tanto per il rischio di congestione ma più per quello di sincope”.

Quali possono essere le conseguenze di un’immersione troppo rapida?
“Ci può essere uno shock termico che può generare crisi vagali con conseguente svenimento in acqua, che può effettivamente portare a morte”.

Quali sono le otto più diffuse cause di morte in acqua? 
1. La presenza di una piscina privata in una casa dove ci sono bambini fra 1 a 4 anni.
2. Non aver imparato a nuotare.
3. La mancanza di barriere che impediscano ai bambini di accedere alla piscina.
4. La mancanza di supervisione costante sui bambini nei luoghi a rischio.
5. Per i ragazzi al di sopra dei 15 anni, invece, l’annegamento è più probabile in acque di fiume, mare o lago, a causa di comportamenti incauti come ad esempio fare il bagno in condizioni climatiche avverse o con l’acqua agitata, andare troppo al largo e stancarsi eccessivamente nuotando.
6. Il mancato uso di giubbotti di salvataggio sulle imbarcazioni.
7. L’uso di alcol. A questo proposito, i ragazzi italiani cominciano ad essere sempre più consumatori problematici di questa sostanza.
8. La presenza di epilessia o disturbi neurologici analoghi.

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Aumentano i bimbi col morbillo: colpa delle campagne anti-vaccinazione diffuse su internet

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO VACCINO BAMBINI PUNTURA INIEZIONE SPALLASono oltre mille, da inizio anno , i casi di morbillo fra i bambini. Un numero in aumento, che preoccupa i pediatri riuniti a Palermo, al congresso italiano di pediatria. «Nel mese di aprile 2014 – segnala il dottor Alberto Ugazio, direttore del Dipartimento di Medicina Pediatrica del Bambin Gesù di Roma e presidente della Commissione vaccini della Società Italiana di Pediatria – sono verificati 236 casi, portando a 1.047 quelli segnalati dall’inizio dell’anno, in notevole aumento rispetto al corrispondente periodo del 2013 quando si registrarono poco più di 700 casi»”. Nel 2013 vi sono stati circa 2.200 casi complessivi di morbillo, «ma a fine 2014 c’è da aspettarsene molti di più perché i dati ad oggi disponibili non comprendono il periodo maggio-giugno, quando non si è ancora esaurito il picco stagionale».

Continua la lettura su https://medicinaonline.co/2014/06/15/aumentano-i-bimbi-col-morbillo-colpa-delle-campagne-anti-vaccinazione-diffuse-su-internet/

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Il male può essere sconfitto

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO BAMBINA FAVOLA FANTASIA FANTASY ORSACCHIOTTO NATURA ALBEROLe favole non insegnano ai bambini che al mondo esiste il male: insegnano ai bambini che il male può essere sconfitto.

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Una pillola che in pancia diventa un palloncino: nuova cura contro l’obesità

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DIMAGRIRE GRASSO DIETA DIETOLOGIA CALORIE IPOCALORICA OBESO OBESITA SOVRAPPESO KGUna pillola con un palloncino dentro in aiuto dei bambini in sovrappeso. E’ la metodica utilizzata per la prima volta in campo pediatrico al Bambino Gesù di Palidoro (Roma) con cui si potrà posizionare un palloncino anti-obesità nello stomaco, semplicemente ingoiando una pillola. In Italia il 25% dei bambini è in sovrappeso, mentre il 13% è addirittura obeso. Non sempre, purtroppo, le strategie dietetiche e comportamentali riescono a risolvere il problema, per cui si rendono necessari trattamenti non convenzionali. Tra questi, il metodo meno invasivo prevede l’inserimento di un palloncino che viene gonfiato all’interno dello stomaco per indurre il senso di sazietà e aiutare così il paziente a seguire una dieta più corretta e dimagrire in maniera significativa. Fino a poco tempo fa – spiega una nota del nosocomio pediatrico – questi palloncini venivano inseriti per via endoscopica, ma oggi è disponibile una procedura alternativa che permette al paziente di inghiottire semplicemente una pillola.

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