Differenza tra osteoblasti, osteoclasti ed osteociti

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-differenza-iperplasia-ipertrofia-esempi-riabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenza-ecogLe ossa sono organi a tutti gli effetti: la loro parte minerale viene costantemente rinnovata da due tipi di cellule al loro interno:

  • osteoclasto: libera idrolasi acide che hanno il compito di dissociare i sali minerali e distruggere le fibre collagene in modo da poter riassorbire i minerali quando ciò sia richiesto dall’organismo, collaborando all’omeostasi del calcio nel nostro corpo. L’ormone calcitonina, prodotto dalla tiroide, inibisce l’attività degli osteoclasti, agendo direttamente su di essi;
  • osteoblasto: sintetizza nuova matrice extracellulare del tessuto osseo; quando l’osteoblasto viene circondato da matrice, smette di produrre matrice e prende il nome di osteocita. L’osteoblasto contiene al suo interno delle granulazioni PAS-positive dette matrix vesicles o globuli calcificanti, provvisti di membrana e ritenuti l’agente che dà il via al processo di mineralizzazione. Tra le varie proteine secrete dall’osteoblasto troviamo anche la procollagenasi, enzima che, deposto nella matrice verrà trasformato nella sua forma attiva, la collagenasi, che sarà impiegata dagli osteoclasti nella demolizione delle fibre collagene. L’attivazione della procollagenasi è a carico degli stessi osteoclasti, che tramite una serie di proteine, arrivano a disporre della collagenasi matura.Inoltre, l’osteoblasto (e la sua forma più differenziata l’osteocita) presenta sulla membrana anche dei recettori per il paratormone (PTH) grazie ai quali, una volta avvenuta l’interazione con il suddetto ormone, vengono liberati gli OAF (osteoclast activating factors), ovvero fattori di attivazione per gli osteoclasti, che inizieranno il processo di riassorbimento della matrice calcificata. Quando la funzione biosintetica cessa gli osteoblasti diventano osteociti, le cellule del tessuto osseo adulto, che occupano le lacune ossee.

La differenza fondamentale tra i due tipi di cellule delle ossa è quindi chiara, semplificando: gli osteoclasti “distruggono” l’osso recuperando sali minerali, mentre gli osteoblasti lo “costruiscono”. Grazie ad esse negli esseri umani, un osso normale viene distrutto e ricostruito completamente ogni due mesi circa.

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Differenze tra DNA e RNA: che sono ed a che servono

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Tutti quanti sappiamo che il DNA racchiude in sé le informazioni genetiche di ciascuno di noi. Come fosse una sorta di memoria fisica su cui sono iscritte le istruzioni di programmazione del software umano. Ma cosa vuol dire questo in termini scientifici? Il termine DNA nasconde la sua stessa natura, perché si traduce in acido deossiribonucleico, che è la composizione chimica di questo acido nucleico. In quanto acido nucleico, si tratta di un polimero formato da unità chiamate nucleotidi, che si organizzano in una struttura complessa. Ogni nucleotide è composto da tre elementi: un gruppo fosfato, uno zucchero (o deossiribosio) e una base azotata. E’ proprio da questa sua natura polinucleotide che deriva la caratteristica doppia elica utilizzata per raffigurare il DNA. Il DNA è, infatti, formato da due catene (conosciute anche come filamenti) di nucleotidi che si avvolgono a spirale l’una intorno all’altra. Grazie a studi effettuati negli anni ’50, sappiamo anche che le due catene sono orientate in senso opposto, ovvero i nucleotidi hanno opposta sequenza di atomi di carbonio del deossiribosio. Il DNA è presente nel nucleo di tutte le cellule di un organismo (che possono essere i cosiddetti cromosomi), sempre uguale a se stesso in quanto porta iscritta la sequenza genetica. Il codice genetico è dato, quindi, dalla peculiare disposizione in sequenza dei nucleotidi, sempre diversa tra gli esseri viventi.
Nel DNA si nasconde il segreto di quello che siamo, in un certo senso, perché è lì che si trovano le istruzioni genetiche che ci hanno fatto proprio come siamo. In concreto, cosa fa il DNA per consentire lo sviluppo di un organismo? Contenendo al suo interno le informazioni genetiche fondamentali, consente la biosintesi dell’RNA e poi delle proteine, che sono poi le molecole necessarie per ogni organismo.

MEDICINA ONLINE GENETICA traduzione mRNA e sintesi delle proteine nei ribosomi cellula

La traduzione dell’mRNA permette la sintesi di una nuova proteina

Cos’è l’RNA

Il passaggio dalle informazioni contenute nel DNA alle proteine non è diretto. Esiste infatti un passaggio intermedio fondamentale che porta dagli amminoacidi alla proteina, attraverso un processo di traduzione genetica noto come sintesi proteica. Questo passaggio è la creazione di una nuova molecola intermedia, una sorta di duplicato del DNA (pur con qualche differenza strutturale). Questa molecola intermedia è, appunto, l’RNA, ovvero acido ribonucleico. Essendo generato per trascrizione dal DNA, dal punto di vista chimico l’RNA è molto simile, anche se consta di un singolo filamento di nucleotidi invece della doppia elica. Per dirla in parole semplici, l’RNA non è altro che il frutto della trascrizione di un filamento di DNA, in cui le informazioni genetiche vengono ricopiate in una nuova molecola (traduzione) per formare una nuova proteina. L’RNA funge da “stampo”. Pur essendo una copia ed essendo presente in ogni cellula, però, si tratta di una molecola molto complessa, che può assumere ruoli differenti nel corso della creazioni dell’organismo. Nel processo di trascrizione genetica, infatti, non vengono creati solo filamenti RNA per la traduzione del codice genetico, ma anche altri che svolgono funzioni biologiche (come i ribosomi). In generale possiamo distinguere tre tipologie di RNA:

  • RNA messaggero: contiene l’informazione per la sintesi delle proteine (funge da stampo).
  • RNA ribosomiale: che entra nella struttura dei ribosomi.
  • RNA transfer: utilizzato per la traduzione nei ribosomi.

Grazie al polimero RNA, quindi, è reso possibile il processo di divisione cellulare e replicazione del DNA, senza che in questo percorso vada persa qualche fondamentale informazione genetica.

Quali sono le differenze?

Avendo descritto le caratteristiche chimiche e funzionali di DNA e RNA, le differenze tra i due dovrebbe essere abbastanza chiaro. Visto che ci troviamo in campi complessi come quelli della chimica e della genetica, però, forse è meglio un riassunto finale.

Partiamo dalle differenze strutturali:

  • la composizione è molto simile, catena polinucleotidica contenente quattro nucleotidi diversi. Però il DNA è composto da due catene antiparallele che si avvolgono a elica (doppio filamento), mentre l’RNA è quasi sempre a un solo filamento.
  • Nei nucleotidi che si nasconde la differenza chimica fondamentale tra le due molecole. L’RNA contiene uno zucchero diverso (ribosio al posto di deossiribosio) e anche una base diversa (uracile al posto di timina).

Differenza nella funzione:

  • Il DNA contiene nel suo interno il codice genetico, ovvero tutte le informazioni necessarie per lo sviluppo delle proteine e, quindi, dell’organismo.
  • L’RNA è il frutto di un processo di copia del DNA, così se il DNA resta stabile e immutato nel tempo, i filamenti di RNA hanno utilizzo immediato e svolgono, come abbiamo visto, diverse funzioni nello sviluppo concreto delle proteine. Possiamo dire, per concludere, che il DNA è il calco originale (o il master di un disco) e le molecole RNA che ne derivano sono le copie da utilizzare concretamente.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Differenza tra insufficienza respiratoria di tipo 1 e 2

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA INSPIRAZIONE ESPIRAZIONE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PenePer capire appieno le differenze tra insufficienza respiratoria di tipo 1 e 2, dobbiamo prima partire da alcune semplici basi di fisiologia umana. L’apparato respiratorio è l’insieme degli organi e dei tessuti deputati a respirare, intendendo con il termine “respirare” l’azione incessante che bronchi e polmoni svolgono nel trasferire al sangue una sufficiente quantità di ossigeno (O2) presente nell’aria che respiriamo (l’aria è composta per circa il 20% da ossigeno e per circa l’80% da azoto, mentre insignificante è la quantità di anidride carbonica ), che viene portato a tutte le cellule dell’organismo dalla rete dei vasi sanguigni e dei capillari, eliminando al contempo dal sangue, con un percorso inverso rispetto all’ossigeno, l’eccesso di anidride carbonica (CO2) prodotta nel corso dei processi metabolici delle cellule. Si definisce pertanto insufficienza respiratoria l’incapacità dell’apparato respiratorio di mantenersi efficace nel compiere questo doppio scambio dei gas respiratori e precisamente dell’ossigeno in un senso e dell’anidride carbonica nell’altro. Ogni condizione ed ogni malattia che impediscano un adeguato apporto di ossigeno al sangue ed alle cellule (ipossia) con o senza una contemporanea adeguata eliminazione dell’anidride carbonica (ipercapnia), causano insufficienza respiratoria.

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Quanti tipi di insufficienza respiratoria ci sono?

Tenuto conto di ciò che si è detto prima, si riconoscono due tipi di insufficienza respiratoria:

  • Insufficienza respiratoria ipossiemica pura (tipo I): corrisponde al solo deficit di ossigeno nel sangue arterioso (pressione parziale di O 2 nel sangue arterioso inferiore a 60 mmHg) con anidride carbonica (CO2) normale
  • Insufficienza respiratoria ipossiemico–ipercapnica (tipo II): corrisponde alla contemporanea presenza di un deficit di O2 associato ad eccesso di CO2 nel sangue arterioso (pressione parziale della CO2 nel sangue arterioso superiore a 45 mmHg)

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In funzione, poi, del tempo necessario all’instaurarsi dell’insufficienza respiratoria, si distinguono:

  • Insufficienza respiratoria acuta: corrisponde alla comparsa di insufficienza respiratoria a comparsa improvvisa in un soggetto con funzione respiratoria fino a poco prima normale
  • Insufficienza respiratoria cronica: corrisponde alla presenza di insufficienza respiratoria costantemente presente da tempo in pazienti con malattie croniche dell’apparato respiratorio in grado di determinarla. Sono spesso presenti associate sia l’ipossiemia che l’ipercapnia.
  • Insufficienza respiratoria acuta su cronica: corrisponde ad un aggravamento di un’insufficienza respiratoria cronica che non riesce più ad essere compensata dalla terapia con l’ossigeno e dalla terapia farmacologica in atto a causa di un occasionale aggravamento della malattia respiratoria cronica già presente determinata da una condizione infettiva o infiammatoria acuta che si aggiunge.

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Quali sono le cause dell’insufficienza respiratoria?

Innumerevoli cause possono essere responsabili di insufficienza respiratoria. La semplice presenza di un deficit di ossigeno nell’aria respirata, come capita ad esempio respirando ad alta quota aria con contenuto di ossigeno anche molto inferiore a quello abitualmente presente alle quote più basse, è sufficiente a generare insufficienza respiratoria acuta ed è per questo motivo che gli scalatori sono soliti supplementare il contenuto di ossigeno destinato ai polmoni respirando in maschera quello proveniente da bombole d’ossigeno sotto pressione. Una qualsiasi crisi di soffocamento (inalazione accidentale di corpo estraneo nelle vie respiratorie, soffocamento provocato a scopo omicida, paralisi o insufficienza funzionale dei muscoli respiratori ad opera di veleni a base di curaro o di malattie neuro-muscolari, ecc.) determina l’interruzione del corretto approvvigionamento di ossigeno al sangue e dell’adeguata eliminazione della CO2, e di conseguenza diviene causa di insufficienza respiratoria acuta ipossiemica ed ipercapnica (tipo II). Molte malattie dei bronchi, dei polmoni e della pleura sono fonte di insufficienza respiratoria acuta e cronica e si può dire che la stessa rappresenti l’esito finale di quasi tutte le malattie dell’apparato respiratorio nelle fasi finali di gravità del loro percorso naturale.

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Quali sono le conseguenze e i sintomi dell’insufficienza respiratoria?

L’insufficienza respiratoria può determinare una grave alterazione funzionale di tutti gli organi, progredendo nel tempo fino a determinare la morte dell’individuo che ne è colpito. Tali danni sono secondari a:

  • insufficiente quantità di O2 nel sangue (ipossiemia), con difficoltà di concentrazione, attenzione e memoria e deterioramento ideativo e cognitivo, facile affaticabilità, dispnea, cianosi, aumento della frequenza respiratoria, nausea, inappetenza e anoressia, dimagrimento e perdita della massa muscolare, sviluppo di ipertensione polmonare con aumento del disagio respiratorio e scompenso cardiaco destro, iperglobulia (aumento della viscosità del sangue), fino ad arrivare al coma ipossico
  • eccesso di CO2 (ipercapnia) che tende ad accumularsi fino a divenire tossica per l’organismo, determinando dapprima cefalea al risveglio, occhi arrossati e rallentamento psichico e motorio, tremori e scosse muscolari, per aggravarsi fino al coma nelle fasi più avanzate (come ipercapnico)

Come si fa la diagnosi di insufficienza respiratoria?

Il sospetto di insufficienza respiratoria viene confermato con l’esecuzione di un semplice esame chiamato emogasanalisi arteriosa, che consiste in un prelievo di sangue arterioso da un’arteria del polso. In tal modo si è in grado di determinare la quantità dei due gas O2 e CO2 presenti nel sangue arterioso e di porre diagnosi di insufficienza in base ai criteri esposti prima (O2 < 60 mmHg – CO 2 > 45 mmHg). In alternativa, e solo per il deficit di ossigeno (non è possibile con questo metodo dosare la CO2), è possibile misurare la quantità di ossigeno presente nel sangue misurando la saturazione dell’emoglobina con uno strumento chiamato ossimetro o saturimetro, attraverso la semplice applicazione di una pinza dedicata al dito del paziente senza dover procedere al prelievo di sangue. Il vantaggio di tale misurazione sta nella sua praticità e nella possibilità di eseguire il controllo anche presso il domicilio del paziente in ossigenoterapia.

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Come si cura l’insufficienza respiratoria? Cos’è l’ossigenoterapia?

La terapia dell’insufficienza respiratoria consiste ovviamente nella terapia delle moltissime malattie che la causano o nella rimozione delle cause acute che la determinano. In relazione, tuttavia, alle sole alterazioni di O2 e CO2 nel sangue arterioso, essa comprende:

  • terapia dell’insufficienza respiratoria di tipo I (solo deficit di O2): consiste nella ossigenoterapia e cioè nella somministrazione di ossigeno puro medicale compresso (99,9%) attraverso cannule nasali (CN) al flusso stabilito dallo specialista pneumologo, oppure con mascherina faciale tipo Ventimask a percentuale di O2 variabile ed impostabile secondo necessità. Il vantaggio, rispetto alla somministrazione con cannule nasali, sta nel fatto che in questo modo è perfettamente nota la percentuale di ossigeno nella miscela di gas inalati dal paziente, cosa impossibile a determinarsi con la somministrazione attraverso cannule nasali. In alternativa all’ossigeno gassoso compresso è possibile l’impiego di ossigeno liquido, in grado di erogare ossigeno gassoso da volumi di ossigeno liquido molto più contenuti rispetto ai volumi dell’ossigeno compresso (maggior praticità di trasporto e di gestione domiciliare). La quantità, i tempi nella giornata e la durata complessiva dell’ossigenoterapia vengono stabiliti dallo pneumologo, specie per quanto attiene alla corretta gestione dell’ossigenoterapia domiciliare a lungo termine (O2-LTO) in pazienti con malattie respiratorie croniche (BPCO, enfisema polmonare, fibrosi polmonare, tumori polmonari trattati a domicilio, ecc.). Il paziente necessita di un attento monitoraggio delle quantità di ossigeno da somministrare e di controlli specialistici programmati finalizzati alla corretta gestione dei numerosi problemi pratici e clinici che l’ossigenoterapia comporta, tra i quali quelli derivanti da un’imperfetta umidificazione dell’ossigeno inalato, dalla maggior facilità alle infezioni respiratorie nei pazienti trattati (polmoniti) e dal rischio di un pericoloso incremento della CO2 negli stessi.
  • terapia dell’insufficienza respiratoria di tipo II (deficit di O2 associato ad eccesso di CO2): consiste nell’impiego di appositi ventilatori per la terapia ventilatoria non invasiva (NIV), in grado di evitare il ricorso all’intubazione oro-tracheale del paziente, associata a tutto ciò che si è già descritto a proposito dell’ossigenoterapia.

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Differenza tra organismi aerobi ed anaerobi con esempi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE CELLULE EUCARIOTE PROCARIOTE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneIn questo articolo si parla della differenza tra organismo aerobio (o aerobico) ed organismo anaerobio (o anaerobico). Se sei invece interessato alla differenza tra lavoro aerobico e anaerobico, con particolare riferimento all’attività sportiva, ti consiglio di passare subito a questo articolo: Differenza tra aerobico e anaerobico: tipi di esercizio e vantaggi

Si definisce aerobiosi la condizione di vita di molti organismi, che hanno un metabolismo basato sull’uso di ossigeno (O2), che funge da accettore finale di elettroni. Organismi di questo tipo sono definiti aerobi (o aerobici). Essi sono in grado di funzionare grazie al processo aerobico della respirazione cellulare, che permette l’ossidazione di substrati (per esempio gli zuccheri e gli acidi grassi) per ottenere energia. L’atomo di ossigeno O è fortemente ossidante, ovvero tende a “strappare” elettroni ad altri atomi meno ossidanti di lui e anche la molecola di ossigeno molecolare O2 è molto ossidante e tende quindi a strappare elettroni di modo che gli atomi di ossigeno andranno a formare altri composti più stabili (di O2) e quindi meno reattivi, come per esempio l’anidride carbonica CO2 e l’acqua H2O.

Esempi di organismi aerobici (obbligati e facoltativi) sono gli animali, alcuni funghi (lieviti) ed alcuni batteri.

Si definisce anaerobiosi la condizione di vita di diversi organismi, il cui metabolismo, al contrario dell’aerobiosi, NON richiede la presenza di ossigeno molecolare O2. Tale molecola, strettamente necessaria per gli organismi che invece vivono in aerobiosi, può addirittura risultare estremamente tossica per tali organismi, definiti per questo motivo anaerobici (o anaerobi).

Esempi di organismi anaerobi sono alcuni batteri e archibatteri.

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Differenza tra organismi aerobi obbligati e facoltativi con esempi

MEDICINA ONLINE CATENA DI TRASPORTO DEGLI ELETTRONI BIOCHIMICA RESPIRAZIONE CELLULARESi definiscono aerobi, quegli organismi il cui metabolismo è basato sull’utilizzo di ossigeno molecolare O2, che funge da accettore finale di elettroni. È possibile distinguere aerobi obbligati e aerobi facoltativi:

  • Aerobi obbligati: necessitano di O2 come accettore di elettroni. Quasi tutti gli animali, gran parte dei funghi e molti batteri sono aerobi obbligati. Essere un organismo aerobio obbligato, sebbene sia vantaggioso dal punto di vista energetico, significa anche dover contrastare obbligatoriamente alti livelli di stress ossidativo.
  • Aerobi facoltativi: possono utilizzare l’O2 oppure altre molecole in stato ossidato. Diverse specie di lievito sono esempi di organismi aerobi facoltativi. Tali organismi sono in grado dunque di sopravvivere anche in assenza di O2. Il loro metabolismo è comunque principalmente aerobico: questo li differenzia dagli anaerobi facoltativi, il cui metabolismo principale è quello anaerobico.

Le cellule umane prese singolarmente presentano anch’esse un metabolismo aerobio facoltativo, in quanto possono utilizzare la fermentazione dell’acido lattico se l’O2 non è disponibile. Le cellule muscolari, ad esempio, in presenza di basse concentrazioni di O2 (tipicamente quando sono sotto sforzo) possono ricorrere alla sola glicolisi anaerobica. Questa strategia, in ogni caso, non può essere sostenuta a lungo dall’intero organismo, e quindi gli uomini sono di fatto aerobi obbligati.

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Differenza tra organismi anaerobi obbligati, facoltativi, microaerofili ed aerotolleranti

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma VIRUS VIRIONI COSA SONO FATTI REPLICAZIO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneSi definiscono anaerobi, quegli organismi il cui metabolismo non richiede la presenza di ossigeno molecolare O2. Esistono diversi tipi di organismi anaerobici:

  • Gli anaerobi obbligati sono un gruppo di organismi che NON sono in grado di sopravvivere in presenza delle abituali concentrazioni atmosferiche di O2. Tali anaerobi non sono in grado di sopravvivere perché non dotati di enzimi come la superossido dismutasi, la catalasi e la perossidasi, in grado di proteggerli dallo stress ossidativo generato da O2.
  • Gli anaerobi facoltativi, invece, crescono meglio in presenza di O2, ma ne tollerano anche l’assenza.
  • Gli organismi microaerofili sono in grado di utilizzare O2, ma solo a concentrazioni ridotte (nell’ordine di micromoli). La loro crescita è inibita da concentrazioni normali di O2 (pari a circa 200 micromolare ovvero 200 μM). I nanoaerobi sono organismi affini, che richiedono concentrazioni dell’ordine di nanomoli di O2 per poter crescere.
  • Gli organismi aerotolleranti non richiedono O2, non presentano alcun tipo di metabolismo in grado di utilizzarlo, ma sono in grado di sopravvivere se esposti all’aria, poiché dotati degli enzimi necessari a resistere agli stress ossidativi.

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Gli anaerobi obbligati possono servirsi di reazioni di fermentazione e svolgere la respirazione anaerobica (dove l’accettore finale di elettroni è una molecola diversa dall’ossigeno). Gli anaerobi facoltativi, invece, utilizzano la respirazione aerobica in presenza di O2 : in sua assenza, invece, sono in grado di fermentare. Gli organismi aerotolleranti sono strettamente fermentanti. I microaerofili possono svolgere alternativamente respirazione aerobica e anaerobica.

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Differenza tra astice ed aragosta: l’astice è il maschio dell’aragosta?

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A sinistra un’astice; a destra una aragosta

In molti confondono astice ed aragosta: i due crostacei vengono spesso scambiati per la stessa specie commettendo l’errore di pensare che l’astice sia il maschio dell’aragosta. Ciò è invece un errore!

Aragosta ed astice hanno caratteristiche simili ed il loro riconoscimento non e’ per nulla difficile. Sono le chele (o zampe chelate), presenti solamente nell’astice e non nell’aragosta a differenziare i due crostacei. Le chele sono due appendici molto sviluppate che servono all’animale per catturare le sue prede, utilizzate come arma di difesa e addirittura come “apribivalvi”.

L’aragosta mediterranea (Palinurus elephas)

L’aragosta e’ un crostaceo decapode che vive in Mediterraneo ed atlantico. Puo’ raggiungere, anche se raramente gli 8 Kg di peso e la dimostrazione e’ l’aragosta gigante catturata alle bermuda. L’aragosta a differenza dell’astice non ha chele. Questo crostaceo decapode riesce a crescere per tutta la sua vita cambiando il carapace centinaia di volte. Si stima che possa arrivare a vivere anche 80 anni. Vive su fondali rocciosi dai 15 ai 200 metri dove si riunisce in gruppo per colonizzare un area che non lascerà fino alla fine della sua vita. Si nutre di spugne, vermi marini, piccoli crostacei sia vivi che già morti. L’aragosta e’ molto apprezzata in cucina in quasi tutta la parte del globo. Gli stock però, soprattutto in Mediterraneo, non godono di buona salute tanto da essere inserita tra le specie in pericolo nella Convenzione di Berna.

Una morte atroce

E’ opinione diffusa che i crostacei devono essere immersi vivi in acqua bollente dato che non sentono dolore. La realtà e’ ben diversa, e questo non farà certo felice chef e ristoratori . A confermarlo è stato uno studio Norvegese del 2013. I risultati parlano chiaro: i movimenti ed i salti del crostaceo immerso in acqua bollente non sono dovuti a riflessi automatici ma ad una reale percezione del dolore.

L’Astice europeo  (Homarus gammarus)

L’astice e’ anch’esso un crostaceo decapode. A differenza dell’aragosta che appartiene alla famiglia dei palinuridi l’astice appartiene alla famiglia Nephropidae. L’astice normalmente e’ colorato di marrone scuro con dellechiazze gialle sul ventre ma puo’ anche presentare delle tonalità di blu sul dorso. Raramente si possono osservare degli astici totalmente blu. Gli astici europei sono presenti nel Mare del Nord ed in Mediterraneo, vivono tra i 50 ed i 150 metri di profondità nascosti sotto grossi massi.

L’astice in cucina

Al mercato, nelle pescherie o nei banchi del congelato non troviamo  l’astice europeo ma quello americano. Una specie molto simile anche se il sapore e’ ritenuto meno gustoso. L’astice mediterraneo e’ oramai divenuto sempre più raro. Viene catturato casualmente con le reti da posta o con le nasse.

Aragoste ed astici sono parenti ?

L’astice non e’ strettamente imparentato con l’aragosta o almeno lo e’ quanto l’aragosta lo possa essere con un granchio.

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Differenze e somiglianze fisiche e comportamentali tra cani e lupi

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma MEGLIO CANE UOMO PREFERISCONO DONNE Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Luce Pulsata Peeling Pressoterapia Linfodrenante Mappatura Nei Dietologo DermatologiaVi siete mai chiesti perché i lupi assomigliano molto ai cani? Semplice: il lupo è l’antenato del cane! Per risalire alle origini del “miglior amico dell’uomo” così come lo conosciamo oggi, è necessario tornare indietro fino all’epoca del Paleolitico, era in cui i lupi cominciarono ad avvicinarsi agli insediamenti dell’uomo, in cerca di cibo. Fu così che ebbe inizio il processo di addomesticamento che consentì il passaggio dall’antico lupo “modificato”, fino ai cani dei giorni nostri. Nonostante le razze di cani oggigiorno esistenti siano numerosissime e diverse per carattere e tratti morfologici, ciascuna di esse ha dunque come antenato il lupo.

Similitudini tra cani e lupi

Seppur soltanto alcuni cani ricordino fisicamente i lupi, come può essere il caso dell’Husky Siberiano o del Pastore Tedesco, tutti quanti i nostri amici a quattro zampe mantengono alcuni tratti e comportamenti ereditati dai loro antenati. Persino i più piccoli barboncini. Ecco alcune somiglianze tra cani e lupi:

  • l’abitudine di scavare per nascondere il cibo;
  • ululati;
  • gesti corporali volti a trasmettere informazioni o emozioni ai propri simili, così come segnali visuali (posizione di orecchie, coda, occhi, ecc.), o segnali olfattivi (urina, ghiandole anali);
  • senso dell’olfatto e dell’udito molto sviluppati;
  • visione adattata all’oscurità.

Ogni singola razza di cane esistente nell’attualità, a prescindere dalle grandi differenze morfologiche e di carattere che possa in apparenza presentare, discende dal lupo. I cani mantengono abitudini e comportamenti ereditati dai loro antenati, persino i più piccoli barboncini. Inoltre, entrambe le specie sono collettive. Ciò significa che entrambe hanno bisogno di relazionarsi all’interno di un gruppo, sia che si tratti dei loro simili come nel caso dei lupi, sia nei riguardi di un gruppo di persone, come succede per i cani. È per questo motivo, dunque, che i cani che conservano maggiormente le caratteristiche tipiche dei loro antenati sono quelli meno esposti al contatto con gli esseri umani. D’altra parte, un cagnolino abituato a stare in perenne contatto con i propri padroni e che passa la vita rinchiuso fra le mura di casa, tenderà a perdere pian piano ogni somiglianza con i lupi.

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Quali sono le differenze tra cani e lupi?

Tuttavia, le differenze tra cani e lupi non mancano. A partire dall’ovvio carattere più diffidente e schivo del lupo nei confronti degli umani, la selezione genetica ha senza dubbio favorito lo sviluppo dei seguenti tratti nei cani:

  • capacità di difesa e guardia;
  • dimensioni;
  • abilità sociali.

L’evoluzione, inoltre, ha determinato il fatto che, rispetto ai lupi, i cani:

  • abbiano ridotto le dimensioni del cranio e del cervello
  • abbiano perso i grandi denti da predatore
  • abbiano accorciato la lunghezza del muso
  • abbiano sviluppato la capacità di digerire idrati di carbonio

Una nuova teoria sulla nascita del rapporto tra cani e umani

A discapito della credenza che l’addomesticamento del cane antico fosse dovuta alla selezione da parte dell’uomo degli animali più portati ad interagire con la nostra specie, alcune ricerche recenti segnalano come, in realtà, la cooperazione tra cani e uomini risalga alle abilità sociali dei lupi. Le ricercatrici Friederike Range e Zsófia Virányi del Messerli Research Institute dell’Università di Medicina Veterinaria di Vienna, e del centro di ricerca sui lupi con sede ad Ernstbrunn, sempre in Austria, rivelano come i lupi abbiano acquisito le capacità necessarie per tollerare la loro reciproca presenza, oltre che per la decodificazione delle intenzioni dei propri compagni, grazie alla loro abitudine di vivere in branco. Grazie a queste abilità, essi sono in grado di raggiungere un buon livello di coordinamento tra di loro – per pratiche come la caccia. Le ricercatrici sostengono dunque che l’attuale relazione tra uomo e cane si basi proprio su queste due qualità dei lupi. Da quanto emerge, infatti, non sembra esser stata necessaria una selezione aggiuntiva riguardo la tolleranza nei confronti degli uomini e la capacità di interpretare le loro intenzioni. Secondo i risultati emersi dal lavoro di Range e Virányi, i lupi possiedono, come i cani, simili capacità di comprendere le intenzioni di altri esseri viventi. La differenza tuttavia sta nella maggior facilità con cui i cani riescono ad interagire con l’uomo: essi sono in grado di accettare più rapidamente l’essere umano come compagno, e riescono ad abbandonare più rapidamente la paura.

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